Categoria: Cassazione civile
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Cassazione Civile, Sez. Lav., 21 dicembre 2010, n. 2464 - Azienda ospedaliera ed assenza di responsabilità nella causazione dell'evento


 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele - Presidente

Dott. LA TERZA Maura - Consigliere

Dott. CURCURUTO Filippo - Consigliere

Dott. NAPOLETANO Giuseppe - rel. Consigliere

Dott. TRICOMI Irene - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11901-2007 proposto da:

P.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 6, presso lo studio dell'avvocato LUCARELLI FEDERICO, rappresentato e difeso dall'avvocato SINICATO FEDERICO, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALE CIVILE DI L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR N. 17, presso lo studio dell'avvocato ROMA MICHELE, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato GALANTINI CARLO FRANCESCO, giusta delega in atti;

I.N.A.I.L. - ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144, presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA. LUIGI, ROMEO LUCIANA, che lo rappresentano e difendono giusta, delega in atti;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 342/2006 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 28/11/2006 R.G.N. 1431/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/12/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l'Avvocato DONATORE ANTONIO per delega ROMA MICHELE;

udito l'Avvocato ROMEO LUCIANA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LETTIERI Nicola che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

 

Fatto

 

 

La Corte di Appello di Milano, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda avanzata da P.R. nei confronti dell'INAIL diretta ad ottenere la costituzione di una rendita per inabilità permanente conseguente agli infortuni occorsigli in data *** e respingeva quella proposta nei confronti dell'Azienda Ospedaliera, azionata per il risarcimento dei danni conseguenti ai predetti infortuni.

La Corte territoriale, per quello che interessa in questa sede escludeva, sulla base delle emergenze istruttorie, per l'assenza di colpa od omissioni, la responsabilità dell'Azienda Ospedaliera nella causazione dell'evento essendosi questo verificato accidentalmente e probabilmente anche per una qualche disattenzione del ricorrente.

 

Avverso questa sentenza il P. ricorre in cassazione sulla base di quattro censure.

 

Resistono con controricorso le parti intimate.

 

Diritto 

 

Con il primo motivo il P., denunciando omessa pronuncia o nullità della sentenza o procedimento in relazione all'art. 112 c.p.c. e art. 2087 c.c., nonché del D.Lgs. n. 626 del 1994 e D.P.R. n. 547 del 1955, articola il relativo quesito di diritto.

Allega il ricorrente al riguardo, che la Corte di Appello non avrebbe puntualmente confutato il motivo d'impugnazione relativo alla dedotta responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. limitandosi ad escludere la responsabilità in senso generico e non tenendola distinta da quella pur prospettata ex art. 2051 c.c..

 

Il motivo è infondato.

 

E' assorbente al riguardo il rilievo che il ricorrente, ancorché lamenti che la Corte di appello non abbia risposto compiutamente "alla precisione ed al dettaglio" dei motivi di appello afferenti la responsabilità contrattuale ex art. 2087 c.c. del datore di lavoro, omette del tutto di trascrivere nel ricorso, in violazione del principio di autosufficienza, i "dettagli" dei motivi di appello,, impedendo in tal modo a questa Corte qualsiasi sindacato di legittimità (Cass. S.U. 28 luglio 2005, n. 15781).

 

Peraltro, mette conto evidenziare che la allegata omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello cosi come, in genere, l'omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio - risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, presuppone che il giudice del merito non abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza, mentre, al contrario, qualora il giudice del merito, come nella specie, abbia preso in esame a questione oggetto di doglianza e l'abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione resa il relativo vizio è deducibile solo con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3 o del difetto di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5.

 

La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro "ex actis" dell'assunta omissione, rende inammissibile il motivo (Cass. 27 gennaio 2006 n. 1755 e Cass., S.U., 27 ottobre 2006 n. 23071).

Con la seconda censura il ricorrente, sostenendo violazione dell'art. 2087 c.c. e D.Lgs. n. 626 del 1994, D.P.R. n. 547 del 1955, D.P.R. n. 303 del 1956 nonché dell'art. 116 c.p.c. e vizio di motivazione, formula il relativo quesito di diritto ed indica, ex art. 366 bis c.p.c., il fatto controverso.

Assume il P. che la Corte di Appello non indaga sulla adozione di ogni misura possibile in rapporto all'avanzamento tecnologico ed erra, con riferimento al primo infortunio, nel ritenere che l'applicazione del solo corrimano ad una scala la renda non pericolosa, e, con riferimento al secondo infortunio, nel conferire valore al requisito dell'evitabilità di un intralcio.

Denuncia, sotto il profilo motivazionale, che la Corte del merito non ha tenuto conto di specifiche dedotte circostanze (l'avvenuto successivo posizionamento di strisce antiscivolo sui gradini ed il taglio dello spuntone) ed ha insufficientemente motivato in punto di non pericolosità della scala e dello spuntone.

 

La censura è infondata.

 

Preliminarmente va ribadito che il carattere contrattuale dell'illecito e l'operatività della presunzione di colpa stabilita dall'art. 1218 c.c. non escludono che la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 c.c., in tanto possa essere affermata in quanto sussiste una lesione del bene tutelato che derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento, imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche con la conseguenza che la verificazione del sinistro non è di per sé sufficiente per far scattare a carico dell'imprenditore l'onere probatorio di aver adottato ogni sorta di misura idonea ad evitare l'evento, atteso che la prova liberatoria a suo carico presuppone sempre la previa dimostrazione, da parte dell'attore, che vi è stata omissione nel predisporre le misure di sicurezza (suggerite dalla particolarità del lavoro, dall'esperienza e dalla tecnica necessarie ad evitare il danno, e non può essere estesa ad ogni ipotetica misura di prevenzione, venendo altrimenti a configurarsi un'ipotesi di responsabilità oggettiva, che la norma, invero, non prevede; Cass. 20 febbraio 2006 n. 3650).

 

Nella specie la Corte d'appello, con tipica valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità perché assistita da motivazione sufficiente e non contraddittoria, ha accertato che, relativamente all'infortunio avvenuto il ***, la scala - larga circa due metri - non era pericolosa perché munita di un corrimano il quale garantiva una percorrenza sicura e non esigeva come tale un nastro antiscivolo, e, circa l'infortunio verificatosi in data ***, il posizionamento del macchinario nel cui spuntone il ricorrente ebbe ad inciampare - non era pericoloso in quanto allocato in modo tale da non creare intralcio non evitabile nel corridoio che il P. doveva percorrere.

Dalla verificata assenza di pericolosità della scala e del posizionamento del macchinario, il giudice del merito ha, poi, desunto la mancanza di ogni responsabilità dell'Azienda ospedaliera nella causazione dell'evento per l'assenza di colpa o di omissioni - ovviamente nel predisporre le misure di sicurezza (imposte da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento).

La sentenza, quindi, oltre ad essere adeguatamente motivata è anche giuridicamente corretta essendo principio consolidato di questa Corte che ai fini dell'accertamento ex art. 2087 c.c. della responsabilità del datore di lavoro incombe al lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l'uno e l'altro mentre, quando il lavoratore abbia provato quelle circostanze, grava sul datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno (per tutte V, Cass. 17 febbraio 2009 n. 3788).

 

Con il terzo motivo il ricorrente, allegando omessa pronuncia, nullità della decisione o del procedimento, violazione dell'art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 2051 c.c., formula il relativo quesito di diritto.

Argomenta il ricorrente che la Corte del merito non si è pronunciata sulla dedotta responsabilità dell'Azienda per danni della cosa in custodia.

La censura per come articolata non è esaminabile.

E' principio acquisito alla giurisprudenza di questa Corte, infatti, che affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronuncia, è necessario, da un lato, che al giudice di merito fossero state rivolte una domanda o un'eccezione autonomamente apprezzabili, e, dall'altro, che tali domande o eccezioni siano state riportate puntualmente, nei loro esatti termini, nel ricorso per cassazione, per il principio dell'autosufficienza, con l'indicazione specifica, altresì, dell'atto difensivo o del verbale di udienza nei quali le une o le altre erano state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività (per tutte V. Cass. S.U. 28 luglio 2005, n. 15781).

Nel caso in esame il ricorrente pur indicando la collocazione (ossia le pagine) dell'atto di appello nelle quali sarebbe stato sviluppato il motivo in questione, omette, tuttavia, di riportare, nel ricorso per cassazione, gli esatti termini in cui la questione è stata sollevata in primo grado e quelli in cui è stata devoluta al giudice di appello.

 

La quarta censura con la quale il P., assume violazione dell'art. 2051 c.c., prospettando che gli eventi denunciati rientrano tipicamente nella area della responsabilità per cosa in custodia ex art. 2051 c.c., rimane assorbita.

 

In conclusione il ricorso va rigettato.

 

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste nei confronti dell'Azienda Ospedaliera a carico del ricorrente.

 

Le spese tra il ricorrente e l'INAIL vanno compensate non essendo stato impugnato, come riconosciuto dallo stesso INAIL, il capo della sentenza di appello concernente il rapporto P. - INAIL.

 

 

P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso, condanna il ricorrente al pagamento in favore dell'Azienda ospedaliera intimata al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 28,00 per spese, oltre Euro 2.000,00 per onorario ed oltre spese generali, IVA e CPA. Compensa le spese del giudizio di legittimità nei confronti dell'INAIL. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 dicembre 2010.