Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
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SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico



Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 8, mercoledì 5 novembre 2008



Audizione del presidente dell’INPDAP e del presidente dell’INPS

Presidenza del presidente TOFANI


Intervengono, per l’Istituto nazionale di previdenza ed assistenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica: il dottor Paolo Crescimbeni, presidente, accompagnato dal dottor Vincenzo Caridi, direttore centrale del personale, dal dottor Costanzo Gala, direttore centrale pensioni, e dal dottor Bernardo Filippello, coordinatore consulenza statistico-attuariale; per l’Istituto nazionale della previdenza sociale: il dottor Antonio Mastrapasqua, presidente.

Audizione del Presidente dell’INPDAP



PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca l’audizione del Presidente dell’INPDAP (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica).
Comunico che, ai sensi dell’articolo 33, comma 4, del Regolamento è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo e del segnale audio e che la Presidenza del Senato ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso. Se non vi sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Do il benvenuto al dottor Crescimbeni, presidente dell’INPDAP, al dottor Vincenzo Caridi, al dottor Costanzo Gala e al dottor Bernardo Filippello. Ricordo che questa Commissione sta facendo serie di audizioni per affrontare e possibilmente contrastare il drammatico fenomeno delle morti sul lavoro, su cui c’è poco da aggiungere e molto da fare.
Cedo quindi la parola al dottor Crescimbeni, ringraziandolo per i suggerimenti e le indicazioni che ci fornirà, che saranno senz’altro utili per il nostro lavoro.

CRESCIMBENI
Signor Presidente, la ringraziamo per l’opportunità che ci ha offerto e per la sensibilità istituzionale, ma non solo, che dimostra verso problemi di questa portata, che sono attualmente oggetto di grande attenzione a livello nazionale. Proprio oggi a questo tema è dedicato un articolo pubblicato su un quotidiano nazionale, dal titolo: «Non abbassiamo la guardia».
Non abbassiamo la guardia: sebbene il fenomeno sia ritenuto in fase di recessione, dato che i numeri segnano una flessione degli incidenti sul lavoro, questi tuttavia rappresentano ad oggi una gravissima emergenza nazionale. Lo stesso dato della diminuzione dell’1,7 per cento – ove fosse rispondente al vero – non potrebbe in ogni caso rincuorarci più di tanto. È un dato che può avere un suo significato in presenza di un’occupazione che cresce, anche se ciò non riguarda il settore del pubblico impiego, dove l’occupazione non cresce e dove, quindi, non possiamo neanche incrociare questi due dati (ossia quello della diminuzione degli infortuni con quello della crescita dell’occupazione).
Ci rendiamo conto che manca ancora una visione sistematica del problema, nonostante il grande contributo che il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, ha dato rispetto alla normativa precedente, che pure aveva segnato un periodo della nostra storia giuslavoristica. Purtuttavia, mancano delle direttive europee che uniformino le discipline in materia di infortuni e di malattie professionali, volte ad armonizzare i vari sistemi.
Sta però prendendo corpo il principio di una sorta di responsabilità oggettiva del datore di lavoro: mi riferisco, in particolare, all’articolo 2087 del codice civile, il quale contiene una disposizione che (specie agli occhi di chi, come me, ha fatto la libera professione) ha avuto una continua riattualizzazione perché si è mostrata una norma di chiusura del sistema particolarmente efficace. In fondo, è ancora quello spirito che sta ispirando la normativa in materia.
Se un suggerimento di carattere generale si può dare (so di non essere originale in questo, ma il tema è senz’altro di quelli strategici), è certamente quello che, sulla disciplina degli infortuni, si parta dall’educazione nelle scuole. Si tratta infatti di una coscienza che deve nascere prima del cantiere e della fabbrica, posto che, malgrado le normative impongano formazione, cautele e ogni sorta di avvertimento, troppo spesso vi sono delle violazioni a livello informativo e formativo. Tali normative rappresentano un costo e l’impresa, quando può, tende ad eludere o a contenere questi costi in modo abnorme e, quindi, in modo illegittimo.
La formazione dei giovani nella vasta materia infortunistica (che non è sicuramente quella del lavoro, anche se è questa che stiamo esaminando) deve essere oggetto di un’attenzione da parte dei Ministeri preposti, ossia il Ministero del lavoro e della previdenza sociale e quello dell’istruzione, dell’università e della ricerca. Si deve fare un’operazione congiunta; certo, ci piacerebbe leggere che dal prossimo anno scolastico i ragazzi, oltre a portare il grembiulino e ad avere il maestro unico, possano usufruire anche di un buon insegnamento in materia antinfortunistica.
Mi sono dilungato un po’ in questa premessa proprio in ragione del ruolo in fondo non centrale che l’Istituto ricopre con riguardo a questo tipo di problematiche. Mi sono inoltre permesso di portare una memoria che non illustro, ma che mi limito ad enunciare e che lascio a disposizione dei commissari, riguardante un aspetto forse secondario dell’infortunistica sul lavoro, ma importante per chi ne viene colpito. Sto parlando del tema degli indennizzi, rispetto al quale nel pubblico impiego si registrano delle disparità, delle differenze normative di riconoscimento delle invalidità e delle inabilità che richiederebbero un riordino legislativo. Su questo aspetto – ripeto – non mi dilungo per non tediarvi con vari passaggi normativi, ma si tratta di una materia che va sicuramente riesaminata per estendere la disciplina degli statali a tutto il pubblico impiego, rispetto al quale le varie normative in materia di riconoscimento di lesioni, malattie e infortuni che derivino da causa di servizio risultano invece ancora un po’ frazionate. Sto parlando dell’equo indennizzo, della pensione privilegiata ordinaria, dell’indennità una tantum per le patologie di minore entità, dell’aspettativa retribuita, dei rimborsi di spese di cura e dei trattamenti accessori alla pensione diretta privilegiata. Benefici tutti giusti, che devono però essere riconosciuti e disciplinati in modo più uniforme.
A tal proposito, mi sono permesso di sottoporre al vostro esame una bozza di proposta legislativa da inserire, eventualmente, nella prossima legge finanziaria, la quale contiene anche alcune indicazioni relative all’attuazione, all’interno dell’INPDAP, del decreto legislativo n. 81 (ossia quel che l’azienda INPDAP fa al proprio interno per attuare il decreto citato, e non con riferimento a tutto il mondo del pubblico impiego, tema su cui non avremmo titolo a intervenire).
Per quanto mi riguarda, non ho altro da aggiungere e sono disponibile, insieme ai dirigenti che mi accompagnano, a rispondere ad eventuali domande.

DONAGGIO (PD)
Innanzitutto ringrazio il presidente Crescimbeni, al quale rivolgo subito qualche domanda.
Al di là dei trattamenti che sono conseguenti a determinate condizioni, a me interesserebbe capire se, rispetto alle pensioni che vengono liquidate dal sistema pubblico, c’è modo di risalire anche alle cause di invalidità, oppure se, rispetto ad alcuni eventi, siamo in presenza, all’interno del settore pubblico, di decessi per cause di servizio. Vorrei inoltre sapere in quali ambiti questi si verificano e le conseguenze che hanno sul piano dei trattamenti rispetto ai possibili eredi o comunque ai familiari coinvolti.
Credo anche che sarebbe interessante ragionare sulle cause invalidanti di servizio (non solo di fronte all’evento più tragico, che è la morte), rispetto alle quali dovrebbero funzionare tutte le norme di prevenzione e di modifica della modalità con cui viene erogata la prestazione, perché l’asse centrale della normativa sulla sicurezza del lavoro è la prevenzione.
Come vengono assicurati per cause di servizio, per infortuni o per malattie professionali i dipendenti pubblici? C’è un’unica disciplina? Parlavamo di trattamenti, ma bisogna capire se dal punto di vista assicurativo ci sia una normativa che consideri le condizioni di pericolosità o il grado di esposizione al rischio nei vari comparti.
Siccome non sono mai stata una sostenitrice di chi chiama i dipendenti pubblici «fannulloni», penso che ci sia bisogno di capire bene le condizioni in cui si lavora. L’episodio dei sei dipendenti comunali morti nella vasca di svuotamento in Sicilia fa capire che anche nel settore pubblico ci si può trovare di fronte a lavori pericolosi sul piano fisico. Non so se la mia domanda è chiara: a me interesserebbe mettere a fuoco la condizione del dipendente pubblico in ordine agli infortuni, iniziando col sapere chi viene assicurato e su cosa viene assicurato.
Mi chiedevo, inoltre, se potete indicarci, evincendolo dai dati di erogazione dei vari tipi di prestazione previdenziale (per invalidità, malattie professionali e cause di decesso) dove si verificano questi fenomeni e, in ultimo, se attraverso una ricostruzione storica è possibile enucleare alcuni elementi che indichino se ci sono stati aumenti, diminuzioni o se i dati sono rimasti inalterati. Come potrebbe agire, a vostro parere, la normativa in vigore, il Testo unico sulla sicurezza, per ridurre gli infortuni e le morti sul lavoro?

GALA
Signor Presidente, onorevoli senatori, non voglio assolutamente tirarmi da parte dicendo che in questo momento l’INPDAP non vi può aiutare. La normativa di settore che regola il pubblico impiego, come diceva il presidente Crescimbeni prima, è la più variegata possibile e divide le responsabilità per quanto riguarda infortuni e malattie derivanti da cause di servizio, perché sono gli enti datori di lavoro che gestiscono la materia, utilizzando il comitato per le pensioni privilegiate che è una struttura del Ministero dell’economia e finanze. Sulla base delle visite mediche effettuate presso le commissioni medico-ospedaliere, si valuta se la malattia o l’infortunio avvenuto in servizio sia o meno derivante da causa di servizio; nel primo caso si avrebbe quello che per l’INAIL può essere un risarcimento del danno e che nel pubblico si chiama «equo indennizzo».
Quanto vi ho detto è frutto del mio bagaglio personale, perché l’INPDAP non ha conoscenza diretta dell’equo indennizzo; forse ne ha solo una conoscenza indiretta qualora, al termine dell’attività lavorativa, un soggetto acquisisca il diritto alla pensione di privilegio (che viene erogata a chi è costretto a smettere di lavorare per inabilità dipendente da causa di servizio) e, in funzione di un’erogazione continuativa nel tempo, recuperi il 50 per cento dell’equo indennizzo.
Come direttore centrale delle pensioni vengo a conoscenza del fatto che un soggetto ha ricevuto un determinato beneficio solo nel momento del collocamento a riposo e solo se quello stesso soggetto ha ritenuto di chiedere la pensione privilegiata. Fra l’altro, le pensioni privilegiate non si distinguono, quanto alla loro emissione, tra pensione erogata per un infortunio sul lavoro ovvero per una malattia da causa o concausa del servizio stesso. Le nostre statistiche, quindi, mostrano un dato relativo – il dottor Filippello ve lo confermerà – alle pensioni di privilegio che possono essere dirette o indirette, erogate cioè ai congiunti di coloro i quali muoiono in servizio. Che la pensione privilegiata venga erogata in seguito ad un infortunio ovvero ad una malattia derivante da causa di servizio (voi conoscete la differenza sostanziale tra le due circostanze; a tutt’oggi si discute se, per esempio, il tumore o le malattie cardiocircolatorie possano o meno essere considerati malanni derivanti da stress o altro) a noi, allo stato dell’arte, non è dato saperlo.
Esiste peraltro una distinzione, cui faceva riferimento il Presidente, relativa ad una procedura storica degli enti locali, che risale addirittura al 1917, e che stiamo tentando di modificare con un progetto di legge volto a creare una procedura unica che almeno faccia chiarezza nei confronti dei dipendenti e dei collocati a riposo.
C’è poi da fare un’altra considerazione: le pensioni privilegiate sono stabili; i numeri non sono eccessivamente elevati. D’altronde, la disciplina del decreto legislativo n. 626 del 1994 e, poi, del decreto legislativo n. 81 del 2008 viene osservata nel pubblico impiego, proprio per evitare che l’infortunistica possa essere causa di decesso, che è l’argomento di cui stiamo discutendo.
Quanto ai dipendenti INPDAP (e non come gestori di una prestazione che non compete a noi, perché siamo un ente previdenziale), il dottor Caridi potrebbe illustrare come, al pari di tutti gli altri dipendenti pubblici, siano iscritti sia all’INAIL per una forma di assicurazione dell’ente datore di lavoro perché le norme che regolano il rapporto di pubblico impiego permettono al lavoratore infortunato o malato di avere una copertura per circa 36 mesi (18 mesi più 18). Infatti, un lavoratore pubblico, ancorché non percepisca lo stipendio, dal punto di vista previdenziale è coperto almeno per 36 mesi, a prescindere dal fatto che si tratti di infortunio o di malattia.

PRESIDENTE
Ringrazio il direttore per averci fornito elementi di riflessione su attività importanti perché chiamano in causa anche le malattie professionali. Questo ci permette di approfondire meglio l’argomento sollevato dalla collega Donaggio e da lei illustrato in modo approfondito.

CRESCIMBENI
Il dottor Caridi vorrebbe, se possibile, fare ancora alcune osservazioni relative alla copertura assicurativa, poiché le risposte sulle prestazioni sono state parziali, dal momento che esse sono indistinguibili rispetto alle cause che le determinano. La copertura assicurativa, per alcuni aspetti, ha rappresentato anche per me, al mio ingresso nell’INPDAP, degli elementi di novità rispetto alle mie conoscenze fino a quel momento.

CARIDI
I dipendenti dell’Istituto sono iscritti all’INAIL, come tutti i dipendenti pubblici che utilizzano macchinari, impianti o che comunque svolgono attività particolari. Per questo l’Istituto, come qualsiasi altro ente datore di lavoro pubblico, paga un premio del 4 per mille rispetto alla retribuzione della forza lavoro dell’Istituto stesso, retribuzione che l’INAIL, in caso di infortunio di un lavoratore, restituisce poi all’INPDAP.
In sostanza, se un lavoratore INPDAP si infortuna, il periodo di infortunio viene restituito sotto forma di pagamento dall’INAIL direttamente all’INPDAP; non va al lavoratore perché questi è coperto da una previsione contrattuale sulla malattia e sull’infortunio; pertanto riceve la retribuzione da parte del datore di lavoro INPDAP per il periodo di infortunio. Questa copertura assicurativa, relativa a infortuni e a malattie professionali, l’INPDAP la assicura pagando un premio annuale all’INAIL.

PARAVIA (PdL)
Voi avete detto prima, in risposta alla senatrice Donaggio, che non avete di fatto cognizione dei casi di decessi, di infortuni gravi o di malattie professionali perché in realtà non siete costituiti in giudizio. Se non ho capito male, avete cognizione di questi casi solo quando vi viene richiesta la pensione privilegiata; fino a quel momento non siete in grado di fornire dei dati, e questo mi lascia molto perplesso.
Mi meraviglia che dal 1917 (anno a cui risale la legge di riferimento) ad oggi non siate riusciti ad avere un rapporto diretto (visto che lo avete con l’INAIL e pagate anche dei premi per i dipendenti dell’Istituto) con coloro che non fanno parte dell’Istituto (come i dipendenti di enti locali, i bidelli di scuola, o qualsiasi altro soggetto iscritto all’INPDAP ai fini pensionistici) e che non siate riusciti a stabilire un minimo di sinergia.
Non intendo qui aprire una polemica sui cosiddetti fannulloni, ma credo che nel settore pubblico si ragioni male. Penso, da uomo di impresa, che sia un grave che enti così importanti non riescano, nel corso degli anni, attraverso i vari uomini o donne che li gestiscono (perché presuppongo ci sia un ricambio, forse non nella struttura che riguarda il direttore centrale, ma certamente nei vertici e nel consiglio di amministrazione) a risolvere un problema anche in termini di comunicazioni formali, al di là di ciò che è previsto dalla legge.
Raccolgo con piacere la proposta che avete avanzato oggi, ma il mondo non nasce il 5 novembre del 2008; mi chiedo quindi come mai in precedenza non si sia dato luogo ad uno scambio di informazioni in modo tale da avere degli archivi storici aggiornati al fine di svolgere meglio la vostra funzione pubblica, perché ricordo che rappresentate un ente previdenziale e avreste quindi dovuto autoassumervi degli oneri in questo senso.

PRESIDENTE
Penso che il quesito che vi ha posto il collega Paravia sia più rivolto alla politica che a voi.

PARAVIA (PdL)
Il quesito è rivolto in parte anche a loro, perché avrebbero dovuto avere la sensibilità di porsi prima il problema. Per questo chiedevo loro qualche cenno storico, per sapere se in precedenza sia stato posto questo problema; nei due anni di lavoro della nostra Commissione non mi pare di avere ascoltato nulla del genere. È vero che vi era un altro consiglio di amministrazione, ma chi oggi rappresenta l’Istituto deve farsi carico anche di problemi pregressi. Non so se la mia osservazione è giusta, ma, come la senatrice Donaggio, sono rimasto perplesso e disarmato di fronte ad un’ammissione del genere.

CRESCIMBENI
L’INPDAP è nato appena 14 anni fa dall’unione di diversi enti previdenziali che trattavano tutto tranne questa materia specifica. Stiamo lavorando alacremente per gestire quello che ci è stato affidato dalla legge. Non ho modo oggi, nell’ambito delle problematiche pubbliche in generale, di acquisire ulteriori competenze, visto che la legge ad oggi non ce le attribuisce; probabilmente, in una politica più vasta, sarebbe giusto che l’INPDAP potesse acquisire tali competenze, se fosse anche un ente di assistenza e non, come oggi è, solo di previdenza. Capire i motivi per i quali i dipendenti pubblici in attività muoiono a causa del servizio non mi pare sia, in questo momento, competenza dell’INPDAP.

DONAGGIO (PD)
Senatore Paravia, volevo che fosse formalizzato che i rappresentanti dell’INPDAP ci hanno detto qualcosa che noi dovremo valutare: l’accertamento dell’invalidità per il lavoratore pubblico avviene attraverso modalità diverse rispetto a quelle previste per il lavoratore privato. Vi sono commissioni di valutazione distinte, e poiché tutto si chiude in quell’ambito, l’ente previdenziale non è in grado di fornirci dei dati.
Penso, invece, che si debba andare verso l’equiparazione fra privato e pubblico anche per quanto riguarda il sistema di assicurazione e di accertamento; è un elemento che per ora notiamo attraverso il dato statistico, ma che poi dovremo riprendere attraverso l’intervento normativo. Conosco il meccanismo che voi descrivete: commissioni distinte e separate dove ogni amministrazione si chiude in se stessa. Ma questo molte volte impedisce la trasparenza rispetto agli accertamenti delle cause di invalidità.
È pur vero che il settore pubblico solo da poco tempo ha un ente previdenziale, perché una volta lo Stato agiva come se si trattasse di una partita di giro e non pensava di dover contabilizzare la propria spesa previdenziale.
L’INPDAP nasce proprio per questo. Bisogna spingere nella direzione di una modernizzazione di tutto il sistema.

PRESIDENTE
Si è toccato un argomento di straordinario interesse; cercheremo di far tesoro delle considerazioni qui svolte, anche in riferimento alle nostre specifiche competenze.
Ringrazio il presidente Crescimbeni, il dottor Vincenzo Caridi, il dottor Costanzo Gala e il dottor Bernardo Filippello per il loro contributo e per la bozza di disegno di legge che hanno predisposto e che sarà nostra cura approfondire.
Dichiaro conclusa l’audizione.


Audizione del Presidente dell’INPS

PRESIDENTE
L’ordine del giorno prevede ora l’audizione del dottor Antonio Mastrapasqua, presidente dell’INPS (Istituto nazionale della previdenza sociale), che ringrazio, a nome della Commissione tutta, per la sua presenza.
Il motivo per cui abbiamo chiesto un’audizione anche dell’Istituto nazionale della previdenza sociale è quello di disporre di un quadro di maggiori conoscenze e notizie relative al mondo del lavoro, che riguardano, sì, direttamente gli infortuni, ma anche una serie di situazioni, di cause e di concause che concorrono alla determinazione degli infortuni stessi. Del resto, conosciamo l’organizzazione dell’ente che lei rappresenta, dottor Mastrapasqua, e so che lei potrà senz’altro fornirci utili elementi non solo in questa sede, visto che la nostra sarà una collaborazione che – mi auguro – continuerà nel tempo.
Cedo quindi la parola al presidente Mastrapasqua.

MASTRAPASQUA
Signor Presidente, innanzitutto ringrazio la Commissione per questo invito. Svolgerò qualche breve riflessione e vi fornirò alcuni dati; sono, ovviamente, disponibile per qualsiasi eventuale richiesta di approfondimento.
Noi tutti sappiamo quanto il fenomeno delle morti bianche, e il dilagare di questi eventi, rappresenti un tema importante nello scenario italiano, tale da generare anche l’esigenza di costituire una Commissione parlamentare di inchiesta. Al contrario di altre amministrazioni direttamente preposte al contenimento degli infortuni sul lavoro (penso, ad esempio, all’INAIL), l’Istituto che presiedo svolge fondamentalmente la funzione di ente erogatore di prestazioni in determinate circostanze collegate ad una situazione di invalidità o inabilità risultante in rapporto diretto con una causa di servizio.
L’INPS svolge al contempo, tramite un’efficace azione di vigilanza sul lavoro sommerso, un’attività che indirettamente influisce sul fenomeno degli infortuni sul lavoro e che si esplica attraverso il controllo sulle aziende.
Tengo particolarmente a questo passaggio, perché l’ultima direttiva del ministro Sacconi e le ulteriori direttive che l’INPS sta adottando vanno sempre più nel senso di combattere il lavoro nero. È infatti abbastanza intuibile che il lavoro nero significhi anche scarsa sicurezza sul lavoro: è un lavoro precario non dal punto di vista contrattuale, ma della sicurezza.

PRESIDENTE
Ma anche contrattuale.

MASTRAPASQUA
Anche contrattuale, ovviamente, ma in questa sede rilevano più gli aspetti relativi alla sicurezza che non le ispezioni incentrate prevalentemente sugli aspetti formali. Ad ogni modo, ripeto che l’ultima direttiva del Governo, che noi abbiamo recepito e trasformato in nostre direttive, sta andando in questa direzione.
Parallelamente alla funzione di erogazione di prestazioni, l’INPS è un datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti e, come tale, si concentra sulla prevenzione, dotandosi di un’apposita struttura con relativi satelliti sul territorio, approntando appositi corsi di formazione per tutto il personale e costituendo opportuni gruppi di lavoro per fronteggiare eventuali evenienze.
Non da ultimo, sottolineo che, nell’ambito generale delle sinergie tra le pubbliche amministrazioni, INPS ed INAIL hanno sottoscritto già nel gennaio 1984 una convenzione, attualmente in vigore, per coordinare l’erogazione delle indennità per inabilità temporanea assoluta da infortunio sul lavoro e da malattia professionale e dell’indennità di malattia, nell’ottica di offrire servizi sempre più efficienti ed efficaci.
Proprio in questi giorni, però, si è ritenuto di rivisitare la Convenzione in essere per attuare una contrazione dei tempi di trattazione dei cosiddetti casi controversi, con correttivi che perseguono lo scopo di venire incontro alle esigenze del cliente esterno in termini di attenzione, garanzia, tempi certi e riduzione del disagio, obiettivi chiaramente definiti dall’articolo 1 della Convenzione stessa che recita: «l’INAIL e l’INPS sono impegnati ad adottare, nei casi di dubbia competenza (...) tutte le soluzioni necessarie a garantire agli assicurati stessi, per i periodi di assenza dal lavoro, la corresponsione di prestazioni economiche in misura pari all’indennità di malattia prevista dalle vigenti norme di legge».
Analizzando nel dettaglio i dati che si riferiscono alle cosiddette prestazioni privilegiate (ossia assegni e pensioni erogati dall’Istituto, collegati ad una condizione di invalidità o di inabilità avente nesso eziologico con una causa di servizio), si rileva che gli assegni e le pensioni privilegiate sono collegati alle condizioni di invalidità e di inabilità e spettano anche in mancanza dei requisiti di assicurazione e contribuzione, di cui all’articolo 4 della legge 12 giugno 1984, n. 222, quando l’invalidità o l’inabilità risultino in rapporto causale diretto con finalità di servizio, e dall’evento non derivi il diritto a rendita a carico dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali.
L’erogazione della pensione privilegiata è concessa anche ai superstiti dell’assicurato purché la morte dell’iscritto risulti in rapporto causale diretto con finalità di servizio e dalla morte dell’iscritto non derivi ai superstiti il diritto a rendita a carico dell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali o a trattamenti continuativi di natura previdenziale o assistenziale a carico dello Stato o di altri enti pubblici.
Particolari disposizioni normative relative ai fondi speciali di previdenza prevedono il riconoscimento di pensioni cosiddette di invalidità specifica (che sono reversibili) anche nel caso in cui l’invalidità sia stata determinata da causa di servizio ed impedisca permanentemente lo svolgimento delle attività che consentono l’iscrizione ai fondi medesimi.
Sono altresì previsti casi di spettanza di assegni accessori ai grandi invalidi titolari di pensione privilegiata diretta a carico del fondo speciale Ferrovie dello Stato S.p.A.
Nei confronti dei cosiddetti grandi invalidi titolari di pensione privilegiata diretta, sono infatti previsti particolari assegni accessori nel caso che le infermità e, ovviamente, le lesioni dipendenti da fatti di servizio siano valutate, singolarmente e complessivamente, di gravità tale da dover essere ascritte per assimilazione alla prima categoria della tabella A annessa al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, ed eventualmente anche alla tabella E, che contiene l’elenco delle patologie più gravi tra quelle indicate nella prima categoria. Il numero complessivo di tali assegni è di 51, per un importo medio di 1.000 euro.
I dati estratti dagli archivi dell’INPS inerenti agli assegni privilegiati di invalidità, alle pensioni privilegiate di inabilità o ai superstiti erogate per cause di servizi in pagamento al 30 settembre 2008 evidenziano un trend crescente del riconoscimento della corresponsione delle stesse prestazioni. Tralasciando l’aspetto relativo al semplice aumento degli importi delle prestazioni, effetto dell’istituto della perequazione annuale, attraverso analisi dei dati disaggregati per settori, si evince un aumento delle prestazioni dirette a favore degli iscritti al Fondo speciale ferrovieri pari al 75 per cento (293 nel 2005 e 515 nel 2008), nonché un ulteriore aumento degli assegni a beneficio dei superstiti, pari al 313 per cento (29 del 2005 e 91 nel 2008). Il dato della gestione ferrovieri va ulteriormente rivalutato alla luce del fatto che per il 2008 il rilevamento si riferisce alla data del 30 settembre e si tratta, quindi, di un dato parziale soggetto ad ulteriore variazione a rialzo fino alla fine dell’anno.
Per converso, l’andamento delle prestazioni dirette a favore degli iscritti nell’assicurazione generale obbligatoria (AGO) evidenzia una costante diminuzione. Infatti, lo scostamento tra l’anno 2005 e l’anno 2008 è pari a meno 7,70 per cento, mentre gli assegni a beneficio dei superstiti registrano un aumento dell’11 per cento circa. Analizzando sistematicamente e complessivamente la serie storica dei dati aggregati messa in evidenza, emerge quindi una sostanziale stabilità delle prestazioni, con un lieve calo nell’ultimo anno per quanto riguarda il numero delle dirette (che da 2.186 del 2007 si riducono a 2.161), mentre i trattamenti ai superstiti registrano un ulteriore aumento (dagli 8.506 del 2005 sono passati ai 9.535 del 2008).
La diminuzione del numero delle dirette è probabilmente imputabile agli interventi normativi, alla politica di sensibilizzazione della tutela dei lavoratori nonché alla maggior incisività e cadenza dei controlli sui luoghi di lavoro. Si puntualizza, infine, che, per quanto riguarda i lavoratori autonomi, con particolare riferimento agli iscritti alla gestione artigiani e commercianti, la tendenza alla diminuzione delle prestazioni dirette è bilanciata da una crescita continua e costante delle prestazioni erogate ai superstiti.
Infatti, lo scostamento tra l’anno 2005 e l’anno 2008 è pari al 38,46 per cento (36 nel 2005, 26 nel 2008), mentre gli assegni a beneficio dei superstiti registrano un aumento del 26 per cento (da 1.500 del 2005 a 1.800 del 2008).

PRESIDENTE
Questi dati sono importanti, presidente Mastrapasqua, ma noi vorremo fare con lei un’altra riflessione. Tenendo presente la specificità di questa Commissione, a noi interessa capire quali ulteriori azioni l’INPS sta ponendo in essere sul territorio, visto che abbiamo già avuto modo di sentire in altre occasioni il rappresentante dell’Istituto, per la lotta al lavoro sommerso. Mi riferisco, in altre parole, ai controlli cui siamo particolarmente interessati.
Vorremmo pertanto sapere se c’è un raccordo con l’INAIL (al di là del Protocollo INPS-INAIL che conosco e che riguarda altro tema) e con gli altri soggetti che operano sul territorio per conoscere le condizioni di lavoro al fine di porre in essere un’azione di prevenzione.
L’aspetto richiamato prima è, direi, minimale a fronte delle tematiche che siamo chiamati a svolgere con la nostra azione.

MASTRAPASQUA
Indubbiamente l’Istituto svolge un’azione di prevenzione sul sommerso attraverso la propria vigilanza.

PRESIDENTE
Ci può fornire degli elementi, dei dati e, soprattutto, indicare delle strategie? Saremmo molto interessati.

MASTRAPASQUA
Posso innanzitutto riferirvi dell’attività svolta in questi primi nove mesi che, per esempio, in agricoltura ha avuto tre focus principali: l’individuazione dei rapporti di lavoro inesistenti e, quindi, la prevenzione delle truffe che avrebbero portato all’esborso di prestazioni non dovute (questo dal punto di vista economico), il recupero dei contributi e le verifiche della mancata iscrizione dei lavoratori autonomi che, pur beneficiando degli aiuti alla produzione agricola erogati dall’Agenzia per le erogazioni in agricoltura (AGEA) e dalla Comunità, si sono iscritti alla competente gestione degli agricoli.
Nella prima metà dell’anno, inoltre, sono state effettuate delle campagne in collaborazione con le forze ispettive del Ministero del lavoro – come lei diceva poc’anzi – e dell’INAIL operando, comunque, ciascuno in un territorio di propria competenza per il controllo di alcuni specifici settori, al fine di individuare la sussistenza di rapporti di lavoro in nero con il coinvolgimento dei lavoratori comunitari ed extracomunitari.
I risultati complessivi sinora conseguiti in termini di accertato evidenziano una netta crescita del numero dei lavoratori in nero rispetto all’analogo periodo dello scorso anno.
Fino al 30 settembre del 2008, sono state ispezionate 41.530 aziende non agricole con lavoratori dipendenti.

PRESIDENTE
Da quando?

MASTRAPASQUA
Da gennaio 2008. L’azione di vigilanza svolta ha consentito l’individuazione di 2.927 aziende in nero e di 47.098 lavoratori in posizione irregolare, di cui 36.000 sconosciuti totalmente all’Istituto (che rappresentano il 77 per cento); circa 24.000 lavoratori non registrati a libro paga; 2.600 lavoratori in malattia, infortunati, cassaintegrati, disoccupati, con doppio lavoro, minori di età, studenti e pensionati; 7.275 extracomunitari e 2.399 comunitari. Della restante parte, 10.670 lavoratori (che rappresentano il 23 per cento) in posizione irregolare, 6.384 lavoratori subordinati sono assicurati come lavoratori autonomi (uno degli altri problemi che si incontra) e 4.286 lavoratori hanno retribuzioni fuori busta paga. La fotografia dei primi nove mesi dell’anno sul fenomeno dà questo quadro.

PRESIDENTE
Rispetto all’anno precedente ci sono dei riferimenti?

MASTRAPASQUA
C’è anche un quadro di risorse umane: al 30 settembre 2006 avevamo 1.439 ispettori; al 30 settembre 2007 ne avevamo 1.341; al 30 settembre 2008, vi erano 1.246 ispettori. Gli importi accertati sono stati: 807 milioni di euro nel 2006, 976 milioni di euro al 30 settembre 2007 e 1.087 milioni di euro al 30 settembre 2008. Quindi, a fronte di una riduzione di circa 200 unità nella vigilanza c’è stato un incremento di 200 milioni di accertato.

PRESIDENTE
Questo dato è pericoloso.

MASTRAPASQUA
Lo è per chi limita le risorse umane all’Istituto, ma è la verità e non si può sottacere.
Questi i dati delle attività svolte nel 2008: su 73.000 aziende visitate, l’82 per cento – 60.000 aziende – si è rivelata irregolare. Gli accertamenti sono avvenuti su aziende con dipendenti (aziende con DM) per il 57 per cento; su aziende agricole per il 9 per cento; sugli autonomi per il 23 cento e sugli autonomi inseriti nella gestione separata per l’11 per cento.
I lavoratori in posizione irregolare in aziende non agricole rappresentano il 94 per cento; fra i cosiddetti «co.co.co.» (collaborazioni coordinate e continuative) il 2 per cento e nelle aziende agricole il 4 per cento.
Venendo alle aziende in nero, i lavoratori autonomi non iscritti sono il 70 per cento; i committenti e collaboratori autonomi non iscritti l’1 per cento; le aziende non agricole il 21 per cento; le aziende agricole il 7 per cento.
Con riferimento agli 800 milioni di euro di cui parlavamo precedentemente, i rapporti di lavoro fittizi in agricoltura rappresentano il 25 per cento, il lavoro nero il 40 per cento e le altre omissioni contributive (irregolarità o parziali regolarizzazioni) il 36 per cento.
Le ispezioni sono state 81.000 al 30 settembre 2007 e 73.000 al 30 settembre 2008, con uno scostamento del meno 9 per cento; le aziende irregolari, però, hanno anche avuto una contrazione del 6 per cento, mentre le aziende regolari su quelle visitate hanno avuto un incremento dal 79 all’82 per cento. Per le aziende in nero e i lavoratori autonomi non iscritti c’è un decremento del 20 per cento, mentre le ispezioni medie e mensili pro-capite mantengono (dal 6,73 al 6,63) più o meno lo stesso numero.
È chiaro che il dato cui lei prima faceva riferimento, se ha una ricaduta positiva sull’accertato, ha senz’altro una ricaduta negativa sulla possibilità di fare accertamenti. Questo è purtroppo evidente e se ne paga un prezzo.
Al 30 settembre, sono state ispezionate le 41.000 aziende non agricole di cui si è più volte parlato. Abbiamo incassato 175 milioni di euro per lavoro nero, 282 per omissioni contributive; però, abbiamo solamente statistiche e numeri.
Per quanto riguarda gli iscritti ai sensi della legge n. 335 del 1995, altro tema importante, fino al 30 settembre l’attività di vigilanza nei confronti di soggetti iscritti alla gestione separata ha interessato 8.470 soggetti.
In questo settore abbiamo purtroppo il 94 per cento di risultati irregolari.
Quasi il 100 per cento degli autonomi risulta essere irregolare; di questi, 202 risultavano sconosciuti. Sono rientrati 78 milioni di euro e 926 lavoratori non iscritti. Nel lavoro ex lege n. 335 del 1995 c’è una quota di attività in nero molto consistente.
Nei confronti dei prestatori di collaborazioni coordinate e continuative svolte in forma autonoma sono state effettuate 160 ispezioni. Sono stati individuati 152 soggetti irregolari. Anche in questo caso, il 95 per cento è soggetto irregolare.

PRESIDENTE
Vorrei chiederle, sperando che ciò possa essere funzionale ai nostri lavori, se può farci avere nei prossimi giorni, in tempo congruo ed in modo sistematico, questi dati. In effetti, a fronte di un contenimento di oltre 200 ispettori del lavoro negli ultimi due anni si è prodotto, invece, l’accertamento di un maggior numero di irregolarità. Questo lascia supporre che vi sia una crescita di irregolarità, per lo meno a livello di tendenza.

MASTRAPASQUA
Forse vi è anche una maggiore capacità accertativa.

PRESIDENTE
Quella la do per scontata.

MASTRAPASQUA
Le ultime direttive hanno spostato l’attenzione degli ispettori dell’INPS dall’attività formale all’attività sostanziale; nell’ultimo anno, quindi, ci siamo concentrati maggiormente su questo aspetto: probabilmente il dato da lei evidenziato è il risultato della combinazione dei due elementi.

PRESIDENTE
Sarebbe meglio avere non dati complessivi, ma dati disaggregati per settore e divisi territorialmente. Credo che non sarà difficile ottenerli, atteso che quella è una somma delle varie richieste.

SPADONI URBANI (PdL)
Abbiamo ascoltato con estremo interesse le cifre che lei, presidente Mastrapasqua, ci ha riportato ed abbiamo apprezzato il fatto che finalmente si è messo in moto un’opera di controllo, perché le leggi si fanno, ma a volte non si attuano per mancanza, appunto, di controlli. Vorrei sapere quale effetto hanno avuto gli accertamenti e che cosa è accaduto a chi ha contravvenuto, oltre a dover pagare una multa.
La nostra Commissione ha il compito di accertare i motivi per i quali proliferano gli incidenti, anche mortali, sul lavoro, fino a diventare quasi quotidiani. Non riteniamo accettabile che si muoia per lavorare; in tal senso, comminare delle multe, a fronte di irregolarità accertate, è una misura insufficiente. Cosa può fare l’INPS perché si riduca sempre di più il fenomeno delle morti sul lavoro? A mio parere, sarebbe utile che l’ente facesse da catalizzatore di informazioni perché noi legislatori possiamo fare qualcosa per raggiungere questo obiettivo. Il fine della nostra Commissione e quello di lavorare per cercare di interrompere l’equazione «lavoro = morte».

DONAGGIO (PD)
Abbiamo oggi ascoltato il Presidente dell’INPDAP, dopo aver audito, qualche giorno fa, il Presidente dell’INAIL. Gli enti previdenziali sono alla vigilia di un percorso molto impegnativo, quello della riorganizzazione delle proprie strutture, che dovrebbe consentire di affrontare questa difficoltà di comunicazione e di collegamento tra i vari sistemi d’informazione, in maniera particolare su dati sensibili come quelli sugli infortuni sul lavoro e sulle malattie professionali. Si tratta di dati che richiedono un accertamento identico, omogeneo e non differenziato sulle stesse erogazioni a seconda dell’ente previdenziale cui si è iscritti.
Il Presidente dell’INPDAP ci ha spiegato che il sistema di accertamento e di certificazione di una malattia o di una invalidità professionale inizia e si esaurisce all’interno della stessa amministrazione, addirittura con un sistema di valutazione proprio. Credo che questo sia uno dei primi elementi sui quali bisogna capire come i grandi enti previdenziali ed assistenziali si stanno attrezzando per giungere ad una armonizzazione e ad una uniformità di trattamento e di intervento rispetto agli stessi fenomeni.
Tra l’altro, dalla riorganizzazione degli enti ci si attende anche un cospicuo risparmio per le casse dello Stato: circa tre miliardi di euro rispetto all’impostazione data a suo tempo dal ministro Damiano a questo processo.
Oggi stiamo ragionando di dati che riguardano il passato, ma la nostra Commissione, che avrà la durata di una legislatura, avrà bisogno di aggiornamenti sistematici su questi temi. E ` necessaria una comunicazione di dati che siano il più possibile omogenei, e quindi comparabili, per capire quali interventi normativi siano necessari e opportuni al fine di intervenire sulle cause che producono determinati fenomeni, in modo da ridurre le cause di malattie, malattie professionali e invalidanti fino alle condizioni di rischio che portano al decesso sul lavoro. La morte molte volte non è traumatica ed immediata, ma è la conseguenza di una condizione di lavoro che si protrae nel tempo e che porta comunque ad un decesso sicuro. Come è noto, l’erogazione delle pensioni si basa sulla media dell’aspettativa di vita; questo comporta che, a certe condizioni di lavoro, un lavoratore abbia un’aspettativa di vita ridotta rispetto ad un altro. Ciò ha dato luogo a tutte le corresponsioni di contribuzioni figurative che sono legate, appunto, alla media dell’aspettativa di vita.
Vorrei sapere come i grandi enti quale il vostro si stanno predisponendo a fornirci dei dati aggiornati, e se, nell’ottica della missione loro assegnata dalla legge, stanno cominciando ad immaginare un progetto di riorganizzazione, tutto questo in un quadro temporale omogeneo.

NEROZZI (PD)
Lei, presidente Mastrapasqua, ci ha fornito alcuni dati molto interessanti sul lavoro nero, che è una delle cause principali degli infortuni, e credo sia utile avere ulteriori informazioni in proposito. Mi interesserebbe capire, nel quadro della riorganizzazione degli enti (in particolare dell’INPS e dell’INAIL), che ho sempre ritenuto necessaria, considerate le differenze fra gli stessi, se e in che modo pensate di integrare le attività ispettive (anche rispetto al personale che le esegue) e le attività delle banche dati.

MASTRAPASQUA
Le risposte per alcuni aspetti sono comuni. Ovviamente, è auspicabile, ed è anche un impegno, che non si debba morire lavorando. Questo è fuor di dubbio.
Cosa fa l’Istituto in questa direzione? Anzitutto, combatte quella che si ritiene – mi sembra che anche le parole del senatore Nerozzi ne siano una conferma – sia una delle cause delle morti non accidentali, cioè il lavoro nero, proprio in ragione della mancanza di tutele e di forme di prevenzione.
Cosa fa l’INPS? L’INPS ha strumenti accertativi, di vigilanza e amministrativi.
Quanto agli strumenti di accertamento e di vigilanza, ho detto poc’anzi che i nostri ispettori girano per i cantieri e combattono questo fenomeno accertando il più possibile ciò che avviene.
C’è poi la possibilità di combattere tutto ciò in via amministrativa.
Rispetto a quanto detto dal senatore Nerozzi (ma mi collego anche alle considerazioni della senatrice Spadoni Urbani), ricordo che noi stiamo cominciando ad attrezzare una sorta di intelligence (se si può usare questo termine) per fare in modo che dai dati possiamo ricavare utili elementi.
Il numero degli ispettori andrà infatti inevitabilmente calando, ahimè, a causa del blocco del turn over, ed è quindi evidente che se vogliamo essere incisivi e combattere sempre di più questo malcostume, lo possiamo fare più spesso a tavolino su determinati indicatori piuttosto che andando presso le aziende. Ripeto, infatti, che la capacità di accertamento è limitata dal numero delle risorse che abbiamo a disposizione.
Nel 1996 è stato creato lo strumento del DURC (Documento unico di regolarità contributiva), in forza del quale chiunque voglia lavorare con la pubblica amministrazione ha l’obbligo di presentare un documento: nel 2006 ne abbiamo emessi 800.000, 1.100.000 nel 2007 e circa 1.100.000 nel 2008, fino al mese di giugno (per l’intero anno la cifra si attesterà quindi intorno ai 2 milioni). È vero che è un fatto amministrativo, ma è altrettanto chiaro che un fatto amministrativo può anche rappresentare una delle possibilità per combattere, da parte delle aziende, un lavoro non regolare.
Che cos’altro possiamo fare? Ricordo il lavoro che stiamo portando avanti insieme all’Agenzia delle entrate che ha peraltro a disposizione una serie di utili indicatori. Fino ad oggi, non già l’irresponsabilità, ma la gelosia delle pubbliche amministrazioni è stata talmente forte da generare anche dei disservizi. Personalmente, non sono geloso dal punto di vista lavorativo, e ho quindi cominciato a mettere in comune con l’Agenzia delle entrate una serie di dati. Grazie alla capacità di intelligence erariale dell’Agenzia delle entrate e alla nostra competenza previdenziale, possiamo fare il doppio del lavoro con lo stesso numero di risorse. A breve sigleremo inoltre un protocollo d’intesa tra Agenzia delle entrate e INPS per mettere a fattor comune tutte le informazioni che fino a ieri non venivano scambiate: le informazioni fiscali sono utili a noi, mentre quelle previdenziali sono di interesse per l’Agenzia delle entrate. Non posso dire che raddoppiamo le ispezioni, ma certamente le incrementiamo e le rendiamo qualitativamente migliori. Questo è un altro dei modi per combattere il lavoro nero.
Per quanto riguarda le riorganizzazioni, sarà mia cura fornire alla Presidenza un fascicolo contenente tutti i dati sul lavoro nero, divisi per Regione, perché sono dati che vanno considerati in modo sistematico.

PRESIDENTE
Sarebbe interessante, se è possibile, avere insieme anche il numero degli occupati.

MASTRAPASQUA
Certamente, signor Presidente, diviso anche questo per settori in modo tale da verificare l’incidenza sul settore.

PRESIDENTE
Certo, altrimenti avremmo dati su cui è difficile ragionare.

SPADONI URBANI (PdL)
Però quelli denunciati difficilmente svolgono lavoro nero.

MASTRAPASQUA
Però se ne scopriamo 100 su 1 milione in agricoltura, questo dato, pur non essendo indicativo, può tuttavia dare un senso.
Quanto al tema delle riorganizzazioni e delle sinergie, ricordo che la legge 24 dicembre 2007, n. 247, che doverosamente seguiremo, impone le sinergie degli enti per raggiungere un’economia. Come ho detto più volte, non sta a me dire se è giusto raggiungere l’economia, ma sta a me dire che è giusto operare delle sinergie, anche perché dalla breve esperienza di due mesi di commissariamento dell’ente è emerso che tutto ciò che si riesce a risparmiare grazie alle sinergie si spende poi per un adeguamento contrattuale o per la rivisitazione di un affitto. Ho quindi paura che alla fine il saldo, se non è zero, possa dare delle piccole risorse o forse delle diseconomie.
Occorre pertanto riflettere su questo aspetto perché il saldo finale del bilancio dell’INPS, che è mastodontico, è influenzato da tante voci (di cui l’85 per cento obbligatorie): andare a toccare quel 15 per cento di spese non obbligatorie, su cui si possono fare alcune economie (le spese obbligatorie hanno infatti per forza di cose delle esplosioni), significa che alla fine non si riescono forse a conseguire dei risparmi, ancorché si realizzino le sinergie. È bene saperlo e ho il dovere di dirlo.
Ripeto: è giusto fare sinergia; avevamo peraltro già iniziato: ricordo che esiste un coordinamento tra il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, l’INPS e l’INAIL sulle ispezioni.
Nell’ambito delle sinergie che ci vengono sollecitate dalla citata legge n. 247, stiamo realizzando una serie di tavoli comuni per ragionare su cosa si può e si deve fare su diversi temi. Essendo accantonato il concetto della fusione, dobbiamo perseguire il concetto della massima efficienza, ancorché nella separatezza degli istituti. La cosiddetta casa del welfare ne è un esempio che può sembrare solo logistico, ma in realtà lo è anche di efficienza: quando uscirà un nostro ispettore per andare in un’azienda, spero che non ci vada anche quello dell’INAIL che sta al piano di sotto.
Quanto al tema delle malattie, è stato approvato da uno dei due rami del Parlamento il provvedimento relativo all’obbligatorietà dell’invio della certificazione di malattia in via telematica all’INPS, che lo farebbe anche per l’INPDAP. Seguo questa materia da quattro anni e sono riuscito a far inserire questa misura in quattro leggi finanziarie, anche se devo dire che in questo caso ha prevalso una forma di resistenza. Speriamo che questa volta la norma, che mi sembra ancora più chiara, riesca a vincerla, perché la morte sul lavoro non è solo morte accidentale, ma deriva anche da una malattia non verificata e non accertata.
L’INPS riceve oggi 12 milioni di certificati cartacei con una modalità che risale al Medioevo: quando un lavoratore è ammalato deve venire da noi e darci il certificato a mano e portarlo anche al suo datore di lavoro, che a sua volta lo invia al proprio consulente del lavoro, il quale lo scala dal suo DM10. Oggi esistono gli sms e quindi credo sia necessario introdurre qualche innovazione in merito alla trasmissioni del certificato di malattia.
Se il Parlamento approverà questa norma, riceveremo i 12 milioni di certificati di malattia on line il giorno stesso, e sarà possibile avere anche quelli dell’INPDAP. Non stiamo parlando della soddisfazione di una mera curiosità telematica, quanto piuttosto della possibilità di svolgere con i nostri medici una lettura epidemiologica delle cause di malattia, così da accertare, ad esempio, l’eventuale incidenza di talune malattie nel settore della siderurgia. Noi oggi siamo gli unici che possono avere la diagnosi (i datori di lavoro hanno infatti solo l’attestato), ma non siamo in grado di poterci lavorare perché la mole di questa documentazione è folle.
Possiamo scongiurare sia le frodi (le aziende che, per esempio, dichiarano che sono tutti in malattia lo stesso giorno, mentre lavorano per recuperare quello che ci versano di malattia), ma soprattutto, come diceva la senatrice Donaggio, capire cosa succede in Italia e, a seconda della localizzazione industriale e commerciale, che malattie ci sono e qual è il trend in atto. Se in una zona si verificano dei periodi di malattia sempre più lunghi per la stessa patologia, è un chiaro campanello d’allarme che ci indica che è meglio intervenire prima di avere un numero troppo elevato di invalidi sul lavoro.
Questo è un tema delicato e di grande attualità, perché mi pare che il Senato abbia approvato un provvedimento in materia ora è all’esame della Camera. Se dovesse essere efficace (non tutte le leggi funzionano), sarà uno strumento incredibilmente importante perché forniremo i dati all’INAIL che dovrà vigilare su tutte le frodi che anche loro subiscono per false invalidità. L’INPS sa esattamente quando e quanto ogni lavoratore è stato male; forniremo questi dati al Ministero della salute e alle ASL perché le aziende sanitarie possono fare non solamente cura, ma anche prevenzione delle malattie. Questo tema è dunque importante.
Il senatore Nerozzi mi chiedeva dell’integrazione dell’attività ispettiva.
Esiste il coordinamento; senz’altro stiamo andando sempre di più verso uno stretto collegamento e incrocio di banche dati. L’INPS ha, forse, la banca dati più importante del Paese; ne è stata finora gelosa in un modo quasi eccessivo. C’è stato un black out di dieci anni che credo sia stato ben utilizzato perché i dati dell’Istituto, a seconda di come si leggono, possono destare preoccupazione alla cittadinanza o dare rassicurazioni; però, sicuramente la condivisione delle banche dati è un modo amministrativo e non pratico (non è l’ispettore che va nel cantiere) che può servire alla finalità di questa Commissione. Questo sta già avvenendo con l’Agenzia delle entrate e con il Ministero del lavoro che non ha i nostri dati (può sembrare assurdo, ma anche in questo caso c’era una rigidità nello scambio di dati), lo stiamo facendo e continueremo a farlo anche con l’INAIL.

PRESIDENTE
Ringrazio il nostro ospite per il prezioso contributo offerto ai lavori della Commissione.
Dichiaro concluse le audizioni odierne.

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Fonte: Senato della Repubblica