Categoria: Cassazione penale
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Cassazione Penale, Sez. 4, 05 aprile 1996, n. 3483 - Mansione di dirigente di fatto
 
 
Responsabilità per infortunio.
Chi dà in concreto l'ordine di effettuare un lavoro, anche se non impartisce direttive circa le modalità di esecuzione di questo, si inserisce ed assume di fatto la mansione di dirigente dunque ha il dovere di accertarsi che il lavoro venga fatto nel rispetto delle norme antinfortunistiche, senza lasciare agli operai, non soliti ad eseguirlo, la scelta dello strumento da utilizzare.

 

 

 

 

Corte di Cassazione

SEZIONE IV PENALE

Composta dagli Ill. mi Sigg.:
Dott. Giuseppe VIOLA Presidente
Dott. Renato OLIVIERI Consigliere
Dott. Antonio MERONE Consigliere
Dott. Mariano BATTISTI Rel. Consigliere
Dott. Vito SAVINO Consigliere ha pronunciato la seguente
SENTENZA

 

sul ricorso proposto da:
, , imputati e , parte civile avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna in data 30.03.1995;

Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso, Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere dott. Mariano Battisti

Udito il Pubblico Ministero in persona del dott. Paolo Ripule che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Udito, per la parte civile , l'Avv. che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; Uditi i difensori Avv.ti e i quali chiedono l'accoglimento dei propri ricorsi;
 

 

 

Fatto

 


1 - La corte di appello di Bologna, con sentenza del 30-03-1995, confermava la sentenza del pretore di Parma, in data 08-03-1993, che aveva affermato la responsabilità penale di e di per il reato di lesioni personali gravissime, ulteriormente aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche, nei confronti di .

2 - La corte di merito, dopo aver premesso che il ... e il ... erano stati ritenuti responsabili in quanto amministratore del Consorzio Gestione Servizi di Parma - cui aderiva la cooperativa ("La B."), alla quale apparteneva come socio dipendente l'infortunato - il primo e in quanto presidente della cooperativa ("La B.") il secondo, ribadiva in fatto quanto segue.

a - Il giorno 19-01-1990 nei magazzini della ("P." s.p.a.), siti in Viarolo, l'... e ... - tutti soci dipendenti della cooperativa ("La B.") s.p.a., aderente al (C.), consorzio appaltatore di attività di facchinaggio da parte della ("P.") - stavano installando teli di separazione, legandoli ai tubi di riscaldamento correnti sulla parte alta del capannone, al fine di creare all'interno del magazzino un locale di lavoro destinato a successive operazioni di assemblaggio di materiale".

b - "Essi si avvalevano di un carrello elettrico elevatore (CESAB), sulle cui staffe era stato appoggiato un pallet di legno, sul quale salivano l' e il , mentre l' manovrava il carrello".
 

c - "Nel corso di uno spostamento di quest'ultimo, l', che si trovava sul pallet ad una altezza di circa m. 3,50, perdeva l'equilibrio e precipitava al suolo subendo lesioni traumatiche gravissime, tali da determinare declaratoria di interdizione da parte del tribunale di Parma".

d - "In base al contratto di appalto per servizi di facchinaggio del 20-12-1989 la (P.) aveva affidato i suddetti lavori al (C.) che, a sua volta, aveva "girato" la attività alla associata cooperativa ("La B."), di cui era presidente il ".
 

3 - La corte, nel disattendere i motivi di appello, sottolineava che dalle dichiarazioni degli accertatori era emerso che all' e agli altri due soci dipendenti della cooperativa, e , era stato ordinato di effettuare la pericolosa apposizione dei teli di plastica ai tubi del riscaldamento correnti sul soffitto, e, in un clima di generale abbandono e pressappochismo, gli operai, dovendo effettuare la scelta dello strumento di elevazione tra una scala insufficiente per altezza e un carrello destinato al sollevamento di merci, avevano prescelto quest'ultimo con quelle tragiche conseguenze".


a - Nessun dubbio sulla responsabilità del , "il quale si era preposto ai tre operai come "capo" ed aveva impartito in concreto gli ordini afferenti al lavoro suddetto, come egli stesso aveva ammesso".
 

b - Altrettanto certa era la responsabilità del che, "presidente della Cooperativa della quale erano dipendenti l' e gli altri due, si era totalmente disinteressato di quanto quel giorno stava accadendo nei magazzini della (P.). "Non era affatto risultato che egli avesse delegato, per quel lavoro, il , né il ruolo assunto da quest'ultimo sul cantiere dell'incidente era tale da esonerare il da responsabilità, in assenza di un esonero da obblighi di vigilanza in materia antinfortunistica per la ("La B."), mai emerso. D'altronde, ove, per assurdo si fosse dovuto ritenere che ("La B.") avesse effettivamente delegato la società, presieduta dal , delle incombenze antinfortunistiche, tale delega sarebbe risultata inefficace, essendo il Consorzio Gestione Servizi, il C.G.S., una struttura prettamente amministrativa diretta a curare gli interessi di una pluralità di imprese cooperative e il sfornito di qualifica tecnico funzionale adeguata.


c - L' non poteva essere considerato, nel modo più categorico, un "preposto".

d - L'operaio, peraltro, aveva contribuito alla causazione dell'evento nella misura specificata dal tribunale e ciò non perché egli e gli altri due avessero scelto il mezzo di elevazione al soffitto, posto che scelta non era stata loro data ed avevano dovuto arrangiarsi con l'unico strumento utile presente sul cantiere, il muletto (CESAB), appunto; ma perché avevano attuato modalità operative che ne avevano accentuato la pericolosità.
Era pacifico che essi avevano apposto sulle staffe del muletto un pallet, ossia una base di legno non conformemente piena e priva di bordi che facessero da fermapiedi, che erano saliti in due su tale pedana, diminuendo la stabilità già precaria di quella base, che erano rimasti in alto, sul pallet, mentre il carrello si spostava, tanto che proprio durante un movimento del veicolo si era verificata la perniciosa caduta dell'.
 

 

4 - Ricorrono per cassazione i difensori degli imputati e la parte civile che chiedono l'annullamento della sentenza con i mezzi appresso indicati.
 

 

 

Diritto


 

 

1 -
Con il primo motivo dei due ricorsi, che è identico al secondo motivo dei due ricorsi del , si deduce "nullità della sentenza per violazione ed erronea applicazione della legge penale ed extra penale con particolare riguardo alla figura del preposto, e manifesta illogicità della motivazione".

Si obietta che:
I - "l' e il erano lavoratori esperti titolari di funzioni di coordinamento di taluni settori; erano titolari di poteri decisionali in ordine alla modalità di esecuzione dei lavori, alla scelta degli strumenti di lavoro e dei collaboratori"; II - "nessuno mai e tanto meno il impartì direttive circa le modalità di esecuzione" e "nessuno indicò il carrello quale strumento utilizzabile: l' e il C. decisero in tale senso potestativamente".
 
 

Il motivo è infondato.
 

 

a - La corte di merito ha posto in evidenza i compiti, le mansioni dell' e degli altri due e alle relative osservazioni della sentenza nel motivo, a ben vedere, non si è obiettato nulla se non la apodittica affermazione che l' e il erano titolari di funzioni di coordinamento" e la generica asserzione che "la Corte ha limitato l'indagine alla collocazione formale e non sostanziale dell' all'interno della Cooperativa".

L' il - così la corte di merito sul tema - facevano parte di una squadra di pronto intervento, utilizzata come "Jolly" nelle attività che, rispetto al facchinaggio ordinario, avevano i caratteri della atipicità". Essi, infatti, avevano previsto e tollerato, pur con qualche senso di malumore, che quella incombenza, la delimitazione di spazio da effettuarsi con i teloni, sarebbe stata riversata su di loro".
"Ma, tale, varia utilizzazione dell'opera dei due non significa affatto che essi avessero un ruolo di preminenza, che fossero, cioé, "preposti" ai quali il e il avevano ceduto legittimamente la loro "posizione di garanzia". "Era emerso che l' aveva funzioni di coordinamento soltanto in "II linea", cioé in rapporto all'attività del medesimo svolta in cella frigorifera presso la sede centrale della (P.) in Collecchio e non certo in rapporto ad altre attività dallo stesso esercitate in altre sedi e in altri settori".
"Il fatto che, nel generale clima di abbandono abulico da parte del e del , i tre operai dovettero arrangiarsi, inventandosi il modo per raggiungere il soffitto dove apporre i teloni, non era certamente bastevole ad elevare ciascuno di loro ad un rango superiore a quello che essi effettivamente avevano, di meri subalterni". Questa la particolareggiata ricostruzione del ruolo, delle mansioni, dell' e del e a siffatta ricostruzione andava opposto, per tentare di contestarla, qualcosa di più specifico, di più dettagliato e non quanto, sul punto, si legge nei due ricorsi e che, sopra, è stato riportato.
 

b - Se questa è la situazione di fatto, le conclusioni non possono non essere quelle tratte dai giudici di merito.
A nulla, quindi, vale obiettare che "nessuno mai e tantomeno il impartì direttive circa le modalità di esecuzione" o che "l'iniziativa fu esclusivamente dell' e del " o che "nessuno indicò loro il carrello quale strumento utilizzabile" e che, dunque, "l'iniziativa fu esclusivamente dei due operai". Se l'ordine di eseguire quel lavoro è stato impartito dal , il quale per farlo eseguire, si è avvalso anche della squadra di pronto intervento, del "Jolly", costituito dall' e dal , era il che, ingerendosi, assumendo di fatto una determinata mansione, la mansione di dirigente, avrebbe dovuto accertarsi che il lavoro venisse eseguito nel rispetto delle norme antinfortunistiche, senza lasciare agli operai, non affatto soliti ad eseguire quel lavoro per quel che emerge dalle due sentenze di merito, la scelta tra una scala sotto misura e un elevatore elettrico destinato a ben altre cose e non di certo ad innalzare delle persone sino a m. 3,50 dal suolo.

c - Non è inopportuno, peraltro, osservare che, secondo la giurisprudenza anche delle sezioni civili di questa suprema corte (cfr. tra le altre, sez: lavoro, 29 marzo 1995, n. 3738), le finalità di tutela della sicurezza del lavoro, in considerazione delle quali si richiede che determinati lavori siano eseguiti sotto la direzione o la sovrintendenza di dirigenti o preposti, sono soddisfatte solo quando un soggetto, dotato dei necessari requisiti per lo svolgimento dell'incarico, sia espressamente investito di un siffatto ruolo e della conseguente responsabilità, non essendo sufficiente l'avere affidato alla prudente discrezione di operai, sia pure esperti, l'applicazione di cautele e provvidenze prescritte a tutela degli stessi operai ed essendo, a maggior ragione, escluso che detto incarico possa essere attribuito al medesimo lavoratore direttamente impegnato nelle operazioni della cui sicurezza si tratta.
Tutto ciò significa che l' e il , non solo non sono stati "preposti", ma, in quanto impegnati direttamente nelle operazioni della cui sicurezza si trattava, non avrebbero neppure potuto esserlo.
Il preposto è colui che, nel suo settore, prende decisioni e sovrintende al lavoro eseguito da altri, pure se non può escludersi che anch'egli, ove occorra, contribuisca alla esecuzione del lavoro.
Ora, sicuramente non è preposto l'operaio che fa parte di una squadra che può essere destinata all'uno o all'altro lavoro e i cui componenti debbono eseguirlo personalmente stando alle esclusive direttive di altri. Il problema del concorso di colpa dell', oggetto del secondo motivo e del primo motivo del ricorso del secondo difensore, sarà esaminato - e ciò vale anche per il corrispondente motivo dei due ricorsi proposti nell'interesse del - allorché si prenderà in esame il ricorso della parte civile.
 

Con il terzo motivo - e con il secondo del ricorso dell'altro difensore, nonché con il terzo motivo dei due ricorsi dei due difensori del - si deduce "nullità della sentenza per violazione della legge penale e processuale e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla posizione del .
 

Va chiarito che ad è stato contestato lo stesso reato, contestato ai due ricorrenti, nella qualità di "responsabile dei Magazzini dello stabilimento di Collecchio della (P."(, che il pretore ne ha affermato la responsabilità penale e che la corte di appello, in accoglimento dell'appello, lo ha assolto per non aver commesso il fatto.
 

b - Si osserva, tra l'altro, nei citati motivi, che "la corte non ha considerato che la (P.) era committente delle opere di facchinaggio, movimentazione e stivaggio delle merci", che "il era il responsabile dei Magazzini (P.), luogo dove si è verificato l'infortunio", che l'opera commissionata doveva essere eseguita nell'interesse della (P."(, che "il fatto che non vi sia la prova del diretto interessamento del non vale ad escludere la responsabilità, attesa la qualifica di responsabile dei Magazzini (P.)". I motivi sono infondati.
Può ben dirsi che proprio dai rilievi appena riportati si deduca, senza equivoci, la completa estraneità del . Affermare, infatti, che la (P.) era committente dei lavori di facchinaggio, che l'opera era stata eseguita nell'interesse della (P.) e riconoscere finanche che non v'era la prova di un diretto interessamento del significa escludere chiaramente, espressamente, potrebbe dirsi, la responsabilità del . Ammesso, infatti, che l' e il stessero eseguendo un'opera, un lavoro, nell'interesse della (P.) e ammesso che quest'ultima lo abbia chiesto alla appaltatrice dei lavori di facchinaggio, o si dimostra che il dipendente della società committente, si è ingerito, si è direttamente interessato, nel senso che ha dato ordini o direttive agli operai, o l'essere stato responsabile dei Magazzini della (P.), della committente, non ha alcuna rilevanza.
E che il non abbia dato alcuna disposizione, non si sia affatto ingerito, lo ha affermato la corte di appello alla luce degli atti del processo. "Nessun teste - così la sentenza impugnata - e nessun coimputato ha mai affermato che il responsabile della (P.) diede disposizione alcuna su quella divisione di vani del deposito di Viarolo".
"Quella ripartizione dell'immobile da compiersi con l'apposizione di teloni discendenti dal soffitto era finalizzata a consentire nuove operazioni di assemblaggio riguardavano il reparto approvvigionamenti con il quale il non aveva nulla a che fare". Non può neppure sostenersi che il interferì su quei lavori; è infatti, provato che i tre operai non ebbero contatti con lui, così come risulta concordemente dimostrato che al sopralluogo che precedette il lavoro non partecipò il , essendo presenti il e l' della cooperativa, il , la ed il , soltanto
quest'ultimo inquadrato nella divisione magazzini diretta dall'imputato; Il , poi, nelle dichiarazioni fatte chiarì di essersi limitato ad accompagnare la signora , del reparto approvvigionamenti della (P.), interessata ad allestire la nuova lavorazione di assemblaggio". "Della divisione del deposito - così, ancora, la corte di appello - si parlò "vagamente" ed, anzi, fu il a parlarne, come aveva detto il ".
La conclusione, a questo punto, è inevitabile: "ritiene, dunque, la corte che non risulta
neppure pienamente provato che il , sfornito di interesse a quel lavoro per ragione del settore diverso da lui curato, ne avesse piena conoscenza". E' superfluo sottolineare che la ricostruzione della corte, che esclude qualsiasi interferenza del , è frutto di una interpretazione degli atti indubbiamente logicamente corretta, che sfugge, pertanto, al controllo in questa sede, interpretazione alla quale non può opporsi, come si fa, in qualche modo, nei motivi, una diversa interpretazione sotto il profilo del vizio di motivazione. Quest'ultimo, come è noto, deve risultare dallo stesso testo del provvedimento impugnato e si è appena visto quanto, invece, questo testo sia articolato, avendo preso in considerazione tutti gli aspetti del problema sia in linea di fatto, sia nel trarne le dovute conseguenze giuridiche . 4 -
Con il primo motivo dei due ricorsi i difensori del deducono "nullità della sentenza per violazione di legge penale, manifesta illogicità della motivazione, in relazione alla posizione del ricorrente".
Rilevano che "la presenza del sul luogo di lavoro e la contestuale assenza del rappresentano la prova della ripartizione di compiti o comunque del trasferimento di mansioni e poteri dall'uno all'altro, con conseguente trasferimento della posizione di garanzia".
Aggiungono, tra l'altro, che "la cooperativa, di cui il era presidente, non aveva in questa vicenda alcuna veste imprenditoriale e, quindi giuridica", che "risulta documentalmente provato che il contratto d'appalto, in occasione del quale si è verificato l'infortunio era stato stipulato con la (P.) dal (C.)". a - La corte di merito, allorché, nella sentenza, ha iniziato a interessarsi del , ha fatto alcune affermazioni che, non contestate nei ricorsi, privano di valore le asserzioni che vi si leggono, alcune delle quali sono state dianzi riportate. "Non è contestato - così la corte di appello - che il fosse il presidente della Cooperativa ("La B."), di cui erano soci dipendenti l' e gli altri due lavoratori presenti sul cantiere".
"Non risulta, inoltre - e il rilievo è di particolare pregnanza - che, al momento del sinistro, nel magazzino di Viarolo vi fosse alcun altro operaio dipendente da impresa diversa da quella presieduta dal ed, anzi, attraverso la deposizione resa dal teste , è dato comprendere che il lavoro di quest'ultimo e, quindi, la presenza della ("La B.") in quel sito, era costante". "Al momento del sinistro, poi, una situazione particolare si era verificata, posto che due soci dipendenti, che normalmente operavano in altri magazzini della (P.) in Collecchio, il e l', erano stati destinati a svolgere un lavoro che non era quello usuale, pericoloso e da compiersi in ambiente per loro nuovo". L' e gli altri due, dunque, non dipendevano che dalla "("La B.(. Era vero che, in base al contratto di appalto dei servizi di facchinaggio del 20-12-1989, la (P.) aveva affidato i suddetti lavori al (C.)", ma era anche vero che quest'ultimo "a sua volta aveva "girato" la predetta attività alla associata cooperativa ("La B."), affermazione, quella concernente la "girata", alla quale nulla si è eccepito nel motivo. Non v'era dubbio, poi, che il C.G.S. - Consorzio Gestione Servizi - avesse posto a disposizione delle cooperative la propria struttura tecnico amministrativa; ma, per l'appunto, soltanto la struttura tecnico amministrativa, che non privava la ("La B.") dei poteri doveri di intervento.
Il aveva, sì, parlato del come preposto, ma di questa proposizione sostituzione non era stata data alcuna prova e. in ogni caso, il , proprio perché addetto ad una struttura esclusivamente tecnico amministrativa, quale era il C.G.S., non sarebbe stato davvero in grado di svolgere quel compito.
 
c - Ebbene, se tutto ciò è esatto, deve dirsi che, se il (C.) ha "girato" il contratto di appalto ad un a delle cooperative, alla ("La B."), la quale aveva una propria struttura gerarchica, un proprio presidente, il dovere di quel presidente di controllare e sorvegliare le operazioni perché le stesse si svolgessero secondo gli accordi e in condizioni di sicurezza per i lavoratori era innegabile, come questa suprema corte ha avuto già occasione di affermare (Cass. sez IV, 23 giugno 1988, Jangad) e questo anche se, al limite, il del si limitava ad avviare al lavoro i soci dipendenti, cosa, peraltro, che dalle due sentenze di merito non risulta affatto, che, anzi, la corte di appello ha dedicato non poco spazio, come si è visto, alla dimostrazione che il "dominus dell'appalto", l'imprenditore, era la cooperativa, che il , che pure si è autodefinito preposto, non aveva la preparazione tecnica necessaria per esserlo e che, in ogni caso, non poteva ritenersi tale nel momento in cui si è posto il problema, del tutto nuovo, rispetto al lavoro corrente, della installazione di quei teli. d - E' appena il caso di ricordare che la giurisprudenza di questa suprema corte è tutta nel senso che anche nell'ambito delle società cooperative valgono i principi antinfortunistici.


In materia di prevenzione di infortuni sul lavoro - così Cass. Sez. IV, 7 giugno 1991, , ecc. - la legislazione individua, tra i beneficiari delle norme di tutela, oltre ai lavoratori dipendenti, anche i soci di cooperative, sia pure di fatto, sicché il presidente e legale rappresentante di una cooperativa di lavoro deve essere considerato destinatario delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, ai sensi dell'articolo 4 del D.P.R. 27 aprile 1995, n. 547, quando la cooperativa sia, come nel caso di specie, l'appaltatrice dei lavori, colei cui spetta di eseguirli. 5 - Parte civile
Con il proprio ricorso la parte civile denuncia "nullità della sentenza per manifesta illogicità della motivazione in ordine al ritenuto concorso di colpa della vittima nella misura di 1 - 3".
Si pone in risalto che la sentenza è manifestamente illogica perché, dopo avere detto che i tre operai erano stati abbandonati a se stessi, che nessuna possibilità di scelta era stata loro data, che avrebbero dovuto arrangiarsi, afferma, però, che "adottarono modalità operative di quello strumento che ne accentuarono la pericolosità", avendo apposto sulle staffe del muletto un pallet, ossia una base di legno non uniformemente piena e priva di bordi che facessero da fermapiedi, essendo saliti in due su quella pedana, diminuendone la stabilità, essendo rimasti in alto, sul pallet, mentre il carrello si spostava.
I difensori del e del , come si è già detto, contestano la sentenza, sul punto, per ragioni completamente diverse, sostenendo che nessuno aveva obbligato quegli operai a servirsi del muletto e che, pertanto, il concorso degli stessi dovrebbe essere determinato in misura ben maggiore.
 

Il ricorso della parte civile è fondato - e, conseguentemente, sono infondati i motivi di ricorso del e del - salvo per quanto si dirà tra poco, sub d).


a - In tema di concorso di colpa degli operai questa suprema corte ha posto in evidenza che le norme sulla prevenzione degli infortuni hanno la funzione primaria di evitare che si verifichino eventi lesivi della incolumità fisica, intrinsecamente connaturati alla esecuzione di talune attività lavorative, anche nelle ipotesi in cui siffatti rischi conseguenti ad eventuali imprudenze e disattenzioni degli operai subordinati, la cui incolumità deve essere sempre protetta con appropriate cautele. Ne consegue che solo se il lavoratore pone in essere una condotta inopinabile, esorbitante dal procedimento di lavoro ed incompatibile con il sistema di lavorazione, oppure si concreta nella inosservanza da parte sua di precise disposizioni antinfortunistiche è configurabile la colpa dell'infortunato nella produzione dell'evento, con esclusione, in tutto o in parte, della responsabilità penale degli imprenditori, dei dirigenti e dei preposti (Cass. sez. IV, 15 ottobre 1979).

b - Ebbene, nel caso di specie, non può affatto dirsi che i tre operai abbiano posto in essere, di loro iniziativa, una condotta "esorbitante dal procedimento di lavoro e incompatibile con il sistema di lavorazione", che l'improvvisazione, l'inopinabilità del procedimento sono state proprie di chi ha dato l'ordine di eseguire quei lavori, non essendosi minimamente curato di accertare come sarebbero stati eseguiti. Agli operai, stando alle due sentenze, è stato ordinato di stendere quei teli lasciando alla loro iniziativa se avvalersi di una scala non sufficientemente lunga e di quel muletto, che occorreva attrezzare in qualche modo per raggiungere i tubi, ad oltre tre metri da terra, sui quali sarebbero dovuti passare i teli. Ad improvvisazione, dunque, si è aggiunta, di certo, improvvisazione, ma è stata innegabilmente la prima quella determinante, che ha fatto si che gli operai, che mai avevano eseguito quel lavoro, si siano guardati intorno e, sapendo di doversi spingere sino a quell'altezza da terra, abbiano pensato di poterci riuscire usando quel pallet e salendovi: quelli erano i mezzi a disposizione. Non era stato studiato un determinato, corretto, procedimento di lavoro al quale si sarebbero dovuti attenere e al quale non si sono attenuti, così come nessuno aveva detto loro di rispettare determinate norme antinfortunistiche; ma, avrebbero dovuto stendere quei teli lavorando di "fantasia" e la loro sicura inesperienza in quel genere di lavoro li ha condotti a servirsi della fantasia come potevano. In altri termini, non può rimproverarsi ad un lavoratore di avvalersi in modo imperito di uno strumento di lavoro del tutto inadeguato e che il datore sa essere o deve sapere essere del tutto inadeguato; non può essergli rimproverato di usare in modo illogico ciò che è di per sé, per quel lavoro, profondamente illogico, di non essere razionale nell'uso di uno strumento che, per il lavoro da eseguire, non ha nulla di razionale; non gli si può dire, specialmente se mai ha fatto quel lavoro, di "arrangiarsi" e, poi, redarguirlo per essersi "arrangiato male".


c - La sentenza sul punto deve essere annullata con rinvio.

d - La parte civile ha anche lamentato che la corte, "dopo aver espressamente parlato della responsabilità concorrente dei tre operai, ha confermato in capo alla sola parte civile il concorso di colpa già attribuito dal primo giudici".
La corte avrebbe dovuto ripartire - è questo il significato della censura - il concorso di colpa e, quindi, addossarne alla parte civile un nono e non un terzo. Questo aspetto del motivo non è fondato. Se tre sono stati i soci dipendenti che, ponendo in essere un comportamento imprudente, hanno concorso a determinare il danno nei confronti di uno di essi e, quindi, a ridimensionare il danno riconducibile al presidente della cooperativa, della quale i tre soci, e ad altri, nel caso di specie, rispettivamente, al e al , si pongono delicati problemi di solidarietà passiva tra tutti gli autori del danno, ivi compresi i due soci dipendenti, atteso che, come è noto, per il sorgere della responsabilità solidale dei danneggiati, l'articolo 2055 c.c., comma 1, - e, è da aggiungere , l'articolo 187, comma 2, c.p. - richiede soltanto che il fatto dannoso sia imputabile a più persone, ancorché le condotte lesive siano tra loro autonome e pur se diversi siano i titoli di responsabilità di ciascuna di tali persone.
Ma, questi problemi non possono essere risolti se non previo accertamento della eventuale responsabilità degli altri due soci dipendenti, non possono trovare soluzione se non nel contraddittorio anche se con altri due soci.

Sostenere, infatti, che il concorso di colpa dell' deve essere limitato ad un nono, significa affermare che l'evento lesioni è attribuibile ad esso soltanto in questa misura e che per i restanti due noni è riconducibile all' e al , con tutte le inevitabili conseguenze, però quanto alla necessità del relativo accertamento. In questa sede il danneggiato ha dinanzi a sé soltanto due danneggianti che non possono rispondere oltre il loro concorso di colpa, valutato nella misura di due terzi, mentre il residuo terzo non può che gravare completamente sul danneggiato sino all'accertamento della corresponsabilità degli altri due. 6 - I ricorsi proposti nell'interesse del e del vanno, pertanto, rigettati:
alcuni aspetti di non specificità dei motivi fanno sì che i ricorrenti siano condannati anche a favore della Cassa delle Ammende. Il ricorso della parte civile va accolto come in motivazione.
 

 

P. Q. M.

 

 


La corte di cassazione
rigetta i ricorsi proposti da e da che condanna in solido al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di L. 1.000.000 a favore della Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile che liquida in L. 4.000.000 onorari compresi;
annulla la sentenza impugnata - in accoglimento del ricorso della parte civile - limitatamente al capo concernente il concorso di colpa della parte offesa
rinviando al giudice civile competente in grado di appello per nuovo esame. Così deciso in Roma il 21-12-1995

 

DEPOSITATA IN CANCELLERIA, 5 APR. 1996