Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
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SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 31, mercoledì 8 luglio 2009

Audizione dei rappresentanti del settore ferroviario

Presidenza del presidente TOFANI

Intervengono, in rappresentanza della FAST Ferrovie, il signor Pietro Serbassi, segretario nazionale e il signor Vincenzo Notarnicola, responsabile nazionale Trenitalia; in rappresentanza della FILT-CGIL Nazionale 1, il signor Alessandro Rocchi, segretario nazionale dipartimento trasporto persone a terra e il signor Guido Barcucci, dell’Ufficio stampa; in rappresentanza della FIT-CISL, i dottori Osvaldo Marinig e Salvatore Pellecchia, dirigenti sindacali nazionali; in rappresentanza della O.r.S.A. Ferrovie, dottor Pasquale Giammarco, segretario generale aggiunto, i dottori Giuseppe Maltese, Andrea Pelle, segretari nazionali; in rappresentanza della SDL Trasporti, il signor Fabrizio Tomaselli, coordinatore nazionale ed i signori Roberto Testa, Luigi Corini e Pietro Scordo, membri coordinamento settore ferrovie; in rappresentanza dell’UGL-Federazioni trasporti, signor Franco Alicino, Segretario regionale Lazio attività ferroviarie; in rappresentanza della UIL-Trasporti, i signori Pietro Tutera e Riccardo Mussoni, membro dipartimento nazionale ferrovieri; in rappresentanza delle Ferrovie dello Stato S.p.A., il professor Innocenzo Cipolletta, Presidente, l’ingegner Mauro Moretti, Amministratore delegato, l’ingegner Vincenzo Soprano, Amministratore delegato di Trenitalia S.p.A., l’ingegner Michele Mario Elia, Amministratore delegato di rete ferroviaria italiana S.p.A., il dottor Domenico Braccialarghe, Direttore centrale risorse umane e la dottoressa Antonella Azzaroni, Responsabile affari istituzionali; in rappresentanza dell’ANSF (Agenzia nazionale per la sicurezza delle Ferrovie), l’ingegner Alberto Chiovelli, Direttore, l’avvocato Elena Mondani, funzionaria e l’ingegner Giulio Margarita, dirigente.


Audizione del Presidente e dell'Amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato S.p.A

PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca audizioni di rappresentanti del settore ferroviario.
Comunico che, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del Regolamento interno della Commissione, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo.
Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Comunico altresì che della seduta sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico.
La prima delle audizioni previste è quella di rappresentanti delle organizzazioni sindacali.
Do il benvenuto a tutti gli intervenuti, che ringrazio per aver accettato l’invito a prendere parte ai lavori della Commissione. Anche a seguito del drammatico incidente di Viareggio, abbiamo ritenuto opportuno svolgere un approfondimento sulla situazione del settore ferroviario, sia pure nel rispetto delle nostre competenze che, come sapete, riguardano la sicurezza sui luoghi di lavoro e quindi la salute dei lavoratori nell’esercizio delle loro funzioni. In modo particolare, siano interessati alla sicurezza dei soggetti che svolgono ruoli in cui non solo debbono tutelare la propria incolumità, ma anche quella di altre persone.
Lascio quindi la parola ai nostri ospiti.

TESTA
Intervengo a nome della SDL Trasporti. Le mie mansioni sono quelle di macchinista; sono altresì rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS).
La nostra organizzazione auspica lo sviluppo di un dibattito che conduca alla formulazione di processi atti a favorire il progresso del trasporto ferroviario. È necessario, a nostro avviso, un intervento legislativo forte, affidato all’ente superiore per eccellenza, ovvero allo Stato. Inquadrando la problematica della sicurezza in un’ottica generale, auspichiamo il diretto coinvolgimento dei lavoratori che fino ad oggi hanno operato in questo senso, soprattutto attirando l’attenzione, anche al di fuori del proprio circuito lavorativo, sulla presunta pericolosità di alcuni eventi che si verificano all’interno della produzione e del trasporto ferroviario. A questo proposito vorrei ricordare che abbiamo pagato un prezzo molto alto con l’allontanamento dal lavoro di un nostro RLS, Dante De Angelis, che in un recente passato aveva denunciato importanti carenze in ordine al trasporto ferroviario. Per questo egli è stato attaccato direttamente dalla società presso cui lavorava ed estromesso dall’attività lavorativa.
Già dal 2007, e fino ai primi mesi del 2009, i lavoratori che si trovano all’interno del ciclo produttivo di Ferrovie avevano avanzato richieste di intervento da parte dell’azienda per cercare di individuare e colmare eventuali lacune in questo senso. Quindi il pedaggio che noi paghiamo è già molto forte.
Vorrei poi sottolineare come il progetto che Ferrovie dello Stato ha messo in atto da dieci anni a questa parte abbia mirato in maniera costante e, a nostro parere, eccessiva a una continua riduzione del numero e delle caratteristiche del personale impiegato. L’incidente di Viareggio ci offre un utile spunto di riflessione su questa problematica che ci sta particolarmente a cuore. Secondo noi, il percorso aziendale è infatti teso verso una deriva pericolosa; basti pensare che se questo incidente si fosse verificato tra qualche mese la composizione dell’equipaggio a bordo di quel treno sarebbe stata non di due macchinisti ma di uno solo. Abbiamo ancora negli occhi le immagini di quell’incidente, che avrebbe potuto verificarsi in condizioni ancor più estreme: in un centro abitato, in una galleria, di notte, senza illuminazione, in una situazione disagevole dovuta alla mancanza di strade vicine o su un viadotto, perché queste sono le condizioni in cui normalmente viene espletato il trasporto ferroviario. Si consideri inoltre che quel treno nella sua corsa verso il Sud avrebbe attraversato completamente Roma, passando per le stazioni di San Pietro, Trastevere, Roma Ostiense, Roma Tuscolana e Roma Casilina.
Noi riteniamo che il trasporto di merci pericolose debba avvenire su rotaia, ma ci devono essere regole certe, uniche e inequivocabili con cui effettuarlo. La presenza del fattore umano non può essere circoscritta e continuamente ridotta. In Italia abbiamo assistito ad una progressiva desertificazione delle linee; il treno percorre lunghissimi tratti senza incontrare nessuno, nelle stazioni e nei punti di manutenzione non ci sono più gli addetti che c’erano un tempo. Fino ad ora ci ha tenuto a galla solo la presenza del personale sui treni; riteniamo quindi che andare verso una progressiva riduzione anche del personale di bordo sia estremamente deleterio.
I dati dimostrano in maniera indiscutibile che si sta incrinando qualcosa nei livelli di sicurezza. Solo per quanto riguarda il mio profilo professionale di macchinista, dal 1955 al 1983 abbiamo contato sette morti, numero che tra il 1985 e il 2006 è salito a 54; questo dato, considerato alla luce delle infinite variabili che regolano il trasporto ferroviario, è incontrovertibile.
L’ultima analisi che vorrei fare prima di lasciare spazio ai colleghi riguarda un discorso più generale che la nostra organizzazione sindacale sta affrontando in maniera approfondita. Prendendo spunto dalla vertenza della società Alitalia, abbiamo l’impressione che la divisione cargo stia subendo un processo di rottamazione. Qualcuno ha lavorato sistematicamente (non producendo piani, investimenti, interventi di sviluppo di questa società) per realizzare una sorta di ferrovecchio che temiamo possa essere messo all’asta al migliore offerente e al prezzo più basso. Inoltre, improvvisamente apprendiamo dalle pagine dei giornali che già ci si sta muovendo per realizzare una società che, al pari della Nuovo trasporto viaggiatori, sviluppi il traffico fra l’interporto di Napoli e quello di Barcellona.
Mi chiedo per quali ragioni fino ad oggi non ci siano stati da parte del legislatore interventi diretti sull’azienda FS, che è la più grande S.p.A. d’Italia, tali da realizzare questa evoluzione del trasporto merci, e per quali ragioni si ipotizza cosa si potrebbe fare di una società, che al momento appare estremamente smembrata, ridotta ai minimi termini, prima ancora che sia acquistata; un’azienda che presenta sette punti di intervento a Nord di Pisa e uno solo a Sud, a Marcianise e che vive la netta contrapposizione tra Nord e Sud non solo per quanto attiene ai binari, ma anche al trasporto viaggiatori. Ci sono state delle mancanze, servono delle correzioni, è necessario un intervento legislativo in questo senso, perché così come il trasporto viaggiatori deve essere inteso in senso universale, dall’alta velocità al trasporto del pendolare, dello studente e delle fasce meno abbienti, anche nel trasporto merci ci si deve fare carico della riduzione di CO2 e del disastro ambientale che stiamo vivendo e di cui si discute in questi tempi. Solo spostando il trasporto merci dalla gomma al binario riteniamo sarà possibile una sensibile inversione di tendenza vantaggiosa per i lavoratori e soprattutto per la comunità intera.
Chiediamo che tutto ciò venga realizzato attraverso un piano di sviluppo che abbia tempi di programmazione certi e che non si limiti alla mera riduzione del costo del lavoro all’interno dell’azienda, senza tenere conto degli innumerevoli sprechi fatti a livello societario.

PELLECCHIA
Signor Presidente, a nome della FIT-CISL ringrazio innanzitutto la Commissione per l’invito. Tralasciando le vicende rese tristemente note dalla cronaca, vorrei approfittare di questa occasione per sottolineare un aspetto di carattere più generale. Nel 2005, nell’ambito del Ministero dei trasporti, fu promosso un osservatorio per la sicurezza.
Ci fu anche la proposta di adottare un regolamento in materia e le stesse organizzazioni sindacali si preoccuparono di inviare delle controdeduzioni in ordine al possibile funzionamento dell’osservatorio stesso, del quale tuttavia, dal 2005, non si è avuta più traccia.
Come avemmo modo di sottolineare in quella circostanza, la costituzione di tale osservatorio avrebbe rappresentato un fatto importante, visto che non è possibile parlare di sicurezza solo quando si verificano eventi disastrosi: in realtà sarebbe opportuno che se ne parlasse in maniera sistematica, anche al fine di promuovere la diffusione di una cultura della sicurezza negli ambienti di lavoro. L’osservatorio rappresentava, appunto, uno strumento idoneo, per cui ci chiediamo se non sia possibile riprendere il discorso iniziato nel 2005.
Dico questo anche perché c’è già stata un’esperienza positiva in tal senso con l’istituzione nell’ambito di Rete Ferroviaria Italiana di un osservatorio permanente sulla sicurezza, che si riunisce con cadenza trimestrale, senza la necessità, dunque, di alcuna convocazione. Questo strumento viene utilizzato non solo per monitorare gli eventi infortunistici, ma anche per valutare le possibili azioni da mettere in campo, con l’obiettivo di promuovere e diffondere la cultura della sicurezza, perché riteniamo che, solo attraverso un’informazione ed una formazione continua e sistematica, si possa tentare di limitare il fenomeno degli infortuni sul lavoro.
Pur essendoci ad oggi circa 40 imprese ferroviarie operanti sul mercato, non siamo però riusciti ad avviare un’esperienza di questo tipo al di fuori di RFI. Tenendo conto, peraltro, della pluralità di soggetti attualmente presenti nel mondo del trasporto ferroviario, in conseguenza anche del processo di liberalizzazione avviato, sarebbe opportuno un intervento, magari di carattere legislativo, affinché tutte le imprese ferroviarie con licenza e certificato di sicurezza, che effettuano quindi il loro servizio sulle infrastrutture di RFI – dunque non solo Trenitalia – fossero coinvolte nell’esperienza dell’osservatorio permanente, al fine di promuovere la formazione e diffondere la cultura della sicurezza, in modo da evitare che, come si verifica sovente, la sicurezza stessa sia vista dalle imprese sempre e solo come un costo e non invece come un valore.

TUTERA
Signor Presidente, in rappresentanza della UIL Trasporti, intendo soffermarmi brevemente su alcune questioni, partendo da quanto sottolineato, da ultimo, dal collega Pellecchia. Innanzitutto voglio dire che la questione della sicurezza non può non rappresentare un valore per tutti noi, nell’ambito di un reticolo produttivo particolarmente complesso come quello delle ferrovie. In proposito vorrei ricordare che precedentemente all’audizione odierna, specificamente dedicata al tema della sicurezza sul lavoro, vi sono state altre due audizioni nel mese di marzo, al Senato e alla Camera, in merito alla vicenda delle ferrovie nel suo complesso.
Al riguardo faccio notare che è stato molto utile svolgere nell’ambito di Rete Ferroviaria Italiana un monitoraggio continuo, a cadenza trimestrale, di tutto ciò che attiene alla sicurezza, soprattutto al fine di richiamare l’attenzione su alcune situazioni e casualità determinatesi negli ultimi tempi. Tra i dati che stiamo monitorando, vi è innanzitutto quello relativo all’avvenuto aumento dell’incidentalità in relazione al passaggio nel 2008 di una consistente quota del personale di manovra da Trenitalia a Rete Ferroviaria Italiana. Nell’ambito di questo ragionamento stiamo approfondendo la questione sicurezza con riferimento a tutto ciò che concerne il trasporto nel suo complesso, quindi sia delle merci che dei passeggeri.
Certamente non possiamo trascurare il fatto che la componente sicurezza è estremamente variegata e che è fatta di molti elementi, non ultimo quello relativo agli investimenti infrastrutturali: rispetto alle dotazioni economiche del 2008, si riscontra oggi un minore introito da parte di FS, sia per la parte delle infrastrutture che per quella del trasporto.
Una delle questioni principali che sicuramente coinvolge tutti noi ed alla quale dovremmo tutti prestare attenzione, è quella relativa al fatto che gli ambienti di lavoro devono essere adeguati, in modo da permettere al lavoratore di svolgere la sua attività in sicurezza e salute. Tale aspetto non può essere considerato soltanto come una spesa, né come un costo economico, ma deve rappresentare un’esigenza primaria.
Ritengo dunque necessario concentrarci su questi aspetti, sia per quanto attiene agli investimenti economici, sia con riferimento alla tecnologia e, non ultimo, alle risorse umane, che devono essere adeguatamente formate ed istruite per poter realizzare tali obiettivi.

ROCCHI
Signor Presidente, a nome della FILT-CGIL, vorrei fare una breve integrazione di quanto detto dai colleghi che mi hanno preceduto.
Innanzitutto mi sembra utile evidenziare il fatto che se è vero, come ci dicono i dati, che il livello di sicurezza del sistema ferroviario italiano è fra i migliori in ambito europeo, continuiamo tuttavia a registrare un punto particolarmente critico proprio in termini di sicurezza sul lavoro, soprattutto per quanto riguarda le attività di manutenzione delle infrastrutture. In particolare, un elemento che desta la nostra preoccupazione è riferibile alle interferenze fra attività svolte direttamente da personale RFI e personale dipendente da aziende appaltatrici. Nel corso degli ultimi due anni gli incidenti sul lavoro che hanno riguardato il sistema ferroviario hanno coinvolto in misura preponderante personale di manutenzione dell’infrastruttura; in tutti i casi, eccetto l’incidente di Catania dello scorso settembre, vittima è stato il personale di ditte appaltatrici o il personale di RFI coinvolto nell’incidente da operazioni svolte da aziende appaltatrici.
Più in generale, vorrei svolgere alcune riflessioni che scaturiscono dai fatti. A noi risulta che in Italia il trasferimento di competenze presso l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria abbia registrato, ad un anno e mezzo trascorso dalla formale istituzione di quest’ultima, nell’ottobre 2007, ritardi notevoli. Un solo esempio: il decreto legislativo n. 162 del 2007, con il quale è stata costituita, recependo una direttiva europea, l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, prevedeva un organico di 193 unità entro un biennio dall’attivazione, laddove sembra che a tutt’oggi l’Agenzia utilizzi complessivamente non più di 70 persone.
Il processo di liberalizzazione del settore ferroviario a livello europeo (quindi anche a livello nazionale, ma l’osservazione è riferita maggiormente all’ambito europeo) – e l’incidente di Viareggio ne è conferma – è avanzato molto più nelle dinamiche competitive di mercato che non nell’adeguamento delle regole che sovrintendono alla regolazione del mercato e ad una serie di aspetti connessi. La competizione che in questi anni, seppure in maniera lenta, si è andata affermando nel sistema ha stressato diversi fattori di costo, sia sulla filiera commerciale che su quella industriale; tutto ciò è stato affrontato con diverse disarmonie, tuttora esistenti, a livello di normativa europea e di recepimento nei singoli Stati membri.
Riteniamo questo un elemento delicato e un campanello d’allarme significativo, che quindi andrebbe tenuto sotto osservazione nelle evoluzioni future.

PRESIDENTE
Può approfondire quest’ultimo passaggio?

ROCCHI
Sì, Presidente, mi avvarrò di un esempio. I carri merci immatricolati presso alcune reti europee diverse da quella italiana hanno tempi di scadenza del rodiggio di sei anni, che diventano quattro per i contenitori; altri Paesi hanno invece allineato entrambe le scadenze a sei anni. Pare che – di questo non abbiamo dati diretti ma sarebbe interessante indagare – la condizione più favorevole per i proprietari dei carri (che ovviamente è di sei anni per entrambi gli elementi) abbia fatto crescere nel corso degli anni il numero delle iscrizioni sui registri matricolari delle reti che offrono questo tipo di standard di revisione e sicurezza.
Probabilmente si aprirà una discussione – mi pare che sia già stata preannunciata dal commissario europeo – sull’opportunità di introdurre controlli basati sul chilometraggio e non più sul criterio temporale. Noi abbiamo qualche perplessità in proposito, non tanto sul fatto che i controlli fondati sulla percorrenza chilometrica siano più rispondenti alle esigenze manutentive, ma perché l’introduzione di scadenze legate al chilometraggio renderà il controllo ancor più complesso di quanto non sia attualmente.
Sul pianale di un carro c’è un’etichetta su cui è indicata la data di scadenza della revisione, laddove il controllo diretto sui chilometri effettuati sarebbe più complesso ed altrettanto lo sarebbe l’immagazzinamento dei dati. Emerge dunque la necessità che non soltanto si acceleri l’evoluzione delle norme nel campo della sicurezza ferroviaria, ma che prima di tutto si raggiunga maggiore omogeneità in questa fase di transizione.
Se il carico del treno deragliato a Viareggio fosse stato trasportato su strada probabilmente sarebbe stato necessario utilizzare 25 o 30 automezzi pesanti. Sottolineo questo aspetto perché siamo ancora convinti che la modalità ferroviaria, nel trasporto di merci pericolose, continui ad essere quella più sicura. Combinando il dato quantitativo in termini di traffico con il dato di incidentalità stradale che coinvolge mezzi pesanti emerge che il rischio indotto da un trasporto su modalità diverse è minore; pertanto il trasporto ferroviario va sostenuto ed incentivato.
È probabile che sia richiesta maggiore attenzione da parte del gestore dell’infrastruttura. Se ciò risultasse necessario sarebbero opportuni interventi legislativi per l’individuazione di itinerari più adatti per l’inoltro di merci pericolose, anche se l’Italia ha una struttura urbanistica talmente polverizzata che sarebbe illusorio porsi l’obiettivo di non far più passare treni di questo genere attraverso i centri abitati. Ciò nonostante, l’individuazione di itinerari che, nella misura possibile e con gli investimenti necessari, possano ridurre questo elemento di rischio è un fattore da tenere presente.

GIAMMARCO
Signor Presidente, in primo luogo desidero ringraziare la Commissione per l’opportunità che ci viene offerta. Anche se diversi aspetti sono già stati menzionati, credo sia opportuno ribadirne alcuni.
Le statistiche ci dicono che le ferrovie italiane sono le più sicure a livello europeo e noi non vogliamo mettere in dubbio tale dato. Tuttavia, dobbiamo registrare che ancora si muore sui binari e ciò accade, come è già stato sottolineato, soprattutto agli addetti alla manutenzione delle infrastrutture (se non ricordo male, negli ultimi tre anni i morti sono stati tredici). Manterremo quindi alto il nostro livello di attenzione affinché ciò non accada più. La sicurezza comporta investimenti e costi, evidenziamo che nell’ultima finanziaria ci sono stati tagli alla manutenzione dell’infrastruttura della rete pari a 317 milioni.
Dobbiamo riflettere sul fatto che i sistemi di lavorazione sono ormai stressati a causa dei tagli, pertanto alcune attività vengono subappaltate ad imprese che magari adottano contratti che prevedono condizioni di lavoro diverse da quelle previste nel contratto di chi lavora nelle Ferrovie dello Stato. In Italia infatti abbiamo un mercato liberalizzato, ma le regole sono connotate da una eccessiva libertà che consente alle imprese di adottare contratti di tipo diverso e quindi anche modelli organizzativi del lavoro diversi, con lo scopo di abbattere i costi. Quando si eccede in questa politica si va ad incidere sui livelli di sicurezza.
Il sindacato si è impegnato in tal senso già in passato, con il precedente Governo, e sta cercando di realizzare un contratto della mobilità per evitare che la concorrenza si scarichi completamente sulle condizioni di lavoro e quindi sulla sicurezza: una lavorazione data in appalto o in subappalto verrà effettuata con costi inferiori e quindi con condizioni, penalizzanti per i lavoratori, che incidono sulla sicurezza. Temi quali il rapporto di lavoro, la formazione professionale, le normative organizzative e di sicurezza chiaramente chiamano in causa l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, che ha un ruolo importante, non solo di indirizzo nell’elaborazione di regole applicative per questo mondo particolarmente complesso, ma anche di verifica e controllo. Regolare questo sistema, questo mercato, è l’azione primaria da compiere.
Oggi l’Italia è il Paese europeo che vanta la normativa di liberalizzazione più avanzata. Vorrei segnalare un fatto molto importante, cioè che le imprese straniere entrano nel nostro territorio, magari acquisendo piccole imprese cui vengono addirittura concessi certificati di sicurezza senza che abbiano materiale rotabile, senza alcuna clausola di reciprocità. Mi chiedo se in un settore così complesso e delicato si possa rilasciare il certificato di sicurezza ad un’impresa che in realtà non esiste, ma è tale solo sulla carta e non ha neanche una locomotiva. Questo sistema normativo non regge, pertanto su questa tematica chiediamo al legislatore un intervento importante.
Credo che l’incidente di Viareggio debba soprattutto far riflettere su quelli che vengono definiti cambiamenti epocali, come la revisione delle lavorazioni e le tipologie di contratto. Il rapporto di lavoro di alcune qualifiche (mi riferisco ai manutentori, ai conduttori di treno, agli addetti ai cantieri con contratti precari) incide direttamente sulla sicurezza posto che queste figure professionali rientrano in un ciclo molto importante e delicato. Inibire, quindi, l’utilizzo di alcune tipologie di lavoro precario per ambiti delicati come quello ferroviario è una condizione che, a nostro avviso, deve essere evidenziata anche a livello legislativo.
Vorrei aggiungere un’ultima considerazione sulle merci, specificamente su quelle pericolose. Il nostro è un territorio particolare, quindi bisognerebbe trovare delle strade alternative e isolate. Va comunque fatto un tentativo per monitorare e soprattutto regolamentare il trasferimento delle merci pericolose. Infatti se è vero che il trasporto di queste merci è rischioso – e l’incidente di Viareggio lo dimostra – è altrettanto vero che queste stesse merci sulla strada normale rappresentano un pericolo assai più elevato; pertanto, quando si parla di riequilibrio modale, soprattutto per queste tipologie di trasporto, si tratta di una scelta politica che il Governo deve compiere. Dare un indirizzo spetta dunque alla politica e noi auspichiamo che questo incidente così grave, che ha toccato l’opinione pubblica in modo così forte, possa favorire un’inversione di tendenza.
Per garantire la sicurezza bisogna tener conto di tutti i contributi, ivi compresi quelli dei lavoratori. È stato accennato – e vorrei evidenziarlo anch’io – che non è una buona politica quella di cercare di instaurare un clima di tensione, come è successo nel caso di Dante De Angelis, un nostro iscritto (ma la sua vicenda procede autonomamente). Il contributo dei lavoratori al raggiungimento di più elevati livelli di sicurezza è fondamentale: chi sta sui binari e sui punti delicati del sistema produttivo deve poter dire la sua.

PRESIDENTE
Con riguardo alle merci pericolose, a cosa si riferiva quando parlava del bisogno di monitorare e regolamentare il loro trasferimento?

GIAMMARCO
Queste merci non circolano solo su ferrovia.

PRESIDENTE
Quindi si riferiva all’opzione tra gomma e ferrovia.
Pensavo volesse fare qualche proposta di carattere diverso.

SERBASSI
Esprimo il mio ringraziamento per l’opportunità che è stata offerta a FAST-Confsal di intervenire in questa sede. Non vorrei ripetere osservazioni già fatte, quindi cercherò di focalizzare il mio intervento sull’aspetto che a nostro avviso l’incidente di Viareggio mette maggiormente in evidenza: mi riferisco, come è già stato detto, all’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria. Il problema è molto ampio, come dimostrano le notizie che abbiamo fin ad oggi, e ha a che fare con la liberalizzazione intervenuta a livello europeo. La sicurezza che le ferrovie italiane possono vantare è stata chiaramente intaccata e, anche restando le più sicure, il fattore rappresentato da ditte esterne appaltatrici ha comportato un aumento di incidenti. Da un’indagine che abbiamo condotto sembrerebbe che oltre a quello di Viareggio si siano già verificati in precedenza sulla rete altri tre incidenti classificabili come gravi in base al modello UIC (Unione internazionale delle ferrovie). Se questo fosse vero, è evidente che forse non viene riservata l’attenzione necessaria a quegli incidenti dai quali potrebbero emergere elementi di rilievo: mi riferisco, ad esempio, allo svio che si è verificato a Prato o all’incidente accaduto vicino a Varese che, pur non avendo avuto conseguenze catastrofiche, sono stati comunque gravi sul piano dell’incidentalità ferroviaria.
A ciò si collega il discorso sull’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, che avrebbe dovuto essere già operativa sul territorio, con un certo numero di dipendenti, mentre la sua azione è ancora concentrata.
Questo anche in conseguenza del fatto che per gli stessi soggetti preposti al controllo della sicurezza uno dei problemi principali è quello dei costi e della ricerca continua dell’economicità, da cui deriva poi questo tipo di problemi.
È necessaria quindi una maggiore attenzione al riguardo e, in questo senso, dovrebbe riconoscersi all’Agenzia stessa la possibilità di svolgere ispezioni più incisive, con una maggiore forza cogente, anche al fine di dare risposte chiare. Da tempo stiamo ponendo tutta una serie di problemi in materia di sicurezza della circolazione ferroviaria, ma le risposte che ci vengono date sono spesso poco tecniche e questo ci preoccupa non poco.
Ci sarebbe inoltre bisogno di un sistema sanzionatorio più incisivo rispetto a quello prospettato dal decreto legislativo n. 162 del 2007, che si limita invece soltanto a prevedere la possibilità per l’Agenzia di ricorrere ad un’azione di richiamo verso le imprese ferroviarie, nonché alla sospensione del certificato di sicurezza. Riteniamo che, ove si assegnasse all’Agenzia non solo un potere ispettivo, ma anche un potere sanzionatorio in forza del quale colpire magari economicamente chi è preposto all’organizzazione della sicurezza, si potrebbero evitare o quantomeno limitare problemi di questo genere.

ALICINO
Signor Presidente, intervengo a nome della UGL-Federazione Trasporti. In merito all’ultima considerazione svolta sull’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, mi sembra una contraddizione in termini avere un’Agenzia nazionale che si trova poi ad amministrare personale o aziende svuotate, perché la verità vera è questa. Nel settore della manutenzione delle infrastrutture ferroviarie, per quanto riguarda il numero degli addetti, il rapporto rispetto alle società private esterne è ormai di uno a cinque. Inoltre, spesso si tratta di personale poco specializzato: voglio ricordare che occorre molto tempo per formare un buon manutentore nel nostro settore e che, a volte, una carriera ferroviaria non basta!
Oggi troviamo invece personale improvvisato, mandato allo sbaraglio in mezzo ai binari, perché quello che conta è avere il prodotto finito nell’immediato; il «tutto e subito», però, è spesso causa di quanto sta avvenendo oggi nelle ferrovie, ovvero del fenomeno delle cosiddette morti bianche. Non so quante morti dovremo ancora contare, ma spero che questa sia l’ultima di una lunga serie.
Tralascio quanto accaduto a Viareggio, perché c’è un’indagine in corso e dare giudizi di merito adesso sarebbe fuori luogo, oltre che intempestivo.
Quello che voglio dire, però, è che la sicurezza deve rappresentare un investimento: quanto affermava prima il collega Pellecchia, secondo cui essa non può essere vista solo come una spesa, deve essere il primo punto di ogni riforma contrattuale, il punto cogente e più importante.
Non vorrei ripetere cose già dette, ma ruota tutto intorno a questo aspetto.
Oggi ci troviamo di fronte ad un’azienda che non voglio dire che stia andando alla deriva, ma che sta comunque combattendo una battaglia quotidiana per la sicurezza: spesso si ricorre a personale se non poco attento, poco professionalizzato, oltre al fatto che gli addetti alla manutenzione dipendenti da Ferrovie dello Stato sono in numero molto ridotto rispetto a dieci anni fa; il settore è stato infatti svuotato delle dovute professionalità, che non sono mai state rimpiazzate; di qui tutta una serie di incidenti verificatisi nel tempo.
Ringrazio la Commissione per l’attenzione, nella speranza di non dover assistere ad altri gravi incidenti e di non dover più parlare di morti bianche.

BUGNANO (IdV)
Vorrei un chiarimento ed un approfondimento su un aspetto specifico che è stato prima affrontato. Il signor Rocchi ha riferito che per quanto riguarda il periodo stabilito per la revisione dei mezzi la legislazione a livello europeo – se non ho capito male – è differente da Paese a Paese. In particolare vorrei sapere quali sono i Paesi europei che hanno la normativa più favorevole, anche perché mi pare sia stato detto che spesso si sceglie di immatricolare i mezzi in un Paese piuttosto che in un altro, al fine appunto di approfittare dei vantaggi derivanti dalla diversa regolamentazione.
Vorrei capire inoltre dai nostri ospiti quale dovrebbe essere, in base alla loro esperienza, il periodo entro cui un mezzo può essere utilizzato con un adeguato livello di sicurezza.

ROCCHI
Se la Commissione lo riterrà utile, potremo raccogliere al riguardo dati più precisi. In ogni caso, con specifico riferimento all’incidente di Viareggio, dei 14 carri coinvolti, 13 erano immatricolati presso l’Agenzia nazionale tedesca e uno presso quella polacca, con un periodo di scadenza della revisione – a quanto ci risulta – di sei anni, sia per le cisterne che per il rodiggio (vale a dire l’insieme di ruote, carrello e sospensioni).
Per i mezzi immatricolati in Italia, invece, il periodo previsto per la revisione è di sei anni per il rodiggio e di quattro per le cisterne. È chiaro allora che, anche da un punto di vista economico, per i proprietari di carri privati è più conveniente un termine di scadenza di sei anni per entrambi.
Probabilmente gran parte dei nuovi Stati membri dell’Unione europea ha una regolamentazione analoga a quella di Polonia e Germania. Inoltre – senza voler entrare troppo nel tecnicismo – dobbiamo considerare che i Paesi convenzionati nel settore del trasporto ferroviario sono molti di più di quelli dell’Unione: pensiamo, ad esempio, che le convenzioni sul trasporto ferroviario internazionale, sia di viaggiatori che di merci, coinvolgono ben 42 Stati, che fanno parte di un mercato più ampio di quello europeo. In Francia, invece, una parte dei carri è sottoposta attualmente a scadenze chilometriche per le revisioni.
Noi siamo sindacalisti e non abbiamo particolari competenze tecniche, però osserviamo che quando il sistema non era liberalizzato queste scadenze erano oggetto di reciproche convezioni fra Stati. Fino ad una quindicina di anni fa era sostanzialmente ininfluente il fatto che ci fossero, ad esempio, delle differenze sulle scadenze, perché l’immatricolazione avveniva attraverso le imprese nazionali pubbliche monopoliste di ogni singolo Stato, la circolabilità dei carri era regolata sulla base di convenzioni internazionali fra tutte le imprese ferroviarie monopoliste aderenti, il sistema era sostanzialmente chiuso ed ampiamente collaudato da oltre cento anni di esperienza (i primi trattati di questo genere risalgono al 1882). Le ultime revisioni sulle scadenze sono di una quindicina di anni fa; nel frattempo le percorrenze dei carri sono notevolmente aumentate. Nel mercato liberalizzato, il prezzo di noleggio dei carri è un fattore importante della competizione, quindi un’utilizzazione intensiva dei carri è uno dei fattori ai quali il processo di liberalizzazione ha impresso un’accelerazione.
In primo luogo, sarebbe necessario prevedere scadenze differenziate non per gli elementi che compongono il rotabile, ma per ciò che si trasporta: infatti, il cedimento di un asse (come si è verificato nel caso di Viareggio) di un carro che trasporta legname produce un rischio minore rispetto a quello di un carro che trasporta merci pericolose. Una prima differenziazione potrebbe dunque essere la seguente: scadenze fissate non sul singolo organo meccanico, ma con riferimento all’impiego effettivo di quest’ultimo, anche rispetto a possibili fattori di rischio. In secondo luogo, occorrerebbe prevedere una riduzione dei tempi; probabilmente un dimezzamento dei tempi potrebbe essere una misura utile. In sintesi: un allineamento delle scadenze tra rodiggio e contenitori e il dimezzamento delle scadenze attualmente previste, che sul rodiggio sono di sei anni in quasi tutta Europa.

CONTI (PdL)
È ragionevole pensare che a questo argomento specifico si possa applicare l’idea di considerare i trasporti nell’ambito di un sistema intermodale, specialmente quando si tratti di trasporti pericolosi, come nel caso di cui stiamo discutendo? Non credo che le questioni di una maggiore sicurezza del trasporto e di una maggiore efficienza della logistica in Italia siano risolvibili senza affrontare un discorso di sistema.
Penso che in quanto autorevoli rappresentanti dei lavoratori e sindacalisti di grande professionalità e competenza, dovreste farvi carico di un ragionamento più complessivo.
Si potrebbe partire da questo aspetto per iniziare un confronto che punti maggiormente al nocciolo del problema. Se in questo comparto, come in altri, ognuno continuerà ad interessarsi solo del suo specifico settore di competenza, non riusciremo mai, politici, sindacalisti, lavoratori ed imprenditori, a fare un ragionamento di sistema, più complessivo, più strategico per l’Italia.

NEROZZI (PD)
Oltre alle questioni che ha sollevato il signor Rocchi circa le differenze concernenti le immatricolazioni e la manutenzione dei carri e degli altri strumenti, vorrei avanzare un altro quesito, che riproporrò anche nella successiva audizione con i vertici delle FS. Che tipo di controlli vengono eseguiti sul contenuto dei trasporti? A me risulta che i controlli vengano fatti nei Paesi di partenza ma, a seguito delle convenzioni, non ci sono controlli, né per i carri né per il contenuto, da parte del nostro Paese. In altre parole, essendoci modalità diverse di controllo, si possono generare forme di pericolo non previste.
Da quanto vi risulta, vengono eseguiti dei controlli sui materiali trasportati?
A tal riguardo, nel nostro Paese vi sono norme di sicurezza molto precise e molto puntuali, ma altri Paesi potrebbero avere forme di controllo di tipo diverso.

TESTA
Signor Presidente, nell’incidente di Palagianello, dove un treno merci ha urtato un treno che trasportava viaggiatori nel passaggio dal binario doppio al binario semplice, a seguito della perizia di parte è emersa una condizione a nostro giudizio allarmante: il treno aveva un carico assegnatogli in partenza (quello dichiarato dagli spedizionieri), ma nessuno ne aveva realmente controllato il peso. Ovviamente lo spedizioniere aveva tutto l’interesse a dichiarare un peso minore rispetto a quello effettivamente spedito; quindi la perizia, nel momento in cui è intervenuta ed ha provveduto a ripesare il carico, ha riscontrato un peso completamente differente. Se non esiste un meccanismo di accertamento alla fonte su una delle variabili che fanno parte del trasporto ferroviario è ovvio dedurre che esistono delle carenze e delle zone d’ombra.
Vorrei ricordare che su rotaia sono stati fatti trasporti di merce radioattiva, di rifiuti pericolosi, di elementi che non possono essere maneggiati o che deflagrano a contatto con l’aria; vi è tutta una serie di elementi che vengono trasportati su rotaia, credo con la migliore utilità rispetto ai vari trasporti possibili, ma che devono essere verificati, controllati e sottostare a regole certe.

NEROZZI (PD)
La mia domanda era diversa. Sono differenti le normative nel trasporto di sostanze tossiche o di altri materiali pericolosi fra il nostro ed altri Paesi? Quanto lei ha dichiarato è molto importante, ma rientra negli errori che si compiono quando non si applicano le leggi già in vigore. Se invece esistono legislazioni differenti, si pone un problema di controllo.

PRESIDENTE
Sicuramente questo sarà un argomento che avremo modo di approfondire nella prossima audizione.

PELLECCHIA
Signor Presidente, vorrei tornare sul tema sollevato dal senatore Conti. Quando nel 2005 abbiamo posto la questione dell’osservatorio per la sicurezza, lo scopo era di dedicare tale struttura agli aspetti intermodali della sicurezza e ai punti di maggiore criticità relativi a ciascuna modalità di trasporto. Un esempio per tutti: oggi buona parte dei controlli è svolta dalle imprese ferroviarie, quindi il personale che effettua le verifiche sul carico è dipendente dell’azienda ferroviaria stessa.
In questo caso si intravede un certo conflitto di interesse; forse questa non è la sede opportuna, ma si potrebbero sollevare diverse questioni.
In ogni caso, l’idea di istituire l’osservatorio cui facevo riferimento era proprio finalizzata ad evitare che ciascuno effettuasse i controlli in casa propria.

PRESIDENTE
Ringraziando tutti gli ospiti intervenuti, ricordo che il nostro rapporto è aperto, quindi qualsiasi elemento aggiuntivo utile alla nostra attività sarà ben gradito.
Dichiaro conclusa l’audizione delle organizzazioni sindacali del settore ferroviario.


Audizione del Presidente delle Ferrovie dello Stato S.p.A., Innocenzo Cipolletta, e dell’Amministratore delegato, Mario Moretti



PRESIDENTE
Segue l’audizione del Presidente delle Ferrovie dello Stato S.p.A, Innocenzo Cipolletta, e dell’Amministratore delegato, Mario Moretti.
Come ben sa l’ingegner Moretti, con il quale questa Commissione ha avuto il piacere di avere un altro incontro circa un anno e mezzo fa, il nostro compito è orientato alla conoscenza delle problematiche inerenti la sicurezza e la salute dei lavoratori nei luoghi di lavoro. Chiaramente, sono particolarmente interessanti per la nostra indagine non solo quei casi che riguardano la sicurezza dei lavoratori nell’esercizio delle loro funzioni, ma anche tutte quelle attività, come la conduzione di convogli, in cui la sicurezza dei viaggiatori è strettamente legata a quella dei lavoratori.
Vorremmo quindi conoscere quanto è accaduto nel drammatico incidente di Viareggio, ma altresì sapere se da vostre analisi e approfondimenti risultino aspetti inerenti un’eventuale azione di prevenzione da realizzare attraverso atti e normative che coinvolgano le autorità competenti ed in modo particolare l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria.
Vorremmo cioè sapere su quali elementi in questo periodo avete ritenuto opportuno rivolgere la vostra attenzione in riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro nell’accezione più ampia del termine, dal momento che la sicurezza riguarda non solo i manovratori, ma tutti i lavoratori del comparto nonché i viaggiatori.

CIPOLLETTA
Desidero anzitutto rispondere all’invito del Presidente facendo rilevare come proprio il numero delle persone intervenute in questa occasione testimonia la nostra volontà di dare tutte le informazioni necessarie.
Il gruppo Ferrovie dello Stato S.p.A. in questi anni ha portato avanti un progetto di riequilibrio finanziario, ma tengo a sottolineare come ciò non sia mai avvenuto a discapito della sicurezza. Al contrario, abbiamo investito in sicurezza, rappresentando questo il nostro obiettivo primario.
Lo stesso consiglio d’amministrazione ha esaminato più volte rapporti sulla sicurezza, con riferimento ai lavoratori, alle persone trasportate e a tutti coloro che si trovano ad essere in contatto con il sistema ferroviario.
Pertanto, da nostra parte c’è una totale disponibilità a rispondere alle domande della Commissione.
Se il vostro interesse concerne l’incidente di Viareggio possiamo aggiornarvi sui dati a nostra conoscenza, anche se abbiamo già riferito all’8ª Commissione del Senato circa il drammatico evento. Mi preme sottolineare ancora una volta che siamo a completa disposizione di questa Commissione d’inchiesta e della magistratura che sta portando avanti le indagini, posto che è nostro interesse primario che siano ben chiarite tutte le dinamiche dell’incidente, con l’obiettivo altresì di evidenziare eventuali miglioramenti a livello normativo che potrebbero rendere più sicuro il sistema dei trasporti su rotaia.
Fatta questa premessa, lascio la parola all’ingegner Moretti.

MORETTI
Signor Presidente, se ho ben capito, la Commissione vorrebbe conoscere le nostre opinioni riguardo all’incidente di Viareggio, anche se ci eravamo preparati soprattutto sul problema della sicurezza sul lavoro in senso stretto, per cercare di darvi le dimensioni dell’opera che stiamo svolgendo.

PRESIDENTE
Proprio per quelle che sono le nostre competenze, ci interessa tutto ciò che riguarda la sicurezza. Chiaramente, è un tema che non ha limiti: non possiamo affermare che ci interessano solo quegli aspetti inerenti la sicurezza del luogo dove l’operatore svolge la sua attività.
Infatti, a fini di sicurezza è comunque importante sapere su quali vettori si viaggia, avere conoscenza di quali merci si trasportano e avere contezza della velocità (potrei fare un discorso più lungo ma certamente meno qualificato del suo sul tema della sicurezza nel settore ferroviario).
Vorremmo, quindi, avere una visione ampia, che ci dia informazioni su quali controlli ci sono stati, sulle merci trasportate, sul grado di sicurezza garantito sia al macchinista sia agli operatori che hanno svolto altre funzioni tecniche, come quelle di aggancio e di sgancio.
Un altro campo che comunque ci deve coinvolgere è quello della certificazione, atteso che, a quanto pare (e voi ne saprete sicuramente più di noi), le modalità di certificazione dei carri possono differire per quanto concerne i luoghi dove quest’ultima viene fatta e le tipologie di controllo effettuate ai fini del rilascio. Tutto ciò rientra nel tema della sicurezza. Infatti i due ferrovieri sono riusciti miracolosamente ad evitare la morte, ma si sono trovati in una situazione molto difficile con riguardo alle condizioni di sicurezza del loro lavoro. Vorremmo avere, quindi, un quadro completo della situazione.

MORETTI
Inquadrare questo problema è molto complicato, nel senso che occorre analizzare il complesso delle leggi e delle norme riferite ai vari comparti per poter avere una visione a 360 gradi del sistema relativo alla sicurezza. Vi è tutta una serie di norme riguardanti, ad esempio, l’assicurazione treni, che ha una sua struttura, una sua definizione ed una sua specifica determinazione, così come avviene negli altri settori del trasporto (navigazione aeromarittima, stradale e così via).
Se dovessi fermarmi ad una valutazione di tipo esclusivamente qualitativo potrei tracciare un parallelo con quanto avviene per il trasporto su gomma: pensiamo, ad esempio, al caso del camionista che magari trasporta merci non conformi alla normativa in materia di sicurezza sul lavoro, ma viaggia comunque nel rispetto delle norme del codice della strada. La stessa cosa vale per il nostro settore, per cui possiamo dire che, come c’è un codice della strada, c’è anche una sorta di codice della ferrovia, che rappresenta una regolamentazione a sé stante, non collegata in maniera immediata alla sicurezza sul lavoro. Così come esiste un corpo di norme che disciplina la sicurezza della circolazione dei camion, delle auto e, più in generale, del trasporto su gomma, sulle navi e sugli aerei, vi è tutta una serie di direttive europee, di standard nazionali e soprattutto internazionali (visto che il nostro è un trasporto internazionale), nonché un insieme di norme facenti parte delle legislazioni nazionali, che devono essere applicate e rispettate affinché possa essere garantita la sicurezza nella circolazione dei treni.
Al riguardo vorrei precisare come la questione della sicurezza sul lavoro rappresenti soltanto una parte del più generale discorso concernente la sicurezza complessiva dell’ambiente che il treno attraversa, dei passeggeri e, comunque, delle persone coinvolte nel trasporto. Di certo il problema della sicurezza sul lavoro può avere riflessi sulla situazione complessiva riguardante la sicurezza della circolazione dei treni, ma è molto difficile determinarli.
Per meglio intenderci, vorrei fornire un dato che è certamente anche ad effetto: nel 2009 tra i lavoratori delle FS c’è stato un solo incidente mortale, verificatosi in itinere, lungo il percorso. Questa è la situazione che oggi registriamo. Altro è il discorso del comportamento che come impresa dovremmo tenere nei confronti del lavoratore che sta sulla strada, del resto più o meno equivalente a quello relativo al comportamento che dovremmo avere con il lavoratore rispetto all’«operazione strada»: si tratta di due interventi simmetrici ed in qualche modo assimilabili.
Detto questo, vorrei parlarvi innanzitutto di sicurezza sul lavoro in senso stretto, perché in questo settore svolgiamo un’ampia attività di investimento, di formazione, nonché di certificazione integrata, nel senso cui lei, Presidente, ha fatto riferimento. Nel 2000-2001, nell’ambito di Rete Ferroviaria Italiana, abbiamo avviato una prima importante sperimentazione per una certificazione integrata in materia di sicurezza del lavoro, dell’ambiente e della circolazione treni, nel tentativo di muovere in qualche modo verso la direzione da lei indicata, pur di fronte a corpi di norme tra di loro completamente diversi e separati, sia in ambito europeo che nazionale.
Fortunatamente si sta sviluppando una filosofia comune, quella cioè di compiere analisi del rischio, anche al fine di avere un’idea chiara dell’ambiente in cui il lavoratore opera o nel quale si colloca una determinata situazione. In particolare, attraverso il ricorso ad una metodologia comune, mediante procedure abbastanza sofisticate ed elaborate, si sta cercando di individuare scenari di riferimento, partendo dai dati dell’esperienza maturata in questo campo.
Sulla base di questo lavoro abbiamo condotto l’operazione di integrazione che ha portato, tra l’altro, ad avere una certificazione che ha riguardato quasi tutte le unità di Rete Ferroviaria Italiana e che ha coinvolto recentemente anche Trenitalia. Tale certificazione è stata affidata al T.U.F. di Monaco, che riteniamo essere tra gli organismi certificatori più severi esistenti oggi al mondo. Ad esso abbiamo fatto ricorso anche in altri casi, in ambiti particolarmente complessi, come ad esempio quello relativo ai sistemi di sicurezza della circolazione treni che, alla luce dell’impostazione che seguiamo da ormai circa nove anni, rappresenta l’esperienza più avanzata oggi esistente: abbiamo utilizzato volontariamente standard CEN-CENELEC, con un livello di sicurezza pari a quattro, quello proprio della bionica e del nucleare. Abbiamo posto dunque questo vincolo allo sviluppo dei nostri sistemi automatici di controllo dei treni e delle stazioni, in modo che essi siano in grado di garantire il massimo della sicurezza rispetto a quanto la tecnologia e l’esperienza oggi possono assicurare.
Vorrei fornirvi ora alcuni dati, anche per darvi un’idea di come ci siamo mossi nel corso tempo e di come ancora ci stiamo muovendo, considerato che spesso dai giornali risultano notizie tutt’affatto diverse. Nel 1985 si registrava un indice di incidenza degli infortuni pari ad 81 (ovviamente omogeneizzando le diverse situazioni ed i numeri riferiti al personale): siamo arrivati nel 2008 a 39. C’è stata dunque una diminuzione forte e sistematica, che difficilmente può essere posta in relazione a quanto normalmente si legge sui giornali, secondo cui, alla fine, «si stava meglio quando si stava peggio». Ho letto spesso sulla stampa dichiarazioni in base alle quali sembrerebbe che mentre negli anni Novanta andava tutto benissimo, oggi ci sarebbe il degrado. Ebbene, tutti gli indici che abbiamo a disposizione mostrano esattamente il contrario.
Vi informo che nello stesso periodo al quale ho appena fatto riferimento siamo passati da circa 202 incidenti ferroviari a 19. Si tratta di un percorso costante, che non ha mai conosciuto oscillazioni particolarmente significative rispetto alla tendenza sulla quale ci siamo assestati e che rappresenta una storia di ragguardevole interesse nel campo della sicurezza, che ci ha portato ad essere, per quanto rientra nella gestione di Ferrovie dello Stato in Italia, primi in Europa.
Sicuramente la Commissione dispone di una serie di dati statistici raccolti a livello europeo che non sono certamente da primato, ma vorrei precisare che essi non riguardano soltanto Ferrovie dello Stato, ma anche le Ferrovie regionali. Vorrei chiedervi dunque di scorporare – e in questo senso abbiamo dati da potervi offrire – le informazioni relative alla rete nazionale, gestita da Rete Ferroviaria Italiana, nonché al servizio svolto da Trenitalia, da quelle concernenti invece i servizi prestati in maniera diversa sulle reti regionali, che invece non controlliamo.

PRESIDENTE
Mi scusi se la interrompo, ingegner Moretti, ma conosciamo bene i dati ai quali lei ha fatto riferimento, nonché il primato vantato dalle nostre Ferrovie, per cui esse sarebbero tra le più sicure, se non addirittura le più sicure a livello europeo.
Tuttavia, il problema principale che a nostro avviso si pone con riferimento alla sicurezza – legato sempre agli operatori, ma con quell’accezione più ampia alla quale facevo riferimento – riguarda il fatto che ormai, come lei sa meglio di me, ci sono numerose imprese che operano nel settore. Purtroppo, nell’ultimo drammatico incidente verificatosi a Viareggio, abbiamo registrato un fatto nuovo ed è su questo che vorremmo avere qualche elemento in più. Per il resto, ben conosciamo i dati ed anche la qualità.

MORETTI
Vi ringrazio, anche se, considerato il vostro tipo di missione, mi ero preparato sulla sicurezza del lavoro in senso stretto. Tutto è sicurezza del lavoro, però – ripeto – noi rispondiamo a norme che non sono quelle del lavoro.

PRESIDENTE
Ingegner Moretti, conosco la sua filosofia perché un anno e mezzo fa ci ha già esposto questi concetti. Tuttavia, il discorso non può essere fatto mummificando i soggetti. Se quei convogli non sono completamente a norma o non sono stati ben revisionati lo stabilirà la magistratura, nella fattispecie nell’incidente di Viareggio; ma nell’ultimo mese ci sono stati altri incidenti. Noi dobbiamo porci questo problema, altrimenti è come avere una bellissima casa, ben arredata, ma situata in un contesto dove ci sono altri inquilini che hanno una bomba atomica o perdite di gas. Credo che il discorso della sicurezza vada inserito in un quadro più generale.

MORETTI
Comprendo la sua preoccupazione, Presidente. Vorrei seguire un approccio induttivo, partendo da ciò che è accaduto a Viareggio, che immagino sia anche di vostro interesse, per estrapolare alcuni elementi che possono risultare interessanti dal nostro punto di vista. Dico «nostro» – e l’ho ripetuto più volte – perché ormai siamo un’impresa privata, non abbiamo più compiti pubblici, che sono stati tutti giustamente riportati nella sfera governativa, attraverso agenzie o direzioni del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Pertanto, il nostro comportamento è quello di applicare al meglio quanto la normativa prevede. Naturalmente, essendo privati e operando in un regime di concorrenza e di liberalizzazione, abbiamo il diritto-dovere di utilizzare ciò che il mercato ci offre, nonché il dovere di verificare che ciò che scegliamo sia in regola rispetto a quanto la legislazione ci impone.
Come sapete, l’incidente si è verificato a mezzanotte circa. La composizione del treno era quella mostrata nella diapositiva. I carri – tutti di proprietà di un’impresa americana con filiale europea in Austria, a Vienna – trasportavano GPL. Aggiungo che 13 carri su 14 risultano immatricolati in Germania, al registro EBA (l’Agenzia tedesca per la sicurezza del trasporto ferroviario), mentre uno è stato immatricolato in Polonia. Quanto alle differenze tra i carri che abbiamo rilevato nell’ambito dei nostri compiti, il carro certificato in Polonia non aveva un’ulteriore lamiera di tetto sul bombolone di gas, che gli altri carri invece avevano. Detto questo mi dovrei fermare, dal momento che, come sapete, ci sono delle indagini in corso che dovranno verificare l’accaduto.
Il treno arrivava da Trecate. I carri sviati sono stati i primi cinque (indicati in coloro rosso nella diapositiva). Il carro che ha deragliato, rovesciandosi, e che ha avuto fuoriuscite di GPL, è il primo dopo la locomotiva.
Quest’ultima è rimasta sui binari. Il primo carro ha iniziato a deragliare ed ha trascinato in ribaltamento i successivi quattro. Gli altri carri non si sono ribaltati e non hanno subito neppure particolari deformazioni della struttura e soprattutto del contenitore del gas.
A questo punto vorrei fare una premessa. E ` cultura prevalente che qualsiasi cosa succeda sulla rete ferroviaria sia un problema che riguarda FS. D’altra parte, è stato così per più di un secolo: il sistema ferroviario è sempre stato identificato con il gruppo FS e la gente, comprensibilmente, mantiene ancora questo ricordo, che ritengo sopravviverà per parecchio tempo. Ciò vale non soltanto per la gente comune, ma anche per coloro che dovrebbero essere più attenti (ad esempio, ieri ho letto una dichiarazione di Fo, secondo il quale tutto ciò che accade sulla rete ferroviaria è un problema di FS). Nel frattempo, negli ultimi vent’anni, fra direttive europee e norme nazionali, il processo è completamente mutato. Il gruppo FS è formato da molte società, in particolare da Rete Ferroviaria Italiana, che gestisce la rete nazionale, e da Trenitalia, che si occupa, come altri operatori, di servizi di trasporto in tutti i settori, compreso quello merci.
Vi sono altre società nel gruppo, ma è importante sottolineare che l’unica società con una concessione di servizio è Rete Ferroviaria Italiana. Trenitalia, invece, ha semplici licenze, come qualsiasi altro operatore che già oggi lavora sui binari della rete ferroviaria italiana; non ha nessun altro tipo particolare di agevolazione ed ha lo stesso status di qualsiasi altro operatore ferroviario che rispetta, attraverso l’applicazione delle leggi italiane di recepimento della normativa europea, la struttura di liberalizzazione così come è stata interpretata nel nostro Paese.
Sulla partita di trasporti GPL esiste una ricca normativa, mutuata sia dalla normativa internazionale (ONU) sia da quella europea, in particolare il RID che riguarda la parte legata al trasporto di materiali tossici e nocivi sulla rete ferroviaria. Si tratta di due riferimenti internazionali, perché – e questo non è un frutto della liberalizzazione – i carri hanno sempre viaggiato tra una rete e l’altra. Nel passato esistevano degli accordi bilaterali tra le due imprese nazionali incumbent (quelle storiche che prima esistevano), ad esempio accordi tra Ferrovie dello Stato e la francese SNCF o con la DB tedesca o con la SBB svizzera e così via. In tali accordi bilaterali venivano tra l’altro stabilite le mutue responsabilità nell’effettuare un servizio da un punto A ad un punto B dei due diversi Paesi, utilizzando determinate normative internazionali e distribuendo contrattualmente i compiti. Ora esistono situazioni diverse.
Vorrei spiegarvi in maniera più chiara qual è stata la causa dello svio secondo il gruppo FS. Nel mezzo della sala montata si trova un asse con due ruote, da cui sporgono due mozzi che formano un assile monoblocco su cui vengono ricavate le ruote. In questo caso, uno dei mozzi su cui viene agganciato il cuscinetto per effettuare l’ancoraggio al carro aveva una parte a struttura cristallina ancora viva e un’altra perfettamente levigata, di circa due terzi di quella a struttura cristallina viva. Si è constatato che all’atto della rottura la parte resistente, cioè quella a struttura cristallina viva, era solamente un terzo, mentre tutta la parte restante era già precedentemente rotta, divisa. Non si conosce, perlomeno in termini temporali, il processo di rottura per affaticamento che ha interessato questa parte, ma lo si può simulare con modelli matematici analizzando non tanto il tempo in sé, quanto il particolare ciclo di sollecitazioni conferito al mozzo durante la sua utilizzazione. è chiaro quale parte si è spezzata all’ultimo istante: l’ultima porzione di superficie resistente, mentre la rimanente parte era già compromessa prima dell’ingresso a Viareggio.
Qualcuno ha parlato di «saldature». Ebbene, qualificarsi politicamente affermando di essere un tecnico delle Ferrovie dello Stato, acquisendo così autorevolezza per poter riferire ad un giornale della presenza di una saldatura, a mio avviso significa che ci troviamo di fronte ad un pazzo. Trattandosi di tecnici che devono garantire la sicurezza dei treni, dovremo valutare se queste persone possono ancora essere responsabili delle posizioni in cui sono impiegate. Mi rendo conto che licenziamenti come quelli del macchinista De Angelis risultano difficili da accettare, tuttavia non possiamo ammettere che vengano fatte affermazioni false e non documentate e soprattutto che vengano riferite alla stampa prima che all’azienda, come le procedure di sicurezza aziendale sul lavoro prevedono molto precisamente. È questo il caso della famosa vicenda dei treni Eurostar, per i quali il tribunale di Milano ha già disposto l’archiviazione poiché il problema denunciato ai giornali non sussisteva.
In questi giorni c’è stata un’incredibile letteratura su «La Repubblica» a firma del giornalista Bonini, secondo il quale due giorni fa noi eravamo già a conoscenza del fatto che la data di costruzione della componentistica di quel carro privato non era corrispondente a quella dichiarata, cioè il 2004, bensì precedente. Inoltre, il Bonini ha collegato questa affermazione ad una serie di problemi intervenuti in passato in Ferrovie dello Stato, legati al traffico di pezzi usurati; problemi che all’inizio della mia gestione abbiamo affrontato e risolto rapidamente con il licenziamento dell’ingegner Arena. Riteniamo che tali traffici non abbiano niente a che fare con il parco materiali rotabili di Ferrovie dello Stato, perché noi acquistiamo solo materiale nuovo: sia gli assili che i cuscinetti che qualsiasi altra componente di sicurezza. Inoltre, le parti eventualmente non nuove che vengono collocate sui treni sono revisionate e controllate direttamente da FS. Quello relativo al mercato di materiali usati non è un problema solo italiano, ma che riguarda soprattutto la parte centro-orientale dell’Europa ed è dovuto al fatto che con l’acquisto di pezzi di ferrovie o di parchi di materiale rotabile di alcuni Paesi del vecchio blocco socialista si possono trovare componenti di questo genere. Abbiamo saputo della data e del luogo di fabbricazione di questo asse solo il 1º o il 2 luglio, a seguito della apertura della parte spaccata. Il mozzo è contenuto in una scatola con dei cuscinetti; quando la commissione ministeriale incaricata ha aperto il coperchio dalla parte opposta del mozzo spaccato, noi abbiamo scattato una fotografia ed essendo esperti (ma il problema è che per valutare queste problematiche bisognerebbe che entrambe le parti lo fossero), abbiamo ricostruito sia l’anno di fabbricazione che la provenienza dell’asse, semplicemente leggendo le stampigliature incise sul mozzo. Abbiamo quindi l’opportunità di smentire in maniera secca quanto è stato scritto da «La Repubblica»; abbiamo già inviato due lettere, che non sono state pubblicate pur essendo state prese come riferimento per scrivere nuovi articoli. Si tratta di un comportamento estremamente scorretto, che non ho mai visto da parte di nessun quotidiano e rispetto al quale naturalmente ci tuteleremo.
Reputo molto importante portare a conoscenza della Commissione il dato inerente i carri utilizzati per il trasporto merci pericolose in Europa.
Come FS abbiamo una flotta molto limitata, pari a circa 86 carri, cui se ne sommano altri 263 se si considerano anche quelli di proprietà di terzi che scorrono in Italia; la Germania ne ha 1.838, la Francia 1.428, l’Austria 338, la Svizzera 78, la Polonia 126 e altri Paesi 221. È importante capire questo elemento e cercare di interpretarlo.
A tal proposito vorrei anticiparvi un problema di cui parlerò più avanti: è molto difficile pensare di immatricolare carri in Italia, visto che non c’è nessun ente legato alla certificazione di impianti di manutenzione a cui i possessori di carri si possono rivolgere con tranquillità circa la qualità del servizio certificato. Questo perché nel nostro Paese nessun ente pubblico se ne occupa (certamente non l’Agenzia nazionale per la sicurezza ferroviaria, secondo la sua interpretazione della legislazione e della prassi in Italia), laddove in altri Paesi d’Europa l’ente nazionale per la sicurezza ferroviaria deve stabilire quale officina è autorizzata ad eseguire le revisioni, così come la Motorizzazione civile decide quali officine si occupano della revisione delle automobili. Capite bene che è molto difficile liberalizzare il mercato, avere dei carri immatricolati in Italia senza avere alcun centro di manutenzione autorizzato da un ente pubblico.
Le Ferrovie dello Stato, essendo soggetti privati, non hanno più autorità per mettere alcun timbro; possiamo semplicemente occuparci di quello che facciamo in casa nostra e che possiamo ragionevolmente garantire.
Per il resto, potremmo dare delle garanzie attraverso le normali forme di certificazione e assicurazione di qualità, ma non credo siano sufficienti visto che siamo un soggetto privato e quando si verifica un problema di questo genere non si sa mai a chi rivolgersi per comprendere l’accaduto.
Il primo problema, quindi, è come garantire una tracciatura chiara della manutenzione. Bisogna istituire la figura del manutentore del carro o della carrozza, così come previsto da direttive europee non ancora applicate in Italia; servono dei centri di manutenzione aperti al pubblico (quindi non i nostri che sono riservati a noi), affinché tutti gli altri soggetti che possiedono carri, o le imprese ferroviarie che usano carri, possano disporre di officine dove far fare le revisioni e affinché la componentistica possa essere garantita sulla base di quanto prevede la normativa. Oggi quest’ultima stabilisce che le revisioni vengano fatte secondo un criterio temporale, anche se da qualche tempo si discute (ho sollevato la questione come Presidente della Comunità delle ferrovie europee e il tema è stato autorevolmente ripreso dal vice presidente della Commissione europea Tajani in occasione dell’incidente di Viareggio) sull’opportunità di mantenere tale criterio o di prendere in considerazione, invece, le sollecitazioni reali, ovvero i chilometri e il peso effettivamente trasportato. Questo anche perché da quando c’è la liberalizzazione ogni carro è utilizzato più di prima (fenomeno peraltro noto e verificabile). Pertanto, se il periodo di revisione è individuato sulla base di un’esperienza storica riferita però ad un periodo nel corso del quale vi è stata una discontinuità di uso, sarebbe bene adeguare i criteri alla nuova situazione. È per questo che, ad esempio, come FS eseguiamo interventi ulteriori rispetto a quelli previsti dalle norme, al fine di garantire la sicurezza dei nostri mezzi.
Mi permetta a questo punto un piccolo sfogo, signor Presidente. Quando si verifica un incidente, per ciascuno di noi, all’interno di FS, si apre un calvario, perché già conosciamo il film a cui dovremo assistere: è sempre colpa nostra, la responsabilità è interamente nostra, va sempre tutto male, anzi, va sempre peggio rispetto al passato. Dopo più di trent’anni di esperienza nelle Ferrovie conosco bene questa situazione, alla quale ho assistito già altre volte, come anche altri, magari da posizioni diverse.
Per questo, quando il mio amico Gallori dice che le cose andavano meglio quando lui era giovane, vorrei ricordargli che a quel tempo, parliamo del 1993, c’erano 202 incidenti all’anno, ridottisi a 19 nel 2008: stiamo parlando di incidenti tipici UIC, cioè di grandi incidenti, individuati sulla base di standard omogenei, utilizzati nel nostro Paese e nel resto del mondo, secondo la convenzione UIC, modificata due anni fa dalla nuova Agenzia europea per la sicurezza.
È chiaro che nell’andamento degli incidenti potranno sicuramente registrarsi degli alti e dei bassi: nel 2003, ad esempio, abbiamo avuto 62 incidenti, saliti a 65 nel 2004 e ridottisi a 40 nel 2005. Non è però il dato relativo ad un anno a fare statistica rispetto alla tendenza. Lo dico anche tenendo conto della dichiarazione dell’ingegner Chiovelli, direttore dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, secondo cui quest’anno, rispetto al precedente, si sarebbero verificati più incidenti: probabilmente è così, ma ciò da un punto di vista statistico non assume particolare rilievo. Tengo a chiarire questo aspetto, visto che sui giornali ne ho lette di tutti i colori. Normalmente le istituzioni tacciono fino a quando non hanno certezze; in questo caso, invece, ho notato che parlano molto di più di quanto non facciano i privati e la cosa mi ha un po’ stupito.
Come ho già detto, potranno esserci anche delle piccole oscillazioni nell’andamento degli incidenti, ma c’è una tendenza assolutamente netta ed importantissima che, per fortuna, ci rende giustizia nei confronti dei catastrofisti, dimostrando che ci stiamo invece assestando su una situazione di record a livello europeo. Ciò è sicuramente anche il risultato dell’investimento che abbiamo fatto sul lavoro, sulla formazione, sulla tecnologia e sulla sua qualità, nonché sulla manutenzione. Si dice spesso che spendiamo meno in termini di manutenzione; è vero, a volte accade, ma voglio affrontare questo tema portandovi un esempio molto concreto in modo da farvi capire il motivo. Fino a poco tempo fa – fino al 2001, se non ricordo male – per verificare la presenza di possibili cause di deragliamento (binari non ben allineati, affondamento di una rotaia rispetto all’altra, eventuale ingombro di sagoma) o addirittura di semplici guasti (linea elettrica non perfettamente tirata, presenza di qualche tipo di rottura, mancanza dello spessore giusto), si interveniva, per così dire, ad occhio. Vi erano cioè squadre di persone che si occupavano non già della manutenzione, ma piuttosto di verificare lungolinea dove potevano esserci potenziali problemi da affrontare e risolvere.
Questa situazione è ormai superata, dal momento che i treni che viaggiano a 200 chilometri orari (anche a 300, sull’Alta velocità) misurano istantaneamente dalle 120 alle 150 grandezze meccaniche, fisiche ed elettriche.
In questo modo si è sostituito il lavoro prima svolto da migliaia di persone, con una qualità di intervento per la sicurezza assolutamente superiore.
Infatti, se prima si aveva la sensazione dell’esistenza di un problema oggi, con queste macchine, è possibile avere subito una misurazione ed una valutazione quantitativa del problema ed inviare via radio i dati rilevati alla centrale operativa, che decide se e quando intervenire (immediatamente, entro una giornata, entro una settimana, entro un mese o un anno).
Si tratta di quanto è avvenuto, peraltro, in qualsiasi settore industriale: quando erano gli aggiustatori ad occuparsi di tutto, le operazioni di verifica erano svolte con calibri o con altre modalità; la stessa cosa accadeva nel nostro settore (si usavano ad esempio i calibri per verificare lo stato delle rotaie), con una possibilità di errore molto alta. Oggi abbiamo risolto il problema della qualità e del tempo degli interventi di manutenzione, nonché di eventuali errori. Dico questo perché la qualità e l’entità stessa della manutenzione non si possono misurare soltanto in base ai costi, perlomeno non considerando solo i costi correnti. A questi deve aggiungersi, infatti, anche la quota degli investimenti in tecnologia, che ha prodotto un notevole risparmio in termini di lavoro, generando inoltre altro lavoro legato a tutte le attività necessarie alla costruzione di quelle macchine, vendute oggi in tutto il mondo: Francia, Norvegia, Svezia, Malesia ed altri Paesi stanno acquistando macchine di ultima generazione che sono state sviluppate in Italia.
Con riferimento al caso specifico, vorrei concludere cercando di chiarire chi doveva fare cosa. Da parte nostra, abbiamo noleggiato dei carri, in base ad un contratto che recita in maniera chiara (come previsto, peraltro, dalla stessa normativa della località di immatricolazione) che la manutenzione del carro è a cura del proprietario. Nel contratto è addirittura scritto che il proprietario è tenuto a comunicare a chi utilizza il carro quando e dove lo stesso deve essere portato per la revisione; è dunque il proprietario a conoscere la relativa scadenza: noi sappiamo semplicemente quanto risulta dai libri, pur preoccupandoci comunque di controllare che il carro rientri nel periodo temporale di valenza della revisione. Quando sta per avvicinarsi la scadenza, il proprietario ci comunica presso quale officina, qualificata dall’ente presso cui il carro è immatricolato, deve essere portate il mezzo per la revisione; a questo punto è il proprietario che si occupa della revisione e ci riconsegna poi il carro revisionato.
Questa procedura in verità ancora non esiste in Italia; essa vale soltanto per i mezzi immatricolati sul registro tedesco, con imprese – anche italiane – certificate dall’ente tedesco, sulla base delle convenzioni COTIF (Convenzione trasporti internazionali per ferrovia), in vigore dal 2006 e già recepite, ad esempio, in Germania e in Francia, ma non ancora nel nostro Paese. Il recepimento di queste convenzioni consentirebbe invece in maniera chiara la tracciabilità rispetto a chi deve fare cosa, in relazione ai compiti che svolge (proprietario, utilizzatore, manutentore).
In Italia esiste oggi una regolamentazione molto sintetica, in base alla quale chi risponde è l’impresa ferroviaria. Ciò vale però finché l’impresa usa mezzi propri; quando vengono invece utilizzati mezzi che non sono di sua proprietà deve essere seguita la normativa del Paese di immatricolazione (ad esempio, per i mezzi immatricolati in Germania la normativa tedesca, per i mezzi immatricolati in Polonia la normativa polacca e così via).
Lo spazio della liberalizzazione è nato per permettere di superare i confini nazionali della gestione del servizio. Per quanto riguarda il trasporto delle merci, come sapete, si sta investendo sui corridoi europei e la Commissione europea è molto impegnata in un lavoro teso a garantire che una parte delle tracce sia dedicata solo alle merci. Ciò in quanto è considerato un grande problema europeo trasportare determinati materiali su gomma, dove i rischi – permettetemi di dirlo – sono ben più elevati. Il problema è quello di omogeneizzare in questo campo i vari sistemi normativi nazionali, perché ogni differenza rappresenta un buco che qualcuno deve colmare. Non spetta a me stabilire quali sono gli aspetti da uniformare; ovviamente, ci sono delle direttive europee che devono essere applicate.
Per quanto concerne le direttive da applicare entro il 2010, sono intervenuti degli accordi, ai quali anche il Governo italiano ha aderito, che hanno stabilito di anticiparne l’applicazione alla fine del 2009. Il problema è riuscire ad identificare gli aspetti da uniformare, che devono riguardare anche i sistemi di attribuzione delle licenze e dei certificati di sicurezza, che rappresentano gli elementi di origine di tutto il processo. Purtroppo, la situazione attuale vede modalità diverse in Germania, in Francia, in Italia.
In particolare, nel nostro Paese si può avere la certificazione di sicurezza anche senza l’esistenza di una struttura industriale in capo all’azienda, laddove prima la situazione era diversa. Personalmente, ritengo – e come Presidente del CER lo ho già scritto – che il nostro riferimento in campo europeo, per quanto riguarda una liberalizzazione ben compiuta, debba essere il settore aereo. Infatti in tale settore il sistema di concessione delle licenze e dei certificati di sicurezza (certificato di operatore aereo) è valido in quanto esiste un’Agenzia europea che assicura l’omogeneità evitando quello spezzettamento tra vari Stati che può creare gravi rischi ed incidenti come quelli che si sono verificati.

PRESIDENTE
Ingegner Moretti, la ringraziamo per la sua ampia relazione.

BUGNANO (IdV)
Signor Presidente, vorrei rivolgere alcune domande all’ingegner Moretti. Abbiamo affrontato il tema della revisione anche nella precedente audizione con le organizzazioni sindacali. È stato detto che la legislazione europea prevede termini diversi per la revisione, sei anni in alcuni Paesi quattro in altri. A tal riguardo, le organizzazioni sindacali hanno fatto presente che sarebbe il caso di rivedere la normativa in materia, passando da un sistema che prevede un termine temporale ad uno basato sull’utilizzo. Le organizzazioni sindacali si sono limitate a richiamare il criterio del chilometraggio, laddove mi sembra che lei abbia fatto riferimento anche al peso delle merci trasportate.

MORETTI
Sì, all’uno e all’altro, giacché si tratta di due tipi diversi di sollecitazione.

BUGNANO (IdV)
Le organizzazioni sindacali ci hanno riferito (e d’altronde si sono verificati incidenti che l’hanno dimostrato, stando alle perizie) che in realtà non c’è alcun tipo di controllo sul peso. Non so se a lei risulti, ma ci è stato detto che il peso viene dichiarato dallo spedizioniere, senza che vi sia alcun tipo di controllo sulla effettività di tale dato. Se ciò è vero, mi chiedo come sia possibile affidarsi a un parametro del genere in tema di revisioni.
Vorrei poi sottolineare che né nella precedente audizione né nel suo intervento è stata affrontata la questione dei percorsi dei carri che trasportano merci pericolose. Per un trasporto come quello di Viareggio si sarebbe potuto immaginare un percorso diverso, oppure era inevitabile che il convoglio passasse nel centro della città, dove poi è avvenuto l’incidente?
Le chiedo se quello dei percorsi sia un tema che sarebbe utile affrontare e che potrebbe offrire delle soluzioni.
Infine, vorrei una sua opinione su un aspetto cui lei ha già accennato.
Mi riferisco al fatto che attualmente la manutenzione viene richiesta da parte dei proprietari; quindi, sostanzialmente, il controllore e il controllato fanno capo a uno stesso soggetto. A stabilirlo è una direttiva europea, ma tutto è perfettibile.

NEROZZI (PD)
Ingegner Moretti, lei ha ben specificato una serie di problemi. Penso alla questione delle diverse normative in tema di immatricolazione, ai diversi tipi di controlli, alle carenze delle legislazioni rispetto ai processi di liberalizzazione: sono tutti aspetti che ci interessano, perché il nostro compito è anche quello di proporre modifiche o interventi legislativi in materia. Come lei ha messo in rilievo, ci sono parti del carro in questione che risalgono al 1974; da ciò che ho letto sui giornali, si tratta di vecchio materiale, addirittura risalente alla DDR. Chi effettua i controlli? Come è possibile fare in modo che nel nostro Paese ci siano forme di controllo per verificare determinate disparità? Le organizzazioni sindacali ascoltate poc’anzi hanno affermato che gli 86 carri delle FS sono dotati di elementi di sicurezza, ma 86 carri su 3.000 rappresentano un’inezia. Se la privatizzazione ha determinato carenze di responsabilità, allora si pone un problema relativo all’individuazione dei responsabili.
Quanto alla questione dei percorsi, sollevata dalla senatrice Bugnano, anche se si tratta di un aspetto difficile da definire (perché il tipo di urbanizzazione intervenuta ha prodotto una serie di fattori non prevedibili quando le ferrovie sono state realizzate), sarebbe interessante capire cosa è possibile fare in proposito.
Vorrei inoltre sapere chi controlla il contenuto dei trasporti. A me risulta, ma non so se sia esatto, che le normative italiane sono sufficientemente rigide rispetto ad una serie di materiali, ma le normative europee non sono state recepite in toto da tutti i Paesi. Questo costituisce un problema, perché vi sono diverse forme relative ai meccanismi di sicurezza, per cui mi chiedo chi si occupi dei relativi controlli. Lei ha giustamente fatto rilevare che avete fatto un accordo con il proprietario, in base al quale quest’ultimo è il responsabile di tutto. Ciò sarà senza dubbio vero, ma ci sono dei morti e degli incidenti ed occorre capire come evitarli e di chi sia la responsabilità.

PRESIDENTE
Desidero aggiungere un’ultima riflessione. L’accordo è stato fatto con un’altra società ed è un rapporto tra privati. Tuttavia, si tratta di un accordo atipico, nel senso che comunque la rete ferroviaria non è soggetta ad accordo e ciò crea alcune implicazioni. Non si tratta di un semplice accordo tra due soggetti che stabiliscono, nell’ambito di un rapporto privato, di fare una certa operazione, ma ci sono anche una serie di responsabilità legate alla gestione della rete, ai contenuti dell’accordo stesso e in questo caso ai materiali (nella fattispecie, i carri). Pertanto è importante avere garanzie circa la regolarità della certificazione del soggetto con cui si stipula l’accordo, così come di chi acquista e paga il servizio, oppure affitta questi mezzi e li gestisce (lei e i membri del suo staff sapete bene tutto questo). Ritengo inoltre che le parti debbano essere interessate all’eventualità che per il materiale rotabile ed il carro vengano previsti certificazioni e tempi di revisione diversi (laddove attualmente per questi ultimi si parla di quattro o sei anni), dal momento che stipulare un accordo di un tipo o di un altro ha implicazioni diverse.
Da ultimo, sposo in pieno il suo ragionamento, di cui peraltro la ringrazio.
Come mi sembra di aver capito, in base alle normative dei singoli Stati questi controlli andavano fatti ogni quattro anni o ogni sei, con un meccanismo di gestione nazionale delle strutture. Lei ci ha detto, però, che oggi i mezzi sono soggetti a maggior usura perché la logica della privatizzazione impone un loro più intenso utilizzo. Allora quando i gestori della rete sostengono che era tutto in regola in quanto le certificazioni erano corrette (sto facendo delle proposte e non individuo delle responsabilità, perché non rientra nelle nostre competenze) fanno un ragionamento che in qualche modo appare in contrasto con l’altro. Ritengo che potrebbe essere d’aiuto per tutti una vostra sollecitazione per avere delle normative che vi possano assicurare maggiore tranquillità.

MORETTI
Signor Presidente, inizierei proprio da questa domanda. In base alle determinazioni della normativa, il gestore della rete nazionale non può non accettare carri che l’impresa ferroviaria licenziataria garantisce con il possesso di certificati di sicurezza; allo stesso modo, capite anche voi che l’impresa ferroviaria che noleggia un carro non lo può smontare tutto, pezzo per pezzo, per verificarne l’integrità. Quindi, come dicevo inizialmente, siamo passati da un regime di monopolio dove ognuno faceva accordi in cui le parti si spartivano i compiti e si davano garanzie reciproche chiuse, all’attuale sistema aperto, in cui oltre ai due monopolisti ci sono le reti nazionali (che a volte appartengono a un gruppo, ma sono comunque indipendenti), c’è la ex impresa pubblica, ci sono altre 40 imprese private che operano nel settore delle merci e in più arrivano flotte dall’estero senza problemi. Il semplice sistema fondato sull’accordo bilaterale va quindi sostituito con un insieme più complesso di norme che stabilisca in maniera chiara e senza lasciare lacune chi fa cosa in qualsiasi istante e chi risponde.
Ho cercato di dire prima che esistono delle lacune ad esempio per quanto concerne le figure chiave, senza considerare Rete Ferroviaria Italiana, che è una società a sé stante dotata di compiti importanti, tanto che può fermare la parte cargo se si accorge dell’esistenza di un problema che la interessa. Si è poi discusso della rottura di alcuni carri, che secondo alcuni sarebbe stata dovuta alla fusione del cuscinetto, ma non è vero, perché su tutta la rete sono diffusi dei sistemi di rilevazione che con raggi infrarossi captano se il calore emanato da un determinato cuscinetto è superiore a quello consentito, il che è indice di una temperatura superiore a quella dovuta. In quel caso, la rete ha un sistema automatico per il bloccaggio dei treni, che si attiva senza che sia necessario avanzare una richiesta in tal senso. Oggi, peraltro, sulla nostra rete nazionale è tutto automatizzato, non c’è più l’intervento umano.
Ho voluto portare questo esempio, che è il più visibile, perché ho notato che in questi giorni alcuni si sono sbizzarriti anche su tale aspetto. Il deragliamento del treno merci sulla tratta Prato-Bologna non è assimilabile all’incidente di Viareggio perché non si è rotto il mozzo di una sala; in quel caso una balestra (che è altra cosa), sempre di un carro privato, si era progressivamente fessurata ed ha ceduto. Intendo dire che su determinati eventi, tutti previsti e normati, la rete può vigilare e lo fa, laddove i problemi relativi al materiale circolante sulla rete ferroviaria riguardano altre tre figure fondamentali, tra cui l’impresa ferroviaria. A questo proposito occorre distinguere tra l’impresa che possiede i mezzi (ma questo genere di azienda non esiste più, nel senso che nessuna impresa ferroviaria ormai gestisce solo i propri carri, opera solo con i suoi mezzi), l’impresa che possiede i mezzi solo in parte e che magari può addirittura avere tutto il materiale in leasing e, infine, il vecchio incumbent che ha tutto il materiale rotabile a sua disposizione. C’è bisogno di una nuova normativa che distingua tra impresa ferroviaria, possessore e manutentore; per ognuna di queste tre figure devono esserci disposizioni chiare per far sì che rispetti i propri compiti.
Aggiungo che probabilmente non è sufficiente una semplice autodichiarazione di conformità, secondo la logica più diffusa in campo industriale dell’assicurazione in qualità, perché in altri settori dove tale pratica esiste il certificatore terzo può sostenere di aver fatto tutto quello che poteva.
Credo però che proprio per l’importanza del settore ferroviario, così come avviene negli altri comparti del trasporto, sia necessario un soggetto terzo pubblico che deve verificare se l’officina di manutenzione (Cima, tanto per citarne una che è stata coinvolta) dà sufficienti garanzie per la revisione dei carri. Bisogna istituire questo organismo che, ripeto, esiste in tutti gli altri settori; anche le officine autorizzate per la revisione delle automobili hanno un timbro pubblico e, che io sappia, non sono autorizzate da FIAT o da Mercedes; in questo modo possono revisionare auto di tutte le case produttrici.
Vorrei poi chiarire – non so cosa abbiano detto i nostri amici sindacalisti – che non vi sono difformità nella regolamentazione concernente il periodo previsto per la revisione: per il carro sono sei anni, per la cisterna quattro, perché si tratta di due pezzi diversi. Ciò vale in tutta Europa, per cui la normativa da questo punto di vista è uniforme, non ci sono regole diverse; semmai sarebbe ragionevole chiedersi perché, di fronte alla scelta tra quattro e sei anni, non si scelgano quattro anni piuttosto che sei.
C’è un altro problema che, come imprese, da tempo abbiamo posto: dal momento che bisogna comunque fermare il carro per fare la revisione del bombolone, e poiché il costo della sosta del carro è enorme, tanto vale fare tutti i controlli ogni quattro anni, ovvero ogni tot chilometri percorsi con tot tonnellate trasportate. Questa è la posizione che stiamo sostenendo.
In ogni caso, comunque, i carri vengono omologati: quando diciamo che i carri sono immatricolati, significa che c’è un ente nazionale che ha omologato il mezzo.
Quanto alla questione relativa al controllo del peso delle merci trasportate, non è vero che questo non viene mai verificato: all’inizio del viaggio qualcuno deve farlo. Ci sono casi in cui ciò non avviene (penso alla parte relativa ala containerizzazione, trattandosi di traffico particolarmente leggero), ma durante il viaggio sicuramente questo tipo di controllo viene eseguito: in caso di scambio modale, ad esempio, la coerenza con il tiraggio della gru è un elemento in stretta relazione proprio con il peso trasportato. Anzi, spesso mi sono lamentato del fatto che, rispetto al problema del peso, non vi è in altri settori lo stesso rigore che si registra invece nel campo del trasporto ferroviario, al punto che se c’è una tonnellata in più i nostri ferrovieri scartano il treno. Ditemi voi se nell’autotrasporto succede la stessa cosa: in questo settore i sovraccarichi sono sempre del 30-40 per cento!
Al riguardo vorrei sottolineare che si pone anche un problema di dumping, di concorrenza tra i due settori, anche se ritengo comunque che il trasporto ferroviario sia più sicuro.

PRESIDENTE
Peraltro, ingegner Moretti, sulla base di un calcolo che è stato fatto, è risultato che per trasportare la stessa quantità di merci che viaggiava sul treno coinvolto nell’incidente di Viareggio, sarebbero stati necessari 25-30 Tir.

MORETTI
Abbiamo addirittura dei sistemi per verificare (di certo questo non accade ad ogni chilometro) lo squilibrio del carico: infatti, non solo è fissato un limite di peso del carico nella misura di 80 tonnellate, ma per alcune tipologie di merci (rottami di ferro, ad esempio) lo squilibrio del carico potrebbe essere causa di un eventuale deragliamento; se il carico dei rottami di ferro viene concentrato solo da una parte, in maniera irregolare, ciò potrebbe essere una potenziale causa di incidente ferroviario.
Questo tipo di controllo avviene soprattutto quando si tratta di particolari tipologie di merci (è fatto, ad esempio, al porto di Civitavecchia e comunque in prossimità di acciaierie), per cui si misura non solo il carico, ma anche se lo stesso è distribuito sulle due ruote in maniera omogenea, per evitare sbilanciamenti durante il viaggio.
Tra le questioni più importanti che avete posto, vi è quella relativa ai percorsi. Personalmente distinguerei due dimensioni: una temporale ed una spaziale. Quanto è stato detto è vero, ma vi informo che quella interessata dall’incidente di Viareggio è la linea – lo dico a voi che siete esperti del mestiere – con il minor rischio di incidenti alla luce dell’analisi del rischio che è stata condotta: l’alternativa sarebbe la linea centrale!
Qualche anno fa, nel 2000-2004, Rete Ferroviaria Italiana, in collaborazione con le università di Bologna e di Roma, ha condotto uno studio, per nulla obbligatorio ed unico in Europa, al fine di redigere una mappa del rischio delle sostanze tossiche e nocive in relazione ai percorsi compiuti.
Ne è risultato che il trasporto ferroviario è molto più sicuro di quello su gomma, pur avendo il grande svantaggio che, per come sono oggi le ferrovie in Italia – anche se in generale è così in tutta Europa – i treni attraversano le città. Quindi, anche se la possibilità che si verifichi un incidente è bassa, quando ciò accade in una città, come abbiamo visto in questi giorni, è un disastro. Pertanto, al momento di selezionare i percorsi, si sceglie l’ora ed il percorso che comporta il minor rischio: capite bene, ad esempio, che far viaggiare i treni da Milano a Roma per la linea centrale, è sicuramente più rischioso, considerato quale concentrazione di grandi città si registra lungo quel percorso, rispetto alla linea Tirrenica, che tutto sommato appare relativamente scarica da questo punto di vista.
È stata suggerita la costruzione di tangenziali ferroviarie: certo, potrebbe essere una soluzione, ma se ne parlerebbe tra vent’anni! È stato poi detto – l’ho letto sui giornali e lo ricordo qui anche a dimostrazione di come a volte le contraddizioni viaggiano – che c’è meno sicurezza e che sono stati tagliati tutti gli scali merci. Ebbene sì, abbiamo tagliato gli scali merci dentro le città, perché riteniamo che nel 2009 non ci possano più essere: devono essere invece realizzati pochi e grandi scali merci intermodali specializzati, capaci di offrire i molti servizi necessari per tutta la parte da trattare e che questi, in particolare per un certo tipo di merci, devono essere collocati lontano dalle città, soprattutto per la parte relativa allo stoccaggio.
Ricordo, ad esempio, che a Santarcangelo di Romagna – io sono di Rimini – c’era una cementeria che necessitava di GPL, per cui nella vicina stazione c’erano sempre tre vagoni di GPL in pianta fissa. Questo non è più possibile, soprattutto se si considera che tra le merci pericolose è classificato anche il carico di legname.
Gli scali cittadini quindi non hanno più ragione di esistere per cui, nell’esigenza di assicurare maggiore garanzia rispetto al passato, abbiamo eliminato gli scali non necessari, concentrandoli nei grandi centri intermodali che si stanno costruendo – per fortuna in Italia ne siamo anche relativamente ricchi – e che sostituiranno i vecchi scali all’interno delle città.
Per quanto riguarda poi le regole di sicurezza in relazione al contenuto dei vagoni, vi è un Regolamento per il trasporto ferroviario di merci pericolose in Europa (RID), peraltro rinnovato ultimamente – e che doveva essere applicato in questi giorni anche in Italia – in base al quale, a seconda del tipo di contenuto, varia il tipo di trasporto ed il contenitore dello stesso.

NEROZZI (PD)
Esso è applicato in modo omogeneo in tutta Europa?

MORETTI
Sì. Semmai c’è un altro problema che vorrei sottoporvi.
Dalle informazioni in mio possesso, il carro coinvolto nell’incidente non aveva la doppia corazza, prevista invece in altri Paesi per altri tipi di trasporto e per esigenze legate all’inquinamento e alla tutela dell’ecosistema.
Credo che bisognerebbe iniziare a fare qualcosa in questo senso anche in Italia, soprattutto se si tiene conto che i treni attraversano le città.
Capisco che se c’è stato un investimento finanziario da parte di una società (penso in particolare all’americana Gatx) non si possono certamente cambiare le regole dall’oggi al domani, rendendo obsoleto tutto ciò che c’è, ma un giorno si dovrà pur decidere di intervenire stabilendo che tutto quanto sarà costruito da quel momento in poi dovrà essere fatto in maniera ancor più sicura. Questo discorso non vale soltanto per il trasporto ferroviario, ma anche per quello su strada. Infatti, ogni volta che si introduce una situazione di maggiore rigidità in un settore rispetto ad un altro si fa evidentemente un cattivo servizio, perché la moneta cattiva scaccia quella buona, soprattutto in un’economia come la nostra che, purtroppo, guarda solamente al ritorno dell’investimento finanziario.
Dunque, oltre a quanto dicevo, è necessario prevedere un’omogeneizzazione delle procedure, a partire dalla licenza e dal certificato di sicurezza, fino all’attuazione della direttiva che riguarda l’operatore responsabile della manutenzione del carro e all’assunzione delle procedure COTIF (convenzione internazionale già assunta da Francia e Germania) per quanto concerne tutti i sistemi di tracciatura e di intesa tra le parti nell’uso dei carri. Bisogna prevedere altresì un sistema pubblico di certificazione dei luoghi di manutenzione: lo dico paradossalmente anche un po’ contro il nostro interesse, considerato che noi, tutto sommato, abbiamo i nostri centri e non abbiamo bisogno neppure di passare particolari esami in questo momento. È giusto però, visto che non siamo più un ente pubblico e non abbiamo più funzioni pubbliche, che un soggetto pubblico terzo proceda ad ispezioni e verifiche per certificare la nostra idoneità o meno a svolgere certe operazioni, perché ciò va a vantaggio della sicurezza di tutti.

PRESIDENTE
Ringraziamo i nostri ospiti per l’ampia ed approfondita relazione ed auguriamo loro buon lavoro.
Dichiaro conclusa l’audizione.


Audizione del Direttore dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, Alberto Chiovelli

PRESIDENTE
I nostri lavori proseguono con l’audizione del direttore dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie, Alberto Chiovelli.
Abbiamo ritenuto necessario convocare l’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie non soltanto in ordine al drammatico incidente di Viareggio, ma anche per capire meglio taluni elementi, pur problematici, apparsi sulla stampa e che rientrano nella competenza della nostra Commissione.
Infatti, come ho ricordato anche agli auditi che abbiamo ascoltato in precedenza, siamo interessati alla sicurezza del lavoro dell’operatore e alla sua salute, ancor più quando nelle mani di quest’ultimo, proprio per i compiti che svolge, è affidata la vita di altri soggetti.
Ringrazio i nostri ospiti per la disponibilità e cedo immediatamente la parola all’ingegner Chiovelli.

CHIOVELLI
Signor Presidente, vorrei premettere che gli ultimi giorni sono stati per noi abbastanza caotici. Siamo stati infatti molto impegnati a seguito dell’incidente di Viareggio per comprenderne le cause tecniche, visto che questo è uno dei nostri compiti istituzionali; siamo stati convocati dalla 8ª Commissione del Senato; inoltre, come potrete ben immaginare e come lei stesso, Presidente, ha ricordato, siamo stati contattati dalla stampa.
Ho preparato del materiale che vorrei consegnarvi riguardante quelle attività dell’Agenzia che, occupandosi quest’ultima della sicurezza della circolazione ferroviaria, si sovrappongono agli aspetti oggetto della missione istituzionale di questa Commissione, quindi alla sicurezza sul lavoro.
Inoltre, mi soffermerò sulla questione dell’incidente di Viareggio che, pur non avendo legami diretti con la sicurezza nei luoghi di lavoro, ha comunque grande rilevanza; sono disponibile a offrire qualsiasi aggiornamento sull’evento.
Vorrei, in primo luogo, specificare che i dati relativi all’incidentalità ferroviaria vanno letti in maniera strutturata ed omogenea. Spesso, infatti, i dati che compaiono sui giornali non sono omogenei e confrontabili fra loro semplicemente perché chi si trova a disporne non sempre è un tecnico del settore. Tengo a precisare questo aspetto per far presente che con i dati della sicurezza ferroviaria si può più o meno dimostrare tutto. Ciò che in realtà è importante è il tipo di classificazione dell’incidentalità che dà l’Agenzia ferroviaria europea. Tale Agenzia, di istituzione relativamente recente, prevede una classificazione degli incidenti con determinate e ben precise tipologie: collisioni tra treni, deragliamenti di treni, incidenti ai passaggi a livello, incidenti alle persone provocati da materiale rotabile (veicoli e treni in movimento), incendi al materiale rotabile ed altre tipologie di incidenti. Alla luce di tale classificazione è possibile compiere eventuali raffronti fra le diverse reti ferroviarie europee; ovviamente non si tratta di una competizione, ma di capire se ci sono disomogeneità o criticità in un Paese piuttosto che in un altro.
La classificazione dell’Agenzia ferroviaria europea ha apportato delle modifiche rispetto alla precedente classificazione dell’Unione internazionale delle ferrovie (UIC), per cui accostare i dati attuali, elaborati secondo la nuova classificazione, con i dati precedenti della UIC può a volte determinare delle disomogeneità e rendere i dati non confrontabili. Abbiamo pertanto fatto uno sforzo per cercare di rendere tali dati maggiormente omogenei, ricavandone un prospetto che riguarda gli incidenti nel periodo 2005-2008. Abbiamo consegnato tale documento alla 8ª Commissione del Senato, in occasione della mia audizione in quella sede e, se lo ritenete opportuno, ne lascerò copia anche a questa Commissione. Si tratta di un prospetto che fornisce una situazione asettica dell’incidentalità, classificata secondo i criteri dell’Agenzia ferroviaria europea, ed è un punto di riferimento uguale per tutti. Qualsiasi altro tipo di notizia ed informazione va considerata e approfondita rispetto al dato sul quale si fonda, che non necessariamente segue i suddetti parametri di classificazione. Il documento è abbastanza semplice e non è riferito a parametri di traffico. Gli anni presi in esame possono sostanzialmente essere considerati come confrontabili fra loro perché i dati di traffico non si sono modificati di molto nel tempo.
Vorrei adesso passare alla questione dell’incidente di Viareggio.

PRESIDENTE
Al di là dell’incidente di Viareggio, vorremmo capire meglio taluni aspetti. Si è parlato molto di problemi legati al miglioramento della sicurezza dei mezzi ferroviari in movimento. Sono emerse alcune problematiche come, ad esempio, quella di una omogeneizzazione delle normative nazionali, anche sulla base alle direttive comunitarie. E ` stato inoltre fatto cenno al fatto che il vostro personale è in numero abbastanza ridotto rispetto alla pianta organica prevista. La prima domanda che le pongo è diretta, quindi, a conoscere meglio il tipo di attività che svolgete.
Qual è esattamente il vostro ruolo?

CHIOVELLI
La nostra Agenzia nasce dal recepimento di una direttiva comunitaria, quindi siamo un organo tecnico statale, vigilato dal Ministro delle infrastrutture e trasporti, istituito nel 2007. Ci occupiamo della sicurezza della circolazione per l’intero sistema ferroviario italiano ad esclusione di metropolitane, tramvie e di altri sistemi di trasporto leggero su rotaia, oltre che di reti ferroviarie funzionalmente isolate dalla rete nazionale. Abbiamo il compito di regolamentare tecnicamente la sicurezza dell’esercizio della circolazione ferroviaria. Ciò significa che ovviamente tutta la normativa comunitaria è automaticamente inserita all’interno del panorama normativo tecnico nazionale.

PRESIDENTE
Non è così automatico, perché molte direttive non vengono recepite.

CHIOVELLI
Sto parlando delle direttive europee recepite nell’ordinamento nazionale; però, ad esempio, le specifiche tecniche di interoperabilità, norme tecniche costruttive del materiale rotabile, non hanno bisogno di recepimento, vengono emanate e sono automaticamente attuabili.
Tutto ciò che invece non rientra all’interno del panorama legislativo di matrice comunitaria è regolamentato dall’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie.
Fra i nostri compiti rientra quello di rilasciare le ammissioni tecniche di sistemi e sottosistemi ferroviari, quindi, ad esempio, del materiale rotabile.
Un treno di nuova costruzione può essere ammesso tecnicamente (si usa questo termine per essere più precisi; sostanzialmente, in gergo si può dire che viene omologato) dall’Agenzia nazionale come pure i sistemi e sottosistemi che riguardano gli impianti di terra, con il distinguo di cui riferirò tra poco. Inoltre, rilasciamo la certificazione di sicurezza agli operatori ferroviari.
In base al quadro normativo nazionale, abbiamo competenza sulle imprese ferroviarie ed i gestori della rete, per effetto del decreto legislativo n. 162 del 2007 e della direttiva comunitaria n. 49 del 2004, che ha istituito l’Agenzia. Gli operatori ferroviari sono gestori della rete e imprese ferroviarie; non esistono nell’ordinamento nazionale, perché non è stata recepita la direttiva che li prevede, le figure del possessore dei carri e dell’entità di manutenzione. Fra i compiti dell’Agenzia, allo stato attuale, c’è quello di certificare gli operatori ferroviari intesi come imprese e gestori della rete. Inoltre, svolgiamo un’attività di verifica del rispetto e della corretta applicazione delle norme da parte di questi operatori; quindi i poteri di ispezione e controllo dell’Agenzia non sono puntuali e diffusi, nel senso che non si tratta di controlli tecnici su impianti e su materiali, ma investono i soggetti che hanno il certificato di sicurezza. Questo è il quadro dei compiti dell’Agenzia, che è assolutamente coerente – non poteva altrimenti – con l’impostazione della direttiva comunitaria e del suo recepimento in Italia.
Nel caso di specie, per rispondere alla domanda sull’organico, l’Agenzia è stata pensata nascere da un nucleo di personale del gruppo FS; sostanzialmente, il legislatore sapeva che il punto di arrivo di questa Agenzia era un organismo statale completamente terzo e indipendente dalle imprese ferroviarie e dal gestore della rete, quindi avrebbe dovuto crearlo dal nulla perché il nostro ordinamento non prevedeva un soggetto di questo tipo. Il legislatore ha pensato di creare una sorta di fase di transizione, definita nel decreto legislativo «fase di prima applicazione», in cui con una convenzione fra Ministero, gruppo Ferrovie dello Stato e Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie veniva messo a disposizione un certo nucleo di personale tecnico che nella fase di convenzione avrebbe dovuto traghettare l’Agenzia da soggetto privato (perché all’interno di Rete Ferroviaria Italiana) a soggetto pubblico. In questo lasso di tempo, l’Agenzia opera acquisendo gradualmente le competenze e, alla fine di questo processo, una volta emanati tutti i regolamenti attuativi (statuto, contabilità, organizzazione, regolamento per il reclutamento del personale), c’è l’inquadramento di queste persone all’interno dell’Agenzia, che quindi dà loro lo stipendio, e si consegue la piena autonomia.
La normativa prevedeva che ciò avvenisse in maniera graduale; in particolare si prevedeva che nella fase di convenzione l’Agenzia potesse avere un massimo di 205 unità, mentre a regime, cioè una volta terminato questo processo, potesse arrivare fino a 300. Oggi siamo 75 unità, quindi abbastanza lontani dall’organico previsto a regime; va detto però che abbiamo assunto soltanto una parte dei compiti che ho descritto prima – dirò quali – e siamo ancora nella fase di convenzione. Pertanto, il nostro cammino, sia pure con qualche difficoltà di percorso, che comunque ci aspettavamo, è abbastanza coerente con l’impostazione della norma. In particolare, abbiamo stipulato la convenzione con il gruppo FS e con il Ministero a maggio dello scorso anno e da metà giugno abbiamo cominciato ad operare.
La prima operatività dell’Agenzia, che è ancora quella attuale, è riferita ai compiti di interfaccia con le imprese ferroviarie e agli aspetti tecnici relativi al solo materiale rotabile, oltre che alla regolamentazione tecnica; quindi oggi, rispetto a quel mondo di operatori di cui dicevo (imprese ferroviarie e gestori della rete), abbiamo acquisito solo le competenze verso le imprese ferroviarie, mentre rispetto al mondo delle ammissioni tecniche relative ai sistemi e sottosistemi (materiale rotabile e terra) abbiamo acquisito solo le competenze che riguardano il materiale rotabile.
È previsto il completamento del passaggio di competenze – che è in corso di definizione – con il gruppo FS con 32 ulteriori unità di personale; in questo modo arriveremmo ad essere più di 100 unità rispetto al limite delle 205 fissato dalla norma, quindi sempre leggermente in sofferenza.
Nel corso di tale lasso di tempo abbiamo operato su questi temi e ad aprile di quest’anno sono stati emanati i tre regolamenti (lo statuto, l’organizzazione e il regolamento di contabilità); ciò significa che presto potremo avere autonomia finanziaria, perché fino ad oggi non ne abbiamo goduto, ma ci siamo appoggiati verso il Ministero e il gruppo FS per le spese di funzionamento. Resta da emanare il regolamento per il reclutamento del personale che è poi l’ultimo passo per prevedere il passaggio finale del personale dal regime di convenzione a quello definitivo.

PRESIDENTE
Ingegner Chiovelli, le chiedo scusa ma la Commissione non può continuare la propria attività in concomitanza con i lavori dell’Assemblea, che stanno per iniziare. Tuttavia, dal momento che si tratta di un argomento che vorremmo comprendere meglio, credo di interpretare il pensiero di tutta la Commissione se prenderemo contatti con l’Agenzia per organizzare un altro incontro; diversamente rischiamo di non avere un contributo importante che ci aspettiamo dalla vostra conoscenza dei fatti.

NEROZZI (PD)
Apprezzeremmo molto avere della documentazione da parte vostra.

CHIOVELLI
Abbiamo già depositato la tabella sull’incidentalità; per il resto forse conviene prima fornire alcune spiegazioni.

PRESIDENTE
Mi scuso ancora per questo contrattempo, ringrazio i nostri ospiti per la loro presenza e rinvio il seguito il seguito dell’audizione del Direttore dell’Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie ad altra seduta.
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Fonte: Senato della Repubblica