Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
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SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 14, martedì 27 gennaio 2009

Audizione delle organizzazioni dei settori dell’agricoltura e del commercio

Presidenza del presidente TOFANI

Intervengono per la CONFAGRICOLTURA il dottor Donato Rotundo, il dottor Gianpiero Del Vecchio e il dottor Paolo Marino; per la CIA la dottoressa Claudia Merlino; per la COLDIRETTI il dottor Federico Borgoni; per la CONFESERCENTI il dottor Giorgio Cappelli; per la CONFCOMMERCIO il dottor Alessandro Vecchietti, il dottor Carlo Pasqua e il dottor Luciano Bertozzi.

PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca l’audizione delle organizzazioni dei settori dell’agricoltura e del commercio.
Comunico che, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo e che la Presidenza del Senato ha già preventivamente fatto conoscere il proprio assenso.
Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
La seduta odierna rientra nel quadro generale delle audizioni che stiamo svolgendo nel corso della nostra attività di contrasto al fenomeno degli infortuni sul lavoro e delle morti bianche.
Passo subito la parola ai nostri ospiti, che ringrazio per la loro presenza in questa Commissione e per il contributo che vorranno offrirci.

ROTUNDO
Signor Presidente, per prima cosa vorrei ricordare che negli ultimi 24-26 mesi siamo stati convocati già diverse volte per discutere con la Commissione del problema degli infortuni nel settore agricolo.
Chiaramente molte cose sono accadute in questi ultimi due anni, però va detto che nel settore agricolo qualcosa non funziona ancora, considerati gli obiettivi che ci siamo posti.
I problemi del settore agricolo sono molto chiari e li abbiamo presentati in diverse occasioni partendo dal decreto legislativo n. 626 del 1994, ripreso poi nel cosiddetto Testo unico, cioè il decreto legislativo n. 81 del 2008, normativa che comunque non è facilmente applicabile alle piccole aziende. Questo lo abbiamo sottolineato già con l’emanazione del decreto legislativo n. 626 dal 1994, ma nel corso del tempo non siamo mai riusciti a trovare una metodologia di lavoro che rendesse applicabile per intero la normativa alle piccole imprese e alle aziende agricole. Il Testo unico, chiaramente, ha rappresentato un grosso passo in avanti ma da un certo punto di vista è stato un’occasione persa.
A questo proposito devo subito fare un rilievo. Il Testo unico è stato elaborato rapidamente e non ci è stata data la possibilità di approfondire una serie di argomenti. Per questo abbiamo avuto notevoli difficoltà ad inserire alcune indicazioni per risolvere il problema delle piccole e medie imprese.
Negli ultimi mesi, invece, siamo in una fase di stallo perché una serie di disposizioni positive che riguardavano anche il settore agricolo, per esempio l’applicabilità dei principi di semplificazione ai lavoratori stagionali, sono ancora inapplicate per la mancanza dei relativi decreti e disposizioni attuative. Quindi, da un inasprimento in alcuni casi molto forte della normativa siamo passati alla difficoltà di applicazione. Per tale motivo ritengo indispensabile anche in questa audizione soffermarmi su alcuni dei problemi generati dal Testo unico e sul modo in cui risolverli.
Tornando alla questione centrale, il settore agricolo rimane uno dei settori maggiormente a rischio infortuni, in relazione agli indici di frequenza. Ciò detto i dati statistici evidenziano che gli infortuni nel settore agricolo stanno diminuendo sensibilmente. Infatti, negli ultimi sette anni, abbiamo riscontrato una riduzione in totale del 29 per cento degli infortuni, tra il 2007 e il 2006 di quasi il 10 per cento; i dati del 2008 rispetto al 2007 continuano a mostrare questo trend positivo, anche tenendo conto degli indici di incidenza, cioè considerando la diminuzione del lavoro in agricoltura. Si evidenzia, infatti, una diminuzione importante, di circa il 21 per cento, degli infortuni nel corso degli ultimi sette anni.
Possiamo dire, quindi, che il settore agricolo in qualche modo si è attivato, ha lavorato, si è applicato e ha raggiunto dei risultati. Il Testo unico in quest’ottica doveva, probabilmente, incoraggiare questo trend positivo; contrariamente a quello che ci si aspettava, il Testo unico contiene soprattutto inasprimenti delle sanzioni poche semplificazioni e supporti tecnico-economici alle imprese. Per aiutare le piccole e medie imprese, invece, occorre agire sulla formazione, l’informazione e l’assistenza tecnica e avere un quadro normativo e legislativo più chiaro e puntuale sull’acquisto dei mezzi tecnici, favorendo percorsi virtuosi anche da parte dell’industria che produce i mezzi stessi in modo da permettere agli agricoltori di comprare macchinari adeguati. Faccio l’esempio delle cinture di sicurezza, che secondo me, rappresenta un caso molto particolare nella legislazione italiana. Fino ai primi anni 2000, anche se nel rispetto delle norme europee ed italiane di omologazione per la circolazione stradale, una serie di macchine agricole venivano vendute senza cinture di sicurezza. Poi, improvvisamente, per superare i problemi interpretativi che erano sorti in passato, con l’emanazione di una circolare del Ministero del lavoro, si è instaurato un meccanismo virtuoso ed è stato chiesto alle aziende agricole di adeguare tutte le macchine senza rendersi conto, considerato il milione e mezzo di trattrici agricole, che sarebbe stato necessario contemporaneamente fare informazione, campagne pubblicitarie e probabilmente proporre anche degli incentivi per gli agricoltori.
Ciò che voglio dire è che in agricoltura abbiamo pochi rischi effettivi che producono infortuni mortali e infortuni sul lavoro, rischi che si potrebbero tenere sotto controllo con norme più semplici e precise, che diano la possibilità alle aziende di intervenire. Il Testo unico non ha dato risposte – seguendo questo percorso della formazione-informazione e dell’assistenza – sulle risorse. Non ci sono risorse per tutto il lavoro che sarebbe necessario fare per cui, alla fine, c’è il rischio che le nuove normative vengano viste esclusivamente come un inasprimento delle sanzioni.
Per esempio, con riferimento al nuovo tipo di computo, ci siamo trovati in grandissima difficoltà nel passaggio dall’autocertificazione alla valutazione dei rischi. Infatti, con la nuova normativa e secondo il nuovo computo, una serie di aziende che erano sotto il limite dei dieci addetti hanno superato tale numero e si sono trovate quindi a redigere il documento di valutazione dei rischi. Questo è avvenuto praticamente senza chiarimenti e senza possibilità di rientrare nei tempi di proroga.
Abbiamo poi visto positivamente l’estensione della normativa ai lavoratori autonomi e ai collaboratori familiari per quanto riguarda alcune disposizioni minime, ma tutto questo è stato fatto senza concedere tempo per informare i vari operatori: le nuove norme sulle attrezzature di lavoro e i dispositivi di protezione individuali sono state applicate immediatamente, praticamente dal 15 maggio 2008, senza nessuna precedente informazione.
Questa misura coinvolge 500.000 lavoratori che sono soggetti per la prima volta ad alcune misure del Testo unico sulla sicurezza.
Dico questo per far capire che per arrivare agli operatori occorre dare informazioni puntuali.
Per quanto riguarda, invece, le sanzioni, c’è stato un fortissimo inasprimento, che non è stato visto positivamente, rispetto al percorso di prevenzione.
Come dicevo prima, non è tramite l’inasprimento delle sanzioni che si riusciranno a risolvere i problemi delle piccole e medie imprese.
Nel Testo unico sono state date alcune risposte, ancora una volta probabilmente molto valide, per settori fortemente a rischio, quali ad esempio l’appalto e il subappalto, però non ci si rende conto che in alcuni casi determinate disposizioni ricadono su aziende estremamente piccole: in agricoltura, ad esempio, nel caso di alcune lavorazioni meccaniche effettuate da contoterzisti, teoricamente si dovrebbe applicare l’articolo 26 che prevede il DUVRI (Documento unico di valutazione dei rischi da interferenze), che per le piccole e medie imprese è difficilmente applicabile.
Dunque, la cosa essenziale che va fatta per migliorare la situazione, se questo è l’obiettivo che ci diamo, è capire effettivamente quali sono i punti sensibili per le piccole e medie imprese, come quelle del settore agricolo. Sono necessarie disposizioni chiare per velocizzare le procedure e standardizzarle, informando su come si fa la valutazione del rischio.
Aggiungo un altro esempio: normative estremamente puntuali come quelle sulle vibrazioni, sul rumore, sugli agenti chimici, sono applicabili in aziende in cui si corre quel rischio specifico e forse solo quello. In agricoltura, invece, ci troviamo di fronte a 15-20 rischi diversi, con lavori che vengono eseguiti all’aria aperta, con discontinuità del lavoro. Tutto ciò che è applicabile per locali chiusi diventa all’aperto irrealizzabile, quindi noi ci siamo trovati di fronte all’inapplicabilità di alcune norme. Ci si aspettava – e ci si aspetta – che nelle procedure standardizzate, almeno dal punto di vista tecnico, vi fosse un aiuto per applicare alcune norme.
Un aspetto che ci ha lasciato abbastanza perplessi è quello relativo alle vibrazioni e ad alcune modifiche intervenute sulle attrezzature e sui luoghi di lavoro per quanto riguarda i titoli specifici. Sulle vibrazioni la legislazione precedente prevedeva un periodo transitorio, in cui era consentito utilizzare le attrezzature messe a disposizione dei lavoratori, anche se superavano i limiti di vibrazioni previsti, fino alla data del 6 luglio 2014.
Questo dunque era il termine previsto. Ebbene, nel decreto legislativo n. 81 del 2008, il cosiddetto Testo unico, questa deroga non è stata mantenuta mettendo in difficoltà le aziende nell’uso del parco macchine. Nel settore agricolo, dove si ha a che fare con macchinari molto particolari, le normative sulle vibrazioni prevedono parametri tecnici che rischiano di superare la tecnologia attualmente esistente e di conseguenza vi sono difficoltà anche per reperire sul mercato macchinari del livello richiesto.
Si è creata poi confusione con l’estensione delle norme sui fabbricati, di cui al Titolo III del Testo unico, anche ai campi all’aperto. Non si comprende se si sia trattato di un errore o semplicemente della necessità di fornire maggiori informazioni; fatto sta che ci siamo trovati a dover applicare la normativa anche ai campi (quindi alla parte arabile, dove si coltiva), incontrando difficoltà a interpretare ciò che deve essere fatto.
L’invito, in conclusione, è ad approfondire alcune questioni per quanto concerne le piccole e medie imprese, per capire quali siano i nodi nevralgici, sui quali vi è effettivamente bisogno di interventi e di supporti economici, cercando di proseguire nel trend positivo degli ultimi anni.

DE ANGELIS (PdL)
Dottor Rotundo, lei è stato molto critico nei confronti del cosiddetto Testo unico ma io non ho sentito – e volevo ascoltarla al riguardo – suggerimenti rivolti alla Commissione. Lei ha criticato il sistema inserito all’interno del testo in termini di impedimenti, di multe e di tutta una serie di situazioni, specificando che tale normativa non va incontro alle piccole e medie imprese.
Sono lieto che sussista un trend positivo per quanto riguarda gli infortuni, ma vorrei ascoltare le sue sollecitazioni e i suoi suggerimenti in special modo per quanto riguarda le piccole e medie imprese.

ROTUNDO
Ringrazio il senatore De Angelis per questa domanda.
Sono intervenuto con una premessa nella quale ho riferito che, da una parte, il percorso nell’emanazione del Testo unico è stato molto veloce e, dall’altra, che vi è ora una certa lentezza nell’emanare alcune disposizioni.

PRESIDENTE
Ai fini della comprensione generale: lei parla dei decreti attuativi?

ROTUNDO
Esattamente, Presidente. Nel corso del mio intervento sono poi passato a descrivere le problematicità. Nel decreto legislativo n. 81, e soprattutto nel suo Titolo I (parte che abbiamo seguito durante le fasi di sviluppo del testo), vi sono numerose positività. Per quanto riguarda le imprese agricole, il concetto che ho cercato di affermare è che non è possibile applicare il Testo unico, come già accaduto in precedenza con il decreto legislativo n. 626, anche alle piccole e medie imprese del settore agricolo con la stessa metodologia tipica delle grandi imprese.
Il problema fondamentale è che tali aziende hanno una media di tre dipendenti.
I lavoratori in totale sono all’incirca un milione, il 90 per cento del quale costituito da lavoratori stagionali a tempo determinato, mentre 90.000 sono i lavoratori a tempo indeterminato. Ciò fa capire come un’impostazione più idonea per le grandi aziende non sia adatta per aziende come le nostre, che sono piccolissime. Quindi, dal punto di vista organizzativo e gestionale bisogna capire cosa effettivamente vogliamo far fare a queste aziende.
Come dicevo prima, forse troppo frettolosamente, se negli appalti si chiede il DUVRI ad un’azienda con due dipendenti – di cui uno stagionale – questa non ha la possibilità di realizzarlo; inoltre, in queste piccolissime aziende riuscire a fornire servizi organizzati (il medico competente, il responsabile del servizio di prevenzione, lo stesso rappresentante dei lavoratori) necessita di interventi normativi e organizzativi specifici. Un primo passo in tal senso è rappresentato dall’articolo 4 del decreto legislativo n. 81, che consente una semplificazione almeno per le aziende che assumono lavoratori stagionali; ciò costituirebbe già un passo avanti per sapere come realizzare l’attività di informazione, formazione e sorveglianza sanitaria.
I lavoratori stagionali, infatti, spesso si trasferiscono da un’azienda all’altra lavorando 10 o 15 giorni in ciascuna. Il libretto formativo può essere di aiuto nel registrare i percorsi formativi già effettuati semplificando il sistema; ciò nonostante permane il problema che spesso non si ha l’opportunità di fare una visita di formazione e di informazione specifica ogniqualvolta un lavoratore viene impiegato nelle campagne di raccolta.
Bisogna superare questi concetti. Non voglio avanzare qui proposte specifiche ma è sicuramente possibile approntare un tipo di intervento che sia collocato anche a livello extra aziendale, che riguardi un bacino territoriale o un bacino di raccolta e che dia risposte puntuali ai lavoratori che si trasferiscono da una campagna di raccolta all’altra. Le risposte puntuali sono legate all’incentivazione della formazione e dell’informazione e, come dicevo prima, alla comprensione dei rischi specifici delle aziende agricole. Ad esempio, se sappiamo che le macchine agricole causano ancora oggi un’alta percentuale di infortuni, dobbiamo cercare di capire quali risposte dare. Un passo avanti in questa direzione si compirà forse grazie all’Osservatorio infortuni e al SINP, il servizio informativo previsto dal Testo unico. Se noi diamo indicazioni puntuali su dove sono i rischi, questo forse servirà a dare risposte anche agli agricoltori nella loro attività aziendale.
Questi sono gli interventi e le misure necessarie ma, come dicevo, se poi si verifica, ad esempio, quanto accaduto con le cinture di sicurezza sui trattori, ovvero che, a fronte di una normativa del codice della strada che non prevede l’obbligatorietà delle cinture di sicurezza, nel 1999 viene improvvisamente recepita in Italia una normativa comunitaria interpretata nel senso che esiste un obbligo di installazione delle cinture di sicurezza, facendo ricadere tutto sul datore di lavoro delle aziende agricole, noi non riusciremo a risolvere i problemi. Quando si individua un problema o un rischio occorre intervenire non solo a livello normativo ma anche attraverso un coordinamento nazionale e regionale effettuato insieme alle organizzazioni e agli enti preposti, in modo da fornire risposte puntuali su come risolverlo.

DE LUCA (PD)
Desidero ringraziare i rappresentanti di CONFAGRICOLTURA per il loro contributo a questa audizione e desidero sottolinearne, in sostanza, un aspetto molto positivo anche rispetto a un contributo che io vorrei dare alle associazioni che audiamo oggi come Commissione.
Proprio rispetto all’attuazione del decreto legislativo n. 81 del 2008 (il cosiddetto Testo unico), stiamo lavorando all’interno di una serie di gruppi di lavoro dedicati a materie specifiche. Lei ha perfettamente ragione, dottor Rotundo. Come sempre capita viene emanata una normativa ma non c’è ancora una cultura della sicurezza sul piano generale, tanto è vero che ancora si verificano le tragedie che tutti conosciamo. La necessità di settorializzare diventa allora quanto mai indispensabile per quanto riguarda la sicurezza sui luoghi di lavoro. Questo discorso è collegato allo sforzo che come Commissione stiamo portando avanti, volto proprio a recuperare questa maggiore organicità in tutti i settori a rischio, dove probabilmente sarebbe opportuna un’azione di sollecitazione al Governo nell’attuazione dei decreti.
Fermo restando che sussiste anche una questione dal punto di vista legislativo, dal momento che come è noto questa è materia oggetto di legislazione concorrente, vorrei però sottolineare che abbiamo compiuto dei notevoli passi avanti. E comunque se il Senato ha ritenuto di istituire ancora per questa legislatura una Commissione monocamerale sul settore evidentemente esiste una necessità in tal senso. Ovviamente, lo spirito della domanda del collega De Angelis si muove nella direzione di saper ascoltare ma anche di ricevere un contributo e un suggerimento. Noi possiamo procedere nel fare audizioni, ma qualcuno dovrà poi pur avanzare qualche proposta. Diversamente, il legislatore produce una legge ma non vi è chi la faccia applicare e attui i controlli, non c’è organicità, esistono mille canali e diventa difficile proseguire. Pertanto, ringraziandovi per questo tipo di rapporto, credo che occorra disporre un’azione sui decreti attuativi e un riordino del Testo unico, alla luce delle esigenze più specifiche che abbiamo ascoltato oggi.

MERLINO
Signor Presidente, la ringrazio per questa occasione di incontro e di riflessione su una questione così delicata come quella degli infortuni e delle morti bianche. Desidero innanzitutto fornire alcune cifre, dal momento che i numeri aiutano a leggere la realtà in modo più preciso.
Considerando che i dati relativi al 2008 non sono ancora consolidati, facciamo riferimento in particolare al trend 2007 e ai primi mesi del 2008.
Confermando quello che diceva il collega precedentemente, nel 2007 si è registrato un totale di denunce di infortuni pari a 57.000. Questo numero è in flessione rispetto all’anno precedente, il 2006, del 9,4 per cento, quindi – come giustamente ricordava il collega – quasi del 10 per cento e, rispetto ad anni passati (prendiamo come riferimento il 2001), vi è una flessione quasi del 30 per cento.
C’è anche una flessione positiva che riguarda gli infortuni mortali, cioè le morti bianche. Nel 2001 si sono verificati 159 casi di infortunio mortale che nel 2007 si sono ridotti a 115. Per il 2008 non abbiamo ancora un dato consolidato; risulta che la riduzione di infortuni non sia così spiccata, ma il trend è sostanzialmente confermato.
Dobbiamo riflettere prima di tutto sulle cause che generano gli infortuni, in particolare gli infortuni gravi. E ` evidente che le macchine agricole, in particolare il trattore, sono la causa principale. I dati relativi fanno una certa impressione. Innanzitutto gli infortuni con le macchine rappresentano il 16 per cento sul totale del settore, quindi si tratta già di un’incidenza notevole. Tra le macchine, quelle motrici determinano circa il 60 per cento degli eventi infortunistici e, tra le motrici, il trattore rappresenta il 99 per cento dei casi.
Parliamo, pertanto, di un aspetto molto delicato, infatti nel verificarsi di infortuni con macchine agricole, in particolare con il trattore, vi è una commistione di elementi. In parte, necessariamente, vi è il fattore umano (quello c’è sempre), circa il quale come organizzazioni professionali a tutela degli imprenditori agricoli abbiamo il compito di attivare la giusta formazione e informazione; da parte degli imprenditori agricoli invece vi deve essere l’impegno a tenere comportamenti che siano adeguati rispetto alla sicurezza.
C’è, però, un altro elemento, come giustamente ricordava il collega, su cui occorre intervenire, relativo ai soggetti che immettono sul mercato macchine agricole nuove e a coloro che commerciano macchine agricole usate. Vorrei al riguardo fornire alcuni dati che fanno sicuramente riflettere. Si tratta di dati di fonte ISPESL (Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza sul lavoro), emersi da un workshop sugli infortuni mortali. Il 57 per cento delle macchine agricole in uso non è conforme alla normativa, il 27 per cento viene reso conforme in occasione di controlli e soltanto il 16 per cento è a norma. Inoltre molte nuove macchine immesse sul mercato già non sono a norma, cioè non lo sono ab origine. Con riferimento alle macchine nuove molto spesso la normativa comunitaria è complessa e non ci aiuta. Possiamo dare questa giustificazione a chi costruisce le macchine. Sicuramente e più in generale abbiamo un problema da risolvere anche sul fronte di chi le rende disponibili sul mercato ai nostri imprenditori.
Vi è altresì un problema relativo al ruolo che svolge il nostro Paese in sede comunitaria rispetto alle varie direttive emanate nel tempo sulle macchine. Probabilmente in quella sede l’Italia ha un difetto di rappresentanza, che comporta per noi una difficoltà di applicazione delle norme. Vi è quindi un terzo attore rappresentato necessariamente dallo Stato.
Le piccole e medie imprese, le imprese che fondamentalmente rappresentano la realtà, il tessuto produttivo del settore agricolo, ma in generale del Paese, hanno particolari problemi dovuti ad alcuni fattori. Il fattore principale è chiaramente la dimensione: molto piccola. Il 90 per cento degli assunti in un’azienda agricola hanno contratti di tipo determinato, stagionale o meno.
Vi è poi un problema relativo alla presenza massiccia di lavoratori immigrati extracomunitari, che nel nostro settore rappresentano ormai oltre il 15 per cento della manodopera. Si tratta sicuramente di una risorsa, ma anche di un problema dal punto di vista della sicurezza.
Vi è inoltre un problema di anzianità degli operatori. L’età media elevata non facilita l’ingresso di determinati concetti e della cultura della prevenzione.
Nonostante questo, come abbiamo visto, in questi anni il settore agricolo è riuscito a migliorare, anche se la normativa non ci ha aiutato in questo senso.
Si registra anche una questione inerente le diversificazioni colturali e produttive, che espongono l’imprenditore o il lavoratore nell’arco di poche ore in una stessa giornata a una miriade di rischi diversificati. Vi è infine il problema di lavorare in ambiente aperto e quindi esposto.
Queste sono le caratteristiche del settore agricolo. Rispetto a ciò il decreto legislativo n. 81 del 2008 contiene, non lo possiamo negare, alcuni principi di semplificazione quantomeno per il lavoro stagionale del settore agricolo. Vedremo come questi principi saranno declinati in fase attuativa.
Ci auguriamo che la maggiore semplificazione sia esercitata sulla valutazione dei rischi, che è diventata molto complessa. Essa infatti comporta l’obbligo di considerare una serie di fattori che prima non venivano valutati e che incidono fortemente sul settore, come l’età o i Paesi di origine degli operatori. Tutti questi elementi devono essere ricompresi nella valutazione dei rischi; inoltre il documento di valutazione dei rischi deve essere rielaborato in occasione di variazioni produttive, che in agricoltura si verificano con molta frequenza, o in occasione di innovazioni tecnologiche (anche in questo caso l’agricoltura ha un’evoluzione molto veloce).
Occorre quindi provvedere alla semplificazione della valutazione del rischio, alla semplificazione su informazione e formazione per i lavoratori stagionali e per quelli extracomunitari in particolare (vale a dire per tutti gli operatori che sostano nel settore agricolo per un breve periodo, durante il quale hanno bisogno di essere tutelati, sapendo cosa fare e come farlo) e soprattutto alla semplificazione sulla sorveglianza sanitaria.
Vorrei ricordare che le proposte che accenniamo sono contenute in un documento consegnato al Governo, non soltanto da noi ma da tutte le organizzazioni d’impresa, coinvolte dal ministro Sacconi per la definizione di un avviso comune di possibile correzione del citato decreto legislativo.
Le organizzazioni quindi hanno presentato al Ministro un documento unitario in cui tutte le proposte dei vari settori sono dettagliate; ciò che accenniamo oggi quindi è contenuto in quel documento che ci auguriamo sia almeno tenuto in considerazione, visto che, purtroppo, non è stato possibile raggiungere l’avviso comune con la controparte sindacale.
Non vorrei soffermarmi ulteriormente su altri aspetti. Devo lamentare la mancata attuazione di una norma ormai risalente al 2007; lo faccio perché secondo noi l’impostazione sulla sicurezza – come abbiamo visto in questi anni lavorando a fianco dei nostri imprenditori – è rappresentata dalla penetrazione di alcuni concetti semplici: la formazione e l’informazione sono fondamentali, come pure la logica premiante.
Il settore agricolo aveva la possibilità di usufruire di una norma contenuta nell’articolo 1, comma 60, del famoso protocollo welfare, la legge n. 247 del 2007. In questa normativa era contenuta una norma specifica per il settore agricolo che dava la possibilità alle aziende agricole che avessero adottato piani pluriennali di prevenzione e che non avessero registrato infortuni nell’ultimo triennio di riferimento, di avere una riduzione contributiva non superiore al 20 per cento sui contributi pagati all’INAIL.
Siamo nel 2009, questa è una norma che doveva partire dal 1º gennaio 2008 ed è ancora inattuata. Quindi, se si vuole agire con una logica premiale, questo è un esempio classico di tale logica che però, purtroppo e non per colpa nostra, non è stata ancora attuato.

BORGONI
Signor Presidente, signori senatori, rappresento la confederazione nazionale COLDIRETTI. Noi abbiamo già avuto modo di essere auditi in Commissione lo scorso 17 luglio 2007 e riconfermiamo quanto abbiamo già segnalato in quella occasione. Oggi ritengo opportuno fare alcune aggiunte e puntualizzazioni, se non altro per dare conto che quanto già espresso a questa Commissione su alcune linee di indirizzo e alcuni elementi di triste statistica sugli infortuni, si riconferma anche alla luce dei nuovi dati 2007 dell’INAIL.
I colleghi che mi hanno preceduto hanno già illustrato l’andamento positivo del percorso compiuto in questi anni dal settore, confermato anche dai dati del 2007. Chiaramente questo non significa che sia arrivato il momento di allentare la tensione e l’attenzione sulla questione della sicurezza.
È vero che, i dati a noi noti, cioè quelli del 2007, si riferiscono alla vecchia impostazione della disciplina sulla sicurezza, il decreto legislativo n. 626, perché nel 2007 il nuovo impianto normativo del Testo unico non aveva potuto ancora esplicare alcuna efficacia. Come è già stato detto, la costruzione della novella del decreto legislativo n. 81 è stata un’ottima occasione, sulla base delle esperienze già consolidate e dei nuovi principi introdotti dalla normativa, per accelerare il processo che in agricoltura sta lentamente riducendo l’elemento infortunistico. Un’ulteriore occasione che abbiamo ritenuto doveroso accogliere con grande impegno è stata l’azione di Governo finalizzata alla definizione dell’avviso comune che però, per quanto si sia arrivati ad un testo condiviso, è evidente che per noi rappresenta solo ed esclusivamente un primo passo verso un processo di progressiva semplificazione, necessaria per rendere realmente efficace ed applicabile al settore agricolo il decreto legislativo.
Come anticipava la collega e per rispondere al senatore De Angelis, aggiungo che proprio in questa occasione abbiamo avuto modo di presentare al Governo e al Ministro del lavoro una serie di punti di analisi e di proposta per avviare un processo di semplificazione e di rilettura del testo del decreto che, purtroppo, non hanno trovato nell’avviso comune una giusta collocazione. Pensiamo che questo sia solo un primo passo, dunque, perché riteniamo che ci sarà, auspichiamo che ci possa essere, una seconda fase di approfondimento nei rapporti con il Governo rispetto non solo ai decreti attuativi ma soprattutto alla possibilità di intervenire su quelle parti del Testo unico che noi consideriamo importanti per dare un’applicazione coerente allo stesso. A questo fine riteniamo assolutamente importante un percorso di confronto.
Vorrei aggiungere, rispetto ad un quadro più generale sugli eventi infortunistici in agricoltura, che questo genere di eventi si connota per alcuni elementi specifici. In primo luogo, la causa principale degli infortuni, anche mortali, era prima e resta oggi l’uso delle macchine agricole, soprattutto del trattore. Inoltre, aspetto che non è stato sottolineato e che credo invece opportuno chiarire, l’infortunio, anche grave e mortale, vede generalmente coinvolto l’imprenditore stesso, cioè il lavoratore autonomo.
Ho anche dati più recenti rispetto alla situazione e posso dirvi che l’85 per cento degli infortuni accaduti con macchine operatrici riguarda il lavoratore autonomo, non il dipendente. Credo che questo sia importante anche per qualificare l’interesse che ha un’organizzazione come la nostra ad ottenere determinati interventi sul Testo unico affinché possa essere risolta un’anomalia che oggi nelle varie norme che lo compongono di fatto non consente di accelerare il processo di recupero dell’elemento infortunistico.
Il decreto legislativo n. 81, con molta saggezza, assume un principio fondamentale: estende una serie di norme, o per lo meno buona parte di queste, al lavoratore autonomo ma non secondo la logica di considerarlo un datore di lavoro bensì un lavoratore. Ecco perché diventa importante, nel momento in cui si considerano questi soggetti non datori di lavoro ma lavoratori, che questa serie di adempimenti, di obblighi e di opportunità siano conformati alle prerogative e alle specificità del settore. È indispensabile, quindi, che si compia uno sforzo di semplificazione per accompagnare il processo di riduzione degli infortuni e non è certo inasprendo le sanzioni che si raggiunge un risultato di questo genere.
In pratica, non è tanto l’attenzione agli aspetti formali – di fatto le sanzioni, purtroppo, nella maggior parte dei casi attengono a questioni di natura formale – ma quella alle questioni sostanziali che consente di ottenere un risultato positivo. Semplificare, a nostro avviso, significa agevolare l’applicazione delle norme. Quindi, nel momento in cui si assume che in ogni caso la sicurezza, soprattutto per quanto riguarda il settore agricolo, deve essere intesa prima che come fatto tecnico come fatto di natura culturale, è evidente che la possibilità di intervenire sull’operatore, dipendente o autonomo che sia, attraverso una maggiore coscienza, cultura e conoscenza del pericolo, consente di costruire un certo percorso.
Al riguardo vorrei farvi un esempio. La maggior parte degli incidenti avviene a causa del giunto cardanico del trattore, laddove questo sia utilizzato per dare energia a una macchina semovente. Molte volte l’incidente capita proprio in seguito al fatto che il lavoratore è trascinato all’interno della macchina per l’avvolgimento di uno dei suoi indumenti. In questo caso, è molto più utile aver spiegato, aver insegnato al soggetto come vestirsi piuttosto che disquisire sulla collocazione del pulsante di arresto della macchina. Questo elemento può sembrare banale ma necessita di una logica che deve poter valutare le differenze esistenti tra l’agricoltura e gli altri settori del mondo del lavoro. A tal proposito, vorrei proporre la seguente comparazione. Se noi parliamo del settore manifatturiero in generale, le prerogative di questo risultano assolutamente antitetiche rispetto a quelle del mondo agricolo. Le aziende di tale settore hanno dimensioni medio-grandi, mentre in agricoltura le dimensioni sono medio-piccole o piccolissime. Nell’industria esistono settori specializzati e lavori ripetitivi laddove l’agricoltura è l’emblema della multifunzionalità operativa.
L’industria opera in un ambiente chiuso e confinato mentre in agricoltura l’ambiente è assolutamente aperto. Nell’industria esistono processi programmabili mentre in agricoltura la programmabilità è una pura ipotesi, essendo legata a eventi meteorologici e climatici.
È soprattutto l’occupazione a determinare la differenza, in quanto un’occupazione stabile, a tempo indeterminato, non è quella propria del settore agricolo dove invece esiste un’occupazione a termine di breve o brevissima durata. Anche questa differenza rende necessario individuare una serie di logiche differenti rispetto alle modalità di applicazione del decreto legislativo n. 81.
La questione della formazione e informazione dei lavoratori, alla quale si è già accennato, non è gestibile secondo le logiche di un settore diverso da quello dell’agricoltura: questo è uno dei punti qualificanti delle proposte fatte. Sono circa 1.200.000 i rapporti di lavoro instaurati in agricoltura a tempo determinato e le teste diventano meno di 900.000. Ciò significa che uno stesso lavoratore ha più rapporti in corso d’anno, con aziende diverse e significa che questo stesso lavoratore, di anno in anno, rimane comunque legato a tali aziende, che lo riassumono per le stesse lavorazioni l’anno successivo.
Per esempio, introdurre la logica di una formazione e informazione che non sia possibile gestire preventivamente al rapporto di lavoro ripetendola ogni anno (si tratta spesso della stessa prestazione lavorativa, per più anni nella stessa azienda o addirittura in più aziende) comporta evidentemente un adempimento il cui sviluppo non può dare maggiore sicurezza.
Meglio sarebbe, allora, riconoscere questa specificità e dare la possibilità di certificare una formazione avvenuta per quella lavorazione e valida per qualsiasi rapporto successivo: eventualmente da integrare, ma non certo da disconoscere.
Avrei altri dati da aggiungere ma molti elementi sono già stati forniti dai colleghi. Sicuramente la questione del lavoro stagionale è uno degli elementi importanti che ci interessa sottoporre all’attenzione della Commissione. Vi sono poi tutta una serie di questioni legate al lavoro nell’impresa familiare e al lavoratore autonomo che, come già evidenziato, sono state comunque oggetto di una segnalazione al Ministero, tanto congiuntamente con le altre organizzazioni quanto riconfermate in separata sede da Coldiretti sempre all’indirizzo del Ministero.
Restiamo a disposizione per qualsiasi ulteriore approfondimento che possa essere di utilità per questa Commissione. Vorrei concludere nella logica per cui certi percorsi hanno un effetto di buona pratica e sono di esempio laddove, in qualche maniera, siano riconosciuti. Un riconoscimento lo avevamo trovato all’interno del protocollo sull’agricoltura del settembre 2007, che ha poi dato luogo, come segnalava la collega Merlino, a una norma inserita nella legge n. 247 del 2007. Dispiace l’aver creato di fatto una serie di aspettative nel sistema delle nostre imprese quando a tutt’oggi non siamo stati in grado di dare continuità a un impegno da noi di fatto sottoscritto con il precedente Governo.

PRESIDENTE
Ringrazio gli auditi per il loro contributo, augurandomi che vi sia una maggiore iniziativa diretta e non solo l’esposizione di problematiche. I soggetti non sono pochi e mi riferisco, ovviamente, alle associazioni del mondo agricolo fino adesso intervenute. Noi siamo particolarmente attenti a questo problema e colgo l’occasione per annunciare, come del resto anticipato dal senatore De Luca, che abbiamo dedicato a questo settore un gruppo di lavoro specifico, che il senatore Conti qui presente guiderà nei prossimi mesi proprio per fare in modo che l’audizione di oggi non resti un atto momentaneo e formale, ma vi sia un lavoro comune tra la Commissione e le parti interessate, anche di monitoraggio (con un altro gruppo di lavoro guidato dalla senatrice Donaggio) sul decreto legislativo n. 81 del 2008.
Ritengo si debba creare una maggiore comunione di lavoro e di relazione.
Concludo questa mia riflessione personale, che mi auguro possa essere utile ai vostri ragionamenti, rilevando come spesso si profonda un particolare impegno nella formazione e nella definizione di una norma e subentri poi una specie di attesa, oppure di vuoto, indubbiamente con aspetti di impegno o di disimpegno a seconda dei casi.
È necessario, dunque, muoversi. Ho ascoltato con grande attenzione i vari interventi. Questi sono argomenti per taluni aspetti – quelli negativi – drammaticamente noti. Mi chiedo, ad esempio, se vi siano stati incontri tra di voi e le aziende che producono queste macchine dove sono stati fatti presenti questi argomenti. Noi stiamo aprendo con l’INAIL il nuovo capitolo del dato non aggregato perché, rispetto al dato aggregato, è difficile capire cosa accada effettivamente. Di fronte ad una denuncia netta e precisa come quella che è stata fatta, sarebbe interessante sapere quale interlocuzione, quale incontro, quale sottolineatura o quale altro strumento che la legge mette a disposizione è stato posto in essere per denunciare il problema.
Rispetto ad un’azienda che produce una macchina che ha un intrinseco fattore di rischio avremmo piacere di conoscere le denunce che sono state presentate in merito, altrimenti diventa un gioco delle parti che non possiamo permettere, considerato il fatto che stiamo parlando della salute dei cittadini, a prescindere dai ruoli e dai settori.
Il gruppo di lavoro che ho citato dovrà insieme a voi per questo settore (per altri settori vi saranno altri soggetti) dare un seguito alle vostre affermazioni, diversamente c’è il rischio di lavarsi la coscienza nell’indicare una problematicità, ma non seguirla negli effetti e nelle obiettive responsabilità.
Noi vi saremo molto vicini da questo punto di vista. Se disponete di denunce, esposti o segnalazioni vi chiedo cortesemente, a nome della Commissione, di farceli avere. Alcune delle informazioni fornite, infatti, sono di grande significato: la situazione denunciata è gravissima.
Di tali informazioni faremo ottimo uso, perché attiveremo meccanismi di inchiesta anche con riferimento a questo aspetto.

ROTUNDO
Nel mio intervento ho portato l’esempio di cosa è accaduto con le trattrici agricole rispetto alle cinture di sicurezza. A mio parere, il problema è stato proprio di tipo normativo, a livello europeo e italiano in particolare. Comunque con le varie categorie, a partire dalla prima metà del 2000, si è riusciti a trovare una via d’uscita: i costruttori, con propri interventi autonomi, hanno iniziato a vendere macchine dotate delle cinture di sicurezza. Contemporaneamente il Ministero del lavoro ha chiarito con una circolare l’obbligatorietà di tale dotazione nella costruzione e nell’utilizzo.

PRESIDENTE
Noi però abbiamo ascoltato una denuncia di questo tipo: si continuano a costruire macchine contra legem. Desidero sapere se su questo tema ci sono state iniziative, altrimenti non è necessario aggiungere nulla. Quello che avete detto è stato molto chiaro e apprezzato, ma bisogna capire, nel momento in cui si è denunciata l’esistenza di macchine contra legem, cosa fate come organizzazioni di settore al fine di evitare tale situazione. Questo è il punto.
Abbiamo acquisito i dati e cercheremo di approfondirli insieme. Se avete documenti che riportano denunce specifiche inviateceli; se non li avete – permettetemi di dirlo – produceteli, altrimenti la segnalazione rimane una specie di simulacro, un’affermazione vuota senza alcuna notizia determinante di contrasto.

DE ANGELIS (PdL)
Signor Presidente, mi sembra sia stato addirittura detto che una piccola percentuale delle macchine che escono dalle fabbriche e – forse mi sbaglio – un 50 per cento delle macchine che lavorano non sono a norma. Rispetto a questo aspetto vi è un controllo da parte delle associazioni nei confronti delle aziende?

MERLINO
La domanda che mi è stata posta mi fa particolarmente piacere perché nell’intervento non ho sottolineato che rispetto al problema delle macchine agricole non c’è soltanto una preoccupazione o una denuncia, ma anche un ruolo attivo delle nostre organizzazioni. Siamo all’interno dell’ENAMA, l’Ente nazionale per la meccanizzazione agricola, che vede la presenza dei costruttori delle macchine agricole e delle organizzazioni professionali agricole. Le macchine nuove che vengono immesse sul mercato sono visionate dalla commissione tecnica di sicurezza dell’ENAMA, che le valida e le certifica. È chiaro che non essendovi un obbligo di legge che imponga la certificazione vi è purtroppo un numero rilevante di macchine agricole che sfugge a questo discorso. Non vi è un obbligo normativo ad usare macchine con il bollino ENAMA, ma da parte nostra consigliamo sempre ai nostri imprenditori di utilizzare macchine visionate e certificate da noi in quell’ambito.
Questo è un piccolo esempio del ruolo attivo che svolgono le organizzazioni in ambito di certificazione. Voglio sottolineare che si tratta di un’assunzione di responsabilità non da poco; noi chiaramente facciamo ciò che è possibile, stante – ripeto – l’assenza di un obbligo normativo che comporti per l’imprenditore agricolo l’utilizzo solo di macchine certificate in un certo modo. Su questo aspetto, quindi, noi abbiamo un ruolo.

PRESIDENTE
Il problema lo abbiamo capito. Ciò che lei ha detto non risolve il problema, semmai lo aggrava. Consigliare una macchina in regola non significa escludere l’uso delle macchine non in regola. Le ultime 115 morti del 2007 da lei ricordate, la maggior parte delle quali legate a macchinari e macchine, dimostrano che verosimilmente è stato adoperato un tipo di macchine diverso da quello a norma.
Vorrei essere molto chiaro: non dobbiamo creare momenti alternativi o antagonisti, ma sinergie. Dobbiamo fare in modo che dal punto di vista legislativo si possa passare all’obbligatorietà di determinati comportamenti e non invece, così come è oggi, lasciare la decisione al libero arbitrio.
Dobbiamo far sì che le macchine pericolose non siano messe in circolazione. Dobbiamo contrastare questi fenomeni e chi dovesse infrangere le regole deve essere messo nelle condizioni di non farlo più. Questo è l’obiettivo. Non si può continuare ad ascoltare dati che riferiscono che tra gli infortuni con macchine agricole il 99 per cento riguarda i trattori; quali politiche o quali iniziative possiamo attuare insieme per fare in modo che questi trattori non siano più pericolosi, che non vi sia più il rischio che il conducente sia risucchiato o si verifichino altre problematiche?
Di tali aspetti si interesserà lo specifico gruppo di lavoro.

VECCHIETTI
Signor Presidente, anche la CONFCOMMERCIO ringrazia per l’opportunità e la possibilità di esprimere la propria posizione su un argomento che, soprattutto per quanto riguarda il nostro mondo di riferimento, crediamo debba essere affrontato forse più che altrove come un fenomeno culturale. Si dovrebbe infatti portare a regime l’intero contesto delle aziende che operano nei settori del commercio, del turismo e dei servizi; settori nei quali, peraltro, vi sono realtà imprenditoriali molto differenziate, anche in termini di dimensione aziendale, ma comunque accomunate dallo svolgere funzioni oggettivamente diverse rispetto ad altri ambiti economici, meno rischiose, nonostante si tratti di settori ad alto livello occupazionale, nei quali l’elemento umano è determinante.
Questa nostra considerazione, peraltro, trova riscontro in elementi oggettivi e concreti. Infatti, il monitoraggio sull’andamento del bilancio INAIL fa emergere una caratteristica per noi molto importante. Il bilancio dell’Istituto, che in maniera ormai costante presenta un avanzo che attualmente possiamo individuare intorno ai 2 miliardi di euro, vede proprio la gestione tariffaria del terziario contribuire con un attivo di oltre 900 milioni di euro. Secondo noi, questo potrebbe essere un elemento importante da utilizzare come leva per trovare una maggiore omogeneità nel tessuto imprenditoriale.
Bisogna premettere che laddove sono presenti imprese con struttura multinazionale, che standardizzano la propria organizzazione, la cultura della formazione è stata un elemento che ha ispirato le modalità di collocazione delle strutture aziendali stesse. Oltre a queste realtà, abbiamo una rimanente parte di organizzazioni medio-piccole, che a livello nazionale sono la stragrande maggioranza. Queste, se non sono presenti sul mercato attraverso le modalità operative, ad esempio, del franchising che porta ad una certa omogeneizzazione, lo sono con un’organizzazione di tipo tradizionale che, nel corso degli anni, ha lentamente adeguato la propria struttura.
Dunque esistono velocità differenziate. A questo punto, perché non utilizzare le risorse disponibili, ad esempio, per pianificare delle modalità premiali, degli incentivi che accelerino il percorso di adeguamento? Tra l’altro, spesso nelle realtà piccole il processo di adeguamento non è legato alla volontà di non rispettare l’evoluzione normativa, bensì ad una difficoltà oggettiva nel recepire o interpretare il cambiamento. Inoltre, si deve tenere conto che esistono anche problemi legati ad alcune attività collocate in contesti particolari di tipo urbano e paesaggistico, laddove il rispetto di alcuni vincoli deve portare ad individuare la soluzione migliore per conciliare una corretta diffusione della cultura della sicurezza con l’organizzazione fino a quel momento seguita.
Riteniamo quindi che se le risorse disponibili non possono essere utilizzate per una riduzione dei costi del lavoro, un’attivazione virtuosa di incentivi di questo tipo potrebbe migliorare la situazione esistente; anche perché in passato abbiamo assistito a forme di incentivazione che spesso interessano quelle realtà che, comunque, non riescono a trarre benefici a sufficienza dagli incentivi previsti trattandosi di lavorazioni strettamente legate alla rischiosità stessa della funzione svolta, oppure a processi che solo in parte riescono a sterilizzare i fenomeni di pericolosità, che permangono nonostante l’evoluzione tecnologica. Se si riuscisse a lavorare, invece, sull’elemento umano si potrebbe fare molto anche perché, sicuramente, il processo di formazione dovrebbe essere diffuso e dovrebbe vedere coinvolti tutti gli attori.
Si è parlato poi di alcune situazioni nelle quali lavoratore e imprenditore coincidono oppure operano a stretto contatto. E ` chiaro che il recepimento di determinati elementi e la loro applicazione corretta risulta un elemento di successo. Condividiamo, inoltre, l’impostazione adottata da chi ritiene che un maggiore monitoraggio ed una maggiore catalogazione in termini di fenomeni omogenei possa facilitare la diffusione di una diversa cultura. Ad esempio, poter catalogare certi eventi, riscontrarne la frequenza e poter in qualche modo arrivare ad individuare le motivazioni o i comportamenti che li hanno determinati potrebbe risultare di grande aiuto. Forse si dovrebbe stimolare una maggiore sinergia, non solo attraverso l’adozione di procedure più omogenee tra i vari attori istituzionali ma anche attraverso un maggiore scambio di informazioni, perché oggi sicuramente la tecnologia informatica aiuta molto ma sovente, nell’ambito della stessa pubblica amministrazione, vi è scarso dialogo ed esiste un patrimonio di informazioni che non vengono socializzate e dunque non consentono, appunto, l’individuazione delle strategie migliori.
Sempre nel contesto di mettere a regime una diversa cultura, noi crediamo molto nello strumento contrattuale e nel ruolo che può essere svolto dagli enti bilaterali. Faccio cenno a questo elemento perché per affrontare i fenomeni legati alla sicurezza e alla prevenzione degli infortuni è necessaria la collaborazione tra chi rappresenta gli interessi imprenditoriali e chi rappresenta gli interessi dei lavoratori attraverso un elemento contrattuale o attraverso momenti in cui, congiuntamente, si valuti l’evoluzione normativa.
La condivisione di tali percorsi può essere sicuramente un’altra grossa facilitazione rispetto ad uno scenario nel quale la conflittualità o anche il regime sanzionatorio siano i deterrenti per cercare di mettersi in regola e di adeguarsi.
A questo proposito, è stato già accennato in altri interventi il discorso relativo all’elemento sanzionatorio. Sicuramente conoscere la punizione, anche grave, laddove esistono delle colpevoli violazioni, può avere un certo valore, ma certamente non aiuta l’impostazione secondo la quale l’inasprimento della sanzione non corrisponde ad una valutazione del motivo per il quale si colpisce chi non rispetta la regola. È stato sottolineato spesso che la sanzione accompagna il mancato rispetto puramente formale di alcuni adempimenti e non tanto un comportamento colpevole o una sostanziale inadempienza che sono il presupposto perché si realizzino le situazioni di rischio e i danni.
Infine, di recente si è molto parlato di come formare tutti i soggetti interessati alla sicurezza e di come utilizzare le risorse disponibili non solo attraverso i canali messi a disposizione istituzionalmente in passato ma anche attraverso i fondi interprofessionali. Vorrei ricordare che nel settore terziario, negli anni precedenti, è stato già fatto molto. Infatti il commercio, il turismo e i servizi hanno ricevuto un aiuto rilevante proprio dal fondo interprofessionale di riferimento, perché sono stati messi a disposizione di aziende e lavoratori circa 15 milioni di euro e che ci sono stati circa 2.000 interventi formativi che hanno visto aggregate varie imprese.
Concludo proprio con questi elementi anche economici per stimolare quel cambiamento che ha sempre visto, a fronte dell’evoluzione normativa sulla prevenzione e sulla sicurezza, un atteggiamento poco attento a questi canali, a quanto ho richiamato in premessa degli avanzi nel bilancio dell’INAIL (come istituto che, per propria vocazione e per propria mission istituzionale, ha questo grosso ruolo sugli infortuni sul lavoro) e a quello che può essere il ruolo della formazione, che potrebbe diventare un elemento costante che potrebbe accompagnare l’individuo ancor prima dell’ingresso nel mondo del lavoro.
C’è chi sostiene che la scuola stessa dovrebbe aprire la strada ad una cultura che metta l’individuo nella condizione di sviluppare spontaneamente un certo tipo di sensibilità. Sicuramente, seguendo questa strada potremo ottenere qualche risultato.

CAPPELLI
Signor Presidente, a nome della CONFESERCENTI desidero ringraziare la Commissione per questa opportunità. Voglio riprendere il discorso da dove lo ha concluso il mio collega di CONFCOMMERCIO.
La CONFESERCENTI ritiene necessario un forte impegno da parte di tutti per diffondere al massimo la cultura della sicurezza e della salute sul lavoro.
Tale impegno deve avere lo scopo di offrire un contributo concreto alla riduzione del numero degli infortuni e anche delle cosiddette morti bianche. Stiamo parlando di un fenomeno che, come hanno spiegato molto meglio di me i colleghi che mi hanno preceduto, in base ai dati INAIL registra una progressiva riduzione media di quasi due punti percentuali all’anno.
Questi dati sono importanti ma rimane sempre un fenomeno molto grave, da contrastare in tutti i modi.
Nonostante i nostri settori siano caratterizzati da bassi tassi di rischiosità, gli infortuni sono comunque numerosi nei comparti del commercio (dove nell’ultimo anno registriamo quasi 78.000 incidenti) e in quello del turismo e alberghiero (dove si sono registrati circa 34.000 infortuni); casi mortali sono presenti, seppur in misura non elevata. Va detto al riguardo che, in base ai dati definitivi forniti dalla consulenza statistico – attuariale dell’INAIL, si rileva un calo del 15 per cento dei casi mortali derivanti da infortunio diretto da lavoro (da 1.067, nel 2006, a 907, nel 2007), mentre si registra una crescita di circa il 10 per cento dei casi mortali causati dai cosiddetti infortuni in itinere (da 274, nel 2006, a 300, nel 2007). Ciò fa riflettere perché ci porta a considerare che gli sforzi formativi, compiuti a partire dall’introduzione del decreto legislativo n. 626 in poi, anche per effetto dell’azione delle parti sociali, stanno senza dubbio dando qualche risultato. La diffusione della cultura della sicurezza sul lavoro deve riguardare tutti i livelli, dalla scuola ai gradi successivi.
Anche noi abbiamo rilevato alcune criticità negli ultimi provvedimenti, tant’è che, unitamente alle altre organizzazioni datoriali, abbiamo consegnato un documento comune al Ministro del lavoro. Va però sicuramente apprezzato lo spazio dedicato alla valorizzazione delle funzioni svolte dagli organismi paritetici bilaterali, all’interno dei quali imprese e organizzazioni sindacali dei lavoratori discutono della materia con i propri rappresentanti.
Un’altra rilevante ed importantissima funzione possono svolgerla, e la stanno già svolgendo, i fondi di formazione continua. Nei progetti di FONTER (il Fondo paritetico interprofessionale nazionale per la formazione continua del terziario, promosso da CONFESERCENTI e da CGIL, CISL e UIL) vi è quasi l’obbligatorietà di inserire nei progetti approvati la parte di approfondimento dei temi della sicurezza sul lavoro.
Riteniamo che questa sia la direzione giusta e quindi accogliamo con favore alcune sensibilizzazioni, espresse in questa sede da parte di commissari presenti, relativamente al fatto che il nuovo Testo unico debba occuparsi in maniera maggiormente settoriale dell’aspetto della sicurezza, con riguardo non solo alle dimensioni delle imprese ma anche ai settori di intervento. È infatti indubbio che come rappresentanti di settori di attività con un rischio assicurativo INAIL di un certo tipo potremmo ben utilizzare gli avanzi di gestione per fare degli approfondimenti e sviluppare norme di protezione, in quanto crediamo che lo strumento della prevenzione sia quello che, alla lunga, possa dare i risultati migliori.

PRESIDENTE
Ringrazio per il contributo che i rappresentanti delle varie organizzazioni ci hanno oggi fornito. Avremo sicuramente la possibilità di rivederci nel corso di incontri con gli specifici gruppi di lavoro.
Dichiaro conclusa l’audizione.
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Fonte: Senato della Repubblica