Cassazione Civile, Sez. Lav., 23 settembre 2010, n. 20142 - Amianto


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido - Presidente
Dott. DE RENZIS Alessandro - Consigliere
Dott. DI NUBILA Vincenzo - rel. Consigliere
Dott. STILE Paolo - Consigliere
Dott. IANNIELLO Antonio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza

sul ricorso proposto da:
Vedova A.D.A., D.T., D.I., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ACHILLE PAPA 21, presso lo studio dell'avvocato GAMBERINI MONGENET RODOLFO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati DAMIANI GIORGIO, URSO EMANUELE, giusta mandato a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
G. - ASSICURAZIONI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI BELFIORE 2, presso lo studio dell'avvocato CILIBERTI GIUSEPPE, che la rappresenta e difende, giusta mandato a margine del controricorso;
- controricorrente - e contro F. - CANTIERI NAVALI ITALIANI S.P.A.;
- Intimata -e sul ricorso n. 23581/2006 proposto da:
F. - CANTIERI NAVALI ITALIANI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CRESCENZIO 91, presso lo studio dell'avvocato LUCISANO CLAUDIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato SPAGNUOLO VIGORITA LUCIANO, giusta mandato a margine del controricorso e ricorso incidentale;
- controricorrente e ricorrente incidentale -
contro
Vedova A.D.A., D.T., D.I., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ACHILLE PAPA 21, presso lo studio dell'avvocato GAMBERINI MONGENET RODOLFO, che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati DAMIANI GIORGIO, URSO EMANUELE, giusta mandato a margine del ricorso;
- cont rori corrent i al ri cors o inci de nt al e -
contro G. ASSICURAZIONI S.P.A.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 191/2005 della CORTE D'APPELLO di TRIESTE, depositata il 18/02/2006 r.g.n. 139/04;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/05/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI NUBILA;
udito l'Avvocato URSO EMANUELE;
udito l'Avvocato SPAGNUOLO VIGORITA LUCIANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio che ha concluso per l'accoglimento ricorso principale, assorbito quello incidentale.

 

 

Fatto

 

1. Gli aventi causa del defunto D.A. - moglie e figli - convenivano dinanzi al Tribunale di Trieste la F. spa, onde ottenere il risarcimento del danno subito a seguito della morte del loro congiunto, morte dovuta a mesotelioma pleurico contratto a seguito di prolungata esposizione ad amianto. Si costituiva la F. e si opponeva alla domanda; chiamava comunque in garanzia le proprie compagnie assicuratrici per la responsabilità civile. Il Tribunale accoglieva la domanda principale e respingeva la domanda di manleva.

2. Proponeva appello la F.. Si costituivano gli eredi del D.A. e le Assicurazioni G. s pa.

La Corte di Appello di Trieste riformava la sentenza di primo grado e respingeva le domande attrici. Questa in sintesi la motivazione della sentenza di appello:
- correttamente in primo grado la causa è stata trattata nelle forme del rito del lavoro, sussistendo attrazione dell'intera materia del contendere in virtù della competenza per materia del giudice del lavoro;
- l'esposizione a fibre di amianto costituisce causa altamente probabile del mesotelioma pleurico;
- a sensi dell'art. 2087 c.c., sussiste responsabilità del datore di lavoro ove egli non adotti tutte le misure di prevenzione secondo i dati acquisiti dalla scienza in un determinato tempo;
nella specie, trattasi di affezione dose - indipendente, la cui eziopatogenesi cominciava ad essere ipotizzata nei primi anni sessanta;
l'incubazione della malattia va dai venti ai cinquanta anni;
il D.A. risulta esposto al rischio amianto dal 1953 al 1962, come riferito dal consulente tecnico di ufficio;
il primo studio sul mesotelioma in rapporto all'amianto risulta pubblicato in Italia nel 1964;
nell'azienda non veniva adottata alcuna misura contro l'amianto, gli operatori non erano neppure dotati di mascherine;
nel decennio in cui il D.A. era direttamente esposto ad amianto non esisteva una tecnologia atta ad evitare o ridurre il rischio di contrarre l'epitelioma.

 

3. Hanno proposto ricorso per Cassazione gli aventi causa di D. A., deducendo sei motivi. Resiste con controricorso F. spa, la quale propone ricorso incidentale affidato ad un motivo (sull'erronea affermazione del nesso causale tra amianto e mesotelioma). Assicurazioni G. spa propone controricorso. I ricorrenti in via principale hanno proposto controricorso al ricorso incidentale. Le parti hanno presentato memorie integrative. Il ricorso principale ed il ricorso incidentale, essendo stati proposti contro la medesima sentenza, vanno riuniti.

 


Diritto

 

 

4. Con il primo motivo del ricorso, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 3, dell'art 2087 c.c., del D.P.R. n. 303 del 1956, artt. 4, 20 e 21 377 e del D.P.R. n. 547 del 1955, art. 387. Fugato ogni dubbio circa il nesso causale tra mesotelioma e tumore, i ricorrenti sottolineano come, a sensi dell'art. 2087 c.c., il datore di lavoro debba adottare tutte le misure di protezione del lavoratore dettate dalla diffusione in concreto delle conoscenze. Ciò posto, è da escludere che negli anni 1950 - 1960 non fosse nota la pericolosità dell'amianto. Viene citata giurisprudenza penale, la quale ricollega la colpa del datore di lavoro all'omessa adozione delle misure comunque obbligatorie, a prescindere dalla natura delle conseguenze. I ricorrenti compiono un excursus sulle normative che a partire dal 1909 hanno previsto la pericolosità dell'amianto (le fonti citate risalgono al 1916, 1927, 1936, fino alla normativa citata nella premessa del motivo).
L'effetto oncogeno dell'amianto è noto dalla metà degli anni 50.

 

5. Con il secondo motivo del ricorso, i ricorrenti deducono ulteriore violazione dell'art. 2087 c.c., sotto il profilo che si versa in tema di colpa contrattuale e quindi la responsabilità è presunta. Il datore di lavoro deve dare prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno e la F. non ha fornito prova alcuna al riguardo.

6. Con il terzo motivo del ricorso, i ricorrenti deducono altra violazione dell'art. 2087 cit, sotto il profilo che la F. non ha mai sottoposto a visita medica il D.A., già operato nel 1955 di resezione apicale per TBC polmonare.

7. Il quarto motivo del ricorso prospetta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione in fatto circa un punto decisivo della controversia, a sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la Corte di Appello tenuto conto delle osservazioni critiche del consulente tecnico di parte alla consulenza tecnica di ufficio, in base alle quali la pericolosità dell'amianto era nota sino dalla fine del 1800.

 

8. Il quinto motivo deduce ulteriore vizio di motivazione, per avere la Corte di Appello erroneamente e contraddittoriamente affermato che il mesotelioma pleurico può essere indotto anche da dosi bassissime di amianto, non tenendo presente che proprio per tale ragione maggiore attenzione doveva essere prestata dal dat ore di lavoro.

 

9. I motivi sopra riportati possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tra loro strettamente connessi.

 

Essi risultano infondati e vanno rigettati.

10. La Corte di Appello accerta in fatto che - il lavoratore venne esposto ad amianto nell'arco di tempo che va dal 1953 al 1962 ed in tale epoca ha contratto la malattia, la quale ha un lungo periodo di incubazione;
- le conoscenze dell'epoca consentivano di ritenere la pericolosità dell'amianto in relazione all'asbestosi, classificata da tempo come malattia professionale, ma non in relazione al mesotelioma;
- l'ambiente di lavoro era polveroso per quanto attiene all'amianto e non venivano adottate idonee cautele per eliminare o ridurre le polveri;
- stante che il mesotelioma è dose - indipendente, le cautele normalmente esigibili all'epoca non avrebbero comunque evitato la malattia.

 

11. La giurisprudenza penale e civile in materia di amianto e di mesotelioma pleurico appare rigorosa nei confronti del datore di lavoro. In particolare Cass. Pen. n. 988.2002 ha affermato la responsabilità penale del datore di lavoro in ordine al mesotelioma anche se le cautele erano previste contro l'asbestosi. In tema di responsabilità colposa per violazione di norme prevenzionali, la circostanza che la condotta antidoverosa, per effetto di nuove conoscenze tecniche e scientifiche, risulti nel momento del giudizio produttiva di un evento lesivo, non conosciuto quale sua possibile implicazione nel momento in cui è stata tenuta, non esclude la sussistenza del nesso causale e dell'elemento soggettivo del reato sotto il profilo della prevedibilità, quando l'evento verificatosi offenda lo stesso bene alla cui tutela avrebbe dovuto indirizzarsi il comportamento richiesto dalla norma, e risulti che detto comportamento avrebbe evitato anche la lesione in concreto attuata.
(Fattispecie relativa all'esposizione di lavoratori all'inalazione di polveri di amianto, nella quale l'eventuale ignoranza dell'agente circa la possibile produzione di malattie tumorali, e soprattutto del mesotelioma pleurico, è stata giudicata irrilevante a fronte dell'omissione di cautele che sarebbero state comunque doverose, secondo le conoscenze dell'epoca, per la prevenzione dell'asbestosi, e cioè di una malattia comunque molto grave e potenzialmente fatale, almeno in termini di durata della vita). Giova peraltro ricordare che si verte in tema di responsabilità penale, senza diretta attinenza al problema del risarcimento del danno, che in sede civile deve tenere conto dell'art. 1225 c.c., vale a dire del danno prevedibile al momento della condotta colposa.

 

12. Anche in sede civile si rinvengono precedenti i quali affermano la responsabilità del datore di lavoro per mesotelioma da amianto.
Ma si tratta di fattispecie in cui l'esposizione a rischio risulta più recente rispetto alla presente controversia.
Cass. n. 2491.2008 afferma che La responsabilità dell'imprenditore ex art. 2087 cod. civ., pur non essendo di carattere oggettivo, deve ritenersi volta a sanzionare l'omessa predisposizione da parte del datore di lavoro di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza della Corte territoriale che, con completa e coerente motivazione, aveva affermato la responsabilità, ex art. 2087 cod. civ., del datore di lavoro, esattamente considerando come noto al tempo dei fatti di causa -1975 - 1995 - il rischio da inalazione di polveri di amianto e rilevando l'insufficienza di un torrino d'aspirazione predisposto dall'imprenditore nonchè ravvisando il danno biologico nel semplice pericolo cagionato da un'alterazione anatomica pur non avente attuale incidenza funzionale). Come risulta dal testo della massima, si tratta di una esposizione protrattasi fino al 1995.
Cass. n. 8204.2003 si occupa di un caso di mesotelioma causato dall'amianto, manifestatosi nel 1990, con esposizione a rischio accertata tra il 1968 e il 1983 e pronuncia come segue L'esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per infortunio sul lavoro o malattia professionale opera esclusivamente nei limiti posti dal D.P.R. n. 1124 del 1965, art. 10 e per i soli eventi coperti dall'assicurazione obbligatoria, mentre qualora eventi lesivi eccedenti tale copertura abbiano comunque a verificarsi in pregiudizio del lavoratore e siano casualmente ricollegabili alla nocività dell'ambiente di lavoro, viene in rilievo l'art. 2087 cod. civ., che come norma di chiusura del sistema antinfortunistico, impone al datore di lavoro, anche dove faccia difetto una specifica misura preventiva, di adottare comunque le misure generiche di prudenza e diligenza, nonchè tutte le cautele necessarie, secondo le norme tecniche e di esperienza, a tutelare l'integrità fisica del lavoratore assicurato. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva accolto la domanda di risarcimento del danno proposta dagli eredi di un lavoratore, già addetto alla lavorazione dell'amianto, deceduto per mesotelioma, ritenendo congruamente motivato il giudizio secondo la quale il rispetto di tutte le prescrizioni cautelative possibili all'epoca dello svolgimento dell'attività lavorativa, ed in particolare di quelle concernenti la riduzione di fumi o polveri nocive e comunque dei rischi, avrebbe, alla stregua di un giudizio probabilistico, ridotto il rischio di assumere la dose innescante e quindi di contrarre la malattia).


13. Nel caso in esame, la violazione dei doveri di cui all'art. 2087 c.c. risale ad un arco di tempo in cui il nesso causale tra amianto e mesotelioma non era accertato. Le cautele previste erano finalizzate alla prevenzione della asbestosi, un rischio mesotelioma non era previsto. Decisiva appare la ratio decidendi per cui anche l'adozione delle pur limitate cautele allora praticabili (fino al divieto di uso dell'amianto tout court) non avrebbe impedito l'insorgere del mesotelioma, in quanto malattia dose - indipendente.


14. Le considerazioni che precedono valgono a disattendere anche i motivi incentrati sul vizio di motivazione, posto che alcuna contraddizione si rileva nella corposa motivazione della sentenza di appello, rispetto alla quale vengono prospettate come vizi o lacune di motivazione letture diverse delle risultanze istruttorie . Vale la pena al riguardo di ricordare che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge); ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione. Al fine della congruità della motivazione è sufficiente che da questa risulti che i vari elementi probatori acquisiti siano valutati nel loro complesso, anche senza una esplicita confutazione di altri elementi non menzionati, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito a quelli utilizzati (giurisprudenza costante).

15. Il sesto motivo del ricorso prospetta vizio di motivazione in ordine alla liquidazione del danno, essendo stato comunque escluso il risarcimento del danno biologico iure hereditario. Questione questa assorbita dal rigetto della domanda nel suo insieme.

 

16. Il ricorso principale deve, per i suesposti motivi, essere rigettato.

Il ricorso incidentale può considerarsi assorbito dal rigetto delle domande originarie. Giusti motivi, in relazione alla complessità in fatto della vicenda, all'opinabilità delle questioni trattate anche in relazione all'accertamento nel tempo della pericolosità dell'asbesto nella causazione del mesotelioma, ed al comportamento processuale delle parti, consigliano la compensazione delle spese del processo di cassazione.

 

P.Q.M.

 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi.

Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. Compensa tra tutte le parti costituite le spese del processo di legittimità.