Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 20 febbraio 2002, n. 6804 - Responsabilità di un Sindaco


 

Responsabilità di un Sindaco per  alcune contravvenzioni concernenti la prevenzione degli infortuni sul lavoro - Ricorre in Cassazione - Rigetto.

 

Afferma la Corte che “non sussiste la pretesa violazione degli artt. 20, 21 e 23 d.lvo n. 758 del 1994, giacché i reati si perfezionano sin dal momento dell'accertamento della violazione e non da quello successivo della comunicazione dell'organo di vigilanza dell'inottemperanza alle prescrizioni da intervenire entro 90 giorni dal momento della verifica dell'inadempimento.
A tal fine, è decisivo il primo comma dell'art.
24 d.lvo cit., il quale stabilisce che "la contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall'art. 21 comma 2".

Infatti, la chiara formulazione letterale dimostra che si è in presenza di una speciale causa di estinzione del reato già perfezionatosi al momento dell'accertamento, tanto più che l'adempimento tardivo o con modalità differenti da quelle contenute dalla prescrizione consente di attivare la procedura prevista dall'art. 162 bis c.p., usufruendo di detta ulteriore possibilità di estinzione della contravvenzione.”



“Rilevata l'inammissibilità o l'infondatezza di detti motivi, occorre soffermarsi sull'ultimo concernente l'applicazione della legge n. 127 del 1997 e successive modificazioni ed in generale la responsabilità del datore di lavoro pubblico ed in particolare del pubblico amministratore.”

A tal proposito deve rilevarsi che, secondo giurisprudenza costante di questa Corte, la individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull'igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto (ossia alla sua funzione formale).

“Peraltro, sotto il profilo normativo assume, particolare rilevanza la nozione, fornita dal d.lvo n. 626 del 1994, modificata dal d.lvo n. 242 del 1996, di datore di lavoro pubblico in relazione agli artt. 1 e 3 del d.Lvo n. 29 del 1993, il quale ultimo ha ribadito la distinzione, esistente nell'art. 51 della legge n. 142 del 1990 fra attività politica di indirizzo e di controllo spettante agli organi elettivi e quella amministrativa di gestione di pertinenza dei dirigenti.”

 

Tuttavia, secondo la prevalente se non costante giurisprudenza di questa Corte, si è affermato che l'introduzione delle norme richiamate non comportasse l'esclusione di ogni responsabilità dell'organo elettivo, giacché questi precetti dovevano essere coordinati con il principio generale, non derogato in tema di responsabilità penale per l'applicazione e l'osservanza della normativa di prevenzione degli infortuni e sull'igiene del lavoro, dell'effettività della gestione del potere in considerazione della protezione accordata dalla Costituzione ai fondamentali diritti inerenti alla legislazione antinfortunistica.
Il quadro normativo sotto questo aspetto non è stato sostanzialmente modificato dall'art. 1 del d.lvo n. 29 del 1993 e dalla disciplina richiamata dei citati decreti legislativi del 1994 e 1996 e del successivo
d.lvo n. 359 del 1999 e D.M. 12 novembre 1999 c.d. 626 ter.


“Infatti, se il datore di lavoro pubblico viene individuato nel dirigente al quale spettano i poteri di gestione ovvero nel funzionario non avente qualifica dirigenziale nel solo caso in cui costui sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale (art. 2 lett. b) seconda parte d.lvo n. 626 del 1994), l'art. 4 dodicesimo comma del decreto legislativo da ultimo citato precisa che "gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare .. la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni ... ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative .. restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura o manutenzione, precisando che "gli obblighi previsti ... relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico".
In tal modo viene ribadito il principio fondamentale in materia di delega di funzioni, secondo cui, attesa la posizione di garanzia assunta dal Sindaco e dagli assessori in materia prevenzionale, la delega in favore di un soggetto che non può neppure rifiutarla, qual é il dirigente o il funzionario preposto, assume valore solo ove gli organi elettivi e politici siano incolpevolmente estranei alle inadempienze del delegato e non siano stati informati, assumendo un atteggiamento di inerzia e di colpevole tolleranza.”




 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE 3 PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.:
Dott. Alfonso Malinconico Presidente
1. Dott. Amedeo Postiglione Consigliere
2. " Nicola Quitadamo "
3. " Mario Gentile "
4. " Francesco Novarese "

ha pronunciato la seguente
SENTENZA

 

sul ricorso proposto da M. a Cosenza il 16 ottobre 1958 avverso la sentenza del Tribunale di Paola del 6 novembre 2000;

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso, Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere F. Novarese;

Udito il Pubblico Ministero in persona del dott. W. De Nunzio che ha concluso per richiesta di inammissibilità del ricorso;

Udito il difensore Avv. Barba Gregorio Domenico (Rende);

 

Fatto

 

M. ha proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza del Tribunale di Paola, emessa in data 6 novembre 2000, con la quale veniva condannato per alcune contravvenzioni concernenti la prevenzione degli infortuni sul lavoro, deducendo quali motivi la carenza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla responsabilità dell'imputato, giacché la sentenza impugnata non considerava o non adeguatamente apprezzava tutte le risultanze processuali, la innumerevole serie di atti con cui l'imputato, Sindaco di Amantea, si era attivato per eliminare le violazioni riscontrate, e l'interdizione con ordinanza n. 103 del 18 novembre 1996 dell'uso dell'"auditorium" in cui erano state accertate, la violazione e la falsa applicazione degli artt. 20, 21 e 23 d.lvo n. 758 del 1994, in quanto il reato si perfeziona, solo dopo che non si é adempiuto alle prescrizioni, in seguito alla comunicazione dell'inottemperanza alle stesse da trasmettere entro novanta giorni dalla scadenza del termine fissato nella prescrizione, l'erronea applicazione della legge n. 127 del 1997, che ha modificato l'art. 51 L. n. 142 del 1990, sicché dal 15 maggio 1997 era responsabile il dirigente del settore, la manifesta illogicità della motivazione circa la tardiva richiesta della proroga e l'insussistenza dell'elemento psicologico, poiché la seconda proroga non poteva essere concessa prima dell'effettuazione di un secondo sopralluogo, tardivamente operato dall'A.S.L., tanto più che il P.M., cui era stata indirizzata l'istanza di proroga, aveva fatto effettuare un sopralluogo nell'ottobre del 1997, la carenza di motivazione in tema di responsabilità, perché era cessato dalla carica il 25 ottobre 1997.

 

 

Diritto

 


I motivi addotti non appaiono fondati, sicché il ricorso deve essere rigettato con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


Ed invero, occorre ribadire che, anche in sede di giudizio incidentale, l'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione essere limitato - per espressa volontà del legislatore - a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l'adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sottolineare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
L'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente cioé di spessore tale da risultare percepibile "ictu oculi" dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici (Cass. sez. un. 16 dicembre 1999 n. 24, Spina rv. 214794 e Cass. sez. III 11 gennaio 1999 n. 215, Forlani rv. 212091 al cui lungo iter motivazionale si rinvia).
Pertanto sono del tutto inammissibili le censure relative ad un differente apprezzamento delle risultanze processuali e quelle in fatto, mentre viene esaminata, solo ai limitati fini dell'applicazione dell'art. 129 c. p.p., l'affermazione secondo cui con ordinanza n. 103 del 18 novembre 1996 era stato inibito l'uso dell'auditorium, in cui dovevano ancora eseguirsi le opere di adeguamento alle prescrizioni.
Orbene detta ordinanza concerne la palestra e non l'auditorium, sicché non può ritenersi cessata la permanenza a quella data, anche in assenza di qualsiasi allegazione sulle misure effettivamente prese, tenuto conto dei limiti del giudizio di legittimità.

Del pari inammissibile è la censura concernente l'intervenuta proroga sia perché è stata proposta tardivamente l'istanza, secondo quanto esattamente affermato dal giudice di primo grado in maniera decisiva, sia perché nell'ottobre 1997 e fino al 21 settembre 2000 (cfr. pag. 2 della sentenza impugnata) persistevano le violazioni accertate il 17 giugno 1996, sicché a nulla rileverebbe l'eventuale proroga fino ai primi di ottobre 1997 ai fini della sussistenza dei reati, pur se, in conseguenza della cessazione dalla carica il 25 agosto 1997, ne deriverebbero varie conseguenze sia in tema di imputabilità dell'inadempimento sia di venir meno della permanenza.
A tal ultimo riguardo deve notarsi che il termine prescrizionale maturerà il 25 febbraio 2002 e che, ove la seconda istanza di proroga non fosse stata tardiva, a nulla rilevando la pretesa necessità di un secondo sopralluogo per concederla non richiesto da alcuna norma di legge, né documentato attraverso una prassi amministrativa, l'inadempimento sarebbe imputabile fino all'epoca di cessazione dell'incarico al prevenuto.

Non sussiste, poi, la pretesa violazione degli artt. 20, 21 e 23 d.lvo n. 758 del 1994, giacché i reati si perfezionano sin dal momento dell'accertamento della violazione e non da quello successivo della comunicazione dell'organo di vigilanza dell'inottemperanza alle prescrizioni da intervenire entro 90 giorni dal momento della verifica dell'inadempimento.
A tal fine, è decisivo il primo comma dell'art. 24 d.lvo cit., il quale stabilisce che "la contravvenzione si estingue se il contravventore adempie alla prescrizione impartita dall'organo di vigilanza nel termine ivi fissato e provvede al pagamento previsto dall'art. 21 comma 2".
Infatti, la chiara formulazione letterale dimostra che si è in presenza di una speciale causa di estinzione del reato già perfezionatosi al momento dell'accertamento, tanto più che l'adempimento tardivo o con modalità differenti da quelle contenute dalla prescrizione consente di attivare la procedura prevista dall'art. 162 bis c.p., usufruendo di detta ulteriore possibilità di estinzione della contravvenzione.
Rilevata l'inammissibilità o l'infondatezza di detti motivi, occorre soffermarsi sull'ultimo concernente l'applicazione della legge n. 127 del 1997 e successive modificazioni ed in generale la responsabilità del datore di lavoro pubblico ed in particolare del pubblico amministratore.
A tal proposito deve rilevarsi che, secondo giurisprudenza costante di questa Corte (cfr. Cass. sez. un. 14 ottobre 1992 n. 9874, Giuliani rv. 191185), la individuazione dei destinatari degli obblighi posti dalle normne sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e sull'igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita, bensì sulle funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica attribuita al soggetto (ossia alla sua funzione formale).
Perciò negli enti pubblici ed in particolare nei Comuni si è distinto tra Comuni di piccole, medie e grandi dimensioni (cfr. apparentemente in senso contrario, ma con motivazione conforme, Cass. sez. III 23 febbraio 1999 n. 2297, Moffa rv. 213156) e si è evidenziata la necessità di applicare la disciplina sviluppatasi dalle leggi n. 142 e 241 del 1990 alle c.d. leggi Bassanini in tema di decentramento e procedimento amministrativo e di attribuzioni dei singoli organi comunali (Cass. sez. III 3 aprile 1992 n. 3844, Bodo rv. 189939 cui adde Cass. sez. III 28 luglio 2000 n. 8585, Daverio rv. 217184 massimata in maniera poco perspicua e con l'indicazione del nome Philippe e Cass. sez. III 15 gennaio 2001 n. 257, Bonghi rv. 217718, costituente la più diffusa trattazione del tema, anche se mal riassunto dal massimario).
Peraltro, sotto il profilo normativo assume, particolare rilevanza la nozione, fornita dal d.lvo n. 626 del 1994, modificata dal d.lvo n. 242 del 1996, di datore di lavoro pubblico in relazione agli artt. 1 e 3 del d.Lvo n. 29 del 1993, il quale ultimo ha ribadito la distinzione, esistente nell'art. 51 della legge n. 142 del 1990 fra attività politica di indirizzo e di controllo spettante agli organi elettivi e quella amministrativa di gestione di pertinenza dei dirigenti.

Tuttavia, secondo la prevalente se non costante giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. sez. III 8 aprile 1993, Russo e sentenze su citate contra Cass. sez. III 27 marzo 1998, Sodano in Riv. crit. Dir. Lav. 1999, 230 con condivisibile nota critica), si è affermato che l'introduzione delle norme richiamate non comportasse l'esclusione di ogni responsabilità dell'organo elettivo, giacché questi precetti dovevano essere coordinati con il principio generale, non derogato in tema di responsabilità penale per l'applicazione e l'osservanza della normativa di prevenzione degli infortuni e sull'igiene del lavoro, dell'effettività della gestione del potere in considerazione della protezione accordata dalla Costituzione ai fondamentali diritti inerenti alla legislazione antinfortunistica.
Il quadro normativo sotto questo aspetto non è stato sostanzialmente modificato dall'art. 1 del d.lvo n. 29 del 1993 e dalla disciplina richiamata dei citati decreti legislativi del 1994 e 1996 e del successivo d.lvo n. 359 del 1999 e D.M. 12 novembre 1999 c.d. 626 ter.
Infatti, se il datore di lavoro pubblico viene individuato nel dirigente al quale spettano i poteri di gestione ovvero nel funzionario non avente qualifica dirigenziale nel solo caso in cui costui sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale (art. 2 lett. b) seconda parte d.lvo n. 626 del 1994), l'art. 4 dodicesimo comma del decreto legislativo da ultimo citato precisa che "gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare .. la sicurezza dei locali e degli edifici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni ... ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative .. restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura o manutenzione, precisando che "gli obblighi previsti ... relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico".
In tal modo viene ribadito il principio fondamentale in materia di delega di funzioni, secondo cui, attesa la posizione di garanzia assunta dal Sindaco e dagli assessori in materia prevenzionale, la delega in favore di un soggetto che non può neppure rifiutarla, qual é il dirigente o il funzionario preposto, assume valore solo ove gli organi elettivi e politici siano incolpevolmente estranei alle inadempienze del delegato e non siano stati informati, assumendo un atteggiamento di inerzia e di colpevole tolleranza.


Peraltro, inoltre, occorre distinguere, in piena armonia con i principi espressi dalle normative organizzatorie ed istituzionali su richiamate, fra difetti strutturali e deficienze inerenti all'ordinario buon funzionamento delle strutture stesse, ulteriormente suddividendosi in questo caso fra quelle di carattere occasionale e permanenti, giacché in detta ultima ipotesi si richiede la comunicazione espressa o, comunque, la conoscenza delle stesse da parte degli organi di vertice.
Tale impostazione, per quel che concerne gli enti locali dotati nel loro organico di figure dirigenziali, è in sostanza conforme alla circolare 17 dicembre 1996 n. 3 del Ministero degli interni in G.U. n. 21 del 1997, in cui si evidenzia come bisogna "legare indissolubilmente l'esercizio dei poteri gestionali, affidati ai dirigenti, all'attribuzione di "autonomi poteri di spesa" senza i quali non può esserci alcun esercizio di facoltà gestionali" e si insiste sulla responsabilità del datore di lavoro pubblico nell'individuare dirigenti in possesso di attitudini e capacità adeguate, prospettando, quindi, una responsabilità per culpa in eligendo oltre che in vigilando.
Sembra, invece, ampliare il campo della responsabilità del dirigente, restringendo quella dell'organo politico - istituzionale una recente pronuncia di questa Corte (Cass. sez. III ud. 14 febbraio 2000 dep. 29 maggio 2000, Fichera vedi anche Cass. sez. III ud. P. 16 dicembre 1999 dep. 23 febbraio 2000, Leggiadro senza particolare approfondimento sul punto), nella quale si sottolinea in maniera eccessiva che "il datore di lavoro pubblico ai fini prevenzionali si caratterizza .. rispetto a quello che opera nel settore privato, non per la titolarità di poteri decisionali e di spesa, quanto piuttosto per un potere di gestione del settore o dell'ufficio cui è preposto, al quale si aggiunge il requisito della qualifica dirigenziale (ai sensi dell'art. 3, 2^ comma, del D. Lgs. 3.2.1993 n. 9) ovvero dello svolgimento di mansioni direttive funzionalmente equivalenti".


Tale assunto non appare condivisibile ove non venga correlato con il vigente ordinamento delle autonomie locali, con il rapporto di subordinazione esistente tra dirigente ed organo politico, tanto più pressante in virtù degli ampi poteri discrezionali attribuito al c. d. city manager di estrazione politica, con le capacità decisionali e di spesa del Sindaco, superiori a quelle della stessa Giunta, e con i poteri conferiti dallo Statuto, sicché le su riferite affermazioni appaiono parziali, anche se devono essere sempre lette in relazione alla particolare fattispecie esaminata.
Pertanto anche detta censura non appare fondata in via generale ed in particolare nel caso in esame, in cui, nemmeno in ricorso, è indicata la data di delibera della Giunta municipale di nomina del dirigente responsabile del settore, sicché, anche alla luce della legge n. 127 del 1997, fino a detto atto formale di nomina era responsabile il pubblico amministratore.
 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in camera di consiglio in data 11 gennaio 2002.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IN DATA 20 FEB. 2002.