Categoria: Commissione parlamentare "morti bianche"
Visite: 5328

SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 32, mercoledì 15 luglio 2009

Audizione del Direttore Generale per l’attività ispettiva del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali
Audizione di rappresentanti dei Coordinamenti tecnici della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome
Audizione di rappresentanti della Consulta interassociativa italiana per la prevenzione (CIIP)


Presidenza del presidente TOFANI


Intervengono, in rappresentanza della Direzione generale per l’attività ispettiva del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, il dottor Paolo Pennesi, direttore generale, accompagnato dall’ingegner Giuseppe Piegari, collaboratore; in rappresentanza dei Coordinamenti tecnici della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l’ingegner Marco Masi, responsabile settore sicurezza nei luoghi di lavoro, il dottor Alberto Andreani, referente regionale Comitato tecnico interregionale prevenzione igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, il dottor Franco Mugliari, funzionario distaccato presso il Dipartimento lavoro e formazione professionale italiana della Provincia autonoma di Bolzano, il dottor Flavio Manieri, funzionario della Tecnostruttura, ed il dottor Paolo Alessandrini, dirigente responsabile rapporti con il Parlamento; in rappresentanza della Consulta interassociativa italiana per la prevenzione (CIIP), il dottor Rino Pavanello, presidente, il dottor Gian Carlo Bianchi, vice presidente, ed il dottor Rocco Vitale, presidente della Commissione «Formazione» e presidente dell’AIFOS.


Audizione del Direttore Generale per l’attività ispettiva del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali

PRESIDENTE
L’ordine del giorno reca alcune audizioni, la prima delle quali è quella del Direttore Generale per l’attività ispettiva del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali.
Comunico che, ai sensi dell’articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, è stata chiesta l’attivazione dell’impianto audiovisivo. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Comunico altresì che della seduta sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico.
Le audizioni programmate per oggi riguardano il tema specifico della formazione e della prevenzione degli infortuni sui luoghi di lavoro, a cui è dedicato uno dei gruppi di lavoro di questa Commissione, coordinato dalla senatrice Bugnano. Pertanto i lavori potranno proseguire con un’interlocuzione diretta con la stessa senatrice, che in seguito, con il gruppo di lavoro che rappresenta, formulerà, nell’ambito dei lavori della Commissione, percorsi specifici in riferimento al tema medesimo.
Lascio pertanto la parola alla senatrice Bugnano, prima di procedere all’ascolto delle riflessioni, considerazioni, indicazioni e proposte dei nostri ospiti – che ringrazio per aver accolto l’invito della Commissione – sulle iniziative da assumere in riferimento all’argomento oggetto delle audizioni odierne.

BUGNANO (IdV)
La ringrazio, signor Presidente.
Onorevoli colleghi, quello di oggi è il primo incontro del gruppo di lavoro che si occuperà, appunto, della formazione, informazione e prevenzione, un tema che credo sia di assoluta attualità nell’ambito degli infortuni sul lavoro. Ricordo, infatti, che il decreto legislativo n. 81 del 2008 e poi il provvedimento del Governo attuativo delle misure di questa normativa, attribuiscono un ruolo importante al tema della formazione e della prevenzione, oltre che alla sanzione. Appare, quindi, opportuno approfondire questo tema e trattarlo con la dovuta conoscenza.
Ci aspettiamo che l’esperienza e le conoscenze dei nostri ospiti ci aiutino a produrre un documento che possa essere una sollecitazione per il Governo e che possa permettere in futuro non solo di evitare questi infortuni, cui purtroppo assistiamo ancora quotidianamente, ma soprattutto consenta di coniugare un sistema di sicurezza sul lavoro con l’esigenza delle piccole e medie imprese, manifestata in sede di audizione in questa Commissione come nella 10ª Commissione, di cui faccio parte, di avere un tipo di percorso formativo che impedisca o comunque riduca in modo importante gli infortuni sul lavoro.

PENNESI
Signor Presidente, onorevoli senatori, le competenze della Direzione generale per l’attività ispettiva del Ministero del lavoro, al di là dei profili più tecnicamente ispettivi, riguardano le attività di informazione e formazione del personale ispettivo, che conta 3.883 unità, nelle quali sono compresi anche i militari dell’Arma dei Carabinieri che operano presso le strutture provinciali (che sono quelle operative) e regionali della Direzione.
L’attività di formazione del personale ispettivo è importante perché, com’è evidente, per svolgere un’attività di vigilanza efficace, concreta e in grado, tra l’altro, di essere incisiva anche sugli aspetti più tecnici, è necessario avere un personale formato e anche tecnicamente in grado di capire le problematicità delle varie dinamiche aziendali.
Per il biennio 2007-2008, in relazione alle modifiche intervenute in questo campo prima con il decreto-legge n. 223 del 2006 e poi con il decreto legislativo n. 81 del 2008 (cosiddetto «Testo unico» in materia di salute e sicurezza nel lavoro), si è avvertita l’esigenza di impostare un’azione di formazione di base di tutto il personale ispettivo. Lo sottolineo perché il personale ispettivo del Ministero del lavoro in realtà ha delle competenze sostanzialmente miste: degli ispettori hanno professionalità giuridico-amministrativa, mentre altri hanno professionalità schiettamente tecnica (ingegneri, geometri, periti industriali), anche se a dire il vero la percentuale di quest’ultimo è abbastanza sbilanciata verso il settore amministrativo piuttosto che quello tecnico (poco meno di 400 ispettori tecnici su circa 3.500).
Ricordo che la competenza della Direzione di cui sono responsabile è limitata al settore dell’edilizia ed i suoi interventi si concentrano in misura nettamente prevalente in quest’ambito, mentre gli ispettori delle ASL (aziende sanitarie locali) hanno una competenza generale su tutti gli ambiti e settori produttivi. Altre competenze della Direzione, ad esempio nella vigilanza dell’impiantistica ferroviaria e delle radiazioni ionizzanti, sono appena residuali.
La formazione del personale amministrativo ha riguardato anche le tematiche di un testo importante come è il Testo unico. I circa 3.150 ispettori con competenze amministrative non potevano non conoscere alcune implicazioni fondamentali del Testo unico sulla sicurezza, anche perché oggi non è sempre agevole tracciare una linea di demarcazione netta tra le problematiche di carattere eminentemente tecnico e quelle più generali, come ad esempio quelle relative all’orario, ai superamenti e al lavoro nero, che è una delle causali che può determinare il provvedimento di sospensione dell’attività imprenditoriale, che ha una forte incidenza e un rilievo diretto su un’istanza di natura cautelare che incide anche sulla sicurezza.
Un’informazione quindi meno approfondita ma più d’insieme sul Testo unico è stata effettuata nei confronti di tutto il personale ispettivo del Ministero del lavoro con un programma di 55 giornate rivolte a dei tutor, che poi si sono fatti interpreti di una formazione a cascata sul territorio: 1.695 giornate di formazione rivolte a tutti gli operatori su base regionale e provinciale e otto giornate dedicate specificamente al personale tecnico in relazione ad elementi più direttamente legati alla vigilanza nei cantieri temporanei e mobili, quindi sulla normativa contenuta nel decreto legislativo n. 494 del 1996, concernente le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare, appunto, nei cantieri temporanei o mobili.
Questa attività è stata realizzata fondamentalmente non tanto grazie a risorse interne quanto utilizzando, in gran parte, canali di formazione comunitaria.
Le risorse interne, infatti, sono tradizionalmente carenti – e continuano ad esserlo – per la formazione di un personale ingente come quello a cui faccio riferimento.
L’attività di formazione proseguirà anche nel 2009, in particolare dopo l’approvazione di un decreto che modificherà il decreto legislativo n. 81 del 2008.
Fino ad oggi abbiamo organizzato l’attività utilizzando un meccanismo a cascata, formando cioè dei tutor che poi trasferiscono le loro competenze a livello provinciale e regionale. Abbiamo già programmato 36 giornate formative per altri 285 ispettori, formatisi tra gennaio e giugno.
Inoltre, abbiamo già calendarizzato per i mesi di settembre, ottobre e novembre una ulteriore attività formativa per i restanti 300 ispettori che dovranno svolgere la loro attività in materie tecniche specifiche. Grazie ai finanziamenti comunitari riusciamo quindi a realizzare un’attività di aggiornamento e di formazione abbastanza buona.
A questo proposito, la principale necessità da soddisfare a breve termine è quella di avere un’attività integrata con i funzionari ispettivi delle ASL, fondamentalmente in relazione al settore dell’edilizia. Una delle problematicità che si riscontra più spesso è il fatto che esistono due corpi ispettivi, quello del Ministero del lavoro e quello dei funzionari ASL, che insistono sullo stesso campo di applicazione, tanto che una delle lamentele più frequenti riguarda proprio la non omogeneità dei criteri valutativi.
Questo è un rischio possibile quando si hanno più forze che controllano una stessa platea di riferimento, perché evidentemente i criteri, le metodologie ma anche i messaggi e i contenuti formativi e informativi spesso non sono omogenei. Da ciò derivano anche differenze di applicazioni che creano problemi ai responsabili delle associazioni di categoria e a quelli delle imprese, che sostengono che non è possibile assistere a letture spesso differenziate della stessa disposizione normativa.
A mio avviso va fatto un notevole sforzo nella ricerca di percorsi comuni di formazione e informazione perché l’armonizzazione dei contenuti favorisce un meccanismo di unitarietà d’azione che non è irrilevante da un punto di vista operativo.
Per quanto riguarda l’attività di informazione e di formazione rivolta all’esterno del Ministero, posso solo richiamare ciò che è stato fatto sino ad ora, e dunque riferirmi fondamentalmente all’adozione del decreto legislativo che distribuisce le risorse a livello regionale. Il Testo unico ha stanziato 50 milioni di euro per l’attività di piano straordinario, come è noto. Desidero sottolineare che 20 di questi 50 milioni di euro sono stati destinati dal Ministero allo svolgimento di una campagna straordinaria di comunicazione, non rivolta a soggetti specifici. I restanti 30 milioni sono stati ripartiti tra le Regioni con l’apposito accordo del 20 novembre 2008, ai sensi del comma 7 dell’articolo 11 del decreto legislativo n. 81. Sostanzialmente è stata finanziata l’attività di formazione di presidi, insegnanti e studenti nelle scuole, quella dei lavoratori stranieri, dei lavoratori con meno di due anni di esperienza, dei lavoratori stagionali, dei datori di lavoro delle piccole e medie imprese e, in particolare, dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. Sino ad ora, in seguito all’adozione del decreto, è stata svolta sostanzialmente un’attività di formazione ed informazione, indipendentemente dal personale ispettivo.

BUGNANO (IdV)
Ringrazio il dottor Pennesi per il suo intervento.
Giustamente, lei ha evidenziato non solo la questione della formazione all’esterno, ma anche quella della formazione dei vostri ispettori, che ritengo altrettanto importante. Comunque, per quanto riguarda la formazione all’esterno, avete già un riscontro dell’utilizzo dei 30 milioni di euro stanziati? L’azione intrapresa è stata efficace? In caso di risposta affermativa, lei è in grado di valutare se i fondi stanziati sono stati sufficienti o se ne servono di più?

PENNESI
Non ho riscontri né in ordine all’effettiva utilizzazione delle risorse né all’efficacia della stessa, perché non so se i fondi fossero spendibili immediatamente da parte delle Regioni, anche se ho qualche dubbio in proposito.
Per il resto è evidente, e credo fosse chiaro allo stesso Governo, che le risorse stanziate sono abbastanza limitate per un’azione così massiccia.
Considerati i destinatari, ritengo che 50 milioni di euro siano decisamente insufficienti. Non saprei quantificare le risorse che sarebbero necessarie, ma vanno considerate le platee: i lavoratori stranieri sono numerosi – anche quelli regolari che sono destinatari dei processi formativi – come lo sono i lavoratori con meno di due anni di anzianità e gli stagionali, che necessitano di una formazione che non può essere solo iniziale o di base sulle nuove regole, ma deve essere specialistica e continuata.
A questo proposito segnalo un piccolo contributo che merita attenzione.
Nel corso delle ultime attività di indagine, anche a seguito degli infortuni mortali recentemente avvenuti e che hanno avuto grande rilevanza sui mass media (mi riferisco in particolare agli infortuni verificatisi in Sardegna e quelli presso i depuratori), abbiamo controllato il livello di formazione dei lavoratori deceduti in seguito a questi episodi. In particolare nel caso sardo era evidentissimo che si trattava di lavoratori con contratti a tempo determinato, nei confronti dei quali non si possono utilizzare gli stessi criteri di formazione ed informazione che si applicano per i lavoratori assunti a tempo indeterminato, per il semplice fatto che la discontinuità della presenza in azienda implica il rischio di grosse carenze formative ed informative. In sostanza, esaminata formalmente la documentazione dell’azienda sull’attività di formazione e di informazione svolta nei confronti dei lavoratori, dal punto di vista cartaceo tutto risultava in regola: vi erano addirittura i verbali delle riunioni svolte, ancorché con contenuti abbastanza generici nell’enunciazione.
Siamo poi andati a verificare se i lavoratori deceduti a causa di quelle dinamiche infortunistiche fossero presenti alle riunioni nel corso delle quali era stata fatta attività di formazione ed informazione. Ebbene, nessuno di questi lavoratori aveva partecipato a quegli incontri formativi ed informativi relativi alle problematiche che hanno poi determinato gli infortuni.
Tale circostanza, verosimilmente, era addebitabile al fatto che i lavoratori deceduti erano stati presenti in azienda dai quattro a cinque mesi nell’arco di un anno, determinandosi così questo tipo di problematicità.
Questo è un altro tema da considerare. Non si può parlare di un modello standard dell’attività di formazione ed informazione dei lavoratori perché il costo è evidentemente diverso con riferimento all’apprendista, al lavoratore già formato e al lavoratore a tempo determinato o al lavoratore intermittente. Le varie tipologie del mercato del lavoro impongono poi un’attenzione mirata proprio in relazione alla tipologia contrattuale del lavoratore.

BUGNANO (IdV)
Dottor Pennesi, le esprimo il vivo ringraziamento di tutta la Commissione. Se sarà necessario, la ascolteremo nuovamente.
Le chiedo, infine, se può lasciare ogni documento utile alla Commissione.


Audizione di rappresentanti dei Coordinamenti tecnici della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome



BUGNANO (IdV)
È ora in programma l’audizione di rappresentanti dei Coordinamenti tecnici della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Sono presenti l’ingegner Marco Masi, responsabile settore sicurezza nei luoghi di lavoro, il dottor Alberto Andreani, referente regionale Comitato tecnico interregionale prevenzione igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro, il dottor Franco Mugliari, funzionario distaccato presso il Dipartimento lavoro e formazione professionale italiana della Provincia autonoma di Bolzano, il dottor Flavio Manieri, funzionario della Tecnostruttura, ed il dottor Paolo Alessandrini, dirigente responsabile rapporti con il Parlamento, che ringrazio per aver accolto l’invito della Commissione e a cui cedo subito la parola.

MASI
Nel ringraziare la Commissione per questa opportunità, desidero far presente che ho ritenuto opportuno utilizzare alcune slides per coadiuvare la mia relazione (che consegnerò agli Uffici) con la quale illustrerò in maniera sintetica le azioni di prevenzione. Le iniziative di formazione, invece, saranno affrontate più compiutamente dagli altri miei colleghi rappresentanti dei Coordinamenti tecnici della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome.
Parto da una considerazione, già svolta dal dottor Pennesi e sulla quale ritengo sia assolutamente importante riflettere. All’indomani di una modifica al decreto legislativo n. 81 (il cosiddetto Testo unico), devono essere considerati con attenzione alcuni elementi: primo fra tutti la frammentazione del tessuto produttivo nazionale, in particolare nel comparto dei cantieri temporanei o mobili, dove si assiste sempre di più a tale frammentazione. Addirittura, i lavoratori e i dipendenti d’imprese si licenziano per essere poi reimpiegati nelle stesse imprese di appartenenza; si creano così delle situazioni di appalto e di subappalto e spesso si scaricano sui lavoratori autonomi i costi della sicurezza.
In particolare, desidero richiamare in questa sede il fenomeno della marcata individualizzazione dei rapporti di lavoro. Nel settore della cantieristica, ad esempio, fenomeni di distacco di intere squadre di operai che intervengono nei cantieri costituiscono un elemento di criticità.
Da ultimo, vi è la questione della qualificazione professionale dei lavoratori cosiddetti intermittenti, già precedentemente richiamata. Pertanto, è importante adottare un’iniziativa forte, di sostegno al mondo del lavoro, per evitare questa frammentazione sempre più spinta caratterizzante, di fatto, il nostro Paese. Ovviamente, in queste condizioni fare prevenzione è sempre più difficile, perché occorre amplificare sempre di più la presenza sul territorio.
Per quanto riguarda il territorio, da una stima delle Regioni risulta che il nostro panorama produttivo è caratterizzato da piccole realtà: su un totale stimato di circa 4 milioni di aziende, gran parte di queste impiega meno di 15 addetti (in genere, tra i 3 e 4 addetti per unità locale).
Ciò crea una seria necessità d’intervenire per assistere il mondo produttivo, onde evitare tale frammentazione, che viene ancor più esaltata nel settore delle costruzioni, dove si assiste al fenomeno di un’impresa quasi per ogni addetto assicurato (come se le imprese avessero, mediamente, uno o due dipendenti).
Ovviamente, tale questione riguarda anche il fenomeno (che, a parere di chi vi parla, è estremamente grave) della qualificazione del lavoratore autonomo. Devo sottolineare con forza come oggi basta una semplice iscrizione alla Camera di Commercio per diventare lavoratore autonomo in edilizia, senza alcuna qualificazione. Questo è un punto importante, su cui la Commissione deve riflettere e creare dei punti di discussione.
L’articolo 117 della Costituzione affida alle Regioni normativa concorrente in materia e in particolare, come previsto alla lettera m), legislazione concorrente in materia di tutela e sicurezza del lavoro. Ritengo importante sottolineare che questa normativa concorrente, rispettando i principi delle direttive comunitarie e delle convenzioni internazionali (e soprattutto del decreto legislativo n. 81), esplica le norme generali nei vari territori.
Pongo con piacere alla vostra attenzione un esempio di normativa regionale concorrente (cioè collaborativa). Una legge regionale toscana ha obbligato le nuove costruzioni, nel settore dell’edilizia, a dotarsi di sistemi contro le cadute dall’alto. La normativa regionale non aggiunge norme rispetto a quella generale, ma rafforza le misure protettive del lavoratore.
Nel caso particolare, la Regione è partita dalla reale constatazione che il fenomeno delle cadute dall’alto caratterizza il 60 per cento degli infortuni mortali in edilizia. Tutte le nuove costruzioni eseguite nel territorio toscano, quindi, saranno dotate di misure protettive e preventive contro le cadute dall’alto; si obbliga così il committente a divenire parte integrante in causa per valorizzare la salute e la sicurezza nella costruzione della propria casa o dell’edificio.
Ritengo poi importante elencare le strutture di coordinamento. Ovviamente, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome è il soggetto politico di riferimento che, nella Conferenza Stato-Regioni, si confronta con il Governo e con lo Stato anche per i provvedimenti normativi.
La Conferenza delle Regioni è articolata in Commissioni. In questo momento, io rappresento la Commissione salute mentre i colleghi che mi accompagnano rappresentano la Commissione formazione e lavoro. Il Comitato tecnico riferisce alla Commissione salute come comitato istruttorio per i provvedimenti tecnici della stessa Commissione.
Vorrei poi ricordare le linee strategiche di intervento delle Regioni: informazione; formazione e addestramento; vigilanza e controllo; assistenza e tutoraggio. Questi sono i quattro punti delle politiche di prevenzione che le Regioni attuano nei propri territori e che avrò modo di esplicare in maniera sintetica.
Ricordo un’indagine che le Regioni hanno condotto e concluso nel 2003 sull’applicazione normativa. Un’attenzione continua e profonda all’apparato normativo e a come questo produca effetti efficaci è molto importante.
Per la prima volta, è stato presentato nel nostro Paese un rapporto di monitoraggio e di controllo di 9.000 aziende (coinvolgendo i 750.000 lavoratori interessati), che ha fatto comprendere come la normativa di riferimento del decreto legislativo venga applicata nei vari territori regionali.
Dall’indagine, che ha coinvolto praticamente tutte le Regioni, sono emerse molte indicazioni. I molti grafici e le elaborazioni indicano che, rispettando gli adempimenti formali, le piccole aziende non applicano con efficacia l’organizzazione prevista sia dai sistemi di qualità che dalla normativa nazionale e che non è stato definito un sistema di responsabilità tra dirigenti e preposti.
Per contro le grandi aziende culturalmente, ma anche a livello organizzativo, sono pronte e capaci di attuare sistemi di gestione della sicurezza nei luoghi di lavoro.
I punti più deboli dell’applicazione normativa sono stati la qualità della formazione, la programmazione in azienda, la programmazione degli interventi, le procedure di sicurezza e, spesso, il mancato coinvolgimento del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.
Gli aspetti vincenti, che i colleghi della formazione approfondiranno, sono la certificazione delle figure tecniche per la prevenzione (il responsabile del servizio prevenzione, il medico competente, lo stesso datore di lavoro, i dirigenti e i preposti). Come Regioni abbiamo cominciato da tempo a qualificare il sistema delle figure tecniche attraverso il decreto legislativo n. 195 del 2003 sul servizio di prevenzione e protezione. Questo è un punto vincente perché laddove c’è personale qualificato in grado di gestire la sicurezza nei luoghi di lavoro questo viene applicato con efficacia; tra l’altro, la collaborazione con le associazioni scientifiche e il mondo dell’università ha permesso di avviare un percorso di qualificazione rilevante.
Per quanto riguarda i percorsi recentemente attuati anche con provvedimento normativo, mi pare importante ricordare il protocollo sul sistema informativo nazionale, il protocollo tra le Regioni, INAIL e INPS, il patto per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, di cui all’accordo dell’agosto 2007, da cui sono scaturiti il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 21 dicembre 2007, la legge delega n. 123 del 2007 per il Testo unico e ovviamente il decreto legislativo n. 81 del 2008, la nostra norma di riferimento, tuttora all’esame del Consiglio dei ministri a seguito delle valutazioni delle Commissioni parlamentari.
È stato ricordato dal dottor Pennesi e dalla senatrice Bugnano l’accordo del 20 novembre 2008 tra Stato e Regioni sull’attività promozionale per la formazione in base al quale le Regioni insieme agli altri istituti, in particolare il Ministero, stanno già attivando programmi di formazione.
Tengo a sottolineare che il Testo unico contenuto nel decreto n. 81 del 2008 ha consegnato un Titolo I che tenta – e credo possa riuscirci – di ricomporre il sistema nazionale della prevenzione ragionando in una logica di sistema. Il Titolo I è quello più maturo, che ha in qualche modo individuato l’azione di prevenzione sul territorio, e su cui mi soffermerò brevemente. In particolare, voglio ricordare che il Testo unico ha individuato linee guida e buone pratiche nel sistema della circolazione continua e diffusa di informazioni attraverso un sistemo informativo nazionale della prevenzione. Credo che queste siano parole chiave di politiche veramente efficaci nel nostro territorio e che il Titolo I le declini con sufficiente chiarezza. Aggiungo che c’è qualche ritardo nell’attuazione complessiva di questi punti di cui riferirò durante il corso della mia relazione.
Abbiamo parlato di linee di indirizzi e coordinamento. Le Regioni si sono mosse da tempo nel dare indirizzi per aiutare il mondo delle imprese, soprattutto i lavoratori e il mondo dei professionisti presenti sul documento unico di valutazione dei rischi da interferenze (DUVRI) per la stima dei costi della sicurezza. Non sono neanche da dimenticare le importanti iniziative delle Regioni sulle grandi opere infrastrutturali. Ho portato esempi di osservatori regionali come quello del Piemonte, quello tra le Regioni Emilia-Romagna e Toscana e quello di altre come la Lombardia e soprattutto le Regioni interessate da grandi opere con particolari rischi per i lavoratori.
Meritano di essere citati i sistemi di analisi degli indicatori di danno ai lavoratori: gli infortuni sono una parte rilevante e mediaticamente significativa; le malattie professionali però rappresentano un elemento su cui le Regioni stanno ponendo particolare attenzione. Si tratta, infatti, di un elemento poco noto perché una malattia professionale si dipana purtroppo nel tempo. Pertanto, le Regioni hanno attivato dei sistemi di sorveglianza sanitaria ed epidemiologica che ho qui riassunto sull’esposizione all’amianto, sulle malattie professionali.
Voglio, infine, ricordare il progetto «Sbagliando si impara» con le parti sociali, i Ministeri, l’ISPESL e l’INAIL. Richiamo la vostra attenzione perché si tratta di un progetto molto importante che parte dall’analisi dell’evento infortunistico, anche mortale, per capire l’errore di procedura e per definire i profili di rischio. Sostanzialmente dall’errore si può imparare e migliorare l’attività prevenzionistica.
Sintetizzo gli esiti di questo progetto. Dall’analisi degli infortuni gravi e mortali si evidenzia che l’errore di procedura rappresenta la causa principale dell’evento infortunistico dovuto sia ad un errato che ad un improprio uso delle attrezzature. Questo fa capire che è nella procedura e, quindi, nella valutazione del rischio e nelle misure preventive da adottarsi l’elemento chiave di lettura degli eventi infortunistici, a prescindere dalla dimensione aziendale. Questo progetto ha permesso di definire una vera e propria mappatura del rischio, individuando le aree più critiche del territorio in cui si registrano le percentuali di infortuni più importanti e significative.
Con l’INAIL, in particolare, si è avviato un processo di analisi puntuale degli eventi avversi alla salute dei lavoratori e ci siamo resi conto che esiste una concentrazione di infortuni in un numero ridotto di imprese e di aree localizzate del nostro Paese. A noi questo pare un aspetto molto importante perché può permettere di intervenire con la vigilanza e il controllo in maniera più puntuale e più vicina alle realtà territoriali.
Un importante aspetto che il decreto legislativo n. 81 del 2008 riprende è rappresentato dai rapporti tra le istituzioni pubbliche e i medici competenti. In particolare, voglio ricordare l’articolo 40 del decreto legislativo n. 81 del 2008 che prevede l’obbligo di comunicazione per il medico competente della cartella di rischio dei lavoratori, che costituisce un patrimonio informativo rilevantissimo: il rapporto tra medico di fabbrica o medico competente, che viene in qualche modo incaricato dal datore di lavoro, e l’istituzione pubblica può rappresentare un elemento straordinario del patrimonio informativo.
Da un campione limitato (disponiamo di una quantità di dati dieci volte maggiore) riusciamo a comprendere quali sono le aree di criticità.
Abbiamo pertanto notato che la movimentazione dei carichi, il rumore e gli agenti chimici rappresentano ancora gli elementi di criticità nei luoghi di lavoro. Vorrei far capire che dai medici competenti possiamo avere una serie di dati molto importanti che possono orientare l’azione di politica di prevenzione delle Regioni, dei Ministeri e anche ovviamente delle parti sociali.
Importante è anche il ruolo della bilateralità. Come Regioni abbiamo espresso un parere fortemente negativo sull’articolo 2-bis introdotto dallo schema di decreto correttivo al decreto legislativo n. 81 del 2008, perché riteniamo che il mondo bilaterale sia una cerniera straordinaria ed efficace di assistenza al mondo delle imprese; riteniamo però che questo non possa costituire una certificazione di conformità e soprattutto che la bilateralità è utile per lo start-up delle imprese, per l’avvio e per il monitoraggio dei sistemi di qualità.
Non reputiamo peraltro corretto assegnare ad un’università la certificazione di conformità. Crediamo che il mondo delle università sia straordinariamente utile per la prevenzione, ma la loro missione fondamentale è quella della didattica e della ricerca. La buona ricerca nelle aule universitarie rappresenta una frontiera di prevenzione straordinaria soprattutto per le malattie professionali.
Per quanto riguarda specificamente la promozione e la divulgazione della cultura della sicurezza sul lavoro all’interno dell’attività scolastica ed universitaria, è stato avviato a livello regionale il progetto «Sicurezza in cattedra» – anche grazie alla collaborazione dei Ministeri interessati e delle direzioni scolastiche – nell’ambito del quale sono state assunte importanti iniziative di formazione nel mondo della scuola, con il coinvolgimento, in particolare, degli istituti tecnici e delle università. Si realizza in tal modo veramente quell’alleanza strategica necessaria per aumentare soprattutto il livello di percezione del rischio da parte delle giovani generazioni: ciò rappresenta, a mio avviso, un profilo cruciale dell’azione di prevenzione condotta sul piano nazionale.
Con riferimento poi al coordinamento dell’attività di vigilanza e di controllo, molte sono le competenze sia delle Direzioni provinciali del lavoro, che delle ASL. Al riguardo si tratta innanzitutto di amplificare e migliorare il coordinamento, al fine di evitare sovrapposizioni, recependo pienamente il messaggio – richiamato anche prima – relativo all’esigenza di realizzare insieme una formazione congiunta, proprio per aumentare l’omogeneità sul territorio. Ad oggi, in particolare, grazie alla collaborazione dei Ministeri, abbiamo già provveduto a dare indicazioni nel senso di un forte coordinamento territoriale tra ASL e Direzioni provinciali del lavoro, soprattutto per quanto riguarda l’area dei cantieri edili.
Devo segnalare però alcune criticità. Il presidente della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome Vasco Errani ha invitato il ministro Maurizio Sacconi ad avviare quanto prima l’attività del Comitato nazionale per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza, previsto dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 81 del 2008. Infatti, ad ormai un anno e mezzo dall’entrata in vigore del decreto, il Comitato non è stato ancora mai convocato.
La mia non è una critica alla mancata convocazione, ma piuttosto il richiamo alla necessità di lavorare insieme ai Ministeri per adempiere agli importanti compiti indicati all’articolo 5 del decreto, tra cui, in particolare, quello di avviare programmi congiunti con i Ministeri, di coordinare l’attività di vigilanza a livello nazionale e, soprattutto, di definire programmi di azione congiunta. Credo che si tratti di un Comitato strategico e fondamentale, dal quale possono venire importanti input a livello territoriale; per questo ne chiediamo l’immediata attivazione e convocazione.
Per quanto concerne poi la Commissione consultiva permanente (articolo 6 del decreto), essa è stata da poco convocata e rappresenta un punto di incontro particolarmente rilevante tra Ministero e parti sociali.
Ha compiti estremamente importanti, tra cui l’indicazione alle imprese di modelli semplificati – ricorrendo cioè anche ad una semplificazione operativa – di organizzazione e gestione aziendale.
Allo stato attuale dobbiamo tuttavia registrare ancora un forte ritardo per quanto riguarda il sistema informativo nazionale per la prevenzione (articolo 8 del decreto), che non è ancora partito. Si tratta però di un profilo importante perché, proprio grazie ad un sistema informativo condiviso a livello nazionale, è possibile fornire dati utili per orientare e programmare le politiche nazionali di prevenzione: un sistema di conoscenza è infatti fondamentale per attivare interventi e politiche di prevenzione. Al riguardo voglio comunque ricordare che le Regioni, insieme a ISPESL e INAIL, hanno già cominciato a fare le prime prove di trasmissione; in particolare, esiste un sito curato da INAIL nel quale trovano collocazione tutte le valutazioni che prima ho richiamato, ovvero il progetto sugli infortuni mortali, i documenti e le statistiche su infortuni e malattie professionali.
Un’altra criticità assolutamente rilevante è quella relativa alla Commissione per gli interpelli prevista dall’articolo 12 del decreto. Anche in questo caso, nonostante l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 81, non è stato ancora convocato questo importante tavolo interistituzionale, che rappresenta uno strumento utile per garantire una certa omogeneità agli organi ispettivi sul territorio. In essa si prevede la partecipazione dei rappresentanti dei Ministeri del lavoro e della salute, oltre che di quelli delle Regioni, ed ha il compito di individuare criteri direttivi per l’esercizio dell’attività di vigilanza. Giustamente il dottor Pennesi ha richiamato prima la necessità di un’omogeneità nell’attività di vigilanza, alla quale deve però aggiungersi, a mio avviso, anche quella sul piano della prevenzione. In sintesi, credo che si tratti di un tavolo assolutamente importante, di cui lo stesso presidente Errani ha chiesto al ministro Sacconi l’immediata attivazione.
Per quanto attiene ai Comitati regionali di coordinamento, istituiti presso ogni Regione e Provincia autonoma, sono composti da rappresentanti di ISPESL, INAIL, INPS, Direzioni regionali del lavoro e Vigili del fuoco. Essi si occupano di coordinare l’azione sul territorio, anche dal punto di vista ispettivo, attraverso l’ufficio operativo, la cui missione – com’è stato ricordato – è di istituire programmi coordinati di vigilanza e controllo sul territorio (articolo 7 del decreto). Quanto agli obiettivi, poi, sono principalmente quello di implementare la sorveglianza sanitaria, degli infortuni e delle malattie professionali, ma anche di adeguare l’azione di prevenzione attraverso l’emanazione di linee guida e lo sviluppo di buone prassi, indirizzate soprattutto al sostegno delle piccole e piccolissime imprese.
Ricordo poi che sono state attivate varie iniziative sul territorio, a livello regionale, che richiamano in parte quanto già detto dal dottor Pennesi.
Le stesse ASL, le Direzioni provinciali del lavoro, insieme a ISPESL ed INAIL, stanno realizzando congiuntamente azioni di auto-formazione, inchieste sugli infortuni, oltre ad aver avviato un confronto con gli stessi uffici territoriali della procura della Repubblica, considerato che le azioni di polizia giudiziaria si esplicano proprio attraverso un forte rapporto con le procure: si realizza quindi con le stesse un doppio scambio sul piano della formazione e della conoscenza.
Infine, un altro importante aspetto è costituito dal monitoraggio e dalla comunicazione istituzionale. Al riguardo sono state assunte alcune iniziative a favore dei lavoratori: oltre al rafforzamento della figura degli RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) e RLST (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali), in molte Regioni sono stati attivati dei veri e propri sportelli della prevenzione, numeri verdi a disposizione dei lavoratori che abbiano eventualmente bisogno di chiarimenti.
In particolare, sono state realizzate alcune iniziative finalizzate proprio ad aumentare la conoscenza e l’informazione dei lavoratori. In Emilia Romagna e in Toscana, ad esempio, sono stati predisposti veri e propri bollettini informativi, anche in formato elettronico, per i rappresentanti dei lavoratori.
Avviandomi alla conclusione, vorrei ricordare il Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 17 dicembre 2007), che fornisce importanti indicazioni sull’attività delle Regioni. In particolare, tra gli obiettivi indicati, oltre al miglioramento della conoscenza dei livelli di applicazione della normativa e al raggiungimento di un adeguato livello di copertura in termini di vigilanza e di controllo, si stabilisce la quota di 250.000 interventi ispettivi all’anno, corrispondente a circa il 5 per cento delle unità locali delle imprese attive sul territorio.
Per quanto riguarda invece la situazione dei Dipartimenti di prevenzione, i dati del 2008 parlano di 180 Dipartimenti presenti a livello nazionale, con 402 sedi operative.
Con riferimento invece alla forza ispettiva dei Dipartimenti di prevenzione, da un confronto tra i dati del 2007 e quelli del 2008, riguardanti il personale dei servizi di prevenzione e sicurezza sul lavoro, emerge che il numero degli operatori è pari a circa 4.200 unità, con profili professionali che vanno dalla figura del medico all’ingegnere, al biologo, al fisico e al chimico, proprio in ragione delle diverse competenze richieste in questo settore. C’è quindi ormai in molte Regioni un numero piuttosto consistente di tecnici della prevenzione, tutti qualificati e dotati almeno di laurea triennale. Di questi operatori circa 2.700 hanno qualifica di ufficiali di polizia giudiziaria, che viene loro riconosciuta solamente al termine di uno specifico corso regionale che essi sono tenuti necessariamente a seguire.
Quanto ai dati aggregati nazionali riferiti al 2008, risultano complessivamente raggiunti gli obiettivi indicati nel Patto: peraltro, se si sommano i sopralluoghi svolti (203.000) con il numero dei cantieri edili (circa 50.000), e si aggiungono poi a questi le inchieste per infortuni e per malattie professionali – che di fatto sono azioni di vigilanza e controllo – si supera ampiamente il livello di 250.000 unità. Bisogna inoltre ricordare che c’è comunque una serie di interventi di assistenza alle imprese (circa 13.600), nonché un’estesa attività di formazione gratuita svolta dai Dipartimenti di prevenzione (40.000 ore circa), che vede coinvolti circa 99.000 soggetti.
Ci sono dunque sicuramente alcune luci, ma ci sono anche molte ombre. In particolare, mi fa piacere farvi notare che dal 2006 al 2008 si è registrato un progressivo aumento dell’attività di vigilanza sul territorio, che si attesta al 5,7 per cento delle unità locali presenti.
Devo purtroppo rilevare, però, che non tutte le Regioni sono virtuose e che ve ne sono alcune – mi sono permesso, nella mia relazione, di non specificare quali – che ne superano altre per risultato raggiunto, un aspetto che è all’attenzione dei Presidenti e degli Assessori competenti in materia.
Anche se si registra un miglioramento in tal senso, è necessario attuare un intervento non indistinto, ma diretto specificamente a quelle Regioni meno attive ed attente sotto il profilo della formazione e della prevenzione.
È in corso, inoltre, il Piano nazionale edilizia, il cui obiettivo è di raggiungere 50.000 cantieri, ripartiti anche in base alle specificità del rischio nelle varie realtà, che ha una durata di tre anni e con il quale è previsto un aumento dei rapporti con la Direzione provinciale del lavoro, INAIL e INPS. Il 20 per cento delle attività ispettive, infatti, devono essere svolte in coordinamento con le altre istituzioni competenti in materia.
D’altra parte è nostra convinzione che il binario della legalità del lavoro e della sicurezza sia assolutamente da tenere insieme e che si debba quindi aumentare la collaborazione e il coordinamento con le altre istituzioni competenti in materia di contrasto al lavoro irregolare. Spesso, com’è evidente, laddove c’è lavoro irregolare si annidano la totale insicurezza e la totale disattenzione alle norme più elementari per la tutela dei lavoratori.
Tralasciando le molte iniziative sul territorio del Piano nazionale edilizia, mi preme sottolineare invece che attualmente è anche in corso il Piano nazionale agricoltura e selvicoltura, un comparto che presenta indici di infortunio molto alti e che è poco noto, perché anche questo è caratterizzato da una frammentarietà e da una tipologia di contratti di lavoro piuttosto delicata: molti degli addetti sono avventizi o pensionati ed è molto diffuso il lavoro familiare. È una realtà territoriale molto importante.
A tale proposito, mi pare significativo sottolineare che, se è vero che è importante arrivare ad un sistema di vigilanza di 10.000 aziende all’anno da parte delle Regioni, è altrettanto vero che un progetto di rottamazione del parco macchine rappresenterebbe, allo stato attuale, un intervento di prevenzione efficace. Ci sono Regioni come la Toscana, da cui provengo, in cui si registrano puntualmente, nelle attività sui terreni, infortuni mortali per ribaltamento di macchine agricole vecchie di trent’anni, che coinvolgono lavoratori dipendenti e spesso anche i nostri anziani.
Si rendono pertanto necessari interventi non soltanto di sorveglianza, ma anche di prevenzione e di controllo per la promozione della salute e della sicurezza. Ringrazio il Presidente ed i senatori presenti per l’attenzione.

BUGNANO (IdV)
Dottor Masi, la ringrazio per la sua relazione e per la documentazione che ha consegnato, che la Commissione potrà esaminare successivamente più attentamente e formulare delle riflessioni su di essa. Mi sembra di capire, stando alla data in cui è stato stipulato l’accordo con la Presidenza del Consiglio dei Ministri (20 novembre 2008), che non ci sia ancora un riscontro sui progetti che le Regioni stanno portando avanti in relazione alla formazione.

MASI
Lo scorso aprile il Ministero del lavoro ha inviato una lettera ad ogni Regione, nella quale si chiedeva la trasmissione del programma formativo; molte Regioni li stanno già facendo pervenire al Ministero.
Questi programmi sono stati una scelta importante, ma poiché le iniziative di formazione devono essere concordate in sede di Comitato di coordinamento, che per la prima volta vede presenti le parti sociali, si determinerà un rallentamento del processo. Sono stati indicati gli obiettivi (che sono, in particolare, lavoratori migranti, lavoratori a tempo determinato, rappresentanti per i lavoratori della sicurezza), ma il bilanciamento – lo dico essendo fra quelli che hanno approvato il programma nel Comitato regionale – ha innescato un dibattito tra le parti sociali, che può determinare un allungamento dei tempi. Ciò detto, ribadisco che i programmi stanno arrivando e che le risorse sono state già vincolate da parte del Ministero nell’aprile di quest’anno.

BUGNANO (IdV)
La ringrazio. Su questo argomento avremo modo di risentirci per un ulteriore aggiornamento.

MUGLIARI
Onorevoli senatori, come funzionario del Dipartimento lavoro e formazione professionale italiana della Provincia autonoma di Bolzano, sostituisco in questa sede la dottoressa Vittore, coordinatrice della IX Commissione istruzione, lavoro, innovazione e ricerca della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome. Non farò una relazione sui lavori della IX Commissione, ma credo che valga la pena concentrare l’attenzione sul lavoro comune del gruppo tecnico per il Coordinamento formazione, di cui è responsabile la dottoressa Vittore, e il Coordinamento salute, di cui è responsabile l’ingegner Masi, in quanto costituisce un esempio virtuoso di collaborazione in cui gli specialisti della prevenzione da una parte e gli specialisti della formazione dall’altra mettono in comune competenze diverse, dando così vita a proposte e ad esperienze positive che sono quelle che appunto ricorderò ora.
La Tecnostruttura delle Regioni per il Fondo sociale europeo garantisce l’assistenza tecnica a tutto il lavoro del gruppo tecnico, istituito dopo l’emanazione del decreto legislativo n. 195 del 2003, che ha modificato l’articolo 8-bis del decreto legislativo n. 626 del 1994. Il Governo fu costretto ad emanare il decreto n. 195 – lo ricordo brevemente perché riguarda la formazione – a seguito di una condanna da parte della Corte di giustizia europea in quanto non erano stati perfettamente definiti o definiti in maniera sufficiente i requisiti professionali di coloro che avrebbero dovuto ricoprire incarichi di addetti e di responsabili dei servizi di protezione e prevenzione nelle aziende.
Nel decreto legislativo sono stati introdotti, in prima battuta, i titoli di studio ed è stata rinviata ad un accordo in sede di Conferenza Stato-Regioni l’individuazione dei contenuti, dei soggetti formatori, delle modalità di erogazione della formazione. Questo importante soggetto è presente sostanzialmente in ogni azienda, a volte può essere lo stesso datore di lavoro, a volte un consulente esterno, ma nelle aziende medio-grandi è quantomeno una persona che opera all’interno dell’azienda stessa, spesso con altri collaboratori e svolge questo servizio di prevenzione e protezione aziendale.
Il gruppo tecnico ha predisposto una bozza d’accordo, l’atto n. 2407, approvato il 26 gennaio 2006 dalla Conferenza Stato-Regioni, che mette in campo una serie di soggetti formatori e di ulteriori strutture operanti sul territorio per la formazione. È stato preventivato, allora, che avrebbero ricoperto questo tipo di incarico circa 120.000 persone. È stata proposta una struttura formativa modulare abbastanza complessa ma soprattutto è stata avviata, mi preme sottolinearlo, una sperimentazione nelle Regioni per due anni. Il coordinamento tecnico ha monitorato tale sperimentazione per verificare come si potevano effettivamente formare ed aggiornare i responsabili del servizio di prevenzione. Alla fine della sperimentazione è stato proposto un documento che risale al 2008 e che attende – questo è un piccolo lato negativo – ancora l’iscrizione all’ordine del giorno della Conferenza Stato-Regioni.
Sarebbe importante affrontare il discorso perché, passata la fase di formazione intensa, oggi sarebbe necessario individuare ulteriori soggetti formatori ed introdurre, per esempio, sistemi di formazione a distanza (cosa che sicuramente nell’aggiornamento era già prevista) semplificando anche l’impianto formativo in generale. Alcune indicazioni su come realizzare tutto ciò sono state date proprio in base alla sperimentazione. Dunque il primo dato che noi sottolineiamo è la necessità di aggiornare questo accordo alla luce delle indicazioni che vengono dalla Conferenza Stato-Regioni.
Come sottolineava l’ingegner Masi, le cadute dall’alto rappresentano una percentuale elevatissima degli infortuni gravi e mortali, in particolare nel settore delle costruzioni. Con il decreto legislativo n. 235 del 2003, che anch’esso ha modificato il decreto legislativo n. 626 del 1994, è stato introdotto l’obbligo della formazione dei lavoratori incaricati del montaggio e dello smontaggio di ponteggi e impalcature e anche di quelli che devono lavorare in quota con l’utilizzo di funi. Questo è un accordo che non ha dato particolari problemi applicativi (anche perché è stato redatto in modo migliore) insieme all’accordo sulla formazione dei responsabili del servizio di prevenzione.
Il coordinamento tecnico ha lavorato discretamente, oltre che con passione, tanto è vero che alcuni rappresentanti di questo gruppo sono stati chiamati a far parte dei gruppi di lavoro per la stesura del Testo unico.
Uno dei tratti essenziali e caratteristici del decreto legislativo n. 81 del 2008, senza dubbio, è costituito dalla formazione, l’informazione, l’addestramento e l’aggiornamento obbligatorio. Certo si tratta di un principio di delega che era stato fissato, guarda caso, proprio in una riunione della Conferenza tecnica Stato-Regioni all’interno della quale era stato stabilito che la revisione della principale figura addetta alla prevenzione doveva passare attraverso adeguati percorsi formativi. Tale principio di delega ha dato inizio ad una serie di iniziative di formazione, informazione e quant’altro contenute anche nel decreto legislativo n. 81 del 2008, pur se con alcune contraddizioni.
In particolare, considerato che ho appena parlato dello sforzo di formazione del responsabile dei servizi di prevenzione, desidero far presente che l’articolo 32 del decreto legislativo n. 81 (che attualmente non si sa se verrà modificato o meno) introduce un esonero dalla parte principale della formazione obbligatoria (soprattutto quella legata ai rischi professionali) per coloro che sono in possesso di determinate lauree, alcune delle quali non sono neanche lauree tecniche. Sappiamo, però, che un percorso formativo specifico, anche al termine di un corso di laurea, è assolutamente indispensabile. Sottolineo questo elemento negativo, introdotto dall’articolo 32 del Testo unico che speriamo possa essere modificato con il decreto correttivo attualmente all’attenzione del Governo.
Voglio aggiungere che l’articolo 34 e l’articolo 37 del Testo unico rinviano ad un accordo della Conferenza Stato-Regioni. In particolare, l’articolo 34 riguarda la definizione dei percorsi formativi per i datori di lavoro che sono anche responsabili dei servizi di prevenzione e protezione.
L’articolo fissa la durata minima e massima degli incarichi, dopo di che rinvia alla Conferenza Stato-Regioni. L’articolo 37 parla invece della formazione dei lavoratori, quindi è relativo ad un campo ancora più vasto, e rinvia anch’esso ad un accordo Stato-Regioni.
Il tavolo tecnico di coordinamento, in sostanza, ha continuato a lavorare e ha prodotto un accordo per la formazione dei datori di lavoro completo di durata, contenuti ed obblighi di aggiornamento. Per quanto riguarda invece i lavoratori, l’accordo comprende anche i lavoratori autonomi (una bella novità anche questa) ed i preposti. Per queste figure gli accordi sono stati predisposti, sono stati approvati nei dodici mesi previsti da parte del gruppo tecnico interocoordinamenti e sono stati presentati per l’approvazione alla Conferenza Stato-Regioni. Concludo il mio intervento con una valutazione sostanzialmente negativa perché gran parte del lavoro svolto dai coordinamenti tecnici è ancora fermo in fase di attuazione.
Per quanto riguarda la domanda della senatrice Bugnano a proposito dell’attività di formazione finanziata dal Ministero del lavoro, posso portare l’esempio della mia Provincia: noi abbiamo avuto molte difficoltà a far funzionare prima di tutto il coordinamento provinciale che, in tutti i casi, andava rivisto. In un secondo momento, in quella sede, ci sarebbe stata la discussione e l’approvazione dei programmi. Al momento, il coordinamento dovrebbe approvare i programmi ma mi risulta, ad esempio, che l’Emilia Romagna abbia già presentato un progetto articolato. A questo proposito sottolineo un punto critico: è stato stabilito che la formazione non deve essere altrimenti finanziata. Questo significa che gli enti virtuosi, come la Provincia autonoma di Trento, avranno difficoltà a presentare un progetto di formazione innovativa rispetto a quanto già si fa, perché tale progetto prevede un investimento della Provincia di 500.000 euro l’anno che è superiore alla quota stabilita dal Ministero. Probabilmente la Regione Trentino rinuncerà al progetto.
Il maggiore punto critico maggiore di questo accordo, quindi, risiede forse nell’impossibilità di ottenere solo una parte del finanziamento stanziato. Ad esempio, la regione Piemonte aveva presentato un progetto che avrebbe utilizzato il 30 per cento delle risorse; questo impiego pro quota, però, non è consentito perché vale il principio del «o tutto o niente».
Senatrice Bugnano, consegno agli atti i due accordi tecnici, a cui ho fatto riferimento, sulla formazione sia dei datori di lavoro che dei lavoratori, e la nota presentata alla Conferenza Stato-Regioni per la revisione dell’accordo sulla formazione dei responsabili dei servizi di prevenzione.

MANIERI
Senatrice Bugnano, nel salutare lei e la Commissione tutta, desidero fare un’integrazione riguardante appunto questi due documenti consegnati alla Commissione. Queste due proposte di accordo sono state approvate in data 12 maggio scorso dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, sia in VII Commissione, quindi dal servizio PISLL (Prevenzione igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro), sia in IX Commissione. Esse sono state presentate alla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, dove tuttora attendono l’apertura del confronto.
Lo stesso problema riguarda il documento di revisione dell’impianto dell’accordo stipulato sulla base del decreto legislativo n. 195 del 2003, anch’esso presentato alla Conferenza dei Presidenti ed in attesa di esame.
Si è lavorato in collaborazione con il Ministero del lavoro e dell’istruzione per il protocollo d’intesa, relativo all’articolo 4, comma 4, della legge n. 123 del 2007, riguardante i progetti sperimentali in ambito scolastico e nei percorsi formativi, anch’esso in attesa di essere preso in considerazione.


Audizione di rappresentanti della Consulta interassociativa italiana per la prevenzione (CIIP)

BUGNANO (IdV)
È , infine, in programma l’audizione di rappresentanti della Consulta interassociativa italiana per la prevenzione (CIIP).
Sono presenti il dottor Rino Pavanello, presidente, il dottor Gian Carlo Bianchi, vice presidente, ed il dottor Rocco Vitale, presidente della Commissione «Formazione» e presidente dell’AIFOS, che ringrazio per aver accolto l’invito della Commissione e a cui cedo subito la parola.

PAVANELLO
Ringrazio la senatrice Bugnano e la Commissione intera che, ancora una volta, ha avuto la cortesia di audire la Consulta interassociativa italiana per la prevenzione.
Nel corso della precedente audizione, del 10 marzo scorso, abbiamo già consegnato un documento scritto di carattere generale, che è agli atti della Commissione; ci siamo quindi preparati a quest’incontro predisponendo un documento sufficientemente sintetico e tendenzialmente preciso sul tema della formazione e della prevenzione, che consegniamo anch’esso.
Mi ricollego agli ultimi interventi perché, andando a pagina 5 di questa memoria, si vedrà che sono oltre 30 i provvedimenti che avrebbero dovuto essere approvati dopo l’entrata in vigore del cosiddetto Testo unico e che, ad oggi, non sono ancora stati approvati. Per problemi di sintesi abbiamo riportato nelle medesime colonne alcuni provvedimenti ma, sommandoli tutti, si evince che sono almeno 30. Allora, quando si parla di formazione e di informazione, bisogna tenere presente che alcuni provvedimenti, al di là di quanto viene detto in termini ufficiali, non vanno avanti e si bloccano. La Consulta ha una posizione rigorosamente tecnico-scientifica e non entra in determinati meccanismi; ci sembra di scorgere non tanto la presenza di un «grande vecchio» che blocchi l’approvazione dei provvedimenti, quanto una situazione di ritardo determinata da mille motivazioni.
Da questo punto di vista, abbiamo apprezzato l’iniziativa della Commissione e vorremmo che essa, proprio perché è una Commissione d’inchiesta, avesse la possibilità di svolgere un ruolo assolutamente significativo, pregnante e anche di stimolo nei confronti di tutte le altre istituzioni pubbliche (o anche non pubbliche) chiamate ad assumere decisioni sulla formazione.
Come già precedentemente ricordato, in questo campo vi sono decisioni che vanno assunte in sede di Conferenza Stato-Regioni, altre con decreti ministeriali, altre con accordi contrattuali tra le parti sociali ed altre ancora dalla Commissione consultiva di cui all’articolo 6 del Titolo I del decreto n. 81 del 2008 (questa è l’intera platea dei soggetti che dovrebbero provvedere a questi obblighi formativi). A 14 mesi di distanza, mancano ancora oltre 30 provvedimenti. Di questi 30 provvedimenti alcuni sono assolutamente significativi e, secondo noi, basterebbe pochissimo tempo a renderli operativi e ad approvarli, creando così una situazione di grande interesse per l’attività dei soggetti che dovrebbero poi attuarli.
Nelle prime pagine della memoria è contenuto un breve excursus di cosa intendiamo per formazione. La formazione deve essere strettamente correlata all’informazione, all’istruzione e all’addestramento. Quindi, come Consulta, noi parliamo in generale di in-formazione per dare appunto un’indicazione di carattere generale.
Su questo punto, il decreto legislativo n. 81 del 2008 (e prima ancora il decreto legislativo n. 626 del 1994) ha rappresentato un salto notevole rispetto alla previgente normativa italiana (i decreti del biennio 1955-56), riportando il dovere dell’imprenditore ma, soprattutto, il diritto di ciascun operatore (non solo i lavoratori ma anche i preposti, le squadre, i dirigenti e quant’altro) a ricevere una formazione come diritto individuale.
Infatti, già gli articoli 21 e 22 del decreto legislativo n. 626 del 1994 e gli attuali 36 e 37 del decreto legislativo n. 81 del 2008 prevedono che ciascun lavoratore abbia diritto a una formazione. Le parole informazione e formazione rientrano oltre 200 volte nel testo del decreto n. 81 del 2008 e la maggior parte delle volte sono aggettivate. Quindi, si parla di informazione adeguata e di formazione adeguata e sufficiente, come è scritto a pagina 13 del documento.
Da questo punto di vista, superando la tabella di pagina 5, abbiamo fatto un elenco degli interventi che potrebbero essere fatti e che sono riassunti, in una sorta di dodecalogo delle iniziative, alle pagine 6 e 7; dopo c’è, a pagina 8 e seguenti, un vero e proprio quadro sinottico che individua i singoli articoli e commi ed i singoli provvedimenti.
Senza citarli tutti (abbiamo consegnato una memoria scritta e dobbiamo già ringraziarvi per il tempo che ci concedete) vorrei però sottolineare alcune sintetiche indicazioni. Il punto 1 a pagina 6 indica come priorità l’approvazione di tutti i provvedimenti mancanti collegati alla in-formazione, mentre il punto 2 indica quella di favorire la professionalità di tutti gli operatori che si occupano di prevenzione. Molto spesso si parla solo di lavoratori ma, in questo caso, vogliamo riferirci a tutti i soggetti operanti nel campo della prevenzione: dai dirigenti ai preposti, ai lavoratori, ai medici competenti e ai responsabili dei servizi di prevenzione e protezione (RSPP).
Al punto 3 si segnala un’assenza che veramente sorprende. Non si capisce perché, dopo anni, non sia stato ancora approvato il cosiddetto «libretto formativo» in cui qualsiasi cittadino dovrebbe vedere riportate le proprie caratteristiche professionali, di istruzione primaria e poi di esperienza lavorativa.
Il decreto legislativo n. 195 del 2003, già ricordato dal dottor Mugliari, imponeva agli RSPP di riportare in questo libretto formativo le proprie attività professionali. Il decreto legislativo n. 81 del 2008 ha esteso ulteriormente questa previsione a tutti i lavoratori e agli altri operatori.
Il libretto formativo, di per sé, è assolutamente semplice e, se realizzato anche a livello informatico, potrebbe avere un costo zero. Ci siamo permessi, pertanto, come Consulta, di consegnare al Presidente una bozza molto semplice di un ipotetico libretto formativo nel quale ogni lavoratore può inserire i propri certificati e i propri attestati di qualificazione professionale.
Il punto 4 riguarda un altro elemento sul quale la Commissione potrebbe svolgere un ulteriore approfondimento e che riprende quanto detto dal dottor Mugliari: l’aggiornamento dei responsabili addetti ai servizi di prevenzione e protezione. La sperimentazione, già ricordata, è terminata nel 2008; quindi, avrebbero dovuto essere immediatamente immesse nel sistema le nuove modalità di formazione entro il 14 febbraio 2008.
Sono trascorsi 18 mesi e niente è ancora successo. Noi, però, facciamo un’ulteriore precisazione.
Questi operatori (che sono coloro che, insieme al datore di lavoro, dovrebbero contribuire a stendere il documento di valutazione e la cui professionalità è assolutamente decisiva per la sicurezza sul lavoro) dovrebbero fare per la formazione, nel quinquennio successivo alla loro nomina, un aggiornamento di 40, 60 o 100 ore a seconda della loro attività. Siamo ormai oltre il 50 per cento dal punto di partenza, che è il 14 febbraio del 2007 e non del 2008, quando è finita la sperimentazione. Solamente il 20 per cento di questo monte ore è oggi obbligatorio.
Nel frattempo è stato adottato il decreto legislativo n. 81 del 2008 e fra poche settimane presumibilmente uscirà un decreto correttivo, ma la gran parte – secondo noi oltre il 90 per cento – di questi operatori strategici per la prevenzione non ha fatto neanche un’ora di aggiornamento professionale.
Questi sono i numeri che come Consulta abbiamo individuato e che poniamo all’attenzione della Conferenza, ma anche delle Regioni essendone presenti i rappresentanti, oltre a quelli del Ministero.
Abbiamo poi indicato alcune modalità che sarebbe molto semplice attivare immediatamente a livello di Conferenza Stato-Regioni e che potrebbero essere assolutamente significative.
La lettera e) del punto 4 del nostro documento fa riferimento ai cosiddetti esonerati. A nostro avviso, alcuni esoneri sono concessi in maniera insensata; è ragionevole recuperare coloro che sono operatori dei servizi pubblici, ma è scandaloso che i laureati in discipline non attinenti alla prevenzione siano esonerati da questi corsi e che coloro che operano come ufficiali di polizia giudiziaria da 20 anni – e che, quindi, hanno il compito di intervenire all’interno dell’azienda – non abbiano la possibilità, a fine carriera o se cambiano professione, di svolgere questa attività e debbano seguire tutti i corsi di formazione. Ciò è assolutamente inconcepibile.
Salto alcune indicazioni riportate nel documento che riguardano il datore di lavoro, gli RLS, i lavoratori e i preposti.
La Conferenza Stato-Regioni potrebbe attivare in tempi brevissimi i meccanismi di utilizzo della formazione a distanza, tema che la Commissione potrebbe valutare. L’accordo del 26 gennaio 2006 parla di utilizzabilità della formazione a distanza per alcune tipologie che sono in corso di aggiornamento. Nel Paese c’è una situazione a macchia di leopardo: alcuni enti formatori utilizzano, secondo noi, in modo non corretto questa possibilità. Quindi, sarebbe opportuno dare indicazioni precise sul quando, come e se può essere utilizzata; comunque, vanno date regole certe, altrimenti la credibilità della formazione crolla immediatamente come già oggi sta avvenendo.
Vado oltre una serie di altre considerazioni per giungere all’apprezzabile proposta di introdurre con il decreto correttivo la figura dell’informatore della sicurezza che sarebbe assolutamente strategica; vanno però indicati determinati fattori e rigorosi criteri e vincoli per coloro che svolgeranno tale attività e, in proposito, abbiamo fornito qualche suggerimento.
Vi è poi la questione dell’effettività della in-formazione, riportata a pagina 12, che si ricollega a quanto detto prima sulla credibilità della formazione, che dipende dalle modalità formative e, soprattutto, dalle verifiche degli apprendimenti e dalla certezza che quanto dichiarato sia effettivamente stato realizzato.
Abbiamo la sensazione che in giro ci sia un’«attestopoli»: molti attestati vengono rilasciati a coloro che dovrebbero controllare, essendo gli organi preposti a livello territoriale, e che probabilmente potrebbero e dovrebbero svolgere un’attività di controllo molto più ampia sull’effettività della formazione in termini di ore in aula, di modalità didattiche e di verifiche successive agli apprendimenti.
Un altro aspetto già citato da più parti riguarda le scuole, che sono uno dei punti fermi. Il Presidente ha chiesto al rappresentante del Ministero del lavoro quanto avviene. Ricordo che sia in Commissione nella precedente legislatura che nei lavori dell’Assemblea in fase di discussione della legge n. 123 del 2007 la formazione a scuola è sempre stata un elemento portante. Visto che si parla di difficoltà di intervento e di costi, bisognerebbe considerare che la formazione all’interno del mondo della scuola non costa nulla perché potrebbe essere fatta dallo stesso personale docente che svolgerebbe chiaramente un incarico professionalizzato.
Si parla spesso delle difficoltà dei rapporti tra il mondo della scuola e del lavoro; ci siamo chiesti allora perché, almeno una parte significativa del mondo della scuola rappresentata dagli istituti tecnici, non preveda l’inserimento di un numero di ore all’interno degli ultimi due anni del percorso formativo dedicato alla sicurezza del lavoro. Uno studente di un istituto tecnico può trovare lavoro nell’ambito della prevenzione; quindi, 30 ore sulla prevenzione all’interno del corso di studi presso gli istituti tecnici darebbero un attestato a queste persone per poter assumere l’incarico di RLS, se i lavoratori vorranno eleggerlo, o di addetto alla prevenzione seguendo i successivi moduli B. La formazione a scuola, pertanto, ridurrebbe i costi dell’azienda e agevolerebbe il rappresentante dei lavoratori che potrebbe trovare più facilmente sbocchi lavorativi all’interno dell’attività che è chiamato a svolgere. Su questo la Consulta e le associazioni tecnico-scientifiche hanno da anni messo a disposizione materiali e documenti per produrre risultati con costi assolutamente ridotti.
La formazione, inoltre, deve essere collegata alla modifica del comportamento – su questo credo che interverranno i miei due colleghi brevissimamente – perché è vero che sono necessarie le conoscenze tecnicoscientifiche, ma coloro che vengono formati (in particolare i lavoratori, ma anche i preposti ed i dirigenti) dovrebbero modificare i propri comportamenti in azienda secondo un sistema di gestione collegato sia all’attività dell’azienda che all’attività del singolo lavoratore.
Prima che intervenissi sono state proiettate delle slide che indicavano che il 57 per cento degli incidenti e degli infortuni sono dovuti a errori procedurali; noi abbiamo stimato, mettendo assieme altre tipologie di errori, che il 75 per cento degli infortuni gravi e gravissimi e degli incidenti, avvengono per errori che sono collegati alla procedura sbagliata o alla mancanza di procedura o a comportamenti incongrui: tutti i casi di morte per mancanza di ossigeno o situazioni simili sono ovviamente dovuti a errori procedurali e metodologici.
Ricordo che si cominciò a parlare di prevenzione in Italia nella logica della valutazione dei rischi all’interno delle aziende dopo l’incidente verificatosi all’ICMESA di Seveso il 10 luglio del 1976 e di cui pochissimi giorni fa è ricorso l’anniversario, che ha portato all’adozione della direttiva cosiddetta Seveso. L’incidente avvenne perché non si era proceduto ad una verifica di alcuni elementi facilmente riscontrabili. Si era innescata una reazione esotermica, ma poiché era sabato pomeriggio l’attività era ridotta e non c’era nessuno in grado di capire che cosa stesse accadendo e di intervenire. Il risultato è stato un grave incidente.
Oltre il 75 per cento degli infortuni successivi, anche industriali, si sono verificati nel nostro Paese per errori metodologici. I più grandi incidenti industriali sono avvenuti nelle giornate di sabato o domenica, nei cambi turni o negli orari di pausa pranzo ovvero quando l’attenzione complessiva dell’organizzazione tende a calare. È evidente che in quelle situazioni occorre aumentare la capacità di intervenire e che il singolo operatore, sia esso lavoratore o datore dello stabilimento, abbia in mente che quello è un bene comune e che il proprio comportamento incide sul comportamento altrui e sulla possibilità di evitare infortuni e incidenti.
Ringrazio nuovamente la Commissione, a cui mi permetto di chiedere se sia possibile che sulla formazione all’interno del mondo del lavoro e sulla sicurezza del lavoro la Commissione stessa elabori una sorta di relazione intermedia e di intervento, al di là di quanto farà nella relazione conclusiva. A mio avviso, se in autunno ci fosse da questo punto di vista un documento ufficiale della Commissione che interviene sul tema, dopo aver svolto queste audizioni e raccolto i pareri, sarebbe un atto di straordinaria importanza per l’intero sistema della prevenzione per le aziende, i lavoratori e le parti sociali. Ricordo che alcune nostre proposte sono assolutamente realizzabili nell’immediato, non costano nulla e probabilmente abbattono i costi stessi delle aziende. Infatti, avere un aggiornamento professionale dei lavoratori costituisce un indubbio valore aggiunto. Se si considera poi che in alcuni casi si tratta di atti dovuti, realizzare questi interventi in maniera adeguata aumenta la professionalità, riduce i costi e costituisce un bene per la collettività.

BUGNANO (IdV)
Ringrazio il dottor Pavanello per aver accettato ancora una volta il nostro invito – come lui stesso ha ricordato era già stato audito in precedenza da questa Commissione – nonché per l’approfondita relazione svolta e per la puntuale documentazione che ci ha consegnato.
Tra i molti ed interessanti profili che sono stati evidenziati, ne voglio sottolineare soltanto uno, che credo sia fondamentale: la formazione non deve riguardare solo il mondo del lavoro, coinvolgendo cioè esclusivamente lavoratori e datori di lavoro, ma è invece importantissimo che essa si rivolga anche al mondo della scuola e dell’università. In questa sede prossimamente ascolteremo proprio l’esperienza dei rappresentanti di un’università in cui sono stati attivati corsi di formazione di questo tipo. Devo dire comunque che, nella ricerca delle università che operano in questa direzione, non ne abbiamo trovate molte, imputandosi spesso questa situazione alla mancanza di risorse.
In ogni caso si tratta di un tema sul quale dovremmo lavorare, perché è importante che la formazione non si rivolga soltanto al lavoratore e al datore di lavoro, ma che si crei invece una cultura della prevenzione degli infortuni già in ambito scolastico.

VITALE
In qualità di presidente dell’Associazione italiana formatori della sicurezza sul lavoro (AIFOS), aderente alla CIIP, vorrei dare un piccolo contributo da operatore, cioè da chi lavora direttamente sul campo.
Nel corso dell’ultimo anno, in qualità di formatori abbiamo avuto molte preoccupazioni e ripensamenti. Qualche giorno fa è stato presentato il rapporto dell’INAIL, dal quale risulta che sono leggermente diminuiti in Italia gli incidenti sul lavoro; tuttavia, se si guarda bene, ci sono sempre quattro morti al giorno. In particolare, nonostante negli ultimi 16 anni si sia investito moltissimo sulla formazione, gli infortuni però non si sono ridotti: c’è allora qualcosa che non va.
Quindi, se sono sicuramente utili tutte le iniziative che sono state adottate, c’è comunque la consapevolezza che la formazione non ha portato ad una riduzione degli infortuni sul lavoro. Peraltro, se il 70 per cento degli infortuni si verifica proprio a causa della mancanza di formazione – come ha detto prima il dottor Pavanello – ciò significa che questa non è comunque incisiva, che è solo carta.
In verità ultimamente si sta tentando di fare qualcosa in più, cioè si sta cercando di verificare l’apprendimento della formazione. Ciò però non è sufficiente: bisogna arrivare a cambiare i comportamenti, ma è un’operazione difficile, perché non si può fare nell’immediato. La formazione deve diventare anche monitoraggio di quanto accade perché, ove così non fosse, si spenderebbero soltanto molti soldi.
Spesso si dice che mancano risorse, ma bisogna stare molto attenti a questo ritornello: non è che le risorse non ci sono, è che se ne buttano via molte. Senza voler criticare nessuno penso, ad esempio, ai corsi per gli apprendisti: quante risorse spese senza sapere se poi effettivamente quei corsi servono. Ci sono esperienze positive e negative nella nuova partita rappresentata dai fondi professionali; ci sono eccellenze, ma anche situazioni normalissime nelle quali vengono comunque impiegate risorse consistenti.
Non è vero quindi che le risorse non ci sono, è che spesso non vengono bene utilizzate.
Per quanto ci riguarda, uno dei problemi principali è rappresentato dalla formazione dei formatori, cioè di coloro che insegnano, che sono preposti ad educare alla sicurezza. Come è stato già detto da chi mi ha preceduto, devono cambiare i formatori: occorre, ad esempio, una maggiore flessibilità nella formazione, che non vuol dire confusione o non fare nulla. Flessibilità significa invece concentrarsi durante i corsi sui problemi concreti piuttosto che, per esempio, limitarsi a fare l’elenco degli argomenti da discutere.
Mi è piaciuto molto l’intervento dell’ingegner Masi, in particolare il suo riferimento ai medici; a questo bisogna aggiungere però, a mio avviso, il discorso relativo al registro infortuni. Tutti avete sentito parlare dell’analisi del bisogno: ma di che cosa si tratta, se non semplicemente del tentativo di capire come è fatta un’azienda? E questo si può fare senza che sia necessario ricorrere a grandi inchieste o ricerche: basta leggere il registro infortuni, e chi è chiamato a fare formazione deve conoscere queste cose.
Oggi in Italia non c’è una scuola di formazione e siamo pieni di improvvisatori; abbiamo inoltre dei bravi tecnici, che però non sanno fare i formatori. Sicuramente vi è una normativa europea da rispettare, ma in ogni caso ci auguriamo che, quando si dice che il formatore deve essere qualificato, si tratti di un timido tentativo di riconoscere il problema: speriamo quindi che venga recepita una modifica in questo senso.
Spesso si dimentica che la formazione si rivolge ai lavoratori, a persone che già lavorano; non si può ogni volta ricominciare dall’inizio, limitandosi a seguire quanto previsto dal programma. Molto spesso i corsi vengono organizzati partendo dalla normativa, sulla base della quale viene predisposto il programma che viene poi illustrato in aula, ricorrendo a delle slides. Al contrario, bisogna cercare di occuparsi invece dei lavoratori.
Pensate che quando i Comitati paritetici per l’edilizia organizzano corsi di quattro ore per i lavoratori, questi forse non sappiano che devono usare il casco e le imbracature? Lo sanno benissimo, il problema semmai è che non lo fanno.
Dobbiamo interrogarci allora su quale tipo di formazione riteniamo debba essere assicurata al lavoratore. In particolare, è necessario tener conto dell’esperienza dei lavoratori, prevedendosi per essi, ad esempio, la possibilità di interagire in aula. Pertanto, nel caso di lezioni di tre ore, il relatore dovrebbe limitare il suo intervento ad una sola ora, evitando di utilizzare tutto il tempo a disposizione per la proiezione magari di 150 slides in cui vengono spiegati i vari articoli della normativa in materia.
Non è questa la cosa importante: quello che rileva, invece, è che il lavoratore possa poter parlare ed esprimere le sue sensazioni. Per questo servono docenti che siano davvero dei formatori e non soltanto dei tecnici, è necessaria, quindi, una formazione per i docenti stessi.

BIANCHI
Vorrei soffermarmi su alcuni aspetti, peraltro già evidenziati dall’ingegner Masi nel corso del suo intervento, posto che da anni lavoriamo con le istituzioni pubbliche in maniera attiva e partecipata, scambiandoci spesso le esperienze applicative.
Le associazioni professionali, nate in Italia più di trent’anni fa, rappresentano oggi circa 100.000 persone tra responsabili dei servizi di prevenzione, addetti e consulenti che giornalmente nelle aziende si occupano in concreto dell’attività di prevenzione. Si tratta di tutti coloro che sono chiamati a porre in essere in maniera costante e quotidiana le azioni necessarie per realizzare una prevenzione tecnica e scientifica. Con quest’ultima espressione, in particolare, si vuole indicare che, ove si intervenga seguendo determinati criteri ed una metodologia puntualmente definita, vi è un’alta probabilità di ottenere risultati certi. Più specificamente, una prevenzione tecnica e scientifica nel campo della formazione deve basarsi sui sistemi gestionali di comportamento dei fattori umani.
Infatti, se si fa prevalentemente informazione, addestramento e formazione senza un sistema metodologico consolidato anche a livello internazionale, come potrebbe essere, tra gli altri, quello della Behavior based safety (BBS), cioè un sistema che permette di gestire i comportamenti di tutta la linea operativa, in particolare dei lavoratori, portando e mantenendo il tasso di infortuni a zero per un determinato numero di anni, quindi senza controllare i risultati e i comportamenti delle persone, anche a fronte di grandi investimenti, tali risorse non vengono finalizzate alla rimozione delle principali cause che producono infortuni (il 70 per cento).
Bisogna applicare a monte un sistema di gestione, come quello che il decreto legislativo ha già identificato, che per le aziende sia volontario, ma anche obbligatorio per quelle meglio organizzate, in quanto sono collegate dal sistema di gestione sulla sicurezza e sulla salute e – aggiungo – sull’ambiente. Si deve fare formazione partendo dalle scuole di ogni ordine e grado, integrando la sicurezza e la salute con l’ambiente.
Se non si mette in piedi un sistema di gestione in cui, su base volontaria, il datore di lavoro e i dirigenti preposti indirizzano e controllano le azioni ed i comportamenti, con un metodo consolidato, non si ottiene alcun risultato.
Auspico pertanto che la Commissione accentui la propria attenzione e formuli le proprie considerazioni anche su questo ulteriore passo che porterebbe l’Italia, che nel confronto a livello europeo ed internazionale è già all’avanguardia sull’approccio sistemico-gestionale, grazie anche al decreto legislativo n. 81, ad esserlo anche sull’approccio integrato del sistema di gestione del fattore umano, in modo da mettere insieme la parte gestionale e la parte comportamentale, collegate ovviamente agli strumenti identificati di efficienza e di efficacia che sono quelli dell’informazione e dell’addestramento-formazione.
La Commissione, poi, dovrebbe almeno sottolineare il ruolo dei responsabili del servizio di prevenzione e protezione (RSPP), perché il decreto legislativo n. 81 aveva, a torto, stabilito l’obbligo del datore di lavoro di segnalare i nominativi degli RSPP qualificati, ma se non si costituisce un registro o un elenco nazionale dei responsabili qualificati, come quelli oggi previsti dal decreto legislativo n. 81 per i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) e per i medici competenti, non si può tenere sotto controllo ed aiutare i datori di lavoro nell’eliminazione della culpa in eligendo senza uno strumento palese e visivo che potrebbe far parte del sistema informativo nazionale per la prevenzione.
In tale sistema si potrebbe creare un data base in cui i datori di lavoro comunicano a livello centrale, dando indicazioni contemporaneamente alle Regioni, quali sono gli RSPP, come si qualificano e in quali settori e quale formazione permanente hanno, creando così quel sistema pubblico-privato eccezionale in cui il pubblico dà gli indirizzi di controllo ed il piano regionale li rende attuativi. Coloro che operano nelle aziende collaborano a diffondere e ad attuare quotidianamente i criteri che emergono a livello nazionale ed internazionale.
Se si vogliono determinare degli standard di formazione per i formatori nel campo della sicurezza, oppure le buone pratiche, come quella di inserire la sicurezza nelle scuole di ogni ordine e grado, è sufficiente visitare il sito Internet della European Network Education and Training in Occupational Safety and Health (ENETOSH), www.enetosh.net, dove si trova un network europeo di scuole di formazione dedicate alla sicurezza e alla salute che ha già stabilito degli standard di formazione per formatori in questo ambito e ha già realizzato una raccolta di buone pratiche condivise a livello europeo su come inserire la sicurezza nelle scuole di ogni ordine e grado.
Si potrebbero anche utilizzare le migliori esperienze regionali italiane. Alcune Regioni da anni hanno messo in atto buone pratiche permanenti come l’inserimento della sicurezza e della salute nelle scuole con risultati eccezionali. Mi riferisco alle realtà che conosco, come il Veneto, la Toscana, l’Emilia Romagna, in parte la Lombardia.
Non dobbiamo inventare niente, dobbiamo semplicemente puntare ad utilizzare le migliori pratiche e linee guida, ma che siano condivise a livello europeo, applicando i criteri già seguiti dagli altri Paesi, per evitare di fare del dumping sociale, chiedendo di meno alle aziende italiane e, al contrario, di più alle aziende italiane rispetto alle altre piccole e medie aziende europee, per mantenerle competitive nel quadro internazionale e non agire in difformità dal resto dell’Europa.
La Commissione dovrebbe anche sottolineare l’opportunità di creare un osservatorio socio-economico che non consideri soltanto il numero degli infortuni, perché questo determina dei costi che sono estremamente inferiori rispetto ai costi determinati dalla mancata prevenzione: a livello italiano i costi di questi ultimi ammontano al 3,2 per cento del PIL, che equivale a 45 miliardi di euro. Bisogna anche stabilire qual è il valore prodotto dall’industria italiana della clean economy a livello nazionale ed internazionale e bisognerebbe valorizzare la produzione italiana di prodotti e servizi.
All’interno della Federazione delle associazioni nazionali dell’industria meccanica varia ed affine (ANIMA), ad esempio, il 12 per cento del fatturato è prodotto da aziende che lavorano nel settore della sicurezza, della salute e dell’ambiente; quindi si hanno anche punte di eccellenza.
Bisognerebbe anche occuparsi del settore della security, connesso con l’aspetto della legalità, ancor prima della safety, come indicato anche dal dottor Masi ed in altri interventi: è difficile salvaguardare la safety in un cantiere nel quale non c’è controllo sugli ingressi. Occorre pertanto, innanzitutto, rappresentare la security, poi la safety, poi la salute e l’ambiente, ma in una visione integrata. Lo stesso discorso si può applicare alla cultura della sicurezza nelle scuole di ogni ordine e grado: se si vogliono formare i formatori, si devono formare esperti in sicurezza, salute e ambiente in maniera integrata utilizzando le sinergie; non si possono insegnare separatamente i vari aspetti, perché gli incidenti che si verificano nel mondo del lavoro sono provocati anche da quello che non è stato insegnato nelle scuole di ogni ordine e grado. Quella che si deve dare, però, è una visione integrata, perché la prevenzione sui luoghi di lavoro deve essere fatta prima di tutto nelle abitazioni. Infatti, la prima causa di infortuni mortali in Italia sono i trasporti, ma la seconda sono le abitazioni e solo la terza è il settore produttivo.
Allora cerchiamo di trovare una soluzione unitaria e utile a tutti, perché insegnare ai bambini piccoli come fare prevenzione in abitazione significa insegnarlo anche ai genitori. Per questo è necessario portare avanti una visione integrata di tutte le attività.

ANDREANI
Senatrice Bugnano, a proposito di università volevo segnalarle un’esperienza che stiamo portando avanti insieme all’Università di Urbino. Presso la facoltà di giurisprudenza è stata istituita una laurea breve in consulenza del lavoro con una spiccata tendenza verso l’igiene e la sicurezza del lavoro. L’Università ha costituito un osservatorio giuridico che non vuole essere in concorrenza con le numerose banche dati già esistenti su questa materia, ma ha la finalità molto precisa di raccogliere norme, sentenze e dottrina e soprattutto di essere un punto di incontro tra il mondo universitario e il mondo delle istituzioni e degli operatori privati.
L’osservatorio ha creato anche un proprio sito, accessibile a tutti, e tutto il materiale che contiene è scaricabile. Il sito si chiama Olympus, non per megalomania ma solo perché Urbino si trova su un colle, e raccoglie le sentenze che poi vengono divise in contenitori tematici per aiutare i soggetti in qualche modo interessati alla materia nelle loro ricerche.
L’università nasce per fare formazione, e dunque sono stati previsti alcuni insegnamenti e corsi di studio che riguardano la sicurezza e l’igiene del lavoro finalizzati al raggiungimento di un bagaglio culturale che coniughi professionalità molto diverse, da quelle prettamente tecniche a quelle prettamente giuridiche. Dunque si tratta di un insegnamento polidisciplinare.
Se l’esperienza di Urbino può essere minimamente utile a questa Commissione, ovviamente saremo felici di essere ascoltati e di spiegare qual è la finalità del nostro progetto. Tra l’altro stanno collaborando con noi anche la Regione Marche e l’INAIL regionale delle Marche che partecipano con un finanziamento. Hanno creduto in noi anche diverse associazioni che abbiamo sempre ringraziato anche se abbiamo tentato di restare equidistanti da qualsiasi coinvolgimento privato. Tra i nostri finanziatori figura anche l’ISPESL e riteniamo di essere utili anche al coordinamento delle Regioni. Non avevo citato il supporto dell’ISPESL perché ritenevo corretto focalizzare l’attenzione sulla formazione, dato che l’università è formazione.
Se il nostro esperimento, dunque, può essere utile, siamo a vostra disposizione.
Vi ricordo comunque che il nostro sito, cui si accede digitando in un qualsiasi motore di ricerca le parole Olympus-Urbino, è fruibile da tutti.

BUGNANO (IdV)
La ringrazio per il suo contributo, dottor Andreani.
Terremo sicuramente in considerazione anche l’opportunità che ci ha indicato.
Come coordinatrice del gruppo di lavoro sulla formazione e prevenzione ringrazio gli auditi per i loro pregevoli contributi su tale complessa tematica. La nostra proposta di istituire, nell’ambito della Commissione, un gruppo di lavoro in materia di formazione e prevenzione è stata subito accolta dal presidente Tofani.
Credo che sia stata una scelta opportuna perché, dagli interventi che abbiamo ascoltato oggi nella nostra prima giornata di lavoro, sono emersi numerosi temi su cui lavorare e le criticità che ci troviamo ad affrontare sono molto diverse, dalla mancata istituzione di Commissioni consultive e comitati di indirizzo alla mancata realizzazione del libretto formativo.
Inoltre è emersa un’ulteriore difficoltà, e non ho motivo per credere che non sia così, relativa ad un provvedimento che prevede la possibilità di attingere ad un finanziamento solo se si usufruisce dell’intera cifra stanziata.
In proposito è stato ricordato l’esempio della Regione Piemonte che non ha potuto accedere ai finanziamenti perché la cifra necessaria era inferiore a quella stabilita.
Infine il tema della formazione riguarda soprattutto le piccole e medie imprese che sono comunque oggettivamente il tessuto economico più importante del nostro sistema produttivo.
Quando ultimeremo le audizioni e i lavori del gruppo, sicuramente, con il presidente Tofani e i colleghi senatori, utilizzeremo tutti gli strumenti a nostra disposizione per fare in modo che le problematiche emerse nel corso della seduta odierna possano trovare al più presto delle soluzioni concrete ed efficaci.

PRESIDENTE
Dichiaro concluse le audizioni odierne.
_____
Fonte: Senato della Repubblica