Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 3, 21 giugno 2007, n. 24479 - Responsabilità di un dirigente nonchè RSPP


 

 

Responsabilità del RSPP per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e per colpa specifica consistita nella violazione della normativa di prevenzione degli infortuni e sicurezza sul lavoro incombente in relazione al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, lett. c): aveva infatti cagionato a G.E. lesioni che le avevano procurato un'inabilità superiore a giorni 40 e un trauma da schiacciamento degli arti inferiori.
Rilevava la Corte che l'infortunio subito dalla parte lesa era da ascrivere a colpa dell'imputato, quale responsabile della prevenzione dello stabilimento, cui incombeva l'obbligo d'impedire ogni contatto tra le parti dell'albero motore che trasmette il moto ai macchinari e gli arti dei lavoratori operanti nel suo raggio.
La mancanza della griglia che lo recludeva da ogni parte, griglia che non doveva essere rimossa durante il ciclo di produzione, aveva cagionato l'infortunio subito dalla lavoratrice intervenuta presso il nastro trasportatore ove era avvenuto un ingorgo di dolciumi.

 

Ricorso in Cassazione - Rigetto.

 

"Nella specie, nella contestazione, considerata nella sua interezza anche con riferimento alla disposizione violata, sono contenuti gli elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza stante che l'imputato è stato condannato nella qualità di responsabile del servizio di prevenzione, come ritualmente contestatogli.
Sicura, quindi, è la corrispondenza tra fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, non avendo i giudici di merito preso in considerazioni un fatto nuovo e avendo l'affermazione di responsabilità ad oggetto una condotta coincidente con quella specificata nell'imputazione.
Il fatto che l'imputato fosse anche responsabile della produzione aziendale giustifica ancor più l'affermazione di responsabilità basata sul dato oggettivo costituito dall'organigramma prodotto dalla società all'ispettorato dell'AUSL secondo cui M. aveva una specifica figura aziendale (dirigente di produzione - responsabile della prevenzione) sicchè su di lui gravava un autonomo obbligo di controllo che le protezioni fornite dal datore di lavoro fossero installate quando era in corso l'attività produttiva.
Egli non aveva sottoposti; non aveva prospettato al datore di lavoro alcuna difficoltà pratica per assicurare la sicurezza ed era costantemente presente sul luogo di lavoro e fisicamente vicino al luogo dell'incidente, tanto che il giorno del fatto fu tra i primi a soccorrere la lavoratrice.
Correttamente, quindi, è stato escluso che la rimozione della griglia possa ascriversi al responsabile della manutenzione, la cui presenza in azienda era saltuaria e non era riscontrata in epoca prossima all'infortunio."


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Magistrati:
Dott. DE MAIO Guido - Presidente
Dott. TERESI Alfredo - Consigliere
Dott. TARDINO Vincenzo Luigi - Consigliere
Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere
Dott. SENSINI Maria Silvia - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA

 

 sul ricorso proposto da:
M.A., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d'Appello di Bologna in data 25.09.2006 che, giudicando in sede di rinvio, lo ha dichiarato colpevole del reato di cui all'art. 590 c.p., e, concessegli le attenuanti generiche e del danno risarcito equivalenti all'aggravante contestata, lo ha condannato alla pena di Euro 200,00, di multa, interamente condonata;
Visti gli atti, la sentenza denunciata e il ricorso;
Sentita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. TERESI Alfredo;
Sentito il P.M. nella persona del PG Dott. PASSACANTANDO Guglielmo, che ha chie s t o i l ri get t o de l ri cors o;
Sentito il difensore del ricorrente, Avv. CAPPUCCI Marco, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.

 

 

 
FattoDiritto

 

 

Con sentenza 3.06.2004 il Tribunale di Bologna dichiarava non doversi procedere nei confronti di M.A. per essere il reato ascrittogli, art. 590 c.p., estinto per remissione di querela.


Su ricorso immediato del P.G., questa Corte, con sentenza in data 15.04.2005, rilevato che era stata contestata l'imputazione di lesioni gravi procurate con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro per la quale è prevista la procedibilità d'ufficio, annullava la suddetta sentenza e rinviava alla Corte d'appello di Bologna per nuovo esame.

Con sentenza del 25.09.2006 la Corte d'Appello, giudicando in sede di rinvio, dichiarava l'imputato colpevole del reato di cui all'art. 590 c.p., per avere, per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e per colpa specifica consistita nella violazione della normativa di prevenzione degli infortuni e sicurezza sul lavoro incombente in relazione al D.P.R. n. 547 del 1955, art. 4, lett. c), per essere responsabile del servizio di prevenzione, cagionato ad G.E. lesioni che le avevano procurato un'inabilità superiore a giorni 40 e un trauma da schiacciamento degli arti inferiori e, concessegli le attenuanti generiche e del danno risarcito equivalenti all'aggravante contestata, lo condannava alla pena di Euro 200,00, di multa, interamente condonata.


Rilevava la Corte che l'infortunio subito dalla parte lesa era da ascrivere a colpa dell'imputato, quale responsabile della prevenzione dello stabilimento, cui incombeva l'obbligo d'impedire ogni contatto tra le parti dell'albero motore che trasmette il moto ai macchinari e gli arti dei lavoratori operanti nel suo raggio.
La mancanza della griglia che lo recludeva da ogni parte, griglia che non doveva essere rimossa durante il ciclo di produzione aveva cagionato l'infortunio subito dalla lavoratrice intervenuta presso il nastro trasportatore ove era avvenuto un ingorgo di dolciumi che impediva il loro inserimento nel cellophan.

 

Proponeva ricorso per cassazione l'imputato denunciando - violazione dell'art. 178 c.p.p., lett. a) perchè, con l'entrata in vigore della L. n. 46 del 2006, che aveva escluso la facoltà del Pubblico Ministero d'appellare le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603 c.p.p., comma 2, la trattazione del gravame era sottratta alla cognizione della Corte d'Appello;
- violazione degli artt. 591 e 593 c.p.p., perchè la legge sopraindicata precludeva il giudizio d'appello anche a seguito di rinvio della Corte di Cassazione;
- vizio di motivazione in ordine alla dedotta violazione dei diritti di difesa perchè la pronuncia sulla causa estintiva del reato era intervenuta prima dello spirare del termine per formulare le questioni preliminari e per a vanz are la richi es t a de i ri t i al t e rnat i vi ;
- violazione degli artt. 516 e 521 c.p.p. perchè nell'imputazione al M. era stato contestato il reato, quale responsabile del servizio di prevenzione degli infortuni e sicurezza sul lavoro della ditta DINO C.s.r.l., mentre la sentenza ha indicato "due diversi ruoli: quello di responsabile del predetto servizio, nonchè quello di responsabile della produzione" senza che il P.M. avesse modificato l'imputazione contestando il ruolo di responsabile della produzione. Inoltre, non era provato che al M. fosse stato assegnato l'incarico di responsabile del servizio di prevenzione infortuni;
- vizio di motivazione in ordine all'affermazione di responsabilità mancando la prova che egli rivestisse entrambe le qualifiche sopraindicate. Dalle testimonianze in atti era emerso che la griglia di protezione poteva esser rimossa da M. o dal responsabile della manutenzione, R.F., sicchè immotivatamente era stato escluso che a quest'ultimo potesse esser addebitata la rimozione della griglia.


Chiedeva l'annullamento della sentenza.

Non è fondata l'eccezione procedurale perchè il ricorso immediato per cassazione del P.M., per una questione eminentemente giuridica, e il rinvio alla Corte d'appello di Bologna, a seguito d'annullamento della sentenza, sono intervenuti prima dell'entrata in vigore della L. n. 46 del 2006, poi oggetto di declaratoria d'illegittimità costituzionale con sentenza Corte Cost. 24 gennaio - 6 febbraio 2007 relativamente all'art. 1, nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 c.p.p., escludeva che il Pubblico Ministero, potesse appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603 c.p.p., comma 2, nonchè alla cit. L. n. 46 del 2006, art. 10, comma 2, nella parte in cui prevedeva che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal Pubblico Ministero prima dell'entrata in vigore delle medesima legge dovesse essere dichiarato inammissibile.

Non è puntuale il terzo motivo, con cui si lamenta violazione dei diritti di difesa perchè la pronuncia sulla causa estintiva del reato era intervenuta prima dello spirare del termine per formulare le questioni preliminari e per avanzare la richiesta dei riti alternativi, stante che, avendo l'imputato ricevuto il decreto di citazione contenente l'avviso che poteva richiedere i ri t i al t e rnat i vi "pri ma de l l a di chi a raz ione d'ape rt ura del di bat t i ment o", non ha svolto alcuna iniziativa in tal senso al punto di chiedere, a dibattimento aperto, tre rinvii del processo per trattative con la parte civile.

Anche il quarto motivo è infondato.

Hanno affermato le Sezioni Unite di questa Corte che, "con riferimento al principio di correlazione fra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, si da pervenire ad un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l'indagine volta ad accertare le violazioni del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto letterale tra contestazione e sentenza perchè, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l'imputato, attraverso l'iter del processo, sia pervenuto a trovarsi nella condizione concerta di difendersi in ordine all'oggetto dell'imputazione". (Cassazione S.U. n. 16, 19.06.1996, Di Francesco, RV 205619).
Il suddetto principio può ritenersi violato solo in caso d'assoluta incompatibilità di dati, quando cioè la sentenza riguardi un fatto del tutto nuovo rispetto all'ipotesi d'accusa, mentre non ricorre violazione se i fatti siano omogenei ovvero in rapporto di specificazione.
Nella specie, nella contestazione, considerata nella sua interezza anche con riferimento alla disposizione violata, sono contenuti gli elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza stante che l'imputato è stato condannato nella qualità di responsabile del servizio di prevenzione, come ritualmente contestatogli.
Sicura, quindi, è la corrispondenza tra fatto contestato e quello ritenuto in sentenza, non avendo i giudici di merito preso in considerazioni un fatto nuovo e avendo l'affermazione di responsabilità ad oggetto una condotta coincidente con quella specificata nell'imputazione.
Il fatto che l'imputato fosse anche responsabile della produzione aziendale giustifica ancor più l'affermazione di responsabilità basata sul dato oggettivo costituito dall'organigramma prodotto dalla società all'ispettorato dell'AUSL secondo cui M. aveva una specifica figura aziendale (dirigente di produzione - responsabile della prevenzione) sicchè su di lui gravava un autonomo obbligo di controllo che le protezioni fornite dal datore di lavoro fossero installate quando era in corso l'attività produttiva.
Egli non aveva sottoposti; non aveva prospettato al datore di lavoro alcuna difficoltà pratica per assicurare la sicurezza ed era costantemente presente sul luogo di lavoro e fisicamente vicino al luogo dell'incidente, tanto che il giorno del fatto fu tra i primi a soccorrere la lavoratrice.
Correttamente, quindi, è stato escluso che la rimozione della griglia possa ascriversi al responsabile della manutenzione, la cui presenza in azienda era saltuaria e non era riscontrata in epoca prossima all'infortunio.

 


Grava sul ricorrente l'onere delle spese del procedimento.

 


P.Q.M.

 

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2007.
Depositato in Cancelleria il 21 giugno 2007