Cassazione Penale, Sez. 4, 26 gennaio 2011, n. 2635 - Durata della malattia della persona offesa e fatti inconciliabili


 

 

Responsabilità del preposto di un'impresa appaltatrice per infortunio sul lavoro. Condannato in primo grado, ricorre avverso l'ordinanza della Corte d'Appello di Ancona che ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza  del Tribunale di Bologna con la quale era appunto stata applicata nei suoi confronti - per il delitto di lesioni colpose gravi in danno di R.M. commesso con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro - la pena concordata tra le parti di mesi uno e giorni dieci di reclusione.

 

Il ricorrente, con la richiesta di revisione, evidenzia che, per lo stesso reato, erano stati separatamente giudicati due coimputati, F.F. e G.G.P., nei confronti dei quali il medesimo Tribunale, con sentenza 22 gennaio 2009, aveva dichiarato non doversi procedere perché l'azione penale non avrebbe potuto essere iniziata per mancanza di querela essendo emerso in giudizio, dalle dichiarazioni della persona offesa, che la malattia era durata trenta giorni senza postumi penalmente rilevanti.

 

La Corte di Cassazione afferma che nel caso in esame "si tratta di un unico infortunio sul lavoro che ha dato luogo all'esercizio dell'azione penale nei confronti di tre persone:

l'odierno ricorrente (preposto dell'impresa appaltatrice) che ha patteggiato la pena; F.F. (delegato alla sicurezza per conto dell'impresa appaltante) e G.G.P. (legale rappresentante dell'impresa appaltatrice) nei cui confronti è stata emessa la sentenza di non doversi procedere per mancanza di querela.

 

Le due sentenze hanno posto a fondamento della decisione un fatto inconciliabile: la durata della malattia della persona offesa.

 

Secondo la sentenza di applicazione della pena nei confronti dell'odierno ricorrente le lesioni erano gravi perché la malattia era guarita in un periodo di tempo superiore a quaranta giorni secondo la contestazione contenuta nel capo d'imputazione. Secondo la sentenza 22 gennaio 2009, pronunziata nei confronti degli altri due imputati dal medesimo Tribunale di Bologna - che ha peraltro compiuto, in questo secondo caso, accertamenti istruttori sul punto - la malattia era guarita in un periodo di tempo non superiore a trenta giorni.

 

E' dunque palese che i fatti accertati nei due processi sono tra di loro inconciliabili; e ciò non in base ad una diversa valutazione dei fatti perché mentre una delle due sentenze si è attenuta a quanto contestato l'altra ha compiuto un accertamento specifico sul punto (diverso sarebbe il caso in cui i due giudici avessero diversamente valutato il medesimo compendio probatorio pervenendo ad una decisione difforme)."

 

 

La Suprema Corte conclude che, dalle considerazioni svolte, consegue l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al giudice che l'ha pronunziata.


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ili .mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

Dott. BRUSCO Carlo G. - rel. Consigliere

Dott. MAISANO Giulio - Consigliere

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

1) B.P. N. IL ***;

avverso l'ordinanza n. 2194/2009 CORTE APPELLO di ANCONA, del 30/12/2009;

 

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe;

lette le conclusioni del PG Dott. PASSACANTANDO Guglielmo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

La Corte:

 

 

FattoDiritto

 

 

1) B.P. ha proposto ricorso avverso l'ordinanza 30 dicembre 2003 della Corte d'Appello di Ancona che ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione della sentenza 7 aprile 2008 del Tribunale di Bologna con la quale era stata applicata nei suoi confronti - per il delitto di lesioni colpose gravi in danno di R.M. commesso in *** con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro - la pena concordata tra le parti di mesi uno e giorni dieci di reclusione (sostituita con la pena della multa pari ad Euro 1.550,00).

 

Il ricorrente, con la richiesta di revisione, aveva evidenziato che, per lo stesso reato, erano stati separatamente giudicati due coimputati, F.F. e G.G.P., nei confronti dei quali il medesimo Tribunale, con sentenza 22 gennaio 2009, aveva dichiarato non doversi procedere perché l'azione penale non avrebbe potuto essere iniziata per mancanza di querela essendo emerso in giudizio, dalle dichiarazioni della persona offesa, che la malattia era durata trenta giorni senza postumi penalmente rilevanti.

 

La Corte di merito ha rilevato che con il rito del patteggiamento l'imputato rinunzia a sottoporre al giudice le prove nella sua disponibilità e non può revocare questa rinunzia con una tardiva richiesta di rivalutazione della prova con la richiesta di revisione.

 

Quanto al contrasto di giudicati rileva l'ordinanza impugnata che non è ammessa la revisione fondata sugli stessi elementi probatori utilizzati dalla sentenza di assoluzione nei confronti di un coimputato nello stesso reato pronunziata in un diverso procedimento in quanto la revisione giova ad emendare un errore di fatto e non la valutazione del fatto.

 

2)     A fondamento del ricorso si deduce la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per non avere, l'ordinanza impugnata, ritenuto prova nuova le dichiarazioni della persona offesa che aveva riferito sulla durata effettiva della malattia rispetto a quanto originariamente contestato e per aver escluso che i fatti accertati nel diverso procedimento concretizzassero l'ipotesi di revisione prevista dall'art. 630 c.p.p., lett. a).

 

3)     Benché impropriamente proposto per vizio di motivazione - perché in realtà i vizi denunziati riguardano, come risulta dalla formulazione delle censure, l'erronea applicazione della legge processuale penale - il motivo riguardante la violazione dell'art. 630 c.p.p., lett. a) deve ritenersi fondato.

 

Va preliminarmente osservato che, nella formulazione originaria del codice di rito, non era prevista la revisione per le sentenze di patteggiamento che, a seguito della modifica apportata all'art. 629 c.p.p. dalla L. 12 giugno 2003, n. 134, art. 3, comma 1, possono invece oggi formare oggetto di questa forma di impugnazione straordinaria.

 

Da ciò consegue che non possono ritenersi corrette le considerazioni contenute nell'ordinanza impugnata in relazione all'efficacia impeditiva della revisione che avrebbe la rinunzia dell'imputato all'accertamento dei fatti e della responsabilità.

Com'è noto il caso di revisione previsto dalla norma indicata è quello in cui "i fatti stabiliti a fondamento della sentenza o del decreto penale di condanna non possono conciliarsi con quelli stabiliti in un'altra sentenza irrevocabile del giudice ordinario".

A differenza del caso previsto dall'art. 630 c.p.p., lett. c) quello in esame non richiede una rivalutazione del compendio probatorio arricchito dalle nuove prove acquisite nel giudizio di revisione ma richiede esclusivamente una valutazione comparativa per verificare se i fatti accertati dalla sentenza di condanna siano conciliabili con quelli stabiliti nell'altra sentenza divenuta irrevocabile (v. Cass., sez. 1, 9 giugno 2004 n. 36121, Fursov, rv. 229531).

Deve trattarsi di inconciliabilità oggettiva - e non conseguente ad una diversa valutazione del quadro probatorio - e decisiva nel senso che i fatti oggettivamente incompatibili devono necessariamente essere astrattamente idonei a condurre ad una diversa decisione. E si è in più occasioni ritenuto che non si verifica l'ipotesi in esame per il solo fatto del proscioglimento in diverso processo di concorrenti nel reato (v. Cass., sez. 5, 9 dicembre 2008 n. 4225, Mazzanti, rv. 242950; 22 settembre 2005 n. 40819, Gollin, rv. 232803; sez. 4, 25 ottobre 2001 n. 8135, Pisano, rv. 221098).

La giurisprudenza di legittimità ha in più occasioni individuato situazioni di inconciliabilità tra giudicati. Si è ritenuta l'inconciliabilità della sentenza di condanna di un imputato per associazione a delinquere nel caso di assoluzione, in altro processo, di tutti i presunti compartecipi (Cass., sez. 2, 15 ottobre 2009 n. 48613, Platania, rv. 246043); nel caso di condanna per false comunicazioni sociali quando con altra sentenza sia stata dimostrata l'insussistenza della falsità (Cass., sez. 5, 18 gennaio 2006 n. 7205, Iosano, rv. 233635).

 

Come è reso evidente da questi esempi l'inconciliabilità deve essere individuata tra i fatti del processo e non nella valutazione di essi.

 

Non ritiene invece, questa sezione, di condividere integralmente l'orientamento di legittimità, richiamato nell'ordinanza impugnata, secondo cui la revisione giova ad emendare l'errore di fatto e non la valutazione del fatto (in questo senso v. Cass., sez. 1, 3 febbraio 2009 n. 6273, Serio, rv. 243231; sez. 2, 6 maggio 2008 n. 21556, Carafasso, rv. 240111). Fermo restando che resta esclusa, come si è già visto, la possibilità di fondare la richiesta di revisione su una diversa valutazione dei fatti non è però necessario che altro giudice sia incorso in errore di fatto essendo sufficiente che il fatto accertato nei due giudizi sia diverso.

 

4) La diversità dei fatti accertati nelle due sentenze divenute irrevocabili è, nel caso in esame, inequivocabile.

 

Si tratta di un unico infortunio sul lavoro che ha dato luogo all'esercizio dell'azione penale nei confronti di tre persone:

l'odierno ricorrente (preposto dell'impresa appaltatrice) che ha patteggiato la pena; F.F. (delegato alla sicurezza per conto dell'impresa appaltante) e G.G.P. (legale rappresentante dell'impresa appaltatrice) nei cui confronti è stata emessa la sentenza ricordata di non doversi procedere per mancanza di querela.

Le due sentenze hanno posto a fondamento della decisione un fatto inconciliabile: la durata della malattia della persona offesa.

Secondo la sentenza di applicazione della pena nei confronti dell'odierno ricorrente le lesioni erano gravi perché la malattia era guarita in un periodo di tempo superiore a quaranta giorni secondo la contestazione contenuta nel capo d'imputazione. Secondo la sentenza 22 gennaio 2009, pronunziata nei confronti degli altri due imputati dal medesimo Tribunale di Bologna - che ha peraltro compiuto, in questo secondo caso, accertamenti istruttori sul punto - la malattia era guarita in un periodo di tempo non superiore a trenta giorni.

 

E' dunque palese che i fatti accertati nei due processi sono tra di loro inconciliabili; e ciò non in base ad una diversa valutazione dei fatti perché mentre una delle due sentenze si è attenuta a quanto contestato l'altra ha compiuto un accertamento specifico sul punto (diverso sarebbe il caso in cui i due giudici avessero diversamente valutato il medesimo compendio probatorio pervenendo ad una decisione difforme).

 

5) Alle considerazioni in precedenza svolte consegue l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio al giudice che l'ha pronunziata.

 

Restano assorbite le censure che si riferiscono alla violazione dell'art. 630 c.p.p., lett. c).

 

 

 

P.Q.M.

 

La Corte Suprema di Cassazione, Sezione 4^ penale, annulla l'ordinanza impugnata con rinvio alla Corte d'Appello di Ancona.