Impugnazioni – Estinzione del reato per prescrizione – Condanna al risarcimento dei danni derivanti dall’amianto ex art. 578 cpp – Condizioni – Condanna validamente pronunciata prima dell’intervenuta prescrizione – Necessità – Potere del giudice penale di rinvio di pronunciarsi sulla domanda risarcitoria in favore delle parti civili – Presupposti

“… Il presupposto imprescindibile perché, nonostante la dichiarazione di estinzione del reato, vi sia una pronuncia agli effetti civili ai sensi dell’art. 578 cpp, è costituito dalla esistenza di una precedente pronuncia di condanna penale accompagnata da una condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno in favore della parte civile.
… Il principio generale vigente nel nostro ordinamento processuale in ordine ai poteri del giudice penale ed al riparto della giurisdizione tra giudice penale e giudice civile, è quello secondo il quale il giudice penale in tanto può pronunciare sulla domanda risarcitoria civile in quanto abbia previamente giudicato ed accertato la sussistenza della responsabilità penale alla quale consegue la statuizione sulla responsabilità civile, e ciò anche se, per mancata impugnazione del pubblico ministero, allo accertamento della responsabilità penale non può far luogo una pronuncia di condanna penale. Del resto è pacifico che quando una sentenza di assoluzione non sia stata impugnata dal pubblico ministero ma dalla sola parte civile, la pronuncia del giudice sulle domande civili resta sempre strettamente legata e subordinata all'accertamento incidentale della responsabilità penale. Infatti, la condanna ai fini civili in tanto è possibile in quanto il giudice accerti che sussista la responsabilità penale dell'imputato e vi siano le condizioni per una sua condanna, ancorché questa non possa essere pronunciata qualora non vi sia stata anche impugnazione da parte del Pubblico Ministero…
L'unica eccezione – che, in quanto tale, non è suscettibile di applicazione analogica – a questo principio generale e che permette al giudice penale di pronunciare sulla azione civile anche quando, per effetto di una sopravvenuta amnistia o prescrizione, non può più giudicare e pronunciare sulla responsabilità penale, è posta appunto dall'art. 578 c.p.p., il quale consente sì al giudice penale di statuire ai soli effetti civili anche allorchè non può più accertare la sussistenza di una responsabilità penale, ma richiede necessariamente che sia già stata in precedenza pronunciata una valida sentenza di condanna agli effetti penali e civili.
E difatti questa Corte ha affermato che "quando ... l'imputato in primo grado sia stato prosciolto e, quindi, difetti qualsiasi delibazione in punto di responsabilità, in sede di impugnazione, la declaratoria di prescrizione è ostativa in ordine a qualsiasi indagine finalizzata alla decisione sugli effetti civili. Di conseguenza, in tal caso, con l'estinzione del reato che la prescrizione determina, viene meno anche il presupposto per una condanna al risarcimento dei danni ed alle spese".”

Massima a cura della redazione di Olympus


SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


1. T.G., quale presidente del consiglio di amministrazione della A.T.M. dal (omissis); A.L., quale presidente del consiglio di amministrazione dal (omissis); P.G., quale presidente del consiglio di amministrazione dal (omissis); C.M., quale direttore generale dal (omissis); L. M., quale direttore generale dal (omissis);
nonché M.D., B.S. e B. G., quali dirigenti e capi servizio, vennero rinviati a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 589 c.p., comma 1 e 2, per avere, nelle rispettive qualità - per colpa generica e per inosservanza delle norme per l'igiene del lavoro, ed in particolare per non avere adottato nella officina della A.T.M. idonee misure atte ad impedire lo sviluppo e la diffusione delle fibre di amianto durante la asportazione del rivestimento in amianto del sottocassa delle vetture della A.T.M. e per avere consentito e comunque non impedito che i lavoratori esposti alle polveri non facessero uso di adeguati strumenti di protezione personale, cosicché il lavoratore N.F., inalava le dette fibre di amianto contraendo un tumore - cagionato al N. lesioni personali gravissime consistite in un mesotelioma epiteliale maligno destro alle quali in data (omissis) era seguita la morte (dal (omissis), con decesso avvenuto il (omissis)).

2. Il giudice del tribunale di Milano, con sentenza del 20 dicembre 1999, assolse tutti gli imputati perchè il fatto non sussiste.

3. La corte d'appello di Milano, con sentenza del 9 aprile 2001, dichiarò T.G., A.L., P.G., C. M. e L.M. colpevoli del delitto loro ascritto e, con le attenuanti generiche equivalenti per A., P. e L. e prevalenti per T. e C., li condannò i primi tre alla pena di mesi sei di reclusione e gli altri due alla pena di mesi quattro di reclusione nonché, in solido tra loro e con il responsabile civile A.T.M., al risarcimento del danno in favore delle parti civili con una provvisionale di L. 70 milioni in favore di R.M.A., mentre assolse M.D., B.S. e B.G. per non aver commesso il fatto.

4. Con sentenza del 18 febbraio 2003, questa Suprema Corte annullò la predetta sentenza di condanna con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Milano. Osservò, tra l'altro, questa Corte:
a) che la corte d'appello aveva confuso tra elementi relativi al nesso causale e quelli attinenti alla colpa, avendo accertato il nesso causale tra la morte per mesotelioma del lavoratore e la sua attività lavorativa, mentre avrebbe dovuto accertare la sussistenza del nesso causale tra la morte e la condotta omissiva degli imputati in ordine alle precauzioni adottabili;
b) che la corte d'appello aveva altresì omesso di diversificare tra le posizioni dei diversi imputati in relazione alle funzioni da loro svolte ed ai periodi di tempo in cui queste erano state esercitate ed aveva anche omesso di accertare l'epoca in cui si era verificata la assunzione di amianto ed aveva posto indiscriminatamente a carico di tutti l'evento.
La Suprema Corte affermò anche che qualora il giudice di rinvio avesse ritenuto la responsabilità degli imputati avrebbe dovuto motivare congruamente in ordine al giudizio di comparazione e che per coloro per i quali era maturata la prescrizione il diritto quesito, in difetto di impugnazione del pubblico ministero, restava valido nella ipotesi che la nuova valutazione fosse loro sfavorevole.
Precisò, infine, che per costoro il rinvio avrebbe dovuto essere fatto al giudice civile, il che però avrebbe comportato il pericolo di decisioni contrastanti sicché, poiché il codice di rito in caso di annullamento non regola espressamente il processo soggettivamente cumulativo, appariva più opportuna la soluzione di rimettere globalmente la valutazione al giudizio unitario del giudice di rinvio penale per salvaguardare la coerenza logica e l'unitarietà della decisione.

5. La corte d'appello di Milano, in sede di rinvio, con sentenza del 5 maggio 2004, concesse a tutti gli imputati le attenuanti generiche prevalenti sulla aggravante e quindi dichiarò per tutti il reato estinto per prescrizione. Condannò peraltro gli imputati in solido con il responsabile civile A.T.M. al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separata sede, con una provvisionale di Euro 50.000,00 a favore di R.M..
Osservò, tra l'altro, il giudice del rinvio:
a) che nella specie vi era stata una totale omissione di misure idonee a tutelare i lavoratori che lavoravano nel deposito di via (omissis), dove la situazione di polverosità era critica a causa della inadeguatezza dell'impianto di aspirazione, del fatto che le lavorazioni pericolose non erano effettuate in zone separate, che la rimozione dei pezzi contenenti amianto era fatta a secco, senza preventiva bagnatura, che fabbri e falegnami lavoravano insieme, che le correnti d'aria e lo scalpiccio disperdevano l'amianto, che le indagini sanitarie sui lavoratori erano inidonee, che i mezzi personali di protezione non erano sempre disponibili;
b) che, di fronte a questa inerzia totale nell'approntare soluzioni tecniche per garantire una maggiore salubrità dell'ambiente di lavoro, l'A.T.M. non poteva dire di non aver saputo, perchè era stata avvistata dalle autorità, perchè comunque all'epoca i rischi cancerogeni dell'amianto erano conosciuti e perchè sarebbero bastati pochissimi accorgimenti minimi per preservare la salute dei lavoratori;
c) che a causa di questa inerzia assoluta doveva ritenersi provata l'esistenza di un rapporto di causalità tra condotta omissiva ed evento;
d) che la malattia fu diagnosticata nel (omissis) sicché, poiché la latenza minima è stabilita in almeno 15 anni, la cellula tumorale era pronta alla proliferazione dal 1981, con la conseguenza che rilevava anche tutto quello che era avvenuto prima del (omissis), dato che più lungo è il tempo di esposizione maggiore è l'incidenza dei tumori e minore è il tempo di latenza e che una minima inalazione è sufficiente a causare la malattia;
e) che se gli imputati nei periodi di loro competenza avessero adempiuto agli obblighi di legge vi sarebbe stata una contrazione della esposizione e un allungamento dei tempi di latenza, di modo che tutto quello che era accaduto fino al (omissis) era in nesso causale con l'evento-morte;
f) che poiché non era stata adottata nessuna cautela, era superfluo esaminare l'efficacia di quella eventualmente adottata, perchè ciascuna delle cautele omesse era potenzialmente idonea a diminuire l'esposizione e ad agire sui tempi di insorgenza o di latenza della malattia;
g) che delle omissioni erano responsabili sia i presidenti della commissione amministrativa sia i direttori generali.

6. T.G., A.L., C.M., L. M. ed il responsabile civile A.T.M. s.p.a. propongono ricorso per Cassazione deducendo:
a) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della sentenza con riferimento all'art. 40 cod. pen. in ordine alla sussistenza del nesso di causalità.
Lamentano che solo apparentemente la sentenza impugnata ha aderito all'invito della Cassazione di appurare il nesso causale tra le condotte omissive e l'evento morte, in quanto sul punto la motivazione è illogica ed incompleta e non vi è alcuna dimostrazione della sussistenza di tale nesso causale. La corte d'appello ha infatti indicato sette condotte omissive (mancata adozione di un impianto di aspirazione per il primo periodo; adozione di un impianto di aspirazione inadeguato per il secondo periodo; adozione di un sistema di pulizia a secco; mancata informazione degli operai sulla necessità di bagnare le polveri; mancata pretesa del rispetto di tale condotta; predisposizione delle lavorazioni in comune; mascherine di carta inadeguate), tutte potenzialmente idonee ad impedire l'evento, ma non ha indicato quale o quali di queste sarebbero state necessarie ad impedire l'insorgere della malattia, e ciò per il motivo che nessuna di tali condotte era stata posta in essere dagli imputati. Si tratta però di una inaccettabile scorciatoia giuridica che non prova il nesso di causalità. Ciò emerge anche alla luce dei più recenti principi giurisprudenziali in tema di accertamento del nesso causale, di reato omissivo improprio e di giudizio controfattuale. La corte d'appello, invero, non ha compiuto il controllo controfattuale ma ha formulato la propria motivazione in modo tale da impedire qualsiasi controllo di questo tipo, non avendo specificato quale delle diverse condotte omissive potenzialmente idonee ad impedire l'evento ha poi concretamente determinato la morte del N.. Infatti, se l'antecedente indispensabile a realizzare l'evento non è correttamente evidenziato, il giudizio controfattuale è di fatto precluso.
Inoltre, la sentenza impugnata non ha accertato il nesso di causalità in termini di elevata probabilità logica vicina alla certezza, essendosi riferita non ad una certezza scientifica ma ad una certezza processuale. Infatti, per affermare che un evento ed un comportamento sono eziologicamente connessi con una probabilità vicina alla certezza occorre innanzitutto individuare i due termini da correlare, nella specie la morte e il comportamento omissivo. Se però la condotta omissiva può indifferentemente essere scelta tra sette diversi comportamenti il nesso causale non può ritenersi dimostrato, tanto meno con alta probabilità logica vicino alla certezza.
In terzo luogo, la corte d'appello ha affermato che la latenza minima del mesotelioma è di 15/20 anni. Poiché la malattia si è manifestata nel dicembre (omissis) il periodo di latenza minimo risale al (omissis) (e non al (omissis) come ha affermato la corte d'appello con un errore di calcolo). Le condotte omissive idonee a determinare la morte del N., se sussistenti, devono quindi riferirsi al periodo tra il (omissis) (data in cui il N. iniziò a lavorare nel deposito di via (omissis)) ed il (omissis), senza spingersi sino al periodo precedente al (omissis), come scorrettamente affermato dalla sentenza impugnata. Questa inesattezza rileva anche ai fini della dimostrazione del nesso causale perchè la stessa corte d'appello ammette che non esistono dati certi relativi alla presenza di polveri di amianto nel deposito di via (omissis) tra il (omissis).
Inoltre, il periodo in cui è stato riscontrato l'unico superamento dei limiti consigliati è avvenuto nel (omissis), e quindi rispetto al (omissis) (data di insorgenza della malattia) sono trascorsi solo 11 anni e non i 15 costituenti il periodo di latenza minimo. Non vi è quindi prova che nel periodo correttamente individuato vi sia stato un superamento dei minimi consentiti. Deve inoltre ricordarsi quanto dichiarato dal perito, e cioè che anche una esposizione bassissima, nei limiti consentiti dalle disposizioni vigenti, poteva causare in un soggetto il sorgere del mesotelioma e che successivamente nessuna cautela avrebbe potuto impedire il verificarsi del tumore.
Rilevano infine che la corte d'appello sembra essersi ispirata all'orientamento ormai superato secondo cui sarebbe sufficiente per la attribuzione causale dell'evento la presenza di una posizione di garanzia, dal momento che la responsabilità è stata determinata dalla violazione dei doveri inerenti alla posizione di garanzia senza un accertamento se l'evento si sarebbe o no verificato in mancanza della condotta incriminata.
b) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento all'art. 627 c.p.p., comma 3, in ordine alla mancata uniformità ai principi della sentenza di annullamento con rinvio.
Osservano che la sentenza di annullamento aveva chiesto al giudice del rinvio di effettuare una nuova valutazione sulla base dei seguenti principi: 1) verificare la rilevanza del comportamento degli imputati sulla base di un giudizio controfattuale effettuato in base alla legge di copertura volto ad accertare se in mancanza di quel comportamento l'evento si sarebbe egualmente verificato; 2) verificare se un diversa impostazione della misure di igiene e di sicurezza del lavoro avrebbe potuto evitare, con un alto grado di probabilità prossimo alla certezza, la morte della vittima; 3) accertare se il comportamento casualmente connesso all'evento fosse ascrivibile indiscriminatamente a tutti gli imputati tenendo conto delle diverse funzioni svolte e delle diverse epoche in cui si era verificata la esposizione.
Lamentano quindi che la corte d'appello non si è uniformata a questi principi, perchè:
- quanto al primo, non solo non ha effettuato il giudizio controfattuale, ma ha detto esplicitamente di non ritenere necessaria questa verifica;
- quanto al secondo, non ha in alcun modo dimostrato quale condotta degli imputati avrebbe impedito con elevato grado di probabilità logica vicina alla certezza l'evento morte;
- quanto al terzo, non ha spiegato puntualmente le iniziative che gli imputati avrebbero dovuto tenere con riferimento alle singole condotte omissive riscontrate, alle singole funzioni ed ai singoli periodi di riferimento in cui hanno ricoperto cariche presso la A.T.M..
c) mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alle emergenze probatorie relative alle misure idonee a tutelare i lavoratori. Osservano che la responsabilità è stata affermata sulla base della presunta mancata predisposizione di adeguati sistemi di protezione per la salute dei lavoratori all'interno del deposito nel periodo tra il (omissis).
Lamentano che la Corte Territoriale è però giunta a queste conclusioni sulla base di elementi di prova incerti (deposizione del Dott. Pa., della dott.ssa C. e dei colleghi del N.), interpretati a senso unico, mentre ha totalmente ignorato tutti gli altri elementi di segno contrario e favorevoli agli imputati che dimostrano che l'A.T.M. era intervenuta per quanto possibile e in conformità alle conoscenza dell'epoca.
Osservano inoltre che, poiché il periodo di latenza minima risaliva al (omissis), era questa (e non il (omissis)) la data entro cui verificare se gli imputati avessero posto in essere le condotte illecite. Gli elementi probatori dovevano essere riletti alla luce di questa "nuova" e corretta individuazione dei periodi di riferimento, perdendo così di significato le argomentazioni fondate su dati rilevati dal dott. Pa. e dalla Dott.ssa C. dopo il (omissis).
d) inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 43 cod. pen. e mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza dello elemento soggettivo. Lamentano che la corte d'appello si è limitata a mere petizioni di principio senza considerare che la colpa è costituita dalla prevedibilità ex ante dell'evento dannoso. Occorreva perciò valutare se il rischio dell'evento mortale fosse prevedibile al momento della condotta e quindi accertare la conoscenza e conoscibilità del problema amianto in capo agli imputati, soprattutto tenendo conto che fino ai primi anni '80 la applicazione dell'amianto era del tutto ordinaria e che i rischi connessi erano ignorati perfino dal ministero dell'interno.
e) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla responsabilità penale degli imputati A. e T. che hanno rivestito la carica di presidente della commissione amministratrice.
Lamentano che erroneamente la corte d'appello ha ritenuto irrilevante il fatto che la detta commissione fosse un organo in realtà privo di effettivi poteri, ritenendola invece l'unico organo di gestione dell'azienda. E' infatti risultato che il presidente della commissione svolgeva solo una funzione di tipo politico, non entrava nel merito delle decisioni tecniche e si limitava ad autorizzare le varie richieste degli organi tecnici, ed in particolare del direttore generale. Inoltre il T. è stato presidente dal (omissis) al (omissis) (non molti mesi dopo l'inizio della attività del N. e quando non esisteva un problema amianto) e l'A. tra il (omissis) (prima degli interventi della Usl e della Clinica del lavoro). Osservano poi che la sentenza impugnata ha fatto riferimento alle norme del regolamento senza tener conto del R.D. del 1925, che è il solo testo avente forza di legge che disciplina le competenze degli organi aziendali e che non può essere derogato dal regolamento speciale e dal quale si desume che la direzione dell'azienda era affidata al direttore generale mentre la commissione svolgeva sostanzialmente solo funzioni di indirizzo ed ancor meno incisivi erano i poteri del presidente, sul quale comunque non possono essere fatte ricadere in via esclusiva le pretese responsabilità dell'organo collegiale.
f) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine all'art. 578 cod. proc. pen. ed alla decisione sugli effetti civili in caso di prescrizione. Lamentano che la corte d'appello, nel condannare gli imputati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili nonostante la dichiarazione di prescrizione del reato, ha violato l'art. 578 cod. proc. pen., il quale dispone che la Corte d'appello o la cassazione possono in caso di intervenuta prescrizione decidere in ordine agli effetti civili solo se nei confronti dell'imputato è stata già emessa sentenza di condanna al risarcimento del danno ex artt. 533 e 538 c.p.p. e segg.. Il presupposto è quindi l'esistenza di una sentenza di condanna in primo grado, in mancanza della quale l'art. 578 c.p.p. non trova applicazione e la sentenza di prescrizione non può pronunciarsi sulle domande della parte civile.
Nella specie in primo grado gli imputati erano stati appunto assolti con formula piena e non vi era stata ovviamente alcuna condanna al risarcimento del danno. Il giudice del rinvio non poteva poi ritenere che un valido supporto alla pronuncia sulla domanda civile fosse costituita dalla precedente sentenza della corte d'appello di condanna e ciò perchè tale sentenza, anche con riguardo agli effetti civili, era stata travolta dal suo annullamento da parte della cassazione. Pertanto, mancava comunque una sentenza-presupposto valida al fine della pronuncia sulle domande civili.

7. P.G. propone a sua volta ricorso per Cassazione deducendo:
a) mancanza e manifesta illogicità della motivazione in quanto il giudice del rinvio ha ritenuto che la carenza minima del tumore era di 15/20 anni e che la malattia si era manifestata nel (omissis), ma poi ha ritenuto che la cellula tumorale era pronta alla proliferazione nel (omissis), anzichè nel (omissis). Ora, nel (omissis) il P. non era ancora in carica avendo assunto la carica di presidente della commissione amministratrice il (omissis). Non potevano quindi esserci gli estremi per ritenere una sua responsabilità, anche perchè è stato ritenuto che solo tutto ciò che aveva preceduto l'insorgere della malattia potesse essere in rapporto causale con l'evento.
b) manifesta illogicità della motivazione e violazione dell'art. 40 c.p., comma 2, e art. 41 c.p..
Lamenta che la corte d'appello ha ritenuto il nesso causale tra condotta ed evento ma si è contraddetta quando ha affermato che non esistono concentrazioni di amianto al di sotto delle quali si possa escludere il danno e la possibilità di insorgenza del mesotelioma, tanto che ora si è giunti a bandire del tutto questa sostanza. Nella specie non esistono dati certi sulla presenza di polveri di amianto nel deposito di via (omissis) tra il (omissis) ed il primo superamento della soglia ritenuta all'epoca di sicurezza avvenne nel (omissis). Ne consegue che, accertata la impossibilità tecnica di garantire ai lavoratori un livello di esposizione ad amianto tale da impedire l'insorgere del tumore nei soggetti predisposti, nonchè l'irrilevanza della esposizione successiva, e verificato che l'eventuale esposizione ad amianto è stata bassissima, deve ritenersi non provato un nesso di causalità tra condotta antidoverosa contestata e l'insorgenza della neoplasia. Non è infatti possibile prevenire la malattia se non con l'azzeramento dell'esposizione. Nella specie non è stato dunque provato con assoluta certezza alcun nesso di causalità tra condotta omessa ed evento non essendo possibile affermare, con alto grado di probabilità, che anche la rigorosa osservanza della normativa in materia di sicurezza nell'ambiente di lavoro avrebbe evitato la morte del N.. Inoltre, dato che la malattia è insorta tra il (omissis), il superamento delle soglie è avvenuto successivamente all'insorgere della malattia, la quale quindi non deriva dalle condizioni di lavoro presenti nell'officina di via (omissis).
Infatti, secondo la stessa sentenza impugnata, ciò che è successo dopo l'insorgenza della malattia non ha alcuna rilevanza in ordine al rapporto causale con l'evento. Di conseguenza, manca qualsiasi prova sul nesso causale.

8. Le parti civili N.A., N.G., Ni.G., N.E., Ni.Ed., ni.ga., N.D., N.M., N.F., Be.An. hanno depositato una memoria con la quale osservano:
1) sulla motivazione in ordine al nesso causale:
1.1) che è pacifica la legge di copertura, perchè il mesotelioma che aveva provocato la morte del N. era da addebitare al 90% alla sua pregressa esposizione all'amianto.
1.2) che vi era un giudicato sulla colpa e sulla causalità naturalistica, e che era evidente il rilievo causale della mancanza di qualsiasi condotta attivamente impeditiva della inalazione di polveri di amianto, sebbene fossero da tempo conosciute e disponibili misure di protezione individuale e collettiva.
1.3) che la sentenza impugnata è congruamente ed adeguatamente motivata sulla sussistenza del nesso tra omissione ed evento, avendo accertato che il datore di lavoro non ha attivato nessuno dei mazzi idonei ad impedire l'aspirazione delle fibre e quindi ha provocato l'evento secondo la regola dell'equivalenza.
1.4) che la sentenza Franzese è stata male interpretata dai ricorrenti, in quanto non ha richiesto la necessità di accertamento del nesso di causalità in termini di certezza assoluta, ma solo di certezza processuale.
1.5) che la corte d'appello non si è valsa solo della causalità generale, tratta su modelli statistici, ma ha seguito un procedimento logico verificando il nesso sulla base delle emergenze processuali.
1.6) che nella specie l'inerzia totale nell'affrontare soluzioni tecniche idonee perdurava a far data dal 1975, ossia dall'inizio dei lavori di asportazione di amianto dalle carrozze e quindi da prima che il N. cominciasse ad esporsi al pericolo di inalazione.
2) inammissibilità del secondo motivo dei ricorrenti per la ragione che non vi è stata nessuna ribellione al rinvio della cassazione, in quanto la Corte Territoriale ha accertato che impedendo, con uno dei rimedi descritti, l'aspirazione delle polveri di amianto, vi sarebbe stata una altissima probabilità di evitare o ritardare l'innesco determinando almeno un allungamento della vita. Il dato scientifico infatti indica che vi sono 10.000 probabilità in più di contrarre il mesotelioma per un soggetto esposto.
3) inammissibilità del dedotto vizio di motivazione sulle misure precauzionali adottate, perchè si traduce in una censura di fatto e perchè investe una materia estranea all'oggetto devoluto al giudice del rinvio. Il motivo è comunque infondato essendo stata pacificamente provata la omessa adozione di adeguate cautele nel deposito di via (omissis).
4) inammissibilità del motivo relativo all'erronea applicazione dell'art. 43 cod. pen. ed alla motivazione sull'elemento soggettivo, perchè pretende una rivisitazione delle risultanze istruttorie ed è estraneo alla materia devoluta al giudice del rinvio. Il motivo è comunque infondato essendo pacifico che ben prima dell'inizio dei lavori fosse nozione comune che l'amianto provocasse il cancro alla pleura.
5) sulla motivazione in ordine alla responsabilità penale degli imputati A. e T., che già la sentenza di annullamento di questa Corte aveva confermato l'obbligo di intervenire da parte della commissione amministratrice e del suo presidente a fronte della inerzia organizzativa in materia di misure cautelari della salute dei lavoratori.
6) sulla denunciata inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 578 cod. proc. pen. in ordine alla decisione concernente gli effetti civili che l'interpretazione dei ricorrenti è infondata e non tiene conto che nella specie vi era stata una pronuncia di condanna in appello di tutti gli imputati, con condanna alle spese e provvisionale. L'art. 578 cod. pen., invero, non richiede affatto che l'accertamento della responsabilità sia contenuto nella sentenza di primo grado, sicché questo può essere contenuto anche in una sentenza di appello. Nella specie, poi, la prescrizione è intervenuta solo dopo il primo giudizio di appello. Ed anche se le attenuanti generiche fossero state riconosciute ab origine, ugualmente il termine prescrizionale si sarebbe maturato dopo la prima sentenza di appello. Né può ritenersi che la prima sentenza di appello sarebbe stata irrimediabilmente travolta dalla pronuncia di annullamento con rinvio, perchè la decisione della cassazione interessava esclusivamente il tema della causalità (anche con riferimento alla individuazione delle singole condotte ascrivibili a ciascun imputato) e non l'intera parte motiva della sentenza annullata. In ogni modo, nella specie la sentenza di annullamento ha devoluto al giudice del rinvio anche il compito di pronunciarsi sulle richieste risarcitorie delle parti civili anche con riguardo a quelle posizioni processuali per le quali si sarebbe potuto, già in sede di legittimità, dichiarare l'intervenuta prescrizione.

9. Anche la parte civile R.M.A. ha depositato memoria con la quale preliminarmente eccepisce la inammissibilità del terzo, quarto e quinto motivo del ricorso di T. ed altri, perchè si tratta di doglianze non sindacabili in sede di legittimità e comunque già esaminate e respinte dalla precedente sentenza di annullamento. Per il resto osserva:
a) che è stato corretto e motivato lo accertamento del nesso causale tra le condotte commissive-omissive degli imputati e la morte del N., in assoluta conformità ai principi di diritto espressi dalla sentenza di annullamento ed ai principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di tumori professionali;
b) che è stato ragionevole e logico lo accertamento della totale omissione da parte della A.T.M. delle misure di sicurezza ambientali ed individuali volte alla prevenzione ed al contenimento delle diffusione delle polveri;
c) che è congrua ed adeguata la motivazione sulla rilevanza causale delle condotte dei responsabili della A.T.M. odierni imputati;
d) che la sentenza impugnata ha fornito una esatta interpretazione e lettura degli accertamenti tecnici eseguiti presso l'officina di via (omissis) negli anni (omissis) e delle risultanze dibattimentali, ritenendo che i valori accertati non erano sempre stati conformi alle normative dell'epoca;
e) che esattamente e con congrua ed adeguata motivazione è stata ritenuta la responsabilità colposa degli imputati, dal momento che il requisito della prevedibilità dell'evento era già configurabile all'epoca dei fatti;
f) che non esistono valori limite di esposizione professionale alle inalazioni al di sotto dei quali ritenere comunque lecite le condotte del datore di lavoro in relazione alle eventuali patologie derivate ai lavoratori.


MOTIVI DELLA DECISIONE


1.1. Rileva il Collegio che il ricorso è in parte fondato perchè effettivamente la sentenza impugnata risulta affetta da vizio di motivazione sicché sarebbe necessario un nuovo accertamento da parte del giudice del merito.
I vizi di motivazione riguardano principalmente un duplice profilo:
la data a cui risale il periodo di latenza minimo della malattia e il riferimento alle singole posizioni ed alle singole condotte degli imputati.
Sotto il primo profilo, infatti, la sentenza impugnata afferma che la data di latenza minima scientificamente stabilita della malattia è di almeno 15 anni e che la data in cui la malattia fu diagnosticata deve fissarsi nel (omissis), ma poi, con un evidente errore e comunque senza alcuna motivazione in proposito, fissa la data in cui la cellula tumorale era già presente e pronta per la proliferazione nel (omissis), anziché nel (omissis). Quindi, la sentenza impugnata afferma (pag. 8) che "una minima inalazione è sufficiente a causare la malattia", che "tutto quello che è avvenuto nei tempi precedenti è però molto importante"; che l'esposizione all'amianto rileva non solo a partire dalla "data minima dell'insorgere della latenza ma anche per tutto il periodo antecedente che... ha concorso ad agevolare l'insorgere della patologia o a favorirne l'evoluzione"; che "tutto ciò che è accaduto fino al (omissis) è in nesso causale con l'evento, sia nel senso di aver diminuito la latenza sia di aver accelerato l'evento-morte".
Innanzitutto, quindi, non si comprende bene se, per il giudice del rinvio, sono state rilevanti, sotto il profilo causale, soltanto le omissioni antecedenti alla data in cui è irreversibilmente insorta la cellula tumorale o anche le omissioni successive, nel senso che il prolungarsi della esposizione all'amianto ha accelerato l'aggravarsi della malattia e la morte. In ogni caso, la sentenza impugnata afferma che è in nesso causale con l'evento tutto ciò che è accaduto prima della data minima di insorgere della latenza, errando però nel fissare questa data nel (omissis) anziché nel (omissis). Se dunque di errore si tratta, occorre una nuova valutazione nel merito perchè, in questa diversa prospettiva, dovrebbero essere riconsiderate le risultanze della deposizione del dott. Pa. (che effettuò un primo controllo solo nel (omissis), ossia dopo l'insorgere della latenza), nonché di quelle della dott.ssa C. (che ebbe conoscenza di quanto accadeva nell'officina solo a decorrere dal (omissis)), nonché la diffida dell'ispettorato del lavoro del (omissis) e la nota dello Smal del (omissis), che sono state prese in considerazione dalla sentenza impugnata ai fini della valutazione di una omissione colposa da parte degli imputati e della conoscibilità della insufficienza delle misure protettive adottate.
In secondo luogo, qualora realmente le condotte omissive rilevanti fossero state solo quelle intercorse tra il (omissis) (data in cui il N. iniziò a lavorare nel deposito in questione) e la data in cui è insorta la latenza, ossia il (omissis), la corte d'appello avrebbe dovuto tener conto di questo più limitato periodo, rispetto a quello considerato in sentenza, anche ai fini della responsabilità addebitabile ai singoli imputati, dando adeguata motivazione delle ragioni per le quali tale responsabilità è stata riconosciuta anche a coloro che assunsero una posizione direttiva solo dopo che la cellula tumorale si era già formata.
Sotto il secondo profilo dianzi evidenziato, va ricordato che la sentenza di annullamento aveva censurato la prima sentenza di appello anche per la omessa diversificazione delle posizioni in relazione alle funzioni svolte dagli imputati ed ai periodi di tempo in cui era avvenuto l'esercizio di tali funzioni e perchè non erano state accertate le epoche in cui era avvenuta la assunzione dell'amianto, precisando che tale accertamento non poteva essere effettuato globalmente perchè le singole posizioni erano differenziate, le funzioni svolte erano diverse, ai singoli imputati erano richiesti comportamenti diversi o un medesimo comportamento sulla scorta di titoli diversi correlati alle diverse funzioni nonché ai diversi tempi in cui tali funzioni erano state svolte. La sentenza di annullamento aveva quindi demandato al giudice di rinvio un accertamento articolato, nel senso che, una volta accertato il momento di innesco biologico, sarebbe occorso verificare la rilevanza del comportamento dei singoli imputati nel determinarlo, estendendo peraltro la verifica anche in relazione ai periodi successivi all'innesco per stabilire l'esistenza o meno di un nesso di causalità non indiscriminato ma tra i singoli comportamenti tenuti nelle diverse epoche dai vari imputati e l'evento. La sentenza impugnata, invece, ha in realtà compiuto un giudizio indiscriminato e globale nei confronti di tutti gli imputati, in quanto dalla motivazione non emergono puntualmente le iniziative che gli imputati avrebbero dovuto tenere con riferimento alle singole condotte omissive riscontrate, alle singole funzioni ed ai diversi periodi di tempo in cui ricoprirono cariche presso la A.T.M..

1.2. Le considerazioni dianzi solo accennate potrebbero probabilmente portare ad una pronuncia di annullamento con rinvio, che però sarebbe impedita dal fatto che la sentenza impugnata ha già dichiarato la prescrizione del reato nei confronti di tutti gli imputati.
E difatti, secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte:
- in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in cassazione vizi di motivazione della sentenza, perchè il conseguente annullamento con rinvio al giudice del merito sarebbe incompatibile con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento stabilito dall'art. 129 cod. proc. pen., comma 1. Non è perciò possibile la prosecuzione di un procedimento penale nel quale si è già verificata la causa di estinzione del reato e questa sia stata dichiarata dal giudice di merito con motivata esclusione dell'incolpevolezza dell'imputato (cfr. Sez. 6^, 6 marzo 2003, Parisi, m. 226.564; Sez. 4^, 13 dicembre 2002, Gaeta, m. 223.318; Sez. 5^, 23 gennaio 1997, Bornigia, m. 208.673; Sez. 6^, 9 febbraio 1995, Cardillo, m. 201.255);
- all'applicazione di una causa estintiva del reato è sottinteso il giudizio relativo all'inesistenza di prova evidente circa la non ricorrenza delle condizioni per un proscioglimento nel merito. In tal caso, pertanto, la decisione è insindacabile in sede di legittimità sotto il profilo del vizio di motivazione, posto che un eventuale annullamento con rinvio imporrebbe la prosecuzione del giudizio resa incompatibile dall'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva (Sez. 1^, 7 luglio 1994, Boiani, m. 199.579).
E' poi evidente che nel caso in esame non vi sono le condizioni per pronunciare una sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 cod. proc. pen., la quale è possibile solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la sua rilevanza penale e la non commissione del medesimo da parte dell'imputato emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile; tanto che la valutazione da compiersi in proposito appartiene più al concetto di "constatazione" che a quello di "apprezzamento". Ed invero il concetto di "evidenza", richiesto dal secondo comma dell'art. 129 cod. proc. pen., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara, manifesta ed obiettiva, che renda superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione ad un accertamento immediato (Sez. 6^, 15 febbraio 1999, Di Pinto, m. 213.882; Sez. 3^, 4 dicembre 1997, Pasqualetti, m. 209.793; Sez. 6^, 9 febbraio 1995, Cardillo, m. 201.255; Sez. 1^, 7 luglio 1994, Boiani, m. 199.579).
Ne consegue che il ricorso del P. ed i primi cinque motivi del ricorso degli altri ricorrenti devono tutti essere dichiarati inammissibili.

2. Non potrebbe peraltro nemmeno pronunciarsi una sentenza di annullamento delle sole statuizioni civili con rinvio per nuovo giudizio alla corte d'appello in sede civile.
E ciò perchè, a parere del Collegio, deve essere accolto, conformemente alle richieste fatte dal Procuratore generale nella sua requisitoria, il sesto motivo del primo ricorso relativo alla pronuncia di risarcimento del danno in favore delle parti civili.
La corte d'appello, infatti, sebbene avesse dichiarato la prescrizione dei reati, ha pronunciato condanna degli imputati al risarcimento del danno in favore delle parti civili sulla base della disposizione di cui all'art. 578 cod. proc. pen., come del resto ammesso dagli stessi difensori di parte civile che, nel contestare questo motivo di ricorso, hanno sostenuto che l'art. 578 cod. proc. pen. doveva invece trovare applicazione perchè la sentenza di condanna agli effetti civili vi era comunque stata nel primo giudizio di appello e che essa non era venuta meno per effetto della sentenza di annullamento di questa Corte.

3.1. Ritiene il Collegio che il giudice del rinvio non avrebbe potuto pronunciare condanna al risarcimento del danno ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen., sulla base del solo motivo che vi era comunque stata una precedente sentenza di condanna, sebbene questa fosse stata annullata per vizio di motivazione sulla sussistenza del nesso causale e sulle posizioni dei diversi imputati.

3.2. Va invero ricordato che, come messo in evidenza dallo stesso difensore di parte civile, la scelta di fornire tutela al danneggiato in presenza di eventi che inibiscono l'accertamento dei fatti trova la sua genesi nella L. 3 agosto 1978, n. 405, che consentiva tanto alla corte d'appello quanto al giudice di legittimità di pronunziarsi sugli interessi civili pur in presenza dell'estinzione del reato per intervenuta amnistia. Proseguendo sulla medesima strada, il nuovo codice di rito ha esteso questa possibilità anche alla ipotesi della prescrizione, prevedendo tuttavia, come condizione per la sua operatività, che la causa estintiva sia intervenuta dopo un accertamento di responsabilità, o meglio dopo una precedente pronuncia di condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento del danno cagionati dal reato, a favore della parte civile.
E' vero che l'art. 578 cod. proc. pen. non impone affatto, per la sua applicazione, che la pronuncia di condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile sia contenuta nella sentenza di primo grado.
E' solo richiesto che vi sia stata una pronuncia di condanna penale accompagnata da una pronuncia di risarcimento del danno in favore della parte civile. La pronuncia, quindi, può essere contenuta tanto in una sentenza di primo grado quanto in una sentenza di appello, con la conseguenza, in quest'ultimo caso, che qualora la Corte di cassazione dovesse pronunciare l'estinzione del reato per amnistia o per prescrizione dovrà comunque decidere sulla impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono effetti civili.
Conclusione questa che è pacificamente riconosciuta dalla giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo la quale "nel giudizio d'impugnazione, in presenza di una condanna al risarcimento dei danni o alle restituzioni pronunziata dal primo giudice (o dal giudice d'appello) ed essendo ancora pendente l'azione civile, il giudice penale è tenuto, quando accerti l'estinzione del reato per amnistia o prescrizione, ad esaminare il fondamento della medesima azione. In questi casi la cognizione del giudice penale, sia pure ai soli effetti civili, rimane integra e il giudice dell'impugnazione deve interamente verificare l'esistenza di tutti gli elementi della fattispecie penale al fine di confermare o meno il fondamento della condanna alle restituzioni o al risarcimento pronunziata dal primo giudice (o dal giudice d'appello nel caso in cui l'estinzione del reato venga pronunziata dalla Corte di Cassazione)" (Sez. 4^, 8 ottobre 2003, Corinaldesi, m. 227.337).
La ratio della disposizione è evidente. Nel caso vi sia stata una pronuncia di condanna penale accompagnata da una pronuncia di risarcimento del danno in favore della parte civile, il legislatore ha voluto che, qualora in un successivo grado di giudizio il giudice dichiari la estinzione del reato per amnistia o per prescrizione, questa statuizione travolga ovviamente la pronuncia di condanna penale emessa nel precedente grado ma non travolga automaticamente anche la precedente condanna agli effetti civili, sulla quale invece il giudice della impugnazione dovrà comunque pronunciarsi nel merito nonostante l'intervenuta causa di estinzione del reato.

3.3. E' dunque palese come il presupposto imprescindibile perchè, nonostante la dichiarazione di estinzione del reato, vi sia una pronuncia agli effetti civili ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen., è costituito dalla esistenza di una precedente pronuncia di condanna penale accompagnata da una condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno in favore della parte civile.
Del resto, la giurisprudenza di questa Corte Suprema ha affermato in proposito i seguenti principi:
- "l'azione civile risarcitoria, esercitata nel processo penale dal soggetto al quale il reato ha provocato danno, può essere accolta soltanto in presenza di una sentenza di condanna dell'imputato; ne deriva che ove nel giudizio di impugnazione il reato sia stato dichiarato estinto per prescrizione od amnistia, la decisione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono gli interessi civili può essere assunta soltanto nel caso in cui, nel precedente grado di giudizio, sia stata affermata, con la sentenza di condanna, la responsabilità dell'imputato" (Sez. 5^, 3 ottobre 2000, Macedonio, m. 217.280);
- "l'applicazione dell'art. 578 cod. proc. pen. è subordinata alla condizione che la pronuncia impugnata sia di condanna; ne consegue che la Corte di Cassazione, ove, nel ritenere fondati i ricorsi del procuratore generale e della parte civile avverso sentenza assolutoria, annulli senza rinvio la sentenza impugnata per prescrizione del reato, non può contestualmente decidere sull'impugnazione ai soli effetti delle disposizioni concernenti gli interessi civili, ma deve rinviare gli atti al giudice civile competente per valore in grado di appello" (Sez. fer., 28 luglio 1990, Calderoni, m. 185.068);
- "l'applicabilità dell'art. 578 c.p.p. è subordinata, in sede di impugnazione, alla duplice condizione dell'esistenza di una condanna anche generica dell'imputato pronunciata a favore della parte civile in primo grado o in appello e dell'essere stata impugnata la sentenza stessa sicchè tali condizioni non ricorrono nel caso in cui la pronuncia di appello sia stata di piena assoluzione e, proposto ricorso per Cassazione dal P.M., questo sia stato accolto e sìa stata pertanto applicata la sopravvenuta amnistia" (Sez. 2^, 21 dicembre 1990, Pizzillo, m. 187.300, e Giust. pen., 1991, 3^, 252).

3.4. E' poi non solo necessario che la statuizione di condanna agli effetti civili sia contenuta nella sentenza impugnata ma anche che la stessa sia stata validamente pronunciata.
Questa Corte ha invero costantemente affermato il principio che "la decisione del giudice dell'impugnazione sugli effetti civili del reato estinto presuppone che la causa estintiva sia sopravvenuta alla sentenza emessa dal giudice di primo grado che ha pronunciato sugli interessi civili, mentre, qualora la causa di estinzione del reato preesista alla sentenza di primo grado ed il giudice erroneamente non l'abbia dichiarata, non sussistono i presupposti di operatività dell'art. 578 cod. proc. pen., poichè tale decisione presuppone una precedente pronuncia di condanna sulle statuizioni civili validamente emessa e gli effetti della sentenza di secondo grado devono essere riportati al momento in cui è stata emessa quella di primo grado" (Sez. 6^, 19 settembre 2002, Rusciano, m. 222.426; Sez. Un., 13 luglio 1998, Citaristi, m. 211.191; Sez. 1^, 2 maggio 1995, Ferrigno, m. 201.903).

3.5. Nel caso in esame, invece, non vi era alcuna precedente sentenza di condanna penale accompagnata dalla condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile validamente emessa, dal momento che in primo grado vi era stata pronuncia di assoluzione perchè il fatto non sussiste e la precedente sentenza di condanna della corte d'appello era stata totalmente annullata da questa Corte per vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del nesso di causalità.
E' invero privo di pregio l'assunto del difensore di parte civile secondo cui la sentenza di annullamento con rinvio non avrebbe interamente travolto anche la pronuncia di condanna agli effetti civili perchè l'annullamento riguardava solo il profilo del nesso di causalità e non l'intera motivazione della sentenza impugnata. E' evidente, infatti, che proprio perchè la sentenza di annullamento aveva ad oggetto la sussistenza del nesso di causalità essa ovviamente aveva irrimediabilmente travolto anche la affermazione di responsabilità degli imputati agli effetti civili e quindi anche le conseguenti statuizioni civili. Non vi è perciò dubbio che il decisum avesse travolto l'intera pronuncia emessa dal primo giudice di appello.

3.6. Ne consegue che il giudice di rinvio non poteva più tenere alcun conto della precedente sentenza di appello totalmente annullata e doveva giudicare esclusivamente sulla impugnazione avverso la sentenza di primo grado, che però era stata una sentenza di assoluzione per insussistenza del fatto e che non conteneva, evidentemente, alcuna condanna agli effetti civili.
Mancava quindi il presupposto indispensabile per la emissione di una pronuncia di condanna agli effetti civili ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen., e cioè la circostanza che la sentenza impugnata su cui il giudice di appello doveva pronunciare contenesse una condanna agli effetti civili.
Nella specie, infatti, la sentenza di primo grado era stata di piena assoluzione nel merito e non era comunque ravvisatale una precedente valida sentenza di condanna agli effetti penali e civili in quella precedentemente pronunciata dalla corte d'appello, perchè questa era stata ormai definitivamente e totalmente travolta dalla sentenza di annullamento di questa Corte.

3.7. Non ha poi pregio l'argomento del difensore di parte civile secondo cui una pronuncia di condanna agli effetti civili non sarebbe stata preclusa al giudice del rinvio perchè la sentenza di annullamento di questa Corte gli aveva demandato il compito di pronunciarsi sulle richieste risarcitorie delle parti civili anche con riguardo a quelle posizioni processuali per le quali si sarebbe potuto, già in sede di legittimità, dichiarare la prescrizione.
Ed infatti, la sentenza di annullamento aveva ovviamente demandato al giudice del rinvio la pronuncia sulle domande civili nei confronti degli imputati per i quali non era ancora intervenuta la prescrizione sempre sul presupposto che il giudice del rinvio riconoscesse la responsabilità penale di questi imputati e pronunciasse condanna penale nei loro confronti e non anche per la ipotesi che il giudice del rinvio dichiarasse invece la estinzione del reato. D'altra parte, la sentenza di annullamento aveva esplicitamente ritenuto che nei confronti degli imputati per i quali era già maturata la prescrizione, il rinvio per la decisione sulle statuizione civili avrebbe dovuto farsi al giudice penale solo perchè si trattava di un processo soggettivamente cumulativo per il quale il codice di rito non prevedeva regole specifiche per l'ipotesi di annullamento con rinvio e perchè opportuno effettuare un solo rinvio per evitare un eventuale contrasto di decisioni e permettere un giudizio globale.
Con ciò però la sentenza di annullamento non ha certamente inteso derogare all'art. 578 cod. proc. pen. ed ha quindi rimesso al giudice del rinvio la valutazione globale sempre però che, almeno nei confronti di una parte degli imputati, ricorressero le condizioni per l'operatività di tale disposizione.
D'altra parte, la posizione di questa Corte era diversa da quella del giudice del rinvio. Questa Corte, invero, nel pronunciare eventualmente la prescrizione per alcuni degli imputati, si trovava di fronte ad una sentenza di condanna penale e civile emessa nel precedente grado di giudizio, e quindi ben poteva ai sensi dell'art. 578 cod. proc. pen. statuire sulla pronuncia agli effetti civili annullandola con rinvio alla corte d'appello civile. Il giudice del rinvio, invece, non era più in presenza di una valida sentenza di condanna penale e civile, essendo stata annullata la prima sentenza di appello, con la conseguenza che, una volta pronunciata l'estinzione del reato per prescrizione con conseguente impossibilità di accertare la responsabilità penale ed emettere la relativa pronuncia, non poteva più applicare l'art. 578 cod. proc. pen. per statuire ai soli effetti civili.

3.8. La conferma di ciò deriva anche dalla considerazione che l'art. 578 cod. proc. pen. attribuisce al giudice della impugnazione non già il generico potere di decidere sulle domande della parte civile bensì lo specifico potere di decidere sulla impugnazione ai soli effetti delle disposizioni e dei capi della sentenza che concernono interessi civili.
Occorre perciò che la sentenza sottoposta al giudice dell'impugnazione contenga disposizioni e capi concernenti gli interessi civili, mentre nella specie l'unica sentenza valida che il giudice della impugnazione aveva di fronte e sulla quale doveva giudicare era una sentenza di assoluzione che non conteneva disposizioni o capi concernenti gli interessi civili.

4.1. Rileva infine il Collegio che questa conclusioni non sono inficiate dal fatto che l'appello avverso la sentenza di primo grado era stato proposto sia dal pubblico ministero sia dalle parti civili.
E difatti, il principio generale vigente nel nostro ordinamento processuale in ordine ai poteri del giudice penale ed al riparto della giurisdizione tra giudice penale è giudice civile, è quello secondo il quale il giudice penale in tanto può pronunciare sulla domanda risarcitoria civile in quanto abbia previamente giudicato ed accertato la sussistenza della responsabilità penale alla quale consegue la statuizione sulla responsabilità civile, e ciò anche se, per mancata impugnazione del pubblico ministero, allo accertamento della responsabilità penale non può far luogo una pronuncia di condanna penale. Del resto è pacifico che quando una sentenza di assoluzione non sia stata impugnata dal pubblico ministero ma dalla sola parte civile, la pronuncia del giudice sulle domande civili resta sempre strettamente legata e subordinata all'accertamento incidentale della responsabilità penale. Infatti, la condanna ai fini civili in tanto è possibile in quanto il giudice accerti che sussista la responsabilità penale dell'imputato e vi siano le condizioni per una sua condanna, ancorché questa non possa essere pronunciata qualora non vi sia stata anche impugnazione da parte del Pubblico Ministero (cfr. Sez. 1^, 12 marzo 2004, Maggio, m. 227.971; Sez. 5^, 6 febbraio 2001, Maggio, m. 218.905; Sez. 5^, 22 febbraio 1999, Bavetta, m. 212.394).
L'unica eccezione - che, in quanto tale, non è suscettibile di applicazione analogica - a questo principio generale e che permette al giudice penale di pronunciare sulla azione civile anche quando, per effetto di una sopravvenuta amnistia o prescrizione, non può più giudicare e pronunciare sulla responsabilità penale, è posta appunto dall'art. 578 cod. proc. pen., il quale consente sì al giudice penale di statuire ai soli effetti civili anche allorchè non può più accertare la sussistenza di una responsabilità penale, ma richiede necessariamente che sia già stata in precedenza pronunciata una valida sentenza di condanna agli effetti penali e civili.
E difatti questa Corte ha affermato che "quando ... l'imputato in primo grado sia stato prosciolto e, quindi, difetti qualsiasi delibazione in punto di responsabilità, in sede di impugnazione, la declaratoria di prescrizione è ostativa in ordine a qualsiasi indagine finalizzata alla decisione sugli effetti civili. Di conseguenza, in tal caso, con l'estinzione del reato che la prescrizione determina, viene meno anche il presupposto per una condanna al risarcimento dei danni ed alle spese" (Sez. 5^, 3 ottobre 2000, sent. n. 11509, Macedonio).

5. Sulla base delle precedenti considerazioni la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente a punto relativo alla condanna degli imputati al risarcimento del danno ed alla refusione delle spese in favore della parte civile. Nel resto i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, mentre non deve pronunciarsi condanna alle spese essendo stati i ricorsi stessi accolti sul punto relativo alle statuizioni civili.


P.Q.M.


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Annulla senza rinvio la sentenza impugnata sul punto relativo alla condanna degli imputati al risarcimento del danno ed alla refusione delle spese in favore della parte civile.

Dichiara inammissibili i ricorsi nel resto.