SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico

 

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 6, martedì 21 ottobre 2008



Audizione del presidente dell’ISPESL




Presidenza del presidente TOFANI

Interviene il professor Antonio Moccaldi, presidente dell’ISPESL, accompagnato dal dottor Stefano Signorini, capo della Segreteria tecnicoscientifica, dal dottor Gerardo Capozza, direttore del Dipartimento processi organizzativi, dal dottor Giuseppe Campo, ricercatore del medesimo Dipartimento, e dalla signora Valentina Meloni, della Segreteria tecnicoscientifica.

PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca l’audizione del professor Antonio Moccaldi, presidente dell’ISPESL (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro), accompagnato dal dottor Signorini, dal dottor Capozza, dal dottor Campo e dalla signora Meloni.
Comunico che, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, é stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso.
Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità é dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Saluto il professor Moccaldi, accompagnato dal dottor Signorini, dal dottor Capozza, dal dottor Campo e dalla signora Meloni, e gli cedo la parola.

MOCCALDI
Saluto e ringrazio la Commissione per l’invito. Da quanto si evince dalla lettera di convocazione, sostanzialmente mi si chiede di sviluppare due tematiche: un’analisi degli infortuni mortali per quanto é a nostra conoscenza e quali sono le azioni che l’ISPESL sta portando avanti per incrementare, a livello nazionale, l’aiuto che le istituzioni preposte devono dare per combattere il fenomeno degli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. In particolare, con riferimento al decreto legislativo n. 81 del 2008, si chiede come ci siamo organizzati per affrontare le problematiche più significative, cioè l’informazione, la formazione, la ricerca, la standardizzazione e il sistema informativo nazionale, alcuni degli elementi che il nuovo Testo Unico indica come necessari e indispensabili per migliorare complessivamente la cultura della sicurezza e ridurre, si auspica, il fenomeno infortunistico e il fenomeno dell’esposizione a rischi di natura chimica, fisica e biologica che generano malattie professionali, direttamente o indirettamente, nei lavoratori (e indirettamente anche alla popolazione).

PRESIDENTE
Nella lettera di convocazione abbiamo indicato alcune priorità, ma l’audizione non deve ridursi a queste, anche se é richiesto un particolare riferimento a determinati aspetti.

MOCCALDI
Certamente, Presidente. L’Istituto ha proposto un progetto, finanziato dal Ministero della salute, cui hanno partecipato l’INAIL e le Regioni, per produrre un’analisi degli infortuni mortali che serva ad identificare una serie di indicatori utili per fornire informazioni, dati e soprattutto buone prassi e comportamenti che possano evitare, in futuro, il ripetersi della stessa tipologia di infortuni. A questo proposito, ad esempio, negli otto infortuni mortali di venerdì scorso ritroviamo esattamente le casistiche che abbiamo esaminato.
Sono stati presi in considerazione gli anni dal 2002 al 2004 per 2.500 infortuni, 1.500 mortali e 1.000 gravi, l’analisi dei quali ha portato ad una serie di considerazioni. L’infortunio mortale deriva, di solito, da una deviazione rispetto all’azione corretta che si sarebbe dovuta compiere per un determinato tipo di lavoro; in particolare, il 26,4 per cento degli infortuni é dovuto a caduta dall’alto, il 15,1 per cento alla caduta di oggetti sul soggetto, il 12,7 per cento alla perdita di controllo del mezzo di trasporto, il 5,5 per cento alla caduta o crollo di oggetti posti sotto gli infortunati, il 4 per cento alla perdita di controllo dei macchinari. Le stesse percentuali si ripetono, più o meno, anche per gli infortuni gravi.
Analizzando meglio la frequenza dei diversi tipi di incidenti, vediamo che il 38,4 per cento é dovuto all’attività dell’infortunato. In particolare, nel 60 per cento circa dei casi si tratta di un errore di procedura; nel 23,3 per cento é legato all’impiego di utensili, macchine o impianti; nel 17,2 per cento é legato genericamente all’ambiente di lavoro e nel 12 per cento é dovuto all’attività di terzi, cioè non é determinato dall’infortunato ma da altre persone che lavoravano vicino a lui. Precisamente, in questo ultimo caso, é sempre l’errore di procedura o l’uso errato o improprio di attrezzature che determina l’evento accidentale per il soggetto terzo.
Per quanto concerne, invece, gli incidenti legati più tipicamente alla sicurezza, il 50 per cento circa di essi é dovuto alla mancanza di protezioni; l’inadeguatezza strutturale concorre per circa il 20,9 per cento, la presenza di elementi pericolosi per circa il 17 per cento e c’é anche un 9,1 per cento dovuto alla rimozione o manomissione di protezioni.
In conclusione, l’analisi di questi primi 2.500 casi, ai quali se ne aggiungeranno altri 700 in via di conclusione per gli anni 2005-2007, ci dice che il lavoratore dipendente é coinvolto in circa il 58 per cento degli eventi mortali; nel 15 per cento dei casi si tratta di un lavoratore autonomo mentre nel 16 per cento si tratta di datori di lavoro, cioè di autonomi che hanno dipendenti o coadiuvanti familiari o che sono soci di cooperative.
Quindi anche i datori di lavoro delle piccole e medie imprese sono molto coinvolti nel fenomeno dell’infortunio mortale, mentre le figure atipiche, cioè gli interinali, gli irregolari, il pensionato o il parasubordinato sono coinvolte per l’11 per cento. Come si può vedere, si tratta di un panorama assai variegato cui concorrono sia il comportamento dell’uomo, sia il mancato rispetto della norma, sia la mancata presenza di dispositivi di sicurezza. È un fenomeno molto complesso, che tuttavia ormai appare abbastanza chiaro in tutti i suoi aspetti.
Quanto al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, l’ISPESL é l’ente nazionale preposto alla ricerca, sperimentazione, consulenza, assistenza, formazione e informazione nel campo di cui stiamo parlando e quindi il nostro impegno spazia dalla ricerca all’immediato trasferimento delle conoscenze. La nostra ricerca non é teorica o di base bensì nasce dall’individuazione, con determinate tecniche di confronto con il sistema nazionale, delle priorità che si avvertono nel Paese. In particolare, per individuare il piano 2008-2010 che é in corso, abbiamo utilizzato il metodo americano Delfi, usato anche dal National Institute for Occupational Health and Safety, nostro omologo americano.
Abbiamo richiesto, attraverso un questionario mirato a 600 soggetti (università, datori di lavoro, organizzazioni sindacali, enti e patronati, cioè tutti coloro che in qualche modo potevano essere coinvolti nella problematica della sicurezza), di identificare le priorità di ricerca. Queste, una volta identificate, hanno costituito l’ossatura del nostro piano triennale. La cancerogenesi professionale, gli infortuni sul lavoro, l’organizzazione, le strategie e l’ottimizzazione dei servizi di prevenzione, la formazione, l’informazione, l’esposizione a basse dosi e le esposizioni multiple, la verifica della qualità in medicina del lavoro, le nuove malattie lavoro-correlate, i rischi connessi con le nanotecologie, le nanopolveri e i nanomateriali, i rischi psicosociali ed organizzativi: queste sono state le linee guida e le attività segnalate che ci hanno indicato la via maestra per organizzare il piano triennale che, tra l’altro, ha comportato un approccio pluridisciplinare delle nostre attività di ricerca, che hanno riguardato l’igiene del lavoro, la medicina del lavoro, le tecnologie di sicurezza e l’impatto ambientale dal momento che il problema della sicurezza é multidisciplinare e non può essere affrontato da una sola angolazione.
In particolare, circa il piano triennale, mi preme sottolineare alcuni programmi che riguardano i costi della mancata prevenzione, l’esposizione ai nanomateriali, le metodologie innovative per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro, la sicurezza delle strutture sanitarie (un problema rilevante nel nostro Paese), l’elaborazione, la raccolta e la diffusione di buone prassi e linee guida, uno degli elementi fondamentali anche a livello legislativo – dal decreto legislativo n. 626 del 1994 al decreto legislativo n. 81 del 2008 – per tutte le figure (datore di lavoro, medici competenti, responsabili della sicurezza e rappresentanti dei lavoratori) in modo da avere univocità di indirizzi, univocità di standardizzazione e di riferimento per l’approccio dei singoli comparti e dei singoli settori lavorativi.
L’Agenzia europea ha anche indicato quali devono essere, per il 2009-2013, le linee per il trasferimento delle conoscenze. Infatti, un aspetto centrale é quello della traslazionalità della ricerca, che deve immediatamente raggiungere il nostro sistema. Per questo, nel programma di lavoro dell’Agenzia europea, sono state individuate tre grandi aree target: i gruppi di lavoratori a rischio, i rischi specifici e i settori lavorativi. Nell’impostare la trasferibilità delle conoscenze (e quindi l’informazione e la formazione) abbiamo lavorato basandoci su questa ripartizione e attenendoci al seguente modello: i gruppi di lavoratori immigrati, le donne, i lavoratori temporanei, i lavoratori anziani, i lavoratori giovani, i rischi nuovi ed emergenti (quali le nanotecnologie, gli agenti biologici, l’interfaccia uomo-macchina, l’impatto dei trend demografici e così via), nonché i settori ad alto rischio, di cui ho già detto.
L’impegno dell’ISPESL nella trasferibilità delle conoscenze, in rapporto alle nostre purtroppo scarse risorse finanziarie, é a nostro avviso economicamente significativo, dato che nel 2008 abbiamo utilizzato 3.700.000 euro. Disponiamo di numerosi prodotti di trasferibilità (circa 200), 800 pubblicazioni tecnico-scientifiche e, soprattutto, un sito web assai visitato: circa 3.500.000 di accessi medi mensili, con 11 milioni di pagine web, 40 banche dati e la possibilità di link con altri 15.000 siti a livello internazionale. Abbiamo anche istituito un particolare portale «Donna-salute-lavoro», con circa 200 documenti, connesso ad uno degli aspetti legati al lavoro femminile che ci ha visti presenti.
Dal punto di vista della formazione, l’impegno é relativamente modesto rispetto ad altri enti che hanno molte più risorse di noi. Ovvero 1.600.000 euro, ma abbiamo cominciato a stipulare interessanti accordi di collaborazione (il primo, con la Regione Abruzzo, altri sono in corso di definizione) per una formazione integrata di tutti gli operatori della sicurezza.
Abbiamo anche avviato il progetto «Lavoratori immigrati» con le università, per poter formare nella lingua del Paese di provenienza un certo numero di lavoratori. Abbiamo quindi sviluppato tutta una serie di corsi di formazione, sia per i soggetti della pubblica amministrazione, sia per i soggetti privati, in particolare per medici, igienisti del lavoro e ingegneri, con 27 moduli formativi già definiti.
Mi preme sottolineare che l’ISPESL sta dando un importante contributo per quel che riguarda il sistema informativo nazionale, cui dovranno confluire oltre al nostro Istituto, l’INAIL e le Regioni, anche altri soggetti, così come previsto dal decreto legislativo n. 81 del 2008. Abbiamo già messo a disposizione 114 profili di rischio di comparto, 130 soluzioni di valutazione e/o di sistemi di gestione del rischio, 89 buone pratiche e 40 safety check, cioè modelli di controllo per particolari settori da mettere a disposizione dei responsabili della sicurezza. Oltre a questo, abbiamo sistemi di sorveglianza, che cominciano ad essere abbastanza significativi: quello per gli infortuni mortali, di cui ho detto, che é già in atto; quello relativo alle malattie professionali; quello relativo ai mesioteliomi (ReNaM); il sistema di sorveglianza epidemiologica dei tumori del naso e il progetto OCCAM, un sistema di sorveglianza dei tumori di origine incerta, cioè quelli che non é possibile attribuire con certezza ad una esposizione professionale, ma che sicuramente sono ad essa correlati. Oltre a questo, disponiamo di una serie di banche dati, proprio per il fatto che già le precedenti leggi prevedevano procedure di registrazione (ad esempio, dei livelli di esposizione a elementi cancerogeni nei luoghi di lavoro, un sistema di raccolta dei dati per coloro che sono esposti a livelli di rumore al di sopra di un certo valore e così via).
Per quanto riguarda il monitoraggio delle attività di prevenzione svolte dai servizi competenti delle ASL, per effettuare il quale la Conferenza Stato-Regioni e il Ministero della salute ci avevano coinvolto, presso l’ISPESL é stata allestita una tecnostruttura per raccordare i dati.
Ritengo, quindi, che oggi il Governo sia in condizioni di capire qual é l’attività di prevenzione svolta dai servizi deputati. Ciò si ricollega al supporto che abbiamo fornito alle attività di monitoraggio del Ministero della salute per l’applicazione dei livelli essenziali di sicurezza nei dipartimenti di prevenzione delle ASL. Per chi fosse interessato, siamo in grado di dire in cosa é consistita la rilevazione di questi dati. In termini generali, questo é il contributo complessivo che stiamo cercando di dare per l’attuazione del decreto legislativo n. 81.

PRESIDENTE
La ringrazio, professor Moccaldi, per il quadro generale che ha tracciato. Tuttavia, vorrei comprendere gli effetti della vostra azione nelle relazioni con altri soggetti comunque chiamati a svolgere attività di prevenzione. Altrimenti, si rischia che ognuno racconti ciò che fa, mentre sarebbe importante conoscere il ritorno di queste azioni. Dal momento che mentre stiamo svolgendo questi incontri, il fenomeno purtroppo continua, in maniera anche drammatica, abbiamo bisogno di capire – queste audizioni servono anche a questo – cosa accade, al di là del vostro programma.
Vorremmo capire l’entità dell’impegno economico (che mi sembra esiguo, come mi sembra di aver colto) e, se possibile, disporre anche di una documentazione di bilancio, non perché vogliamo fare i revisori, ma per comprendere come un importante Istituto di ricerca come il vostro possa operare e con quale bilancio (a parte i 3.500.000 milioni circa ai quali lei ha fatto riferimento, ci sono altri cofinanziamenti, le intese con la Regione Abruzzo e con altre realtà).

MOCCALDI
Erano compresi.

PRESIDENTE
Vorremmo capire, altrimenti abbiamo una serie di strutture che non sappiamo però, al di là dell’impegno di chi vi opera e si prodiga, se siano ben tarate, anche come supporti, e soprattutto delle attività delle quali non conosciamo il ritorno. Il vostro Istituto ha sentito questi soggetti, ha inviato loro dei questionari, ha interloquito con le aziende sanitarie: vorrei sapere che tipo di riscontri ha avuto.

MOCCALDI
A mio parere, é prioritario attuare il più rapidamente possibile il coordinamento previsto dal decreto legislativo con riguardo al sistema di vigilanza (non mi addentro nell’argomento perché non riguarda esplicitamente il nostro Istituto se non per una parte molto esigua, che é quella delle strutture sanitarie); la stessa necessità di coordinamento, attraverso l’attivazione delle due cabine di regia che mi risulta siano in via di completamento, c’é per le attività di informazione e formazione, per creare quel sistema nazionale informativo che deve far arrivare la cultura della prevenzione a tutti i livelli, ivi compresa la scuola. Si può dire che l’ISPESL ormai coordina sostanzialmente la ricerca a livello nazionale, avendo creato una rete di ricerca con le università e con gli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, i cui obiettivi sono condivisi dalle Regioni, dalle organizzazioni datoriali e sindacali (Confindustria, ma anche le associazioni delle piccole e medie imprese). Ritengo quindi, avendo in pratica l’Istituto l’esclusiva quantomeno nella proposizione di programmi di ricerca, che il nostro Paese abbia fatto il massimo sforzo nell’attività di ricerca.
Certamente non si compie uno sforzo altrettanto valido per quanto riguarda i finanziamenti: l’ISPESL riceve dallo Stato circa 55 milioni di euro, previsti nella tabella C del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, ma sopravvive solo perché può svolgere, in base alla legge, anche servizi altamente tecnici e qualificati, quali la certificazione degli apparecchi e degli impianti a pressione, oltre ad attività di consulenza e formazione. Da tali attività deriva un budget molto significativo: circa 32 milioni di euro l’anno, pari a circa il 50 per cento delle risorse erogate dallo Stato, le quali ultime servono sostanzialmente per pagare gli stipendi e le spese per le utenze di luce, acqua, telefono e gas; a livello di investimenti l’Istituto si mantiene con le proprie iniziative di servizio attraverso le varie sedi territoriali.
Per quanto riguarda la formazione e la diffusione delle informazioni, credo sia opportuno che INAIL, ISPESL ed altri soggetti coordinino la propria azione proprio per evitare duplicazioni di interventi e nello stesso tempo per rafforzare sul territorio la presenza dei servizi che il nostro Istituto può offrire grazie alla propria capacità di ricerca, creando altresì tempestivamente gruppi di lavoro per fornire linee guida e buone prassi. A tal proposito, ricordo che nemmeno venti giorni dopo l’incidente avvenuto presso l’azienda Truck Center di Molfetta, in cui sono morti cinque operai, uccisi dalle esalazioni di acido solforico sprigionate da un’autocisterna e dovuto al mancato rispetto di una serie di norme, l’IPESL ha pubblicato sul proprio sito la linea guida generale per i lavori in vasca; questo non perché la legge non prevedesse, una normativa specifica, ma per offrire una guida tecnica chiara destinata ai datori di lavoro, alle organizzazioni dei rappresentanti dei lavoratori ed ai responsabili della sicurezza.
Infine, mi auguro che al più presto vengano realizzate le due cabine di regia previste dalla legge, all’interno delle quali ciascun organismo apporterà il proprio contributo.

PRESIDENTE
Vorrei porle nuovamente una domanda che le é stata già rivolta e forse le é sfuggita: quale ritorno avete? Ci ha descritto, infatti, le attività del vostro Istituto, tuttavia vorremmo da lei un’analisi dei risultati. Quali sono i riscontri che vengono dai soggetti interlocutori?
Come vive questa esperienza l’ISPESL? Questo mi interessa in particolare (e credo interessi tutti noi); diversamente le attività pur lodevoli che ci ha descritto rischiano di restare fini a sé stesse.

MOCCALDI
Un buon segnale sentinella sono i 3,5 milioni di accessi al nostro sito web: oggi tutti coloro che fanno prevenzione trovano molto utile il lavoro dell’ISPESL sintetizzato sul sito web (ricerche, linee guida, buone prassi, moduli formativi). L’Istituto dispone poi di osservatori tripartiti che comprendono i rappresentanti delle istituzioni, le organizzazioni datoriali e le organizzazioni sindacali: l’osservatorio delle piccole e medie imprese, al quale partecipano appunto le istituzioni centrali e regionali, le organizzazioni datoriali e le organizzazioni sindacali; cito allo scopo anche l’osservatorio nazionale per gli infortuni domestici; l’osservatorio nazionale per le microimprese; l’osservatorio nazionale per gli infortuni mortali e l’osservatorio epidemiologico degli ambienti di vita.

DE LUCA (PD)
Vorrei unirmi alla richiesta di chiarimenti del Presidente sul prezioso lavoro che fa l’ISPESL (come anche l’INAIL). Alla luce della fase di ritardo – che ovviamente non é responsabilità degli istituti di ricerca ma probabilmente rientra in una responsabilità di tipo culturale – rispetto alle tragiche vicende di infortuni anche mortali che sono purtroppo all’ordine del giorno, chiedo se non sarebbe il caso di imprimere un’accelerazione al coordinamento di tutti i soggetti preposti alla prevenzione anche rispetto al nuovo Testo Unico in materia, la cui attuazione – come ci ha riferito il Ministro in sede di audizione – dovrebbe essere a buon punto, seppure fra luci e ombre.
La questione certamente é anche di natura culturale; appunto per questo sarebbe opportuna un’azione di raccordo e di coordinamento di tutti i soggetti sul territorio, con fortissimi rapporti con gli enti locali e con le Regioni, con gli imprenditori, con le forze sociali, prestando semmai un’attenzione maggiore al lavoro che già svolgono il vostro Istituto e gli altri enti rispetto alla scuola e alla formazione (problema di fondo, che ritorna continuamente).
A tal riguardo, é necessario un coinvolgimento maggiore non solo del pubblico, ma anche dei privati in un settore che oggettivamente é indicativo del grado di civiltà di un Paese. Abbiamo fatto notevoli passi avanti rispetto a qualche decennio fa, ma credo che oggi, proprio in occasione della costituzione di questa Commissione d’inchiesta monocamerale per l’intera legislatura, sia più che mai opportuno un coinvolgimento a 360 gradi di tutti i soggetti che debbono occuparsi di garantire il lavoro e la sicurezza sui luoghi di lavoro. Diversamente saremo costretti a prendere atto di queste tragedie, partecipandovi emotivamente, senza tuttavia poter dare una risposta in termini di prevenzione e di formazione. Il problema non é stabilire cosa abbia fatto ciascun ente, ma in che modo tutti insieme possiamo riuscire a dare una risposta che metta la parola fine alla tragedia delle morti e degli infortuni sul lavoro.

DONAGGIO (PD)
Anzitutto ringrazio il presidente Moccaldi per la sua presenza. Anch’io ho alcuni dubbi ed alcune esigenze di chiarimento.
In primo luogo, mi sembra che l’ISPESL sia stato, almeno per qualche tempo, uno di quegli enti della cui utilità ed efficacia si discuteva parlando anche di una sua eventuale soppressione. Infatti era difficile capire come la funzione di prevenzione svolta dall’INAIL – che in larga parte é anche statutaria – si collegasse all’attività di formazione e soprattutto di prevenzione svolta dall’ISPESL.
Non vorremmo mantenere una serie di duplicazioni, tra l’altro piuttosto costose, anche perché mi sembra che il bilancio illustrato sia abbastanza consistente. Esistono moltissimi enti, mi riferisco ad esempio all’ex Istituto italiano di medicina sociale (ora Istituto per gli affari sociali), sulla cui efficacia o validità bisogna interrogarsi, anche per capire come si collegano alle attività di prevenzione di cui stiamo parlando.
Dunque, rispetto ad una situazione che non accenna ad essere scalfita, e dato che anch’io sono convinta che la prevenzione sia uno degli assi privilegiati che bisogna percorrere, le chiedo come si può procedere sul piano dell’integrazione delle funzioni dei vari enti per avere un risultato che sia misurabile.
Non ci possiamo rassegnare ai dati di questi giorni. Ritengo che ciò che é avvenuto, ad esempio, venerdì, con otto incidenti mortali in un’unica giornata, sia un dato al quale ci rapportiamo con un atteggiamento quasi di impotenza. Possono essere proposte centinaia di ricerche diverse, linee guida, interventi e quant’altro, ma cosa si può fare affinché l’azione di prevenzione venga effettuata nei luoghi e nelle sedi dove é realmente necessaria? In caso contrario, tutto il lavoro si riduce ad una semplice funzione di informazione a posteriori laddove sarebbe necessaria un’azione di intervento in termini preventivi.
Uno degli argomenti sui quali ci siamo interrogati nel corso delle prime riunioni della Commissione riguarda quello che io considero l’atto più importante ultimamente prodotto per cercare di dare un po’ di razionalità e di efficacia all’azione di contrasto, e cioè l’attuazione del Testo Unico. Se ho capito bene l’unica linea di azione che voi prevedete é quella della rilevazione epidemiologica, cioè un’azione di formazione per formatori; in secondo luogo, prevedete di estendere la rilevazione statistica, sempre sulla base della stessa legge, anche ai tumori al naso: forse é po’ poco rispetto all’azione preventiva indicata dal Testo Unico.
L’ISPESL ha sviscerato il decreto legislativo n. 81 per capire come fare sistema con gli altri punti di formazione e di prevenzione? Il vostro ruolo in questo disegno qual é? Non riusciamo a comprendere, infatti, come i numerosi enti e punti di prevenzione (tenuto conto che fanno prevenzione anche una serie di istituti che hanno una sorta di piccolo subappalto rispetto ai compiti che dovrebbero essere svolti dalle istituzioni pubbliche) agiscano per fare in modo che si abbassi il numero delle morti sul lavoro e per intervenire sulle cause che le determinano.
Voglio portare all’attenzione della Commissione ciò che sta avvenendo anche in questi giorni. I giornali di ieri e di oggi riportano notizie sulla diffusione dell’alcol-dipendenza che dovrebbero cominciare a far sorgere in noi qualche interrogativo. La diffusione dell’alcol-dipendenza e della dipendenza da droghe sta diventando un elemento pervasivo e invasivo, soprattutto nelle giovani generazioni. Si tratta di un campo di ricerca del tutto nuovo, di cui non avevamo conoscenza. Il nostro é un Paese dove l’avviamento al lavoro é precoce dal momento che abbiamo un dato di abbandono scolastico ancora molto elevato. Questo significa che i ragazzi vanno a lavorare presto. Se incrociamo questo dato con la crescita del fenomeno dell’alcol-dipendenza comprendiamo come occorra intervenire anche sul piano della prevenzione. Questi elementi nuovi dovrebbero essere considerati anche in prospettiva, mentre mi pare che si tenda a privilegiare il metodo tradizionale.

PRESIDENTE
Presidente Moccaldi, può rispondere alle domande fin qui poste, altrimenti può valutare se inviarci in seguito una memoria scritta. Infatti, come per l’INAIL, vorremo mantenere anche con il vostro Istituto un rapporto continuativo, trovando momenti di incontro per supportare il vostro lavoro, conoscerlo meglio e valorizzarlo in riferimento all’obiettivo comune che é quello di sconfiggere gli infortuni e le morti sul lavoro.

MOCCALDI
Il senatore De Luca ha posto in termini molto chiari il problema del coordinamento che avevo anch’io sollevato. Ebbene, l’ho detto prima e lo ripeto con maggior chiarezza: in un sistema complesso quale quello italiano, nel quale operano Regioni e altri enti e molti soggetti sono chiamati a fare la prevenzione nei luoghi di lavoro, ivi compresi gli enti bilaterali e le organizzazioni sindacali e datoriali, gli strumenti ci sono e sono quelli previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008; si tratta di attivare queste due cabine di regia, che devono mettere assieme tutti gli attori in materia, non solo l’ISPESL e l’INAIL, che sarebbe abbastanza facile coordinare con un intervento di ingegneria istituzionale. In realtà il problema é di non facile soluzione e dal punto di vista culturale – tanto per restare sul tema della cultura – potrebbe avere grandi controindicazioni giacché, come ho detto, non sono solo l’ISPESL e l’INAIL a dover fare formazione e informazione, ma si devono attivare anche la scuola, le unità sanitarie locali, gli ispettorati del lavoro, le Regioni, gli enti bilaterali, le organizzazioni sindacali e le organizzazioni datoriali, tutti soggetti che in Italia si occupano di formazione sulla sicurezza, basta scorrere i giornali o i siti delle varie istituzioni.
Si tratta, quindi, di dare una informazione e una formazione corrette, sufficienti e standardizzate sull’intero territorio nazionale, e cioè una informazione e una formazione che raggiungano realmente coloro cui sono indirizzate. Ci risulta che oggi nel nostro Paese, nella grande e nella media industria, i processi di formazione dei lavoratori avvengano, che i responsabili della sicurezza, i medici del lavoro e così via, siano ben formati.
La piccola impresa e la microimpresa, invece, sia per cultura del datore di lavoro, sia per mancanza di mezzi economici perché pressate da altre più contingenti difficoltà, hanno veramente difficoltà a considerare la sicurezza come un investimento e non come un sovrappeso, una tassa in più che debbono sopportare nel ciclo produttivo. È questo settore che dobbiamo raggiungere e per fare ciò dobbiamo mettere assieme tutte le forze, perché quelle attualmente presenti in Italia non sono adeguate per raggiungere standard sufficienti ad allargare a tutto il sistema Paese la cultura della sicurezza. Da qualcosa dobbiamo iniziare. La mia opinione é che, innanzitutto, occorra mettere presto in funzione meccanismi di coordinamento, che quantomeno riuniscano tutte le istituzioni deputate.
Con l’INAIL e le Regioni già da qualche anno collaboriamo volontaristicamente cercando di non sovrapporre le nostre iniziative; però se questo avvenisse in un ambito più coordinato da parte del sistema Stato-Regioni sarebbe sicuramente più produttivo.
In merito, poi, alla giusta osservazione della senatrice Donaggio, circa il fatto che l’ISPESL e l’INAIL – ha citato anche l’ex Istituto di medicina sociale – sono un esempio di enti che, più o meno, fanno le stesse cose e quindi, al di là di eventuali processi di ingegneria istituzionale, dovrebbero essere identificati in un’unica entità, vorrei sottolineare che l’INAIL nasce come istituto assicuratore e poi, nel tempo, si é occupato anche di prevenzione, laddove l’ISPESL nasce come istituto tecnico scientifico, quindi con una configurazione completamente diversa. Operiamo assieme per quel che riguarda la formazione e l’informazione. Il valore aggiunto che l’ISPESL ritiene di dare é che il nostro sistema attua un immediato trasferimento dalla ricerca al territorio e non compie un’acquisizione in via indiretta, come fa o deve fare l’INAIL, che non ha un retroterra tecnico- scientifico. Noi diamo immediatamente conoscenza, protocolli, moduli formativi e linee guida. In altre parole, tutti, come giustamente ha detto la senatrice Donaggio, elaborano linee guida, però vi garantisco che quelle che hanno una validità scientifico-tecnica più significativa sono le linee guida che il nostro Istituto elabora insieme ad altri o che comunque escono dall’ISPESL. Questo perché i nostri ingegneri, i nostri fisici e i nostri chimici, medici partecipano al sistema dell’elaborazione normativa europea; abbiamo contatti con il mondo della ricerca a livello internazionale e siamo in grado di offrire immediatamente i risultati. È una questione nodale: un Paese tecnologicamente avanzato deve avere alle spalle una forte ricerca e una forte attività di acquisizione di conoscenze e noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di fare questo e cioè di essere il punto di riferimento tecnico-scientifico del nostro Paese nel settore della prevenzione e della sicurezza. Tutto ciò ha portato, negli ultimi anni, ad un forte accordo culturale e organizzativo con la Conferenza Stato-Regioni, e quindi con i rappresentanti delle varie Regioni. Con l’INAIL abbiamo fatto tutto il possibile e, torno a ripetere, per migliorare ulteriormente il sistema ci aspettiamo un coordinamento più stringente, che peraltro é previsto anche dal nuovo Testo Unico.
Vorrei ora, in relazione all’aspetto del «ritorno» dei processi formati, dare la parola al dottor Capozza, affinché illustri brevemente un progetto statunitense e che stiamo per applicare.

CAPOZZA
Il Presidente ha posto un problema oggettivo, che ci siamo posti anche noi, ossia quello della verifica dei risultati dell’investimento nella formazione. Abbiamo studiato l’esperienza normativa in ambito internazionale e abbiamo trovato negli Stati Uniti, come noto all’avanguardia in questo settore, una metodologia messa a punto da un’università americana, consistente nell’effettuare la formazione in un’azienda o in una struttura lavorativa e, a distanza di un anno, verificarne gli effetti.
Ad esempio, presa un’azienda ad alto tasso di incidenti sul lavoro, nella quale si sono verificati 100 incidenti in un anno, si monitorizza il numero di incidenti occorsi a distanza di sei mesi dalla conclusione della formazione.
Ebbene, con questa metodologia, che incide sul metodo comportamentale, si é registrata una diminuzione concreta di questi ultimi. Abbiamo stretto un accordo con questa università americana e con la struttura italiana esistente e stiamo per stringere un accordo con Confindustria in ambito nazionale per applicare tale metodologia di verifica all’attività che viene svolta presso le aziende o le strutture ospedaliere per riscontrare quello che appunto il Presidente della Commissione chiedeva e cioè se l’investimento ha un ritorno. L’esperienza statunitense, ormai collaudata, ha dato risultati concreti.

PRESIDENTE
Ringraziamo il Presidente dell’ISPESL e i dirigenti che lo hanno accompagnato, restando in attesa di conoscere quale ritorno il loro Istituto ha rispetto alla sua attività, perché abbiamo bisogno di conoscere questo dato.
Dichiaro conclusa l’audizione.
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Fonte: Senato della Repubblica