Cassazione Penale, Sez. 4, 07 marzo 2011, n. 8839 - Infortunio e responsabilità del procuratore speciale del titolare


 

 

Responsabilità di Pe. Fr. per il reato di lesioni colpose perpetrato a danno del lavoratore Gu.Gi.;  era avvenuto che il lavoratore dipendente della ditta individuale di Ro.Pa. esercente attività di trasformazione della carta, stava trasportando una pesante bobina di nylon su un carrello, allorchè il carrello si era ribaltato determinando lo schiacciamento della mano destra del lavoratore sotto la bobina.

 

L'imputato svolgeva tutte le funzioni riconducibili alla titolarità dell'impresa in sostituzione dell'anziana madre, mai presente in azienda.

 

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Inammissibile perchè manifestamente infondato.

 

Afferma la Suprema Corte che "nel caso di specie, la Corte di Appello di Firenze ha manifestato un logico ed adeguato apparato argomentativo con il quale sono stati in modo congruo evidenziati ed esaminati gli elementi di prova a disposizione circa la ricorrenza del reato, è stata fornita una ragionevole interpretazione di essi, è stata formulata una corretta valutazione della qualificazione in fatto rivestita dal prevenuto in riferimento al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, comma 1, lettera b), sono state indicate le specifiche ragioni che hanno indotto a scegliere alcune conclusioni e non altre, con la conseguente declaratoria di responsabilità penale del prevenuto. "

In particolare la Corte di Appello rilevava che le omissioni, in tema di sicurezza nel lavoro, riscontrate nella determinazione dell'occorso erano da ascriversi all'imputato il quale di fatto svolgeva tutte le funzioni riconducibili alla titolarità dell'impresa in sostituzione dell'anziana madre, mai presente in azienda, compresi i contatti con i dipendenti, tra cui la parte offesa che riceveva solitamente istruzioni e direttive dal Pe..
D'altro canto, attesa la concreta situazione di fatto doveva ritenersi irrilevante che la procura formalmente rilasciata dalla madre al figlio non ricomprendesse specificamente anche la materia della sicurezza dei lavoratori. In effetti, l'imputato aveva assunto la gestione dell'impresa sotto tutti i profili, ivi compresa la conduzione operativa, con titolarità dei poteri decisionali e di spesa, secondo il disposto
Decreto Legislativo n. 626 del 1994, ex articolo 2, comma 1, lettera b); dal che conseguivano gli obblighi in tema di sicurezza nel lavoro ed in specie quanto prescritto nel successivo articolo 4.





 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

Dott. ZECCA Gaetanino - Consigliere 

Dott. GALBIATI Ruggero - rel. Consigliere

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 

sul ricorso proposto da:

1) Pe. Fr. N. il (OMESSO);

avverso la sentenza n. 1048/2008 della Corte di Appello di Firenze in data 17/07/2009;

udita la relazione svolta dal consigliere Dott. GALBIATI Ruggero;

udito il Pubblico Ministero in persona del Dott. SPINACI Sante che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

 

 

Fatto

 

1. Il Tribunale di Pistoia - Sezione Distaccata di Pescia - giudice monocratico-, con sentenza in data 24-01-2008, dichiarava Pe. Fr. colpevole per il reato di lesioni colpose perpetrato a danno del lavoratore Gu.Gi. ; lo condannava al pagamento di euro 1.000,00 di multa.


 
In fatto ((OMESSO)), era avvenuto che il Gu. , dipendente della ditta individuale di Ro.Pa. esercente attività di trasformazione della carta, stava trasportando una pesante bobina di nylon su un carrello, allorchè il carrello si era ribaltato determinando lo schiacciamento della mano destra del lavoratore sotto la bobina.


Il Tribunale riteneva che l'incidente si fosse verificato a causa dell'inidoneità del carrello utilizzato dal lavoratore per le sue ridotte dimensioni rispetto al carico, del peso di circa 250 kg., della bobina.

La responsabilità del fatto doveva attribuirsi all'imputato Pe.Fr., nella qualità di procuratore speciale della propria madre Ro.Pa. titolare formale dell'azienda individuale; il predetto, in violazione dell'articolo 35, comma 1 D.LGS. n. 626/1994, non aveva messo a disposizione del lavoratore attrezzature adeguate all'attività da svolgere ed idonee ai fini della sicurezza.
 

2. L'imputato proponeva impugnazione con appello.

 

La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 17-7-2009, confermava in punto di responsabilità la decisione di primo grado, riduceva la pena inflitta ad euro 500,00 di multa, concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena. Rilevava che le omissioni, in tema di sicurezza nel lavoro, riscontrate nella determinazione dell'occorso erano da ascriversi all'imputato il quale di fatto svolgeva tutte le funzioni riconducibili alla titolarità dell'impresa in sostituzione dell'anziana madre, mai presente in azienda, compresi i contatti con i dipendenti, tra cui la parte offesa che riceveva solitamente istruzioni e direttive dal Pe. . D'altro canto, attesa la concreta situazione di fatto doveva ritenersi irrilevante che la procura formalmente rilasciata dalla madre al figlio non ricomprendesse specificamente anche la materia della sicurezza dei lavoratori. In effetti, l'imputato aveva assunto la gestione dell'impresa sotto tutti i profili, ivi compresa la conduzione operativa, con titolarità dei poteri decisionali e di spesa, secondo il disposto Decreto Legislativo n. 626 del 1994, ex articolo 2, comma 1, lettera b); dal che conseguivano gli obblighi in tema di sicurezza nel lavoro ed in specie quanto prescritto nel successivo articolo 4.
 

3. Il prevenuto proponeva ricorso per cassazione.

 

Censurava la qualificazione a lui assegnata dai giudici di merito nell'ambito dell'attività aziendale quale effettivo titolare della ditta individuale intestata alla madre Ro. Pa. , mentre egli svolgeva i compiti di semplice dipendente. In particolare, non risultava rilasciata alcuna formale delega di funzioni nei suoi confronti in tema di sicurezza e tutela antinfortunistica. Osservava che l'infortunio aveva avuto conseguenze limitate, per cui il fatto doveva essere ridimensionato nella sua gravità e sarebbe stato adeguato un trattamento sanzionatorio meno elevato, previa la concessione delle circostanze attenuanti generiche.
Si doleva per il mancato riconoscimento del beneficio della non menzione. Chiedeva l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
 

 

Diritto

 

1. Il ricorso si palesa inammissibile perchè manifestamente infondato.


Come è noto, la verifica che la Corte di Cassazione è abilitata a compiere sulla completezza e correttezza della motivazione di una sentenza non puo' essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite da contrapporsi a quella fornita dal giudice di merito. Nè la Corte di legittimità puo' esprimere alcun giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova, poichè esso è in principio riservato al giudice di merito, con la conseguenza che le scelte da questo compiute, se coerenti sul piano logico con una esauriente analisi delle risultanze probatorie acquisite, si sottraggono al sindacato di legittimità.


Nel caso di specie, la Corte di Appello di Firenze ha manifestato un logico ed adeguato apparato argomentativo con il quale sono stati in modo congruo evidenziati ed esaminati gli elementi di prova a disposizione circa la ricorrenza del reato, è stata fornita una ragionevole interpretazione di essi, è stata formulata una corretta valutazione della qualificazione in fatto rivestita dal prevenuto in riferimento al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, comma 1, lettera b), sono state indicate le specifiche ragioni che hanno indotto a scegliere alcune conclusioni e non altre, con la conseguente declaratoria di responsabilità penale del prevenuto.
D'altro canto, il Giudice di Appello ha correttamente giustificato la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche in considerazione della personalità manifestata dal Pe. nel caso in esame; egualmente, motivato è il mancato riconoscimento del beneficio della non menzione della condanna nel certificato giudiziale, atteso il precedente beneficio già applicato in passato.


 
2. L'inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non emergendo ragioni di esonero, anche al versamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell'articolo 616 c.p.p..


 

P.Q.M.
 

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.