SENATO DELLA REPUBBLICA

XIV LEGISLATURA

Commissione parlamentare d’inchiesta sugli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

RELAZIONE FINALE


Allegato 3

GRUPPO DI LAVORO «SETTORE EDILE»



Coordinatore Sen. Antonio PIZZINATO

S O M M A R I O
I lavori del gruppo
L’edilizia come settore produttivo di emergenza infortunistica
La fotografia del settore
Alcune priorità
Organizzazione del lavoro e del sistema di prevenzione
Il Responsabile dei lavori e Appalti pubblici
Il Coordinatore in materia di sicurezza durante la realizzazione dell’opera (CSE)
Il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC)
Gli accessi al cantiere
La notifica preliminare
Le squadre miste
Le cadute dall’alto
I Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)
La formazione
Vuoti normativi
La formazione alla sicurezza
Formazione e sicurezza in edilizia
Proposte di miglioramento
Le malattie professionali nell’edilizia
Alcune priorità
Amianto

I Lavori del gruppo
Il gruppo di lavoro «Edilizia» ha svolto riunioni ed audizioni come sotto riportato:
– 7 novembre – prima riunione di definizione del programma
– 15 novembre – definizione di tematiche di approfondimento
– 22 novembre – audizione di CC e Asl Rm B
– 29 novembre – audizione Ance, Ispesl, CNCPT, Patronati, CNA
– 6 dicembre – audizione Sindacati Nazionali Edilizia; Università, Cna e Fillea restauro
– 12 dicembre – discussione interna sugli approfondimenti tematici
– 20 dicembre – audizione AIR, CNGA, Kong, Asl Lecco
– 11 e 18 gennaio – riunioni per la redazione della relazione finale

L’edilizia come settore produttivo di emergenza infortunistica
Dalle audizioni in sede di Commissione e in sede di gruppo di lavoro e dai materiali acquisiti emergono, per questo settore, alcuni fattori nuovi, che si ritengono emblematici e paradigmatici dell’intero mondo produttivo.

CASI DI INFORTUNIO DENUNCIATI NEL SETTORE COSTRUZIONI PER TIPO DI LAVORAZIONE E SESSO (a) -ANNI EVENTO 2002 - 2004
TIPO DI LAVORAZIONE 2002 2003 2004
Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale Uomini Donne Totale
Preparazione del cantiere edile 2.860 43 2.903 2.934 36 2.970 2.994 36 3.030
Edilizia e Genio civile 55.372 747 56.119 59.685 747 60.432 56.343 652 56.995
Installazione dei servizi in un fabbricato 26.505 483 26.988 26.150 457 26.607 25.364 420 25.784
Lavori di completamento degli edifici 19.596 276 19.872 19.937 265 20.202 18.713 217 18.931
Noleggio di macchine con manovratore 174 1 175 177 5 182 175 4 179
TOTALE 104.507 1.550 106.057 108.883 1.510 110.393 103.589 1.329 104.918
(a) esclusi i casi con valore economico non determinato

Prendendo a riferimento un periodo più ampio, i dati consegnati dall’Inail alla Commissione, evidenziano aumenti anche considerevoli, sia sul dato generale sia su quello delle morti, come appresso riportato, mentre, in sede di audizione, Inail ha ritenuto ancora poco consolidati i dati per il 2004, che quindi non vengono riportati.

Anno di accadimento 2000 2001 2002 2003
N. infortuni in genere 102.697 103.260 106.057 110.393
N. infortuni mortali 303 332 321 344

Dalla relazione fornita alla Commissione dall’Osservatorio Infortuni Gravi e Mortali Inail-Ispesl-Regioni emergono le seguenti problematiche:
«Per il settore delle Costruzioni, nel solo primo giorno di lavoro avvengono l’11,4% degli infortuni complessivi. Tale dato è un plausibile (anche se parziale) indicatore dell’emersione del lavoro irregolare al momento in cui si verifica un infortunio, in particolare un infortunio mortale.
Nelle microimprese, il fenomeno della concentrazione degli infortuni nei primissimi giorni di lavoro è ancora più accentuato. Tralasciando la percentuale del primo giorno per gli altri servizi pubblici in quanto riferita ad un solo di infortunio mortale sui due registrati nell’archivio, nelle Costruzioni si registra il 12% degli infortuni mortali solo nel primo giorno.

* * *

L’idea di affiancare alle tradizionali elaborazioni statistiche alcuni approfondimenti, derivanti dalla lettura delle dinamiche infortunistiche di particolari insiemi (gruppi di lavoratori, settori produttivi, modalità di accadimento specifiche) era già stata ipotizzata nella fase progettuale del sistema di sorveglianza. Di seguito viene illustrato l’approfondimento sulle cadute dall’alto nel settore delle Costruzioni, che riguarda la casistica più numerosa: infatti, tra i 258 casi di cadute dall’alto presenti nella banca dati per il complesso dei settori, oltre il 60% (158 casi mortali) riguardano il settore delle Costruzioni.
Guardando alle caratteristiche degli infortunati in tale settore emerge un’età superiore ai 60 anni nel 22% dei casi e una posizione sul lavoro «irregolare» nel 7% dei casi. Quanto alla dimensione aziendale, il 95% circa degli infortunati lavora nelle microimprese (1-9 addetti), con un rischio di infortunio mortale superiore di circa 10 volte quello della media impresa (50-249 addetti).
Nel settore Costruzioni si registra il 12% circa di tutti gli infortuni mortali nel solo primo giorno di lavoro. La stessa percentuale emerge, nei casi di caduta dall’alto, nella prima settimana lavorativa.

C’è più di un motivo per guardare con sospetto alla concentrazione di casi nei primissimi giorni lavorativi, potendosi configurare questa presumibilmente come regolarizzazione a posteriori di posizioni irregolari, con la conseguenza che il dato del lavoro irregolare effettivamente riscontrato nel corso delle inchieste sugli infortuni mortali (4,3%) alla luce di tali considerazioni, andrebbe considerevolmente incrementato.
L’analisi della dinamica infortunistica ha portato ad identificare tra i principali determinanti l’attività svolta dallo stesso infortunato (36,3%), l’impiego di utensili, macchine e impianti (24,2%) e dai dispositivi di protezione individuale (19%). Per questi ultimi è da osservare che in realtà la loro comparsa frequente tra i fattori di rischio è spiegata con il mancato utilizzo.
In relazione alla tipologia di evento qui analizzata, emerge anche la constatazione (non nuova ma interessante) che si muore non solo per caduta da altezze considerevoli ma anche, in un numero non trascurabile di casi, per caduta da 1-2-3 metri; è difficile fare in merito discorsi generali, ma certo una riflessione che ne deve conseguire (fors’anche con eventuali derivate normative) è che determinati ausili, protezioni, cautele, ecc. dovrebbero cominciare ad essere utilizzati fin dal «basso».

Per quanto concerne il fattore «attività dell’infortunato», solo nel 65% dei casi il lavoratore stava svolgendo la sua abituale attività. Il problema di sicurezza maggiormente riscontrato per questo fattore è l’errore di procedura (53%), che naturalmente va fatto risalire ad un complesso di problematiche e di dinamiche non solo comportamentali.
Nel caso di «utensili, macchine, impianti», il problema di sicurezza prevalentemente riscontrato riguarda le protezioni, in particolare la loro assenza e l’inadeguatezza strutturale.
Occorre precisare che se l’attività dell’infortunato rappresenta un determinante d’incidente ciò non significa individuare automaticamente una responsabilità dell’infortunato, né sul piano giuridico né su quello extragiuridico.
È inoltre possibile raggruppare la casistica raccolta nelle seguenti 5 sottotipologie:
– Cadute dall’alto a seguito dello sfondamento delle lastre di copertura (tetti in eternit, plexiglass, etc.)
– Cadute dai tetti
– Cadute dai ponteggi
– Cadute da trabattelli
– Cadute da scale trasportabili
In particolare, nelle cadute a seguito di sfondamento emerge, quale problema più frequente, la mancanza di idonee opere provvisionali (di transito e di stazionamento), non sostituibili dalla dotazione di DPI: ovviamente l’indicazione prevenzionale di fondo è che sulle lastre di copertura non si deve camminare;
– nelle cadute dai tetti prevale l’assenza di adeguate opere provvisionali con il conseguente mancato uso dei dispositivi anticaduta;
– problema analogo nelle cadute dai ponteggi, più frequentemente in fase di installazione o smontaggio senza l’uso dei dispositivi anticaduta;
– nelle cadute dai trabattelli emerge in maniera quasi sempre concomitante sia l’inadeguatezza del modo in cui il trabattello è stato allestito, sia l’imprudenza di alcuni comportamenti durante il lavoro;
– nelle cadute da scale trasportabili si riscontra più spesso un uso improprio della scala, più raramente un’irregolarità della scala stessa.»
Sulla tematica si rinvia, per un maggiore approfondimento, alla sezione specificamente dedicata. Qui invece, per comprendere meglio i dati e gli studi riportati, si ritiene utile fornire una breve descrizione dello stato del settore.


La fotografia del settore
Il settore edile sta attraversando da metà degli anni novanta una fase di espansione, dopo la flessione successiva a Tangentopoli. In particolare dal 1999 al 2005 l’aumento del PIL settoriale è stato del 23%, mentre quello del PNL è stato dell’8.6%.
Una crescita che nel 2004 è stata sostenuta per più della metà da investimenti privati in abitazioni (per 72 miliardi di euro, di cui metà in nuove costruzioni e metà in riqualificazioni del patrimonio esistente) mentre le opere pubbliche hanno contato per 23 miliardi e le costruzioni a destinazione industriale per 33 miliardi (dati Istat).
Sempre nel 2004 il settore ha superato 1 milione e 700.000 addetti (secondo stime dell’ANCE nel 2005 già aumentati a 1.900.000, oltre il 30% più del 1999!). Di questi i lavoratori dipendenti sono circa 1.200.000 ( di cui 600.000 circa iscritti alle Casse Edili). Si tratta del 24% degli occupati nell’industria. Con una media di 2,3 addetti per azienda (la media di tutti i settori economici è di 4,7 addetti) (dati Inail).
Questi record produttivi e occupazionali sono il risultato dell’attività di una struttura produttiva polverizzata. La debolezza comincia dalla testa, visto che tra le prime 60 imprese europee quelle italiane sono solo 2 (Impregilo e Astaldi) a fronte delle 19 francesi, 19 inglesi, 7 tedesche. E nelle maggiori imprese si assiste a una sorta di rovesciamento della piramide usuale delle mansioni: nelle prime 50 italiane su 10 addetti ben 7 sono impiegati e dirigenti e 3 gli operai (in Europa è il contrario). E prosegue in tutto il suo corpo, visto che l’attuale dimensione media delle imprese con dipendenti è inferiore ai 5 lavoratori/anno e che secondo dati Inail le aziende del settore sono circa 730.000, di cui 400.000 sono imprese individuali!
Imprese per le quali la distinzione tra artigiane e industriali è ormai inservibile sul piano della ricerca.
Il lavoro operaio in genere e quello specializzato in particolare è stato spinto a travasarsi nella microimpresa e nel lavoro autonomo. Da un’indagine dell’Unione delle Camere di Commercio del 2004 in 9 casi su dieci le nuove imprese individuali sono edili, nel 2005 su 1,5 milioni imprese artigiane più di 500000 erano edili a un ritmo di crescita del 6% l’anno, come peraltro riportato dall’Ance durante l’audizione in Commissione.
La presenza di stranieri regolari nel settore è ormai al 20 per cento (sono poco più di 310.000 su 1.865.000 complessivi in Italia): una realtà importante e in crescita nonostante l’attuale legge sull’immigrazione la sottodimensioni.
Un risultato fattuale: nei lavori per la terza corsia del GRA di Roma i 10 lotti sono stati affidati a 10 imprese capofila che lo hanno distribuito fra più di 100 imprese subappaltatrici; nella provincia di Milano sono stati visitati, dall’ispettorato nel primo trimestre 2005, 34 cantieri, in cui sono state individuate 145 ditte (di cui 32 irregolari e 3 «sommerse») con 339 lavoratori (di cui 51 irregolari e 38 in nero).
Si assiste insomma a una frammentazione patologica, a una crescita senza qualità. Il ciclo espansivo è andato di pari passo al declino industriale attraverso un processo di esternalizzazione e finanziarizzazione, paradigmatico dell’insieme dell’economia italiana ma anche con un peso peculiare in questo settore. Non c’è più la grande impresa di costruzioni generali, c’è l’impresa diventata società di regia e che fa project management, con un intreccio di funzioni di società d’ingegneria e insieme finanziaria.
La riqualificazione e regolarizzazione di questo comparto è una precondizione essenziale anche per un superamento delle sue attuali condizioni di nocività del lavoro.
Il fenomeno del «Caporalato», nuovo al Nord, come emerso con violenza dall’audizione di Milano, si estende all’edilizia provenendo tradizionalmente dal settore agricolo, anch’esso a forte mobilità di personale e forte stagionalità di lavoro, e assumendo nel contempo forme sinora sconosciute. Innescato in un settore che parte dalla bilateralità per la gestione degli aspetti più importanti del contratto datore/lavoratore, risente del fatto che molta manodopera proviene ormai da altri Paesi, spesso privi di tale cultura, ma soprattutto con problemi di carattere socio-economico tali da spingere molti loro cittadini a cercare lavoro altrove e a qualsiasi costo.
Questa ricerca è svolta spesso ai margini della legalità, soprattutto per le restrizioni di mobilità tuttora permanenti tra Stati sia comunitari di ultima adesione sia extracomunitari. In queste condizioni, le persone che cercano lavoro in Italia in edilizia, sono spesso talmente deboli da non riuscire a garantirsi la libertà di poter circolare con i propri documenti o di ricevere il giusto salario a fine lavoro. Ci è stato infatti denunciato, nell’audizione per il cantiere Fiera di Milano, come alcuni «caporali» non solo siano i reclutatori di tale manodopera, ma che facciano da intermediatori persino nell’erogazione del salario, lasciando presagire un taglio sugli stessi probabilmente non indifferente. Si può inoltre ipotizzare che, per mantenere in stato di debolezza questi lavoratori, i «caporali» trattengano loro i documenti.
Altra evidenza riscontrata nelle audizioni e durante i sopralluoghi è quella della mancata applicazione delle norme. Più volte ci è stato riferito, infatti, che le norme per ovviare a infortuni gravi e mortali ci sono, ma spesso non vengono rispettate, per dolo o anche per trascuratezza e scarsa professionalità sia degli imprenditori sia degli operatori.
Inoltre, i dati su cui Istituzioni, Parti Sociali, ma anche Stato e Regioni, lavorano per studiare il fenomeno infortunistico sono quelli forniti dall’Inail, l’Ente assicuratore. Ma tali dati risultano incompleti come conseguenza di alcuni elementi strutturali dello stesso sistema assicurativo:
– i morti sul lavoro sono solo coloro per i quali l’Ente ha pagato una rendita a superstite, risultando così esclusi tutti coloro che non lasciano eredi;
– la base su cui Inail lavora è quella ovviamente dei propri assicurati, escludendo quindi dal computo tutti gli infortuni che occorrono a persone non assicurate a Inail, che a loro volta si possono distinguere in due fattispecie diverse: gli assicurati ad altri Enti (es. Ipsema) e i non assicurati (es. lavoro nero). Da ciò risulta una differenza che potrebbe essere anche consistente, visti i dati forniti alla Commissione dagli Ispettorati del Lavoro e dal Nucleo dei Carabinieri presso l’Ispettorato del Lavoro.
Emerge comunque un ulteriore elemento di confondimento dei dati statistici che deriva dal sempre maggiore uso della mancata denuncia per quegli infortuni che risultano lievi ad una prima valutazione: ciò comporta da un lato una distrazione di somme ad Inps dall’altra un danno per gli eventuali possibili conseguenze non valutabili nell’immediato, inoltre risulta certamente un minor numero di denunce per infortunio di quante realmente se ne possano desumere dai dati ufficiali.
Ad un anno di distanza, per mancanza del relativo decreto, risulta inattuata la misura di contrasto al lavoro nero in edilizia consistente nell’obbligo di iscrizione a libro paga del lavoratore da parte del datore di lavoro almeno un giorno prima dell’ingresso in cantiere. Quindi si assiste spesso, come la cronaca riporta periodicamente, ad un fenomeno particolarmente crudo e disumano mai osservato in questo Paese: l’abbandono dell’infortunato grave che operava senza essere stato iscritto a libro paga.
La proposta di contrasto al caporalato potrebbe essere quella di istituire un’apposita Struttura Nazionale di Coordinamento tra Istituzioni, Parti Sociali, Enti ed Istituti competenti, di derivazione tripartita e con sede presso la Conferenza Stato/Regioni che lavori al monitoraggio e all’individuazione delle priorità e delle azioni mirate maggiormente efficaci, anche attraverso una sperimentazione territoriale da estendere successivamente.
Tale Coordinamento agirebbe con il supporto e in stretto rapporto con la rete regionale dei Coordinamenti della Vigilanza ex art. 27 del D.Lgs. n. 626/1994.

Alcune priorità
Tali considerazioni hanno indotto la Commissione a costituire il gruppo di lavoro specifico per l’edilizia, che a sua volta, per la vastità degli argomenti da affrontare, ha approfondito tematiche specifiche, di cui successivamente verranno esplicitati gli elaborati, ma non prima di aver illustrato le evidenze sotto riportate che risultano trasversali e generali.
Dalle audizioni e dai documenti presentati alla Commissione, si evincono alcune priorità riguardanti il settore dell’edilizia, che di seguito vengono brevemente e schematicamente enunciate:
1. il settore risente negativamente, nonostante la fase espansiva, delle norme di gara d’appalto di derivazione comunitaria, ed in particolare degli effetti legati al criterio della gara al massimo ribasso. La presenza del "General Contractor" e di numerosi livelli di appalto e sub appalto provoca, infatti, in combinato disposto con la presenza del principio del massimo ribasso, una contrazione delle spese relative al costo del lavoro spesso sino al non rispetto della normativa vigente in materia di contribuzione assistenziale e previdenziale e di prevenzione, segnalata soprattutto negli ultimi livelli di appalto. Nonostante la previsione normativa di evidenza contabile delle spese relative ai costi del personale, ed in particolare quelle per la prevenzione, non essendo prevista anche la dichiarazione del numero di dipendenti per ciascuna fase lavorativa, non si evince la congruità o meno dell’entità di spesa minima per dipendente prevista nel capitolato d’appalto. In tal modo si rischia, in buona sostanza, di veder regolato il mercato solo rispetto alla voce "costo del lavoro" con le conseguenze evidenti, sia negli infortuni gravi e mortali occorsi nel primo giorno di lavoro (prevalentemente di ex lavoratori in nero) sia negli episodi scandalosi di occultamento dell’infortunato grave ma irregolare. Andrebbero previsti correttivi, di concerto con la Comunità Europea, che prevedano anche criteri di carattere qualitativo nella valutazione delle imprese in competizione, con specifico riferimento al rispetto delle normative vigenti sul lavoro, come ad esempio attraverso un’Offerta Economicamente
Vantaggiosa, ovvero un criterio che imponga la valutazione dei costi ma anche dei benefici. Nell’immediato andrebbe introdotto un criterio certo e trasparente di valutazione della congruità dei costi per la prevenzione, che possa articolarsi sino all’ultimo livello di appalto attraverso specifiche di ripartizione delle spese per ciascuna lavorazione e/o attività prevista. Più in generale e quindi anche fuori dal settore delle costruzioni, andrebbe previsto un modello del sistema di gara che definisca la certezza per lo svolgimento qualitativo e quantitativo previsto all’interno del capitolato per i servizi affidati e lavori e definire clausole sociali certe ed esigibili che siano in coerenza con quanto indicato dalla Comunità Europea e che costituiscano le basi di rigetto delle offerte anomale;
2. potrebbe giovare, a tal proposito, anche l’estensione e generalizzazione dell’obbligo del DURC (documento unico di regolarità contributiva) che abbia però una revisione periodica almeno mensile, per poter meglio controllare la presenza in cantiere di manodopera regolare e scongiurare l’utilizzo di lavoro nero;
3. andrebbero riviste le norme sui flussi di manodopera al fine di scongiurare la presenza di clandestini sul territorio nazionale, i quali, per necessità e senza possibilità di scelta, sono spesso vittime di imprenditori senza scrupoli che penalizzano e mortificano l’intero settore. Il distacco di manodopera straniera, inoltre, distacco utilizzato per superare i numeri previsti dai flussi d’ingresso consentiti, vede personale pagato un quinto rispetto alla manodopera italiana e senza libertà di scelta (spesso privati dei propri documenti). Ipotizzare requisiti stringenti per i distaccati eviterebbe anche eventuali infiltrazioni malavitose, oltre a scongiurare un esecrabile fenomeno di dumping sociale. Particolarmente odioso risulta poi il fenomeno del lavoro minorile presente anche in tale settore, sulla cui problematica la Commissione ha attivato uno specifico gruppo di lavoro, ai cui lavori si rimanda per l’approfondimento;
4. l’imprenditore edile può essere non professionalizzato, in quanto nessuna normativa impone una formazione preventiva ed il possesso di requisiti, competenze, titoli che certifichino la sua attitudine alla professione.
Da ciò nasce il carattere improvvisato di parte dell’imprenditoria edile che non agevola il settore né sotto l’aspetto della prevenzione né sotto altri profili più generali. Occorrono correttivi per poter garantire un livello di competenza imprenditoriale che gioverebbe al settore ed eviterebbe il fenomeno del dumping interno e della concorrenza sleale;
5. mancano norme per la certificazione della formazione dei Coordinatori alla Sicurezza rapportata alla tipologia e dimensione dell’impresa e dell’opera; e andrebbe inoltre prevista una più efficace formazione per gli stranieri. Su questo punto vedere l’elaborato specifico sulla formazione;
6. andrebbero attivate politiche di incentivi alle imprese per migliorare il livello generale di tutela e prevenzione nonché permettere l’emersione di soggetti e imprese e la bonifica delle situazioni border line, tra cui ricordiamo a mero titolo di esempio la problematica del socio lavoratore simulato o del lavoro flessibile e somministrato;
7. rispetto all’attività di vigilanza da parte degli Enti preposti, occorre rafforzare, anche attraverso l’attivazione in ogni Regione del Coordinamento ex art. 27 del D.Lgs. n. 626/1994, sia il mero controllo sia il sostegno, soprattutto verso le piccole e medie imprese, anche attraverso linee guida, standard procedurali, ecc. Ma non basta. Occorre che la Pubblica Amministrazione giochi un ruolo fondamentale di sostegno al sistema, e che quindi sia affrontato e risolto il nodo dell’assetto istituzionale su tali materie, con l’obiettivo di avere un Sistema Nazionale di Prevenzione e una Politica nazionale di prevenzione senza che ciò mortifichi spazi e responsabilità delle Regioni. È necessario che gli Organismi di Vigilanza siano dotati di strumenti e risorse congrue, a partire da un organico interamente coperto. Occorre rendere inoltre vincolante il criterio del tripartitismo, con poche sedi dedicate ma effettivamente funzionanti e dotate degli spazi e risorse adeguate, anche per affrontare settori e tematiche meno esposte all’emergenza di carattere mass mediatico ma egualmente importanti per la salute e il benessere della popolazione lavorativa, come ad esempio le malattie professionali, per le quali si rimanda all’elaborato specifico;
8. non si può sottacere a questo punto l’importante ruolo svolto in questo settore dalle Parti Sociali sia attraverso la bilateralità di consolidata esperienza sia attraverso il sistema di rappresentanza territoriale alla sicurezza (RLST). Tale sistema va potenziato e incentivato, recuperando il concetto di coordinamento dei rappresentanti per la sicurezza presente nella prima stesura della 494, ipotizzando che, indipendentemente dal numero e dalla tipologia delle imprese presenti in un cantiere, si possa sempre parlare di un unico sito produttivo, in cui il pericolo di esportazione o traslazione del rischio da una lavorazione all’altra o da un’azienda all’altra, venga scongiurato attraverso un’attenta organizzazione del lavoro (di cui all’elaborato specifico) e una vigilanza sociale in grado di sostenere il lavoro del Coordinatore alla Sicurezza nel cantiere. Si intende richiamare con ciò la Committenza, sia pubblica sia privata, alle proprie responsabilità, irrobustendo contemporaneamente il ruolo degli Rls anche delle piccole e medie imprese, attraverso un sistema di rappresentanza orizzontale/ verticale che meglio garantisca la copertura dell’intera popolazione e l’interlocuzione autorevole ed esperta tra impresa committente, imprese appaltatrici e rappresentanti alla sicurezza di azienda e di cantiere. Nel CCNL Edilizia è già prevista la figura del Rappresentante di Cantiere che andrebbe quindi estesa (ex lege?) agli altri settori produttivi, in particolare a quelli che più spesso sono coinvolti nelle varie fasi di lavorazione in cantiere, come ad esempio il meccanico;
9. in occasione di opere complesse, in presenza di numerose lavorazioni contemporaneamente attivate, e ogni qual volta si dovesse riscontrare la necessità di un più fluido flusso di informazioni tra le aziende presenti, andrebbero attivati, su accordo tra le Parti, percorsi formativi aggiuntivi a quelli previsti per le singole mansioni, in quanto la complessità e numerosità di aziende e lavorazioni comporta un aumento oggettivo di rischi per la sicurezza;
10. dovrebbe essere estesa la possibilità di sospendere i lavori in caso di rischio non gestibile da parte di ulteriori soggetti da individuare anche contrattualmente, come pure dovrebbe essere prevista la possibilità di pause dal lavoro, soprattutto per mansioni molto esposte, quando ricorrano alcune condizioni climatiche avverse, tali da porre a rischio la salute dei lavoratori se esposti in via continuativa, soprattutto nelle ore meno adatte. Tali pause andrebbero declinate contrattualmente, prevedendo altresì i relativi costi, non soggetti a ribasso, già in fase di aggiudicazione di gara d’appalto;
11. registri per Medici Competenti e RSPP: Medici Competenti e Responsabili Sevizio Prevenzione e Protezione restano due soggetti fondamentali dell’intero sistema di prevenzione. C’è l’esigenza di integrare la disciplina creando due registri regionali, rispettivamente dei Medici competenti, e dei Responsabili dei servizi di prevenzione e protezione, al fine di renderne più facile l’individuazione da parte delle aziende. Le Regioni vigileranno affinché siano sempre garantite la qualità e il calmieramento dei costi anche attraverso legislazione specifica che individui gli strumenti più idonei;
12. coordinamento Regionale di Prevenzione Interassessorile. Dalle audizioni si avverte la mancanza di una struttura come il Coordinamento regionale di prevenzione interassessorile, costituito dagli assessorati sanità, lavoro, formazione e politiche sociali, quale interlocutore delle Parti Sociali, capace di interagire e coordinarsi concretamente sia con il comitato regionale di coordinamento ex art. 27 del D.Lgs. n. 626/1994, sia con i dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali, svolgendo la necessaria funzione di indirizzo, formazione continua, sorveglianza, collaborazione e coordinamento nei confronti degli stessi dipartimenti di prevenzione delle aziende sanitarie locali, che si traduce nella formulazione di programmi, obiettivi, procedure, indicazioni univoche e sostegno alle loro attività, anche attraverso percorsi formativi per gli operatori, lo scambio delle esperienze di eccellenza, il flusso costante di informazioni. Svolgendo inoltre azione di indirizzo verso il coordinamento dei servizi di prevenzione delle aziende sanitarie locali con altri enti operanti nel campo della sicurezza del lavoro per realizzare quella organicità e uniformità di intenti evitando, così, ogni dispersione di strumenti e di energie e ogni duplicazione o sovrapposizione di atti e comportamenti. L’attività del Coordinamento Regionale di Prevenzione Interassessorile, dovrà essere strutturato in modo permanente e fornito di mezzi adeguati. Presso tale coordinamento va realizzata l’anagrafe degli Rls sia aziendali sia territoriali, come da comunicazione da rendere obbligatoria da parte del Datore di lavoro agli Spresal, nonché il registro dei RSPP (Responsabili Servizi Prevenzione e Protezione) e dei MC (Medici Competenti) accreditati;
13. un problema che normativamente non attiene alla tematica di salute e sicurezza, ma che la richiama per le condizioni di lavoro che genera è quello relativo ai cantieri dell’abusivismo edilizio, e che danneggia non solo il paesaggio o le aree protette del territorio, ma sottintende anche evasione totale dal punto di vista contributivo e fiscale, e della normativa prevenzionale. Tali cantieri sono totalmente esclusi da qualsiasi possibilità di controllo delle condizioni di lavoro e violano tante e tali leggi da lasciare ipotizzare questo Gruppo di Lavoro a sistemi sanzionatori pesanti che prevedano l’arresto in flagranza del committente/proprietario e dello stesso imprenditore.
Riguardo a quest’ultimo punto, si ricorda che il D.P.R. n. 380/2001 disciplina gli interventi edili suddividendoli in due grandi categorie: 1) quelli di nuova costruzione ossia interventi di trasformazione urbanistica e edilizia del territorio, che sono subordinai al rilascio del Permesso di Costruire; 2) quelli sul patrimonio edilizio esistente, di manutenzione ordinaria e straordinaria soggetti alla Denunzia Inizio Attività. I suddetti interventi possono essere realizzati, quindi, sulla base di titoli o procedure al cui rilascio e/o controllo è preposto, in via esclusiva, il Comune.
Le violazioni della disciplina in materia urbanistico-edilizia in senso stretto possono determinare illeciti sia penali sia amministrativi, che concorrono tra loro: reati che vanno dall’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive previste dal «permesso», alle opere eseguite senza permesso/superDIA. Sono frequentemente riscontrabili, nell’attività di vigilanza, altri reati tra cui il crollo di costruzioni o altri disastri dolosi, danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico, violazione di sigilli, nonché impiego di lavoratori irregolari e/o di minori. Sono individuati, altresì, i responsabili diretti dei suddetti reati tra cui il titolare del «permesso», il committente, il direttore dei lavori, nonché responsabili in concorso quali il proprietario dell’immobile, i prestatori di lavoro subordinato, il tecnico ed altre figure.
La vigilanza sull’attività edilizia è esercitata dal dirigente/responsabile del competente ufficio tecnico comunale e consiste nel verificare che le costruzioni nel territorio del Comune siano conformi alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e alle modalità esecutive fissate nei titoli abilitativi. Il controllo è attività istituzionale obbligatoria, a prescindere da esposti e segnalazioni di terzi ed avviene tramite uffici tecnici e la Polizia Municipale.
Nonostante quanto disposto dal D.P.R. n. 380/2001, gli illeciti sono ormai un fenomeno dilagante, quasi una consuetudine, sia per il sott’organico degli organi di vigilanza sia per la mancanza di piani regolatori ben definiti che compromettono l’assetto urbanistico-territoriale.
La cadenza quasi regolare dei condoni edilizi degli ultimi anni hanno radicato nelle persone la convinzione della facilità di poter contravvenire alle norme in materia in vista di un condono e si aggiunga la lentezza con la quale la Magistratura opera nel perseguire tali reati.
Il danno sociale, specialmente sotto il profilo ambientale, è incommensurabile.
Altra considerazione è che, spesso, come già accennato, sui cantieri lavorano operai senza alcuna garanzia assistenziale e previdenziale, costretti al verificarsi di incidenti, a volte mortali e nella ipotesi migliore con danni permanenti alla persona, per forza di cose, a dichiarare in sede di denunzia per eventi infortunistici, il falso, pur di conservare il posto di lavoro. Da tenere presente che questi incidenti non vengono per niente classificati quali infortuni, quindi sfuggono totalmente ad eventuali controlli da parte delle FF.OO. e dalle statistiche degli organi competenti.
Tutte le norme in materia urbanistica, siano esse amministrative che penali, soprattutto in alcune aree del sud d’Italia, si sono dimostrate inefficaci, vuoi per la disattesa attenzione degli organi istituzionali preposti, vuoi per la carenza di personale preposto alla vigilanza.
Pertanto si propone di:
1) istituire presso ogni Comune un apposito ufficio cui attribuire specifiche funzioni di controllo e di vigilanza, individuando un «Commissione» formata da persone esperte che possa periodicamente controllare l’esecuzione dei lavori nei cantieri. Tale ufficio dovrà essere l’unità centrale ala quale convogliare tutte le informazioni degli uffici con diverse competenze nel settore, quali Ispettorati del Lavoro, INPS, al fine di ottenere, con una efficacia cooperazione, un controllo a trecentosessanta gradi, sia sotto il profilo territoriale che umano, in modo da vigilare e reprimere qualsiasi tipo di illecito;
2) gravare di ulteriori adempimenti i professionisti nei casi di interventi edilizi soggetti a DIA e super DIA: occorre che siano formalmente incaricati dal committente per la direzione dei lavori, assumendo l’obbligo di relazionare ogni mese circa l’andamento dei lavori, certificando la conformità degli stessi al progetto presentato ed alle normative vigenti;
3) misure più prescrittive, quali l’arresto obbligatorio, nelle ipotesi di violazione di sigilli e/o violazione all’ordine di sospensione dei lavori;
4) sanzioni pecuniarie nei confronti dei fornitori di materiali edili con ordinanza di chiusura e/o sospensione dell’attività commerciale;
5) affidamento della custodia giudiziaria dei cantieri abusivi ad Istituti di vigilanza privata con oneri a carico dei trasgressori, sui quali saranno effettuati accertamenti patrimoniali. L’esito di questi ultimi comporterà l’eventuale confisca e alienazione del bene, dopo che sia stato ripristinato lo stato dei luoghi;
6) snellimento e celerità nell’attività svolta dai magistrati al fine di condannare, comminando pene più gravi, a coloro che commettono tali reati;
7) demolizioni di fatto delle opere abusive anche con l’intervento della forza pubblica, eliminando i provvedimenti di acquisizione delle stesse.

Organizzazione del lavoro e del sistema di prevenzione
Il coinvolgimento del committente nella gestione della sicurezza - introdotto col D.Lgs. n. 494/1996, che ha recepito la direttiva "cantieri" (direttiva 92/57/CEE) - ha rappresentato una grande novità organizzativa e funzionale. Infatti, in questo settore esso significa la responsabilizzazione del soggetto-cliente nei confronti dei lavoratori dipendenti, attraverso vincoli contrattuali specifici e una funzione di coordinamento generale con i soggetti-imprese.
I limiti della sua implementazione non nascondono il fatto che esso rappresenta un possibile punto di riferimento da estendere per via legislativa e/o contrattuale a tutti i casi di decentramento produttivo, dove peraltro il vincolo dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 626/1994 già dovrebbe rappresentare una risposta alla esigenza espressa in molte audizioni di responsabilizzazione più incisiva e comunque di obblighi di coordinamento dell’impresa capofila come soggetto unico, pur nella molteplicità delle presenze sul luogo di lavoro.
Seguono una serie di indicazioni sulle singole tematiche in cui si è ritenuto declinare l’ampio argomento in discussione.

Il Responsabile dei lavori e Appalti pubblici
Il decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494 (emanato, come detto, per l’attuazione della direttiva comunitaria 92/57/CEE), e successive modificazioni, reca norme sulla sicurezza del lavoro nei cantieri temporanei e mobili, per la realizzazione sia di opere pubbliche sia private. In particolare, istituisce nuove responsabilità per le figure del committente, del responsabile dei lavori e dei coordinatori della sicurezza per la progettazione e per l’esecuzione, attribuendo loro precise funzioni e obblighi.
Queste figure professionali, inserite nell’ambito dell’Ente che affida i lavori, operano accanto ai datori di lavoro, ai dirigenti e ai preposti delle imprese esecutrici. Per le opere pubbliche, anche il D.P.R. n. 554/1999, regolamento di attuazione della legge quadro n. 109/1994, detta norme sulla sicurezza e sulle funzioni assegnate a soggetti della PA che, a vario titolo, si occupano della tutela dei lavoratori e della prevenzione dei rischi nei cantieri.
Da un’analisi comparativa della normativa richiamata si rende evidente la necessità di un’armonizzazione delle disposizioni, poiché, talvolta, i vari dispositivi prevedono prescrizioni difformi. Dall’esame delle norme si deduce che il ruolo che presenta maggiori problemi interpretativi è quello svolto dal Responsabile dei lavori, definito come «soggetto che può essere incaricato dal committente ai fini della progettazione o dell’esecuzione o del controllo dell’esecuzione delle opere. Nel caso di appalto di opera pubblica il Responsabile dei lavori è il Responsabile unico del procedimento». Il committente ha, quindi, la facoltà - ma non l’obbligo – di nominare un responsabile dei lavori ai fini della progettazione, dell’esecuzione o del controllo e, quindi, non con lo specifico incarico di progettare e controllare le opere, come invece veniva stabilito nel testo del D.Lgs. n. 494/1996 prima della modifica apportata dal D.Lgs. n. 528/1999.
Occorre quindi rendere obbligatoria la nomina e l’invio del nominativo all’organismo di vigilanza competente per territorio.
Dalla definizione riportata si desume, inoltre, che il committente della PA, qualora decidesse di designare il responsabile dei lavori, deve, ex lege, affidarne le funzioni al responsabile del procedimento, soggetto che ha ampia responsabilità e compiti di varia natura (tecnica, amministrativa, legale ecc.) e che essenzialmente opera perché venga raggiunto l’obiettivo finale del processo attuativo che consiste nella realizzazione dell’opera, rispettando tempi e livelli qualitativi prefissati.
Il D.Lgs. n. 494/1996 non esclude la facoltà di conferire l’incarico di progettista e/o direttore dei lavori allo stesso responsabile dei lavori, possibilità, però, molto limitata negli appalti pubblici, visto che il responsabile dei lavori è il responsabile unico del procedimento e considerato che non è ammesso, per gli interventi di una certa complessità o comunque di importo superiore a 500.000 e, che le funzioni di responsabile unico del procedimento possano coincidere con quelle del progettista e/ o direttore dei lavori (art. 7, comma 4, del regolamento di cui al D.P.R. n. 554/1999). Il D.Lgs. n. 494/1996 conferisce al responsabile dei lavori il compito di designare i coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione, compito che, in caso di assenza di nomina del responsabile dei lavori, resta affidato al committente.
A proposito della nomina dei coordinatori si rileva un’ulteriore discordanza tra le norme, considerato che il D.Lgs. n. 494/1996 (art. 3, commi 5 e 7) prevede che il responsabile dei lavori possa svolgere anche i compiti del coordinatore per l’esecuzione, compiti che nei LLPP sono attribuiti, come già detto, allo stesso direttore dei lavori, il quale non può assumere le funzioni di responsabile del procedimento/responsabile dei lavori, se non in casi limitati, già indicati in precedenza.
Il responsabile dei lavori ha l’onere di assicurarsi che il coordinatore della progettazione e il coordinatore dell’esecuzione svolgano correttamente i loro compiti; la designazione dei coordinatori, infatti, non esonera (art. 6, comma 2) il responsabile dei lavori dai doveri di verifica di alcuni adempimenti (di cui agli artt. 4, comma 1, e 5, comma 1, lettera a), a carico degli stessi coordinatori, consistenti nell’accertare che il piano di sicurezza sia stato redatto nel rispetto delle prescrizioni di legge; il fascicolo informativo sia stato predisposto ai fini della prevenzione e protezione dei lavoratori; opportune azioni di coordinamento e controllo vengano svolte per assicurarsi che le imprese e i lavoratori autonomi osservino le disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento.
In relazione a questi obblighi, il Tribunale di Trieste, con la sentenza n. 891/2002, ha precisato che «il nuovo testo dell’art. 6 comma 2, facendo riferimento ai soli obblighi previsti dall’art. 4 comma 1 e dall’art. 5 comma 1 lett. a), limita la responsabilità del responsabile dei lavori al controllo della sussistenza degli elementi documentali e allo svolgimento generale dei poteri di verifica dell’attività del coordinatore, cioè ribadisce la distinzione tra la colpa generale accollata al responsabile dei lavori e quella tecnica, della quale risponde il coordinatore, in quanto professionista».
Infine, il responsabile dei lavori, destinatario di obblighi sanzionati penalmente, deve essere una persona fisica, anche nei lavori privati e, in nessun caso, una ditta o una società, perché le responsabilità penali sono personali e non possono essere di enti o imprese.
Per le opere pubbliche quanto appena detto è dichiarato espressamente, visto che il responsabile dei lavori è lo stesso responsabile del procedimento che è un tecnico della stazione appaltante.

Il Coordinatore in materia di sicurezza durante la realizzazione dell’opera (CSE)
Secondo quanto previsto dall’art. 5 del D.Lgs. n. 494/1996, e successive modificazioni, il CSE ha la duplice funzione di coordinamento di quanto è stato previsto nel PSC (Piano di sicurezza e coordinamento) con quanto realmente avviene in cantiere, e di controllo finalizzato alla segnalazione al committente o al responsabile dei lavori delle eventuali inosservanze alle prescrizioni del PSC.
In particolare, il CSE è sistematico testimone delle dinamiche organizzative e gestionali esistenti in cantiere. L’art. 5 del D.Lgs. n. 494/ 1996, e successive modificazioni, definisce gli obblighi del CSE durante l’esecuzione dei lavori.
Quanto previsto dalla normativa vigente a carico del CSE, ha fatto nascere molte discussioni, con rigide prese di posizione tra i soggetti coinvolti, coordinatori, imprese, committenti e responsabili dei lavori, enti di vigilanza e magistratura.
Per quanto riguarda gli obblighi previsti, secondo quanto richiesto dal citato art. 5, comma 1, il CSE deve «verificare, con opportune azioni di coordinamento e controllo, l’applicazione da parte delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi, delle disposizioni loro pertinenti contenute nel piano di sicurezza e coordinamento di cui all’art. 12 e la corretta applicazione delle relative procedure di lavoro». Questa definizione, però, interpretata rigidamente dagli organi di vigilanza, può portare allo stravolgimento delle funzioni del CSE, facendolo apparire come un controllore aggiunto, un ufficiale di polizia giudiziaria che deve vigilare con continuità in cantiere e non con le mansioni di un «gestore di processo», come avvenuto nel resto degli altri Stati membri che hanno recepito la direttiva 92/57/CEE.
Resta inteso che, durante il normale sviluppo dei lavori in cantiere, anche se non è obbligo del CSE verificare la regolarità dei rapporti contrattuali in un cantiere, nel caso in cui questi venisse a conoscenza della presenza di un’impresa il cui subappalto non è stato autorizzato o di imprese in condizioni di irregolarità contributiva/assicurativa, è per lui eticamente e professionalmente corretto darne comunicazione scritta al RUP/ RL (Responsabile Unico del Procedimento/Responsabile lavori) e al DL (Direttore Lavori) affinché questi pongano in atto le azioni che la normativa vigente pone a loro carico.
Quanto richiesto al CSE dall’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 494/1996, deve essere inteso come un’attività da espletare all’interno dell’azione di coordinamento e controllo delle attività in cantiere, prima e durante l’esecuzione dei lavori: coordinamento che deve riguardare la corrispondenza tra quanto previsto nel PSC, con riferimento ai rischi derivanti dalla presenza nello stesso luogo di più imprese e/o lavoratori autonomi e alle conseguenti e necessarie misure preventive e protettive, e quanto realmente avviene in cantiere durante l’esecuzione dei lavori; controllo che, secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 1, lettera e), del D.Lgs. n. 494/1996, è finalizzato alla segnalazione al committente o al responsabile dei lavori, previa contestazione scritta alle imprese e ai lavoratori autonomi, delle eventuali inosservanze alle disposizioni degli artt. 7, 8 e 9 del citato provvedimento legislativo, nonché alle prescrizioni del PSC (piano di sicurezza e di coordinamento, previsto dall’art. 12 del medesimo D.Lgs. n. 494).
In concreto, le maggiori pressioni sono esercitate sul soggetto che risulta più «debole» tra gli attori di riferimento sia perché sostituibile in qualunque momento dal committente (art. 3, comma 7, del D.Lgs. n. 494/1996), sia perché totalmente privo di «armi» efficaci se non quella «risolutiva» (molto probabilmente anche del proprio incarico fiduciario) della comunicazione all’ente di vigilanza. Lo stesso discorso risulta valido per i committenti privati.
Si deve quindi imporre la comunicazione del CSE agli enti di vigilanza non riguardo all’inerzia del committente ma riguardo a quella dei soggetti realmente inadempienti, cioè le imprese. Questa scelta può, infatti, produrre effetti positivi costituendo così un deterrente reale in grado di indurre progressivamente le imprese a comportamenti virtuosi.
È anche necessario adottare, a cominciare dal settore dei lavori pubblici, un sistema di penali contrattuali nel rapporto con le imprese per la mancata regolarizzazione nei tempi previsti delle inadempienze riscontrate (mancato rispetto del piano di sicurezza e coordinamento, sovrapposizioni lavorative vietate ecc.) e la ritardata consegna dell’opera tenendo conto delle sospensioni delle lavorazioni resesi necessarie per «normalizzare» le irregolarità riscontrate.
Un altro compito del coordinatore per l’esecuzione deriva dal collegamento con la Merloni-ter; infatti, l’art. 5, comma 1, lettera b), introduce l’obbligo di verificare l’idoneità del piano operativo di sicurezza redatto dalle imprese esecutrici, assicurandone la coerenza con il piano di sicurezza e coordinamento. Il CSE deve anche provvedere all’adeguamento del piano di sicurezza e coordinamento e del fascicolo in relazione all’evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute; alla valutazione delle proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere. Deve, inoltre, verificare che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi piani operativi di sicurezza ed è sempre attribuito a questo soggetto il compito di organizzare la cooperazione e la reciproca informazione tra i datori di lavoro e tra i lavoratori autonomi (art. 5, comma 1, lettera c). Inoltre, secondo quanto previsto al comma 1, lettera d), dello stesso articolo, il CSE deve verificare «l’attuazione di quanto previsto negli accordi tra le parti sociali al fine di realizzare il coordinamento tra i rappresentanti della sicurezza finalizzato al miglioramento della sicurezza in cantiere».
Tale obbligo è però di difficile attuazione sia per le particolarità dimensionali delle imprese di costruzioni, sia per il ridottissimo numero dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza territoriali (RLST) operanti. Occorre quindi prevedere specifiche azioni positive per l’attivazione degli Rlst soprattutto nei territori con maggiori difficoltà e con maggiore dispersione dimensionale ma anche con minor copertura della rappresentanza imprenditoriale.
La figura del Coordinatore per l’esecuzione definita nel D.Lgs. n. 494/1996, e successive modificazioni, sembra denotare, sotto un’analisi superficiale, marcate caratteristiche da «controllore» o da «sorvegliante» in cantiere. Infatti, il significato dell’art. 5 del citato decreto, richiede al CSE di verificare l’osservanza e il rispetto, da parte di tutte le imprese esecutrici presenti in cantiere, del PSC (Piano Sicurezza e Coordinamento) e dei rispettivi POS (Piano Operativo Sicurezza). Non sembra, però, che gli sia concessa alcuna autonomia d’intervento visto che la sua funzione è prevalentemente indirizzata verso un’attività di monitoraggio e verifica e, quando necessario, di richiesta di regolarizzazione delle «non conformità riscontrate». È solo nei casi previsti dalla lettera f), art. 5, e, cioè, in caso di «pericolo grave e imminente, direttamente riscontrato», che il CSE acquista il potere, ma anche il dovere, di ordinare la sospensione delle singole lavorazioni, fino all’avvenuta verifica degli adeguamenti, da parte delle imprese esecutrici, necessari per ripristinare le condizioni di sicurezza in cantiere.

Il Piano di Sicurezza e Coordinamento (PSC)
Coordinamento e progettazione sono concetti ormai acquisiti dalla cultura della prevenzione infortuni e dell’igiene del lavoro. Il decreto sui contenuti minimi dei piani di sicurezza (D.P.R. n. 222/2003) ha chiarito molte questioni sui costi della sicurezza, ma non ha prodotto un innalzamento della qualità degli elaborati. La legge n. 55/1990 aveva imposto, all’art. 18, l’elaborazione del piano di sicurezza, prevedendo che i suoi contenuti dovessero essere costituiti dalle stesse regole dell’arte, dall’esperienza dei professionisti e sperimentati attraverso il dialogo e la dialettica fra imprese e organi di vigilanza. Il piano di sicurezza nasce quindi con la legge n. 55/ 1990, prende forma con la legge n. 109/1994 e diventa un obbligo generale delle norme di prevenzione infortuni con il D.Lgs. n. 494/1996.
Con il passar del tempo lo scarso controllo esercitato su questi documenti ha reso quasi inutile il PSC nei cantieri medio-piccoli, almeno nel modo nel quale il documento viene generalmente compilato.
Potremmo pensare di modificare il piano di sicurezza e coordinamento scegliendo fra le seguenti alternative: svincolare il documento da qualsiasi connotazione progettuale e trasformare il PSC in un documento di previsione generale al solo scopo di individuare le principali opere per la sicurezza e l’igiene e calcolare la stima approssimativa dei costi della sicurezza oppure, per conservare l’aspetto progettuale del documento, immaginare per il PSC una nuova genesi attraverso un percorso di avvicinamento al documento finale, che consti di almeno due fasi, per accostarlo alla realtà del cantiere.
La prima fase è sostanzialmente simile a quella proposta in precedenza, dove la finalità principale deve essere l’individuazione delle principali opere per la sicurezza e l’igiene e la stima approssimativa dei costi della sicurezza da presentare alle ditte appaltatrici; mentre la seconda, successiva alla gara d’appalto o al contratto d’opera, comunque precedente all’apertura del cantiere, è caratterizzata da scelte progettuali. In essa, infatti, individuate le imprese esecutrici e, con esse, le fasi critiche (inizio costruzione ponteggio, lavori in quota per le opere di carpenteria, possibile contemporaneità della fase cemento con le murature, modifiche del ponteggio, lavori di completamento della facciata ecc.), il coordinatore continua la sua opera progettuale con la collaborazione degli imprenditori e compila la fase finale del PSC prima dell’apertura del cantiere.

Gli accessi al cantiere
L’accesso alle aree di lavoro è vietato alle persone non addette ai lavori mediante cartelli. Occorre prevedere però anche il carattere obbligatorio per la regolamentazione degli accessi, facendo ricorso a tesserini personali di riconoscimento, distribuiti dalla Direzione di Cantiere. Tali tesserini di riconoscimento dovranno essere completi di foto e qualifica del lavoratore per poter permettere di identificare e di verificare i motivi della presenza nelle aree di cantiere di ogni soggetto. La richiesta del tesserino di riconoscimento da parte del Coordinatore per la Esecuzione e del Committente consentirà di verificare che tutti i lavoratori occupati nel cantiere risultino regolarmente autorizzati dall’Appaltatore ad eseguire specifiche lavorazioni, che abbiano ricevuto adeguata formazione ai lavori da compiere e che dispongano di tutti i necessari dispositivi di protezione.
Oltre al tesserino di riconoscimento i lavoratori dovranno essere contraddistinti da caschi di colore diverso, che consentano di identificare in maniera univoca il loro ruolo e le loro mansioni; caschi di colore particolare dovranno essere forniti agli addetti alla sicurezza e alla squadra di emergenza. L’ingresso di persone estranee ai lavori (visitatori, ecc.) dovrà essere preventivamente autorizzato dalla Direzione del Cantiere ed avverrà sotto la diretta responsabilità della stessa; a tali persone dovranno essere forniti idonei mezzi di protezione personale (casco, scarpe, stivali, ecc.).

La notifica preliminare
Ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. n. 494/1996, e successive modificazioni, il committente o, in sua vece, il responsabile dei Lavori, è obbligato, nei casi previsti dalla legge, a segnalare agli Organi di Vigilanza territorialmente competenti l’apertura di un nuovo cantiere.
Si suggerisce che la notifica sia trasmessa almeno venti giorni prima dell’effettivo inizio dei lavori e dovrà contenere le informazioni indicate nell’allegato III al D.Lgs. n. 494/1996, integrata con una dichiarazione dell’organico medio annuo, distinto per qualifica, corredata dagli estremi delle denunce dei lavoratori effettuate all’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), all’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (Inail) e alle casse edili; una dichiarazione relativa al contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, applicato ai lavoratori dipendenti, il Certificato di regolarità contributiva (DURC)
Tale normativa deve essere resa operativa ed esigibile al fine di poter operare concretamente contro evasione ed elusione contributiva, caporalato, lavoro nero, prevedendo una revisione almeno mensile del Durc, che restituisca in tal modo la reale dimensione della popolazione lavorativa in ciascuna fase di lavorazione.

Le squadre miste
Un vuoto normativo è quello relativo alle cosiddette «squadre miste», cioè squadre di lavoratori applicati ad una specifica attività, costituite da personale proveniente da diverse aziende presenti in cantiere. Tale composizione favorisce l’ambiguità sia rispetto alla catena dei comandi, in quanto diventa non più identificabile la figura del preposto ex D.Lgs. n. 626/1994, e sia rispetto alle relative responsabilità, oltre ad aumentare la confusione e quindi il rischio infortunistico, più grave se in presenza di lavorazioni in quota.
Occorre prevedere una specifica norma che regoli la composizione e l’attività di squadre miste seppur appartenenti ad imprese contemporaneamente presenti nel cantiere, che eventualmente regoli anche le attività a cui possono essere applicate tali squadre.
Non insolita sembra anche essere la possibilità di rispondere alle singole gare d’appalto da parte di ATI (Associazione Temporanea d’Impresa) costituite da Consorzi d’impresa, tali che una singola impresa può essere presente in cantiere su più attività ma in nessuna è unica responsabile, pur trattandosi spesso di aziende piccole o piccolissime. Pur apparendo questa una risposta alle esigenze di appalto, di cui però non è chiara la reale portata di efficacia, occorre valutare l’impatto di tale consuetudine sui livelli di tutela e prevenzione, in quanto l’eccessiva frantumazione del ciclo produttivo e dell’impresa, genera spesso esposizioni maggiori ai rischi della mansione. Anche tale possibilità, comunque, andrebbe regolamentata rispetto ai dettami del D.Lgs. n. 626/1994.

Le cadute dall’alto
Si rimanda alle note iniziali di questa relazione, che riprendevano lo studio dell’Osservatorio infortuni gravi e mortali Inail-Ispesl-Regioni, per la descrizione qualitativa del fenomeno e per la dimensione della sua vastità, nonostante la puntuale normativa esistente; mentre di seguito viene fornita l’analisi delle cadute dall’alto offerta da «Dati Inail».
«Mentre l’Europa stenta a tenere il passo di U.S.A. e Cina e il PIL italiano è praticamente piatto, il settore delle costruzioni, con il valore degli immobili che continua a concedere rendimenti superiori a quelli garantiti da altri strumenti finanziari, si conferma uno dei pilastri dell’economia.
Se il numero degli occupati del settore è infatti cresciuto del 2% nel 2002, del 4% nel 2003, del 5,2% nel 2004 e si conferma ancora in aumento nel primo semestre 2005, positivo è anche il trend della produzione, in crescita da sei anni (+3,4% nel 2004). Sul fronte dei danni da lavoro, nel triennio 2002-2004, rimane elevato, pur se in lieve calo, il numero degli infortuni.
Nello stesso periodo, tra gli infortuni indennizzati nel settore (più di 90mila casi l’anno pari al 15% del totale Industria e Servizi), oltre un migliaio di casi di inabilità permanente e un’ottantina di morti (1/4 dei decessi nel settore) avvengono per cadute dall’alto, che è ancora la principale causa di infortunio grave, seguita da perdite di controllo (di macchina, utensile o mezzo di trasporto), scivolamenti e crolli di struttura.
Più nel dettaglio, quasi il 60% delle cadute dall’alto si verifica nei cantieri durante attività di sterro e di costruzione. (Silvia Amatucci)




Tali dati hanno indotto il gruppo di lavoro Edilizia ad approfondire questa modalità di accadimento di infortunio, evidenziando almeno tre tematiche: i  Dispositivi di Protezione Individuale, la formazione, i vuoti normativi.
Dalle note inviate dalla Asl di Lecco sui lavori in fune, cui si rimanda per approfondimenti, si richiama la necessità di evitare conflitti normativi e difficoltà interpretative, anche attraverso una esatta classificazione dei lavori pubblici con caratteristiche di lavori in fune per i quali è prevista la presenza di imprese specializzate che adibiscano personale abilitato.

I Dispositivi di Protezione Individuale (DPI)
A livello europeo, dove la competenza in materia di DPI è dei Working groups afferenti rispettivamente a CEN 160 (ambienti di lavoro) e a CEN 136 (alpinismo), i delegati più attivi e propositivi sono di nazionalità tedesca, il che comporta, purtroppo, che le normative siano prevalentemente regolate secondo parametri pensati per l’operaio tedesco (clima, organizzazione del lavoro, cultura di base) e che finiscano per gravare l’operaio che lavora in Italia di fardelli troppo pesanti o di impaccio nel nostro clima, di cui, se possibile, si tende a disfarsene.
Sarebbe quindi opportuno studiare DPI per un clima più caldo e una corporatura più esile, rendendo attivo il principio dell’ergonomicità dei dispositivi che altrimenti tendono a proteggere dalla caduta ma comportano altri rischi e/o impacci, anche attraverso specifiche indicazioni UNI almeno sul limite di peso.
È inoltre da prevedere che i caschi di protezione della testa, essendo sostanzialmente di due tipi (da lavoro e da alpinismo) per attività e rischi differenti, siano entrambi a disposizione del datore di lavoro, che sceglierà a seconda della congruità con l’attività esercitata dai propri dipendenti e comunque tra i DPI quelli omologati.

La formazione
Già il D.Lgs. n. 235/2003 è un testo innovativo e importante per quanto riguarda la formazione dei lavoratori che operano in quota con funi e la Regione Lombardia ha delegato la Asl di Lecco per studiarne le criticità e le eventuali implementazioni possibili, studio che è all’attenzione della Conferenza Stato-Regioni. Le proposte di miglioramento avanzate riguardano: l’introduzione di un riferimento più chiaro agli obblighi formativi previsti dal D.Lgs. n. 235/2003; l’introduzione di una nuova categoria specifica per i lavori in quota che al momento risultano accorpati con la costruzione di guard-rail (OS 12); la formazione di istruttori specialisti da parte di guide alpine che prevedano un esame finale con relativo attestato.
In realtà, di formazione per queste attività così ad alto rischio si sente la necessità per tutti i soggetti coinvolti nella prevenzione: datori di lavoro, lavoratori, rappresentanti alla sicurezza, preposti. In particolare si è fatto rilevare come i DPI servano a poco se non si sa come usarli correttamente.
La formazione deve tener conto dei diversi livelli di rischio e dei diversi ruoli e mansioni, differenziando ad esempio tra lavoro su impalcatura e lavoro in parete, ma è anche necessario che i formatori siano selezionati accuratamente per corsi di tale importanza e che ciascuna materia sia condotta dall’esperto specializzato in tale materia. È inoltre opportuno comprendere, tra i contenuti dei corsi, un’unità didattica sugli ancoraggi ed una sul montaggio di ponteggi, due attività tra le più pericolose nel settore.
È stato anche fatto rilevare come, per tali mansioni, occorra accertarsi della formazione posseduta dal lavoratore anche istituendo il libretto formativo per la prevenzione, ed è altresì importante che ci sia un accertamento dell’idoneità psico-fisica alla mansione specifica preventivo e periodico, a cura del Medico Competente che stabilirà anche opportuni protocolli sanitari.
Rimane prioritario, in ogni caso, il ruolo della formazione anche per operare una sensibilizzazione alla percezione del rischio caduta dall’alto nel settore, utile a favorire l’aggancio dei contenuti tecnico-specialistici necessari. Se sono consapevole del rischio e del danno che ne risulta, certamente sarò anche più attento ad apprendere le modalità di lavoro corrette e l’uso idoneo dei dispositivi previsti

Vuoti normativi
Un vuoto normativo importante è costituito nello specifico dal lavoro in altezza in condizioni atmosferiche particolari, soprattutto se con temperature elevate ed elevato tasso di umidità.
L’Arpa dell’Emilia Romagna ha emanato informazioni molto dettagliate sul colpo di calore, fornendo anche una tabella dell’indice di calore, che si riporta in breve di seguito, e che correla il grado di temperatura al tasso di umidità restituendo il grado di temperatura percepita dal corpo umano, e negli ultimi anni i Comuni emanano sempre più spesso in estate, ordinanze sugli effetti del caldo e dell’inquinamento per la popolazione anziana o per i bambini in quanto sempre più spesso ricorrono le condizioni di temperatura e umidità che rendono critica la permanenza all’esterno.
Ciò è necessario in quanto la risposta dell’organismo umano all’innalzamento della temperatura avviene attraverso l’attivazione di meccanismi che favoriscono la dispersione, i quali possono però non essere sufficienti sia per intensità di esposizione sia per limitazioni indotte da stato patologici pre-esistenti. In tal caso si manifestano danni alla salute prodotti dall’eccesso di calore, che possono essere diretti (colpo di solo, colpo di calore, collasso da calore, crampi) o indiretti (aggravamento delle condizioni patologiche pre-esistenti che porta ad un aumento della mortalità generale e per case specifiche. Alti valori di umidità relativa associati alle alte temperature rendono inefficace il meccanismo compensativo della sudorazione, ostacolando l’evaporazione del sudore. L’esposizione contemporanea agli inquinanti atmosferici urbani ed in particolare all’ozono, potenzia gli effetti delle alte temperature.
Attraverso l’indice di calore, invece, è possibile mettere in relazione la temperatura e l’umidità relativa in modo da ottenere il grado di temperatura percepita cui sono collegati malori o effetti dannosi per il corpo umano. Attraverso tale indice si rende più evidente il livello di pericolosità delle condizioni climatiche soprattutto se si lavora a parecchi metri dal suolo, in quanto il tasso di calore agisce sui livelli di attenzione e sulla capacità di prendere decisioni coerenti con la situazione in cui lavora.
27-31 gradi possibile affaticamento, crampi di calore
32-39 gradi forte affaticamento, difficoltà nella respirazione
40-54 gradi possibile colpo di calore, insolazione
più di 54 gradi colpo di calore altamente probabile
«Il colpo di calore si manifesta con una ampia gradazione di segni e sintomi a seconda della gravità della condizione. I primi segni del danno da calore risultano da una combinazione di debolezza, nausea, vomito, cefalea, brividi, crampi muscolari e andatura instabile. Se il quadro clinico progredisce si manifestano alterazioni della coscienza in vario grado e intensità (stato d’ansia, stato confusionale, declino, sincope, coma), la temperatura corporea sale sopra i 40º ed è seguita da un possibile malfunzionamento degli organi che può condurre alla morte».
Più frequente, seppure non ben definita, è la «fatica da calore» caratterizzata da sintomi come spossatezza, irritabilità, facile affaticamento.
Sono i disturbi accusati da operai che lavorano in ambienti climaticamente non confortevoli. Sottoposti a fatica da calore si sta male ed è più elevata la possibilità di avere infortuni.

Eppure, per quanto risulti incomprensibile, mancano indicazioni per quanto riguarda le persone che, in condizioni climatiche avverse, lavorano in quota. Infatti il D.Lgs. n. 626/1994 non riporta indicazioni in merito, delegando al successivo D.Lgs. n. 494/1996 le indicazioni per i cantieri temporanei e mobili; e anche tale normativa non riporta se non un generico rischio per «sbalzi eccessivi di temperatura».
Le linee guida dell’Ispesl sulle cadute dall’alto prevedono anche le misure di prevenzione per colpo di calore, ma, in quanto linee guida, non sono esigibili dai lavoratori né sanzionabili. Risulta invece dai dati Inail un incremento delle morti sul lavoro da caduta dall’alto nei mesi in cui ricorrono le condizioni suesposte. Sarebbe interessante uno studio specifico comparato sui dati Inail e quelli dei Comuni relativi ai picchi di ozono e le ondate di calore. In ogni caso è da rilevare come, diversamente dall’Italia, sia la Svizzera sia la Francia hanno specifiche norme contro gli effetti dell’eccesso di calore, specialmente per i lavori in quota.
Ed è veramente curioso come il Paese del Sole non abbia ancora legiferato in materia, anche in considerazione del fatto che esiste la Cassa Integrazione Guadagni per maltempo, che viene però generalmente attivata solo per pioggia.
Sarebbe necessario, quindi, che sia previsto dalla normativa la possibilità di fermo cantiere anche in fase di ondata di calore come pure per condizioni di scarsa visibilità o di gelo. Dalla documentazione fornita dalla Asl di Lecco riprendiamo il concetto che «occorre individuare le condizioni meteorologiche ostative dell’attività lavorativa, nonché le procedure per consentire in ogni momento l’assunzione delle decisioni adeguate alle specifiche condizioni meteorologiche»
Un’ulteriore segnalazione, seppure fuori dallo specifico settore dell’edilizia, ma molto affine come condizione di lavoro, deve essere rivolta al lavoro nello spettacolo che, sia per il personale circense sia per il personale artistico e non del settore cinematografico, non risulta sufficientemente tutelato rispetto alla caduta dall’alto. Si evidenzia inoltre che, nelle professioni dello spettacolo, per cultura storica, il valore apicale è certamente assegnato allo spettacolo e non alla tutela della salute e sicurezza (the show must go on), fatto questo che aggrava le condizioni di lavoro anche con la rassegnazione o addirittura l’accettazione supina del rischio da parte del personale, molto motivato alla professione e poco alla tutela della propria integrità psicofisica. Il settore non è esteso come quello dell’edilizia e quindi gli eventi luttuosi non assurgono quotidianamente alle cronache, ma alcune condizioni di lavoro sono, dal punto di vista prevenzionale, assolutamente identiche a quelle riscontrate in edilizia, comprese le problematiche dei cantieri temporanei e mobili, e con identica attenzione andrebbero sanate.

La formazione alla sicurezza
La Commissione Lama già nel 1989 aveva individuato nella formazione un fattore chiave per un cambiamento positivo nel campo della sicurezza del lavoro. Un paragrafo specifico per l’edilizia auspicava in particolare una formazione degli addetti collegata al piano di sicurezza. Non a caso: contemporaneamente, la direttiva 89/391/CEE, accanto alla partecipazione e alla capacità di autocontrollo/innovazione dell’impresa, faceva della formazione il terzo pilastro della sicurezza sul lavoro. Formazione intesa sia come acquisizione di competenze sia come adozione di un habitus, risultato di un’attività didattica esplicita e formale ma anche di un messaggio costante del sistema – impresa a partire dal suo vertice.
Dieci anni dopo la Commissione Smuraglia esprimeva in generale un giudizio preoccupato per la tendenza ad applicare in modo formalistico il D.Lgs. n. 626/1994 e in particolare rimarcava questa tendenza per quanto riguarda la formazione. Inoltre rilevava già la ridotta operatività in questo senso degli organismi bilaterali e chiedeva alle strutture pubbliche un impegno maggiore per definire standard, sistemi di accredito, verifiche di efficacia della formazione stessa.
Le audizioni della attuale commissione hanno sostanzialmente confermato questo quadro, convergendo sul valore strategico della formazione permanente alla sicurezza e sul fatto che è ancora più importante in una situazione di accentuata mobilità del lavoro. Purtroppo proprio la frammentazione e il decentramento sembrano rappresentare un vincolo e aggravano i ritardi preesistenti. Il D.Lgs. n. 626/1994 (in particolare, sono importanti gli articoli 22 e 38) nell’introdurre un obbligo imprenditoriale di formare e mantenere formati i dipendenti, ha rappresentato quasi una novità assoluta (col solo precedente dei contratti di formazione/lavoro di incerta applicazione) per un paese in cui è storica la scarsa propensione delle imprese a investire nella formazione d’ingresso e permanente (non più del 20% delle imprese e non più del 5% dei dipendenti secondo il rapporto Isfol 2005, peraltro concentrati al nord): non tanto per carenza di risorse ma per scarsa capacità progettuale-gestionale e poco diffusa cultura d’impresa.
La nuova normativa è venuta a collocarsi in una situazione in cui sia la formazione professionale che la cultura della prevenzione sono deboli sia in ambito lavorativo che nel quadro sociale più ampio. E nell’ultimo decennio la polverizzazione del tessuto imprenditoriale ha accentuato la resistenza del sistema, anche per obiettive difficoltà organizzative ed economiche, a operare il cambiamento richiesto.

Formazione e sicurezza in edilizia
Ai problemi della piccola impresa e dell’artigianato, che tanta parte ormai rappresentano della struttura produttiva italiana, il D.Lgs. n. 626/1994 proponeva una soluzione, quella degli organismi bilaterali erogatori di formazione, prendendo a modello proprio l’edilizia con i suoi enti paritetici consolidati da 50 anni e dotati di risorse professionali ed economiche create dalla contrattazione territoriale tra le parti sociali. Una prova evidente del fatto che problemi e soluzioni del settore edile oggi sono esemplari di quelli del mercato del lavoro in genere, profondamente diverso per flessibilità produttiva e occupazionale da quello dei tempi in cui la direttiva 89/391/ CEE è stata concepita: in questo senso la formazione si pone come anomalia nel sistema ma anche come occasione per ripensarlo.
Purtroppo l’insieme delle audizioni e dei documenti presentati all’attuale commissione non ha consentito una significativa verifica di quanto realizzato dagli enti bilaterali intercategoriali costituiti ad hoc territorialmente tra le parti sociali o unilateralmente dalle stesse associazioni imprenditoriali: attività che la CNA definisce «imponente» ma che sicuramente è anche molto a pelle di leopardo. Nel settore edile invece, dove il «626» ha riconosciuto la funzione degli enti preesistenti, il sistema della bilateralità ha potuto mettere a disposizione le necessarie competenze, la copertura dei costi di produzione e gestione e una capacità di orientamento non indifferenti.
Per una sintesi dei risultati quantitativi conseguiti da tale sistema si deve ricorrere ai dati tratti dall’audizione della Commissione nazionale CPT e anche dal rapporto Formedil 2003 (ultimo disponibile) e dalla quarta conferenza nazionale CTP del luglio 2005. Infatti il sistema bilaterale della formazione in edilizia viaggia su due binari: le «scuole edili» che si dedicano alla formazione legata alla mansione e i Comitati Paritetici Territoriali che si occupano di prevenzione in genere. Nel campo della formazione alla sicurezza essi stanno da anni collaborando in forme diverse.
In genere la formazione di base ex art.22 del «626» in cantiere, azienda, aula la svolgono i CTP (quelli operativi sono 65) che peraltro svolgono anche un’azione di consulenza indirettamente formativa dei livelli gestionali dell’impresa (circa 40.000 interventi l’anno ma concentrati al 90% in poche regioni). I livelli formativi superiori (sia «626» che «494») vengono gestiti in parti simili dalle sole scuole, dai soli CTP o da entrambi in modo congiunto.
Il sistema delle 98 scuole edili territoriali, per decenni mirato sull’inserimento dei disoccupati nel settore, è da tempo impegnato in una non facile riconversione verso la formazione permanente che proprio dal «626» ha ricevuto un forte stimolo. Nel giro dei pochi anni tra 1997 e 2003, i corsi sono cresciuti da 734 a 1923 e quelli sulla sicurezza da 145 a 947 e gli allievi di questi corsi che erano 4000 nel 1997 su un totale di 12000 sono diventati 18000 su un totale di 30000 nel 2003. Di questi allievi oltre 14.000 sono stati coinvolti in formazione di base d’ingresso ( di cui il 25% stranieri), poco più di 400 in corsi per «rappresentanti ai lavoratori per la sicurezza», circa 1650 in corsi per «responsabili del servizio di prevenzione e protezione» e 1500 in corsi per «coordinatori alla sicurezza».
Un’attività in crescita: ma i risultati ottenuti fin qui sono sufficienti rispetto ai potenziali fruitori e cioè – almeno per i corsi di base – tutti i 600.000 lavoratori edili iscritti alle Casse Edili (in pratica i dipendenti in regola)? Intanto va notato che il 75% dei corsi si è concentrato nelle regioni del nord. In generale poi, gli enti bilaterali constatano che all’appello della frequenza dei corsi manca una quota maggioritaria delle imprese e dei dipendenti: all’Edilcassa del Lazio, su una base annuale di 4000 lavoratori, in dieci anni ne è affluito ai corsi di base non più di ¼. E il dato sulla presenza ai corsi per RLS attesta o un’analoga mancanza di formazione o peggio un ridotto radicamento dei soggetti stessi. E dato che i corsi di base e per RLS vanno svolti obbligatoriamente in collaborazione tra imprese ed enti bilaterali, questi sono un attendibile metro di misura dell’implementazione della norma.
Si badi che non si sta parlando qui di un’opzione volontaria da parte delle imprese, ma di un loro preciso obbligo di legge che prevede sanzioni penali. Se il rispetto della norma è carente, quanto può contare ancora la mancanza di informazione nonostante l’opera di divulgazione svolta dagli enti in questi anni e quella di vigilanza svolta dalle ASL?
C’è da supporre che la diffusa elusione si spieghi piuttosto con le alte probabilità di non essere sanzionati o con la possibilità di regolarizzarsi solo a seguito di prescrizione ispettiva. E che l’entità delle già incerte sanzioni non sia tale da rappresentare un sufficiente deterrente per un’impresa-tipo di dimensioni microscopiche, meno di 5 dipendenti/anno: i costi diretti di produzione e gestione della formazione possono essere coperti dal sistema bilaterale, ma restano gravosi quelli indiretti legati alla ridotta o mancata attività di cantiere ( il «626» stabilisce che la formazione avvenga non a carico del dipendente e in orario di lavoro). E va notato che i costi della formazione per la sicurezza non sono riconosciuti nel D.Lgs. n. 494/1996 fra quelli da computare in sede di gara d’appalto. Insomma un probabile deficit imprenditoriale di informazione è aggravato da vincoli materiali e organizzativi reali e tende così a auto riprodursi.
Sul piano della qualità e dell’efficacia di tale formazione, l’impressione ricavata dalle audizioni è che almeno in quella di base essa dia risultati più formali/temporanei che sostanziali/duraturi. Secondo la stessa CNCPT la formazione legata alla realtà dello specifico cantiere è pressoché assente tranne che in alcune grandi opere (vedi anche audizione TAV). Le procedure corrette, quando anche siano note alla struttura direttiva e gestionale, non sono trasmesse come conoscenza agli operatori, per obiettive difficoltà nei piccoli cantieri ma spesso per disorganizzazione del lavoro anche in quelli grandi. Questo avviene non solo nella direzione datore di lavoro-dipendenti ma anche in senso trasversale, fra imprese compresenti in cantiere, le quali non dialogano: ben al di qua della formazione è la semplice ma indispensabile informazione a non circolare, pur essendo compito (articolo 7 del «626») dell’impresa madre.
Il fatto che la formazione alla sicurezza vada svolta in collaborazione con gli enti bilaterali (secondo moduli per complessive 8 ore stabiliti dal CCNL) rappresenta un riferimento operativo importante, ma rischia di fare da alibi alle imprese, che ritengono di aver assolto una volta per tutte il loro compito affidando a tutor e docenti esterni i loro dipendenti (a volte in modo approssimativo). Resta insoddisfatta tutta quella parte di formazione legata alla valutazione dei rischi dell’impresa e al piano della sicurezza del cantiere. Quanta indicazione di fornire formazione e informazioni proviene dal vertice d’impresa ai suoi stessi RSPP e «medici competenti»? La delega da parte delle imprese al ruolo degli enti rivela una resistenza al cambiamento di mentalità e comportamenti e un’idea della formazione come obbligo, non risorsa. E questo scetticismo imprenditoriale si riflette su quello dei dipendenti (vedi audizione ASL/RM/B) che oggi percepiscono il rischio più di dieci anni fa, ma lo giudicano spesso ineliminabile per motivi «sociali» più che tecnici.
Inoltre sia il «626» che il «494» prevedono a ogni livello di corso la frequenza attestata dagli enti come unica condizione per veder soddisfatto l’adempimento dell’obbligo formativo. Non è prevista finora alcuna prova di verifica della capacità di svolgere i ruoli previsti dal «626». Di quale certificazione e in genere di quale controllo di qualità formativa si può parlare in queste condizioni? Di più: non si hanno riscontri del grado di applicazione di quell’articolo 38 del D.Lgs. n. 626/1994 che richiede al datore di lavoro di garantire la capacità professionale dei propri dipendenti di utilizzare in sicurezza attrezzature e macchine perché nemmeno a questo riguardo sono finora previsti documenti di abilitazione anzi la realtà è che in Italia non è obbligatorio un patentino nemmeno per i manovratori di gru o altre macchine. Per fortuna di recente qualcosa sta cominciando a cambiare: i nuovi obblighi formativi per RSPP dipendenti o collaboratori e per chi allestisce opere provvisionali per lavori in quota (peraltro non ancora definiti per contenuti e durata) prevedono tuttavia prove finali di esame e cominciano a collegare la formazione alla sicurezza alla competenza professionale e all’autorizzazione all’esercizio della professione. Lo stesso fa la legge n. 28/2004 della Regione Veneto per chi manovra auto sollevanti e piattaforme elevabili.

Proposte di miglioramento
La modifica di questa situazione è problema complesso che richiederà uno sforzo straordinario di riqualificazione della struttura produttiva, di inserimento organico della cultura-tecnica della prevenzione a ogni livello educativo, di valorizzazione del ruolo della prevenzione e del principio di precauzione fra le priorità sociali.
Per quanto riguarda il settore edile (ma la cosa vale più in generale) la strada da percorrere è quella indicata dalle novità positive accennate poco sopra: cioè che la formazione alla sicurezza significhi davvero acquisizione da parte dell’impresa nel suo complesso di un’accertata competenza professionale. È una richiesta emersa dall’insieme delle audizioni e che le associazioni dell’artigianato hanno addirittura formalizzato in proposta di legge. In particolare:
– l’accesso al settore e l’esercizio dell’attività non possono più essere consentiti alle burocratiche modalità attuali ma condizionati a requisiti minimi dell’impresa tutta (a maggior ragione individuale) e in particolare del datore di lavoro;
– le figure gestionali dell’impresa, in particolare quella del capocantiere, devono essere oggetto di percorsi formativi alla sicurezza adeguati,
quando non coincidano con le figure degli addetti alla prevenzione, altrimenti
si finisce per separare e rendere conflittuali le due funzioni. E può
essere sufficiente una formazione di sole 16 ore a dare a un datore di lavoro
la facoltà di essere RSPP di una propria impresa anche di 30 dipendenti?
In settori come l’edilizia queste sono dimensioni da media azienda con numerosi cantieri;
– figure operative specifiche, addette a mansioni comportanti rischi collettivi e/o elevati, dovranno essere sottoposte a formazione abilitante certificata e all’obbligo di un patentino, sul modello degli addetti ai ponteggi citato prima (D.Lgs. n. 235/2003).
A questa impresa formata alla sicurezza e formata professionalmente dovranno essere date garanzie di veder riconosciuta la sua qualità, che l’investimento fatto sia realmente vantaggioso in un mercato corretto.
Per esempio attraverso una revisione della legislazione sugli appalti che – come ribadito delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali di settore – vada oltre le strettoie del massimo ribasso nelle gare d’appalto.
Sul versante del singolo lavoratore è di conseguenza indispensabile che si realizzi finalmente nel settore edile (anche il CCNL di settore del 2004 torna su questo impegno) un libretto personale delle competenze professionali, che estenda all’insieme degli occupati quanto previsto dal D.Lgs. n. 276/2003 e costruisca nel tempo un sistema nazionale informatizzato di certificazione. Una sezione apposita di tale libretto sarà dedicata alla sicurezza e conterrà la registrazione dei corsi effettuati in materia con gli attestati di verifica dell’apprendimento. Questo è necessario e urgente in edilizia e in genere nei settori in cui più le situazioni occupazionali e le vicende professionali sono contrassegnate da discontinuità.
Nelle audizioni (in particolare delle Regioni e delle associazioni professionali della prevenzione) sono poi emerse pratiche efficaci da prendere a riferimento e generalizzare attraverso opportune leve contrattuali e normative:
– attraverso la concertazione preventiva (tra committenza, imprese e sindacati) e/o la contrattazione d’anticipo (tra impresa e sindacati), appoggiandosi peraltro a specifici impegni contenuti nello stesso CCNL, bisogna diffondere le esperienze formative collegate ai rischi specifici del cantiere, al «piano di sicurezza e coordinamento», al «piano operativo di sicurezza» dell’impresa: come quelle previste dagli accordi per la TAV Firenze-Bologna, da varie leggi regionali (Lombardia, Toscana), dall’accordo tra imprenditori e sindacati del settore di Pesaro e vari altri;
– la collaborazione tra imprese ed enti bilaterali per la formazione alla sicurezza va impostata meglio, in modo da creare sinergie e non carenze: come si è detto sopra l’indispensabile formazione sui rischi specifici e quella alla sicurezza nella mansione devono partire dall’impresa.
Agli enti spetterà sostenere l’iniziativa con le loro risorse organizzative, con la sensibilizzazione al cambiamento di comportamenti, con la conoscenza trasversale dei rischi di settore (che convivono nel cantiere e nella esperienza dei lavoratori), con l’educazione linguistica dei lavoratori stranieri e in genere con la formazione mirata dei sottogruppi di popolazione lavorativa che siano soggetti a rischi particolari;
– il ruolo della consulenza è anch’esso formativo, in particolare ai livelli dirigenti e gestionali dell’impresa: sarà bene quindi incrementare quella svolta dai tecnici CTP che sono circa 500 in tutta Italia e svolgono un’attività con esiti molto diversi da zona a zona (buoni a Torino e Milano ad esempio) e anche quella degli RSLT che attraverso la contrattazione sono da aumentare di numero (sono ora circa 150 a livello nazionale ma 30 nella sola Lombardia) e da sostenere sul piano operativo, come mostra l’esperienza del SIRS (servizio informativo rappresentanti della sicurezza) di Bologna;
– i fondi per la sicurezza provenienti agli enti bilaterali dalla contrattazione andrebbero incrementati (tenendoli distinti da quelli finalizzati alla formazione professionale) senza escludere un positivo cofinanziamento da parte degli enti pubblici, consentendo una capacità formativa più incisiva e più ampia sul piano territoriale. Ma il problema dei costi può essere affrontato anche sul piano premiale sia attraverso una politica di incentivi contributivi di Inail e Casse Edili per le imprese che dimostreranno di svolgere un’attività formativa accreditata sia attraverso forme di selezione positiva legata per esempio all’accesso alle gare d’appalto. Va infine considerata l’opportunità di inserire nei costi della sicurezza almeno quelli per la formazione collegata allo specifico cantiere oggetto della gara d’appalto;
– sul versante dell’offerta, a garanzia della qualità didattica e della congruità di costo di ogni livello di corso occorre urgentemente, oltre a rafforzare l’azione degli organismi paritetici, stabilire procedure obbligatorie di accredito e certificazione di ogni soggetto privato che intenda abilitarsi e verifiche di professionalità di docenti e tutor;
– alle norme attuali che definiscono argomenti e durata minimi dei corsi «626» ( peraltro da rivedere) vanno affiancati obblighi di verifica finale delle competenze acquisite, da graduare a seconda del livello di responsabilità cui il corso dà accesso. Questo, sulla scia di quanto finalmente richiesto dal D.Lgs. n. 195/2003 per gli RSPP, vale in particolare per i coordinatori della sicurezza ex D.Lgs. n. 494/1996. Nella stessa logica va l’obbligo di corsi periodici di aggiornamento delle competenze come condizione per mantenere nel tempo il diritto a svolgere le proprie funzioni (già previsto ma solo nei corsi per addetti al primo soccorso);
– va superata rapidamente la fase dei ritardi normativi come quelli che attualmente bloccano la realizzazione delle novità relative alla formazione degli RSPP e degli addetti ai lavori in quota, lentezze derivanti anche da regole istituzionali di concertazione normativa tra Stato e Regioni, ma che prolungano per anni regimi transitori lasciando nell’incertezza operativa per prime le imprese ma anche gli enti bilaterali e gli stessi organi di vigilanza;
– in edilizia esiste un altro soggetto responsabilizzato nel campo della sicurezza dei lavoratori ed è il committente sia pubblico che privato. La formazione di tale soggetto, in particolare quella della figura del coordinatore, è da migliorare, per prima cosa stabilendo verifiche finali di idoneità. Enti e istituzioni competenti hanno qui comunque un vasto campo su cui investire insieme, dando priorità ai settori come quello dei committenti privati e delle piccole amministrazioni pubbliche, dove campagne di informazione su compiti, obiettivi e procedure possono essere di notevole utilità.

Le malattie professionali nell’edilizia
Le malattie professionali del settore costruzioni sono prevalenti tra quelle riconosciute dall’Inail, ma, come evidenziato dal dibattito sulla problematica relativa sia alla riconoscibilità del nesso causale sia alla capacità di emersione di tale fenomeno, si tratta comunque di una dimensione comunemente ritenuta sottostimata.
Di seguito sono riportate citazioni da «Dati Inail» sulla materia:
«Non solo infortuni nelle Costruzioni. Ogni anno nel settore vengono riconosciute oltre un migliaio di malattie professionali e di queste quasi la metà ha diritto ad un indennizzo economico. Rispetto al complesso dell’Industria e Servizi, sia le patologie riconosciute che quelle indennizzate si attestano intorno al 15%, una quota che indica una concentrazione relativamente elevata per il settore, che in termini di addetti rappresenta invece poco meno del 10%. Delle malattie riconosciute, la maggior incidenza è data dalle ipoacusie da rumore che rappresentano oltre il 60% del totale. Tale dato conferma quello generale che individua nella predetta patologia quella di maggior riscontro in assoluto. Tra le malattie tabellate oltre il 20% è dato dalle malattie cutanee, in ragione del gran numero di sostanze chimiche presenti nei materiali comunemente in uso nel settore edile, in grado di indurre sensibilizzazione e/o effetti irritativi con manifestazioni cliniche a livello cutaneo di tipo cronico. Tra le non tabellate, si assiste negli ultimi anni ad un progressivo aumento delle patologie da sovraccarico biomeccanico da movimenti ripetuti (sindrome del tunnel carpale, altre neuropatie periferiche, l’artrosi e le malattie dei tendini) che costituiscono attualmente circa il 20% del totale. C’è da sottolineare, infine, come nel settore Costruzioni sussista ancora un numero limitato (una decina di casi l’anno) di indennizzi per neoplasie asbestocorrelate (mesoteliomi), che rappresentano circa il 2% del complesso dell’Industria e Servizi, in ragione della riconosciuta possibilità di esposizione all’amianto per i lavoratori appartenenti al comparto edile, in particolare per gli addetti alle costruzioni stradali e alle opere di demolizione di fabbricati edificati in passato, quando si faceva largo uso di tale materiale. (Silvia Naldini)».




CASI DI MALATTIA PROFESSIONALE RICONOSCIUTI E INDENNIZATI NEL SETTORE COSTRUZIONI PER TIPO DI MALATTIA - ANNI EVENTO 2001 - 2004
TIPO DI MALATTIA 2001 2002 2003 2004
Totale riconosciute Indennizzate Totale riconosciute Indennizzate Totale riconosciute Indennizzate Totale riconosciute Indennizzate
Totale malattie tabellate
di cui:
649 286 497 244 385 193 210 105
- Ipocusia e sordità 404 117 286 93 209 78 96 26
- Malattie cutanee 145 97 102 70 93 67 78 50
- Osteoarticolari 35 24 26 22 31 17 10 8
- Neoplasie da asbesto 10 10 15 15 7 7 8 8
Totale malattie non tabellate
di cui:
480 220 628 234 641 258 381 165
- Ipocusia 322 115 431 102 433 120 251 77
- Malattie dei tendini 46 33 62 38 59 43 42 30
- Sindrome del tunnel carpale 18 13 24 20 41 28 25 13
- Artrosi ed affezioni correlate 15 12 16 15 12 9 11 10
- Altre neuropatie periferiche 10 6 18 9 17 11 8 5
TOTALE 1.129 506 1.125 478 1.026 461 591 270

N.B. Per gli anni più recenti (in particolare il 2004) causa i tempi tecnici di definizione necessariamente prolungati, sussistono ancora quote consistenti di casi in corso di definizione: pertanto i dati sono da ritenersi ancora incompleti


Peraltro sono pochi gli studi e le pubblicazioni specifiche, in quanto, per l’elevatissimo numero di infortuni gravi e mortali del settore, si tende a considerare gli aspetti legati alla sicurezza come l’unica emergenza presente, trascurando gli effetti negativi sulla salute di un lavoro svolto spesso in condizioni di elevata criticità (lavoro in esterno, lavoro in altezza, lavoro in cava, esposizione ad agenti fisici, chimici e cancerogeni, ecc.).
Il recupero dei dati e delle criticità, oltre che dai resoconti delle audizioni, sono scaturiti dallo studio delle seguenti pubblicazioni:
Rapporto Inail 2004 anche con dati pregressi e di tendenza
Rapporto Ispesl-Regioni 2005 su Malattie Professionali «Malprof»
Studi e ricerche specifiche di settore di tipo innovativo:
Restauro artistico – G. Tarsitani, Dir. Ist. Scienze di Sanità Pubblica «La Sapienza»
Patologia cutanea di origine professionale-Inail
Traumi da sforzi ripetuti in edilizia-Inail
Esposizione a polveri aerodisperse nel comparto estrattivo del Lazio-Ispesl
Malattie da lavoro in edilizia – CPT e Asl Bergamo
Sorveglianza Sanitaria in edilizia – Gruppo lavoro Regione Lombardia
I tumori professionali in edilizia – G. Assennato, Ordinario Igiene Industriale – Uni Bari
Malattie professionali tra lavoratori edili – Quaderni di Medicina Legale del Lavoro, Inca
Differenze nella salute tra professioni – La Medicina del Lavoro, vol. 96, 2005
È allarmante il fenomeno di sottodenuncia delle malattie professionali, per giunta in estensione, occorre quindi analizzare attentamente le cause per rimuoverle. In particolare sembrano emergere alcuni elementi che sostengono la sottodenuncia: la ricattabilità del lavoratore, le procedure ambigue per la denuncia, l’assenza di serie sanzioni per la mancata denuncia della malattia professionale, la scarsa libertà dei Medici Competenti, i medici di medicina generale non hanno competenze e sensibilità per la ricerca della causa professionale nelle malattie diagnosticate ai propri assistiti, i costi per la certificazione sono esosi e comunque non coerenti con la normativa vigente che prevede che il lavoratore non abbia costi per la sua salute legata al lavoro, manca una banca dati attendibile e una percezione della tendenza a medio e lungo periodo, nonostante l’Inail soccomba in giudizio in più della metà dei casi presentati, l’Istituto tende a non riconoscere il nesso causale della maggioranza delle cause avviate, senza considerare l’utilizzo distorto dei valori limite (TLV) che l’Inail attiva per il mancato riconoscimento delle patologie professionali, le pressioni che il mondo economico riversa sulla comunità scientifica per la definizione dei nessi causali soprattutto sulla cancerogenicità di alcune sostanze o elementi.
È esemplificativo l’iter della normativa comunitaria Reach sulle sostanze pericolose che non riesce a concludersi ancora in modo coerente con i principi di precauzione per la tutela della salute.
Eppure i recenti studi dimostrano in modo inequivocabile come l’aspettativa di vita e l’aspettativa di vita in buona salute sia strettamente legata alla professione svolta, che determina un differenziale anche importante se si prendono in considerazione i casi estremi (due anni di aspettativa in meno per operai rispetto a manager). E i costi relativi all’assistenza sanitaria per le persone non autosufficienti a causa del lavoro non sono sufficientemente valutati come risparmiabili.

Alcune priorità
Per evidenziare la problematica si intendono segnalare al legislatore alcune evidenze scaturite in parte dalle audizioni in parte dalla letteratura scientifica:
1. è necessario fornire strumenti per l’individuazione dei pericoli, rischi e azioni di prevenzione per alcune mansioni (es.: restauratori di beni artistici) anche attraverso linee guida di parte Istituzionale, che forniscano un tracciato operativo per datori di lavoro e lavoratori autonomi. Sono ad esempio da considerare fondamentali le procedure individuabili verso agenti biologici (quali spore e forme vegetative aerodiffuse); la sorveglianza sanitaria su protocolli standardizzati per mansioni e professioni e la tenuta delle relative cartelle sanitarie anche per gli autonomi e indipendentemente dall’azienda per la quale si opera; la formazione alla sicurezza estesa ad ogni forma di contratto di lavoro;
2. sono generalmente trascurati i danni cutanei da esposizione solare, da punture, da contatto con sostanze chimiche, con fibre vetrose, con agenti biologici che sono costituiti prevalentemente da dermatosi a decorso clinico discontinuo. Durante la fase di acuzie il lavoratore assicurato ha diritto all’indennità per inabilità temporanea assoluta ma, trascorso tale periodo, il soggetto è tenuto a riprendere il lavoro e quindi il contatto con le sostanze scatenanti la recidiva, mentre la rendita per inabilità assoluta permanente ricorre solo nel caso si possa dimostrare la cronicizzazione della patologia. Sarebbe utile una normativa specifica per tali patologie che sostenesse l’aspetto prevenzionistico e facilitasse, in caso di fallimento, il passaggio del lavoratore ad altra professione prima dell’instaurarsi della fase cronica;
3. esiste una tendenza alla sottovalutazione dei danni da sforzi ripetuti in edilizia, per l’accettazione supina della fatica e della relativa infermità, accompagnata da un’alta soglia di sopportazione del dolore generalmente presente tra i lavoratori del settore. «Il sovraccarico biomeccanico dell’organismo e degli arti superiori in particolare viene vissuto dalle maestranze dell’edilizia come un ineludibile compagno di lavoro ... Si ritiene indispensabile, per realizzare un effettivo intervento prevenzionale, la attenta valutazione dei rischi da sforzi ripetuti [e l’attivazione di ogni tipo di misura che possa alleviare la fatica fisica], l’introduzione degli accertamenti sanitari per questo tipo di patologia nell’ambito della sorveglianza sanitaria, ... l’accrescimento della sensibilità complessiva del comparto delle costruzioni ... attraverso attività di informazione e formazione» per una diagnosi precoce e per instaurare comportamenti e standard operativi idonei a prevenire il danno da sforzo;
4. gli studi sulla polverosità in ambiente di cava e impianti di frantumazione e vaglio restituiscono livelli di esposizione alti e molto alti anche a causa della movimentazione dei materiali attraverso nastri trasportatori.
«Un possibile intervento mitigativo può essere indirizzato verso l’irrigazione con acqua sia del sito su cui insiste il materiale sia del materiale stesso. Una seconda opportunità può essere fornita ... da una copertura atta a evitare la dispersione di polvere durante il trasporto, con bagnatura di materiali in caduta... Nei laboratori si raccomanda la costante bagnatura del pezzo in lavorazione, l’utilizzo di utensili manuali dotati di aspirazione, la compartimentazione delle attività e la presenza di sistemi di aspirazione localizzata (cappe o banconi aspiranti)». Mancano indicazioni circa la dispersione delle polveri nell’ambiente circostante, che andrebbero inserite in apposita normativa;
5. esiste una sottostima dei danni da vibrazioni che la recente normativa dovrebbe colmare, ed invece impone TLV (Valori Limiti di Esposizione) più alti;
6. va prevista l’estensione della vaccinazione antitetanica a tutti gli operatori di cantiere, all’epatite A e antileptospira (oltre a misure di protezione) se addetti a servizi di bonifica in ambiente malsano;
7. per quanto riguarda i tumori professionali, coibentatori, asfaltisti, saldatori e molte altre mansioni sono a rischio «molto rilevante» (stima definita dal progetto CAREX). Per perfezionare la stima degli esposti occorre ricollegare i dati del Registro tumori, i registri regionali sulla mortalità, i casi di ricovero ospedaliero per tumore, i dati Inps (codici ATECO). Va inoltre previsto un sistema di rilevazione delle possibili cause professionali presso i Medici di Medicina Generale (Medici di Base), opportunamente inserito in un sistema informatizzato. Va inoltre realizzato il registro degli esposti all’amianto, così come già normato, prevedendo l’istituzione di ulteriori registri per esposizioni ai diversi cancerogeni, in particolare quelli Non Dose Correlati, mutageni e teratogeni;
8. attivare il monitoraggio sugli scostamenti tra le malattie segnalate al Registro Nazionale e le malattie denunciate all’Inail, previsto dalla circolare Inail «Armonizzazione tra segnalazioni ex art 139 e denunce ex art 53 del TU», dove si individuano, tra le cause, «la scarsa attenzione che i medici curanti (compresi gli ospedalieri) prestano alla anamnesi lavorativa del malato, in quanto la loro attività è finalizzata principalmente alla cura; l’insufficiente conoscenza dei fattori di rischio presenti nel lavoro, che presuppone informazioni specialistiche di medicina del lavoro, di medicina legale o di igiene industriale non sempre disponibili tra gli operatori sanitari di base; la scarsa propensione dei lavoratori, soprattutto se poco qualificati, a denunciare all’Inail malattie non gravi, che potrebbero mettere a rischio la permanenza del posto di lavoro, in quanto le loro mansioni potrebbero essere giudicate incompatibili con la malattia riconosciuta dall’Inail; gli ostacoli frapposti dai datori di lavoro, che temono l’azione di regresso dell’Inail (oltre che quella penale)».

Amianto
È noto che l’amianto è un minerale naturale a struttura fibrosa che per le sue ottime proprietà fonoassorbenti e termoisolanti, oltre che per l’economicità, è stato largamente utilizzato in passato in innumerevoli applicazioni industriali ed edilizie.
In tali prodotti le fibre si possono presentare sia libere o debolmente legate sia fortemente legate; nel primo caso si parla di amianto in matrice friabile, nel secondo, invece, di amianto in matrice compatta (come il cemento- amianto o il vinyl-amianto). Con il tempo, però, tale materiale si è rivelato nocivo per la salute dell’uomo data la sua proprietà di rilasciare fibre che, se inalate, possono provocare patologie gravi ed irreversibili a carico dell’apparato respiratorio (asbestosi, carcinoma polmonare) e delle membrane sierose, principalmente la pleura (mesoteliomi). L’amianto è quindi sicuramente pericoloso quando può disperdere le sue fibre nell’ambiente circostante.
Riconosciuta la pericolosità di questo minerale la legge 27 marzo 1992, n. 257, ha dettato norme per la cessazione dell’impiego e per il suo smaltimento controllato e il censimento degli edifici nei quali sono presenti materiali o prodotti contenenti amianto libero o in matrice friabile, con priorità per gli edifici pubblici, per i locali aperti al pubblico o di utilizzazione collettiva e per i blocchi di appartamenti.
Finora sono pochi i Comuni, le Province e le Regioni che hanno eseguito o fatto eseguire un censimento diffuso dei manufatti contenenti amianto sia in edifici pubblici sia in edifici privati. È necessario premettere che la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio non comporta necessariamente un pericolo per la salute degli occupanti. Infatti, se il materiale o il manufatto nel quale sono presenti fibre di amianto si trova in buone condizioni di conservazione e non viene manomesso, il rischio di rilascio è minimo. Se però il materiale viene per qualsiasi causa danneggiato, si verifica un rilascio di fibre con conseguente rischio per la salute degli occupanti l’edificio. Il rilascio si verifica anche quando il materiale è in condizioni di degrado oppure è altamente friabile.
A causa della variegata tipologia di manufatti contenenti amianto e della loro diffusione, il censimento e la mappatura realizzati tramite l’attività ordinaria delle ASL e dell’ARPA e/o l’incentivazione all’autodichiarazione da parte dei proprietari richiederebbe una disponibilità consistente di risorse umane e strumentali con la prospettiva, comunque, di ottenere risultati modesti, come evidenziato dalle precedenti iniziative.
Si potrebbe pertanto ricorrere per le coperture in cemento-amianto, alla mappatura mediante telerilevamento da aereo (vedi Piano Regionale Amianto Lombardia).
Il censimento svolto dalle ASL o dall’ARPA, in collaborazione con i Comuni e le Province costituisce il primo elemento di conoscenza che rende possibile, la stima dei quantitativi e lo stato di conservazione dei rifiuti contenenti amianto; la valutazione del rischio; la programmazione della manutenzione e controllo dell’amianto; la mappatura georeferenziata dell’amianto presente sul territorio.
Le attività dovranno consentire una relazione annuale contenete dati statistici sulla presenza residua di amianto nelle strutture.
Sulla base dei dati del censimento, sarebbe utile istituire presso ogni ASL registri degli edifici industriali e ad uso abitativo, dismessi o in utilizzo, degli impianti, dei mezzi di trasporto e dei luoghi con presenza o contaminazione di amianto.
Il decreto del Ministero della sanità 6 settembre 1994 stabilisce che per la valutazione della potenziale esposizione a fibre di amianto del personale presente nell’edificio sono utilizzabili due tipi di criteri:
– l’esame della valutazione delle condizioni dell’installazione;
– la misura della concentrazione delle fibre di amianto aerodisperse all’interno dell’edificio (monitoraggio ambientale);
Inoltre, occorre fornire indicazioni circa l’eventuale possibilità che l’amianto possa deteriorarsi o essere danneggiato nel corso delle normali attività;
Vale a dire che in fase di ispezione visiva dell’installazione devono essere attentamente valutati:
– il tipo e le condizioni dei materiali;
– i fattori che possono determinare un futuro danneggiamento o degrado;
– i fattori che influenzano la diffusione di fibre e l’esposizione degli individui.
Attualmente, le attività considerate nel D.Lgs. n. 277/1991 in merito alla protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, riguardano:
– attività di bonifica e smaltimento di manufatti contenenti amianto che, se mal condotte, possono rappresentare fonti di inquinamento; pertanto, i cantieri temporanei e mobili ove si svolgono lavori di bonifica rappresentano ambienti di lavoro significativi per l’esposizione al rischio amianto sia che essi riguardino edifici o mezzi di trasporto e così via;
– le imprese soggette a rischio amianto derivante dallo stato di conservazione degli edifici dipendente dalle condizioni di manufatti contenenti amianto quali coperture, canne fumarie, cassoni per l’acqua, coibentazioni di tubazioni e macchinari, pavimenti vinilici, tubazioni per l’acqua potabile e per impianti fognari, tessuti e tappezzerie, pareti in lastre prefabbricate, intonaci prevalentemente di soffitti, prodotti vari e così via che, in caso di rilascio di fibre di amianto nell’aria, potrebbero arrecare un danno al lavoratore esposto.
Gli obblighi dei proprietari degli immobili e/o dei responsabili delle attività che si svolgono negli edifici (come ad esempio gli amministratori immobiliari), stabilite dal D.M. 6 settembre 1994, sono le seguenti:
– deve designare una figura responsabile con compiti e coordinamento di tutte le attività manutentive che possono interessare i materiali di amianto;
– deve tenere un’idonea documentazione da cui risulti l’ubicazione dei materiali contenenti amianto;
– deve garantire il rispetto di efficaci misure di sicurezza durante le attività di pulizia, gli interventi manutentivi e in occasione di qualsiasi evento che possa causare un disturbo dei materiali di amianto;
– deve fornire una corretta informazione agli occupanti dell’edificio sulla presenza di amianto nello stabile, sui rischi potenziali e sui comportamenti da adottare;
– nel caso siano in opera materiali friabili deve provvedere a far ispezionare l’edificio almeno una volta l’anno, da personale in grado di valutare le condizioni dei materiali, redigendo un dettagliato rapporto corredato di documentazione fotografica. Copia del rapporto dovrà essere trasmessa alla ASL competente la quale può prescrivere di effettuare un monitoraggio ambientale periodico delle fibre aerodisperse all’interno dell’edificio.
Non risulta che questi adempimenti, dopo circa dieci anni dall’emanazione del D.M. 6 settembre 1994, siano stati dappertutto rispettati, in particolare per quanto riguarda la nomina della figura responsabile per la gestione del rischio amianto e la stesura del programma di controllo e manutenzione dei manufatti contenenti amianto (solo qualche Regione, ad esempio la Regione Marche, è più attiva da questo punto di vista). Il decreto del Presidente della Repubblica 8 agosto 1994 prevede, all’articolo 1, la stesura dei Piani regionali e delle province autonome, vale a dire che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano sono tenute ad adottare, ai sensi dell’art. 10 della legge 27 marzo 1992, n. 257, i piani di protezione dell’ambiente, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica, ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall’amianto.
Molte regioni vi hanno provveduto ma poi, di fatto, molti adempimenti in essi previsti non sono stati attuati. Inoltre, non è omogenea sul territorio nazionale la risoluzione del «problema amianto» proprio perché le singole regioni lo affrontano e soprattutto lo attuano in modo diverso.
È noto che la bonifica dall’amianto, in base al D.M. 6 settembre 1994, può eseguirsi con uno dei seguenti tre interventi: rimozione, incapsulamento, confinamento. Inoltre, il suddetto decreto fissa in modo chiaro sia le modalità di svolgimento sia le attrezzature per la bonifica dai materiali friabili e di quelli compatti come le coperture in cemento amianto.
Nonostante ciò alcune ASL, nelle diverse realtà territoriali, richiedono impostazioni dei cantieri di bonifica, a volte, un po’ diverse da quelle codificate per legge. Servirebbe, invece, omogeneità di richieste da parte dell’organo di vigilanza, almeno nello stesso ambito regionale. Nel 2003 sono state introdotte nuove norme relative al conferimento in discarica dei rifiuti d’amianto o contenenti amianto, dal decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, «Attuazione della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti», e dal decreto ministeriale 13 marzo 2003, «Criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica» – quest’ultimo è stato poi sostituito dal successivo decreto ministeriale 3 agosto 2005 –.
Inoltre, a partire dal 1º gennaio 2002, è cambiata la classificazione europea per i materiali da costruzione a base di amianto; il materiale compatto contenente amianto come il cemento amianto e il vinyl amianto è ritenuto adesso rifiuto pericoloso, comportando ciò la non possibilità per l’impresa di bonifica di conferire autonomamente in discarica il rifiuto (ciò possibile solo se l’impresa è iscritta all’Albo Nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento dei rifiuti, alla categoria 5 - rifiuti pericolosi). Inoltre, ai fini dell’adeguamento della discarica alle previsioni del decreto legislativo n. 36/2003, entro il 27 settembre 2003, i gestori della discariche hanno provveduto a presentare all’Autorità competente un Piano specifico di adeguamento della discarica, incluse le garanzie finanziarie. Rimane, però, molto scarsa la presenza sul territorio nazionale di discariche autorizzate per questo tipo di rifiuti.
A tal proposito si potrebbe pensare di approfondire e sviluppare nuovi studi inerenti i processi di inertizzazione mediante fusione dei rifiuti contenenti amianto, dopo la loro fusione si ottiene un prodotto inerte, insolubile, di tipo «vetro», un impianto di tal genere è funzionante in Francia a Morcenx. Alcuni studi su tale processo sono stati svolti dal CNR ed in particolare presso l’Istituto per il Trattamento dei Minerali.
La documentazione di sicurezza che l’Impresa di bonifica da amianto è tenuta a presentare prima dell’inizio dei lavori è la seguente:
– Piano di lavoro per la rimozione dell’amianto (PdL);
– Piano operativo di sicurezza (POS).
Il Piano di lavoro da presentare prima dell’inizio dei lavori di bonifica da amianto è previsto dall’articolo 34 del decreto legislativo n. 277/ 1991. Questo articolo precisa che chi intende rimuovere materiali contenenti amianto deve predisporre un Piano di lavoro prima dell’inizio dei lavori di demolizione o di rimozione dell’amianto, ovvero dei materiali contenenti amianto, dagli edifici, strutture, apparecchi e impianti, nonché dai mezzi di trasporto. Il suddetto PdL deve essere redatto a cura dell’impresa di bonifica e deve prevedere le misure necessarie per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori nonché la protezione dell’ambiente esterno. Il citato articolo 34 prevede inoltre che copia del Piano di lavoro sia inviata all’Organo di vigilanza competente per territorio, vale a dire all’Azienda Sanitaria Locale (ASL) e precisamente al Servizio di Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro.
Oltre al Piano di lavoro, l’Impresa di bonifica è tenuta a presentare il Piano operativo di sicurezza, definito dall’articolo 2 del decreto legislativo n. 494/1996, e successive modificazioni. Esso è il documento che il datore di lavoro dell’impresa esecutrice deve redigere, con riferimento al singolo cantiere interessato, ai sensi dell’articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni.
Nella fattispecie dei lavori di bonifica da amianto il POS deve essere redatto, quindi, dal datore dell’Impresa di bonifica, vale a dire la stessa impresa che redige il Piano di lavoro ex articolo n. 34 del decreto legislativo n. 277/1991.
In base all’articolo 12 del decreto legislativo n. 494/1996, e successive modificazioni, i datori di lavoro delle imprese esecutrici sono tenuti a mettere a disposizione dei rappresentanti per la sicurezza copia sia del piano di sicurezza e di coordinamento (PSC), redatto dal Coordinatore della sicurezza per la progettazione (CSP), sia del Piano operativo di sicurezza, almeno dieci giorni prima dell’inizio dei lavori. Ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 494/1996, e successive modificazioni, prima dell’inizio dei lavori, l’impresa di bonifica deve trasmettere il proprio Piano operativo di sicurezza al Coordinatore della sicurezza per l’esecuzione (CSE). Molto spesso alcune ASL considerano il Piano di lavoro anche POS.
I due Piani, PdL e POS, fanno riferimento a due leggi diverse. Il PdL non è soggetto ad alcuna verifica di idoneità da parte del Coordinatore della sicurezza (per l’esecuzione), in quanto ciò spetta unicamente all’Organo di vigilanza (ASL). Al contrario, la verifica dell’idoneità del Piano operativo di sicurezza spetta per legge al Coordinatore della sicurezza per l’esecuzione, il quale è tenuto ad assicurarne la coerenza al Piano di sicurezza e coordinamento (art. 5 del D.Lgs. n. 494/1996, e successive modificazioni), durante la realizzazione dell’opera, il Coordinatore per l’esecuzione dei lavori è tenuto, tra l’altro, a verificare l’idoneità del POS, da considerare come piano complementare di dettaglio del Piano di sicurezza e coordinamento, assicurandone la coerenza con quest’ultimo, valutando le proposte delle imprese esecutrici dirette a migliorare la sicurezza in cantiere, nonché a verificare che le imprese esecutrici adeguino, se necessario, i rispettivi Piani operativi di sicurezza. Pertanto, la legge non prevede l’uguaglianza tra Piano di lavoro per la rimozione dell’amianto e Piano operativo di sicurezza.
È vero che molti dei contenuti dei due documenti sono simili e si sovrappongono, ma i due documenti devono essere necessariamente distinti.
Il POS riporta dati di carattere generale e il PdL riporta dati minuziosi e specifici relativi unicamente alla bonifica e allo smaltimento dell’amianto.


Verbali delle riunioni e delle audizioni informali del gruppo di lavoro «settore edile»

Riunione gruppo di lavoro «settore edile» 7 novembre 2005


Sono presenti il Coordinatore del gruppo di lavoro, senatore Pizzinato, ed i collaboratori: Bertorello, Cavalchino, D’Agostino, Ferrera, Gaglione, Leone e Marzocchella.
La riunione si svolge in due fasi: dalle ore 11 alle ore 12, discussione interna; dalle ore 12 alle ore 13, audizione informale di rappresentanti INAIL.

Discussione interna
Il Coordinatore, senatore Pizzinato, espone sinteticamente le principali problematiche relative alla questione degli infortuni nel settore edile e, tenuto conto dei tempi a disposizione del gruppo di lavoro di qui allo scioglimento delle Camere, illustra una proposta di programma di lavoro articolata in quattro direzioni:
– Raccolta ed analisi dei dati infortunistici
– Specifico problema delle cadute dall’alto
– Analisi della tipologia degli infortuni, e delle forme organizzative attraverso le quali si svolge l’attività nei luoghi di lavoro
– Malattie professionali tipiche del settore edile
Il senatore Pizzinato prospetta l’opportunità di attingere informazioni anche dai lavori della Commissione Infortuni in versione plenaria nonché dalle passate indagini compiute dalle Commissioni Lama e Smuraglia.
Inoltre, suggerisce una ricognizione sulle norme regionali in materia di edilizia.
Il senatore Pizzinato conclude indicando l’obbiettivo di produrre una relazione finale e, a tale scopo, ritiene che l’acquisizione di informazioni e dati debba concludersi intorno alla metà di gennaio, per essere seguita dalla loro elaborazione entro metà febbraio. I consulenti potranno lavorare anche in assenza di senatori.
In merito alle indicazioni fornite dal Coordinatore e a loro integrazione, intervengono i collaboratori Cavalchini, Ferrera, Gaglione, D’Agostino e Leone.
Il Coordinatore Pizzinato constata così il generale consenso allo schema da lui proposto, con l’aggiunta ai quattro temi iniziali di un quinto, inerente alla formazione finalizzata alla sicurezza. Quanto ai sopralluoghi che il gruppo di lavoro effettuerà nei cantieri, il senatore Pizzinato ritiene che sia sufficiente che vi partecipino di due o tre persone per volta e che tendenzialmente le giornate più idonee siano i lunedì.
Per le sedute del gruppo di lavoro, invece, i pomeriggi dei giovedì.

Audizione INAIL
In rappresentanza dell’INAIL, vengono ascoltati: il Consulente per l’edilizia, ing. Antonio Marra; il Direttore Centrale Prevenzione, dott. Franco Papa; la responsabile dell’area Statistica Attuariale, dott.ssa Matilde Galeotti.
L’ing. Marra, il dott. Papa e la dott.ssa Galeotti rispondono alle domande del Coordinatore e dei collaboratori del gruppo di lavoro e, in corso di audizione, consegnano documentazione – essenzialmente statistica – la quale viene acquisita dalla segreteria della Commissione Infortuni sul lavoro. Rimane stabilito altresì che la predetta documentazione verrà integrata da una sintesi scritta, a cura dell’INAIL.
Schematicamente, ecco alcuni dei punti toccati durante l’audizione:
– Circa le competenze sui luoghi di lavoro, attualmente ripartite tra molteplici soggetti, il dott. Papa suggerisce di modificare la normativa allo scopo di precisare le rispettive competenze di ciascuno ed evitare sovrapposizioni.
– La dott.ssa Galeotti spiega quali dati statistici, tra quelli richiesti dal gruppo di lavoro, l’INAIL sia in grado di fornire (tra questi, non rientrano quelli per tipo di imprese, né per organizzazione aziendale, né per ore lavorate. Su questa ultima voce, perché non ci sono controlli. In compenso, per il 2004 si hanno il numero delle aziende e quello degli addetti).
La rischiosità è più elevata nella piccola impresa. Quando si riduce la dimensione aziendale, infatti, attività di formazione e controlli vengono meno.
– Dal 2000, l’INAIL si occupa pure degli infortuni in itinere.
– Per aree geografiche, le percentuali di infortuni sono più alte al Nord quando si tratta di infortuni lievi o medi, ma le percentuali si invertono quando si tratta di incidenti mortali. Il «sommerso» infortunistico nell’edilizia è stato stimato in 14.000 infortuni non denunciati, ma è probabile che la cifra reale sia un po’ più elevata. Per l’INAIL, si definiscono mortali gli incidenti che portano alla morte della vittima nel giro di sei mesi. Tale criterio, peraltro, è diverso da quello delle statistiche europee Eurostat (che allungano il periodo ad un anno).
Numerosi altri dati si trovano nel sito Internet dell’INAIL.
– Il dott. Papa fa presente che l’INAIL non ha competenza circa le omologazioni di materiali. L’istituto ha invece anche compiti formativi e informativi (ai sensi del D.Lgs. n. 38/2000).
– Quanto alle cadute dall’alto, è in fase avanzata di codifica un nuovo sistema, denominato ESAV. Per quanto riguarda l’entrata in funzione del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) a gennaio prossimo, rivolgersi eventualmente al dottor Di Luca (Direzione Rischi).
– In materia di sub-appalti, si conviene intorno all’idea del Coordinatore Pizzinato di generalizzare un metodo oggi in uso nei cantieri navali, ossia l’obbligo di registrare i nomi dei lavoratori che entrano nei cantieri, pena il divieto di accesso. L’ingegner Marra, poi, informa che sono allo studio provvedimenti in materia di comunicazione dei dati relativi ai sub-appalti. Si vorrebbe che tutto risultasse nel «giornale di cantiere».
– Il problema della formazione dei lavoratori riguarda tutti, ma soprattutto gli extracomunitari, che nell’edilizia sono numerosi. Per gli stranieri, si pone anche il problema della lingua, poiché molti di loro non sanno leggere cartelli di avviso.
– Sui tempi di rimborso, vi era stato un protocollo d’intesa con la Regione Lazio, ora non più attivo.
– La legge cosiddetta «Biagi-bis» non viene ancora tenuta in considerazione dall’INAIL, perché i relativi decreti di attuazione non sono ancora stati emanati.
– L’INAIL risarcisce i lavoratori anche se al momento dell’infortunio il datore di lavoro non li aveva messi in regola.

Riunione gruppo di lavoro «settore edile» 15 novembre 2005

La riunione ha inizio alle ore 15.
Sono presenti il Coordinatore del gruppo di lavoro, senatore Pizzinato, i senatori De Rigo e Florino, ed i collaboratori Cavalchini, Cossero, D’Agostino, Ferrera, Gaglione, Leone, Marzocchella e Vitale, ai quali si aggiunge la signora Roccatani (collaboratrice della Commissione ma non del gruppo di lavoro «settore edile»).
Il Coordinatore, senatore Pizzinato, riassume le linee del programma di lavoro discusse nella precedente occasione e sintetizzate nei relativi promemoria, già distribuiti ai componenti ed ai collaboratori del gruppo di lavoro. Lo schema proposto dal Coordinatore viene approvato, con un’integrazione suggerita dal senatore Florino e fatta propria dal Coordinatore Pizzinato: saranno oggetto di indagine del gruppo di lavoro «settore edile» anche i cantieri abusivi ed illegali.
Successivamente, il Coordinatore Pizzinato pone altre due questioni:
1) l’analisi della documentazione acquisita fino ad oggi (e che lo sarà in futuro) dalla Commissione e dal gruppo di lavoro, con particolare riferimento alla ripartizione delle singole materie tra i collaboratori del gruppo;
2) il calendario delle prossime audizioni.
Si apre la discussione, nella quale intervengono i senatori De Rigo e Florino, ed i collaboratori Cavalchini, Gaglione, Leone, Cossero, D’Agostino e Vitale.
Si stabilisce così che i principali filoni di approfondimento individuati dal gruppo di lavoro vengano seguiti rispettivamente da:
– Organizzazione sui luoghi di lavoro: D’Agostino, Marzocchella, Vitale e (parzialmente) Cavalchini;
– Formazione per la sicurezza: Leone, Cavalchini
– Cadute dall’alto: Cossero, Gaglione
– Malattie professionali dell’edilizia: Cossero.
Dal canto suo il collaboratore Ferrera, in quanto avvocato, fornirà assistenza sull’uno o sull’altro tema, a seconda delle necessità. Ciascun collaboratore potrà personalmente attivarsi per acquisire documentazione da versare all’archivio della Commissione e dei gruppi di lavoro.
Resta inteso che i collaboratori potranno passare da una tematica all’altra, previa comunicazione al Coordinatore ed alla segreteria della Commissione (*).
Per quanto concerne le audizioni, su indicazione del Coordinatore Pizzinato si decide di dare la precedenza a:
– Carabinieri, nucleo speciale presso Ministero del Lavoro
– ASL «Roma B»
– CNCE (Coordinamento Nazionale Casse Edili) e CNCPT (Coordinamento dei Comitati Paritetici Territoriali)
In un secondo tempo si procederà ad ulteriori audizioni, con le quali verranno ascoltati i rappresentanti di ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili), ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), ISPESL e Patronati (secondo un ordine ancora da definire).
Infine, quanto al calendario dei lavori, si decide che di regola le sedute del gruppo di lavoro si terranno di martedì alle ore 14.00, ovvero a ridosso delle sedute plenarie della Commissione. Ciò vale a partire dalla prossima seduta del gruppo, martedì 22 novembre p.v. (nella quale sono previste le audizioni elencate sopra), che si svolgerà appunto alle ore 14.00.
La riunione termina alle ore 16,15.
——————————
(*) Il collaboratore Bertorello, che non era presente alla riunione, al momento risulta libero da incarichi specifici.

Riunione gruppo di lavoro «settore edile» 22 novembre 2005

La riunione ha inizio alle ore 14.
Sono presenti il Coordinatore del gruppo di lavoro, senatore Pizzinato, i senatori De Rigo e Florino, ed i collaboratori Bertorello, Cavalchini, Cossero, D’Agostino, Leone e Marzocchella, ai quali si aggiunge la dottoressa Napoletano (collaboratrice della Commissione ma non del gruppo di lavoro «settore edile»).
Il Coordinatore Pizzinato introduce l’audizione, parlando dei compiti del gruppo di lavoro «settore edile» – che svolgerà audizioni e raccoglierà dati fino al mese di dicembre compreso, per poi dedicarsi all’elaborazione delle informazioni acquisite – e mette l’accento sul problema degli incidenti mortali per cadute dall’alto.
La parola passa al Nucleo Carabinieri presso l’Ispettorato del lavoro, rappresentato dal suo comandante, colonnello Annichiarico, e dal maggiore Coppola. Il colonnello Annichiarico illustra una relazione scritta sulle attività del Nucleo (il testo, consegnato in copia ai senatori presenti, viene acquisito dalla segreteria, che provvederà a metterlo agli atti della Commissione). Nella sua esposizione, il colonnello Annichiarico fornisce dati statistici relativi sia al fenomeno infortunistico, sia agli apparati dei Carabinieri preposti a contrastarlo. Inoltre, descrive alcune delle modalità operative quotidianamente applicate, e avanza una serie di proposte; tra queste, l’individuazione di un unico organismo di coordinamento delle attività in materia di sicurezza, la costituzione di una banca-dati e di un numero verde, la consegna a ciascun lavoratore di un tesserino elettronico contenente i suoi dati previdenziali e assicurativi, l’esclusione delle ditte inadempienti dagli appalti, l’introduzione di un sistema di incentivi fiscali ai fini della sicurezza, l’obbligo di quantificazione delle spese sostenute per la sicurezza.
A domanda del senatore Pizzinato, il colonnello Annichiarico risponde che il Nucleo Carabinieri non ha mai effettuato specifici studi sulla questione delle cadute dall’alto, ma all’occorrenza potrebbe farlo.
Seguono domande del senatore Florino e, di nuovo, del Coordinatore Pizzinato, alle quali rispondono sia il colonnello Annichiarico che il maggiore Coppola. Esse vertono principalmente sui cantieri abusivi, sul «caporalato», sul DURC (a proposito del quale si suggeriscono modifiche alla normativa, tali da imporre verifiche ed aggiornamenti delle situazioni iniziali dei cantieri, mese per mese).
Il Coordinatore Pizzinato dichiara chiusa la parte dell’audizione riguardante il Nucleo Carabinieri e introduce le tematiche inerenti alle attività della ASL Roma «B», che sono oggetto della restante parte dell’audizione.
Interviene il dottor Rovetta, direttore del servizio prevenzione e vigilanza della citata ASL. Il dottor Rovetta, per prima cosa, fa presenti le carenze di organico della sua ASL e le loro conseguenze rispetto alla sorveglianza dei cantieri. Più avanti, egli parla di una positiva esperienza di collaborazione tra ASL Roma «B» e Direzione Provinciale del Lavoro. Il dottor Rovetta dichiara che i problemi della sicurezza sono più frequenti nelle piccole imprese e nei sub-appalti, che gli infortuni riguardano spesso lavoratori extracomunitari, e prospetta le peculiari difficoltà – linguistiche e non – delle ispezioni compiute presso questi ultimi, specialmente tra i gruppi di nazionalità cinese.
Quanto alle cadute dall’alto, spesso esse avvengono da scale ed automezzi, non da tetti, e nella maggioranza dei casi sono dovute a comportamenti imprudenti e procedure inadeguate, per mancanza di formazione professionale pregressa.
A proposito dei DURC, Rovetta osserva che sovente si tratta di certificazioni formali non corrispondenti alla realtà. Secondo Rovetta, di solito dopo il rilascio delle concessioni edilizie gli enti locali esercitano una sorveglianza troppo blanda sui cantieri privati. Egli suggerisce, sulla base di un’esperienza in corso a Latina, che i vigili urbani o i Carabinieri – in quanto dotati del potere di identificare le persone – entrino nei cantieri e comunichino i nominativi dei presenti a INPS e INAIL e che, qualora i lavoratori non risultino iscritti, si revochino le concessioni edilizie ai cantieri nei quali sono impegnati.
Molti incidenti sono causati da motivi banali, che non hanno risvolti economici, e sarebbero evitabili mediante un’attività preventiva di formazione.
Rovetta propone perciò l’istituzione di un «libretto formativo», rilasciato da organismi pubblici, che attesti la frequentazione di corsi di formazione.
L’opportunità della formazione risalta specialmente nel campo dei restauri edilizi, spesso svolti da lavoratori qualificati e perciò probabilmente molto ricettivi, se adeguatamente istruiti. Inoltre, sarebbe opportuno che fossero escluse dagli appalti pubblici le imprese presso le quali siano state reiteratamente accertate irregolarità, senza attendere sentenze giudiziarie definitive, le quali richiedono tempi assai lunghi.
Per quanto riguarda l’amianto e i rischi per i lavoratori addetti alla sua rimozione, negli ultimi anni la situazione va migliorando.
Dopo il dottor Rovetta, interviene l’ingegner Baron, responsabile della vigilanza nell’edilizia. (sempre della ASL Roma «B». Baron si sofferma sulle cadute dall’alto, e consegna anche un appunto scritto in materia, che viene acquisito agli atti della Commissione. Le cadute dall’alto, al giorno d’oggi, non dipendono da mancanza di ponteggi o di altre opere provvisionali come invece in passato. Spesso, piuttosto, il fenomeno è causato da spostamenti di materiali, incaute rimozioni, eccetera, che avvengono nei passaggi attraverso le varie fasi della lavorazione (da quelle essenziali alle rifiniture e, infine, alle ultimazioni). Molte cadute mortali sono dovute a movimento di mezzi, operazione delicata cui non sempre si presta la necessaria attenzione.
Nel settore privato si fa ben poca prevenzione, anche perché attraverso i sub-appalti ci si affida a lavoratori autonomi anziché a lavoratori a libro-paga.
Il Coordinatore Pizzinato ringrazia gli intervenuti e dichiara conclusa l’audizione. Successivamente, breve scambio di opinioni tra i componenti ed i collaboratori del gruppo di lavoro. Il Coordinatore Pizzinato invita i collaboratori a cominciare ad elaborare le risultanze acquisite nel corso delle audizioni. Infine, il gruppo di lavoro stabilisce di riunirsi nuovamente martedì 29 novembre p.v., alle ore 14.00, per procedere alle audizioni di:
– ANCE (Associazione Costruttori)
– ISPESL
– Patronati (ivi compresi UGL ed artigiani)
– CNCE
– CNCPT
La riunione termina alle ore 16,15.

Riunione gruppo di lavoro «settore edile» 29 novembre 2005

La riunione ha inizio alle ore 14.
Sono presenti il Coordinatore del gruppo di lavoro, senatore Pizzinato, ed i collaboratori Bertorello, Cavalchini, Cossero, D’Agostino, Gaglione e Marzocchella.
Il Coordinatore Pizzinato introduce la prima parte dell’audizione, nella quale vengono ascoltati rappresentanti della Associazione Nazionale Costruttori Edili (ANCE) e dello ISPESL.
L’ingegner Tritto della ANCE, invitato dal senatore Pizzinato a prendere la parola, comincia dalla questione delle cadute dall’alto. Norme regolatrici delle attrezzature provvisionali comunemente usate (ponteggi, trabattelli, scale e funi) esistono, ma non sempre sono rispettate. In materia di sicurezza, la ANCE partecipa a comitati paritetici territoriali con le organizzazioni sindacali e collabora in varie forme con Ministero del Lavoro, Inail, Ispesl ed alcune università. Inoltre, di recente ANCE ha creato una Agenzia nazionale per la cultura della sicurezza nell’edilizia.
La normativa europea (Dir. 2001/45) ed italiana (DLgs. 235/2003) disciplinano le attrezzature per il lavoro in quota, la scelta delle quali spetta al datore di lavoro, che deve valutare il rischio e selezionare strumenti adeguati. Per i ponteggi, oltre al fondamentale D.P.R. 164 del 1956, vige l’obbligo di redigere un piano di montaggio e smontaggio (PIMUS), posto in capo al datore di lavoro. Il Ministero avrebbe dovuto fornire linee- guida per il PIMUS, ma non lo ha ancora fatto. Il montaggio e lo smontaggio dovrebbero essere materia di corsi di formazione appositi che, però, non sono stati ancora allestiti perché la Conferenza Stato-Regioni non ha ancora provveduto ai necessari adempimenti.
ANCE ha scritto linee-guida per i lavori in quota in Italia (tra cui monografie dedicate rispettivamente a ponteggi, scale, funi, trasporti di materiali), partecipa alla preparazione di analoghi testi a livello europeo, e nel 2004 ha ricevuto un premio per buona pratica.
Complessivamente, quanto alle cadute dall’alto, la situazione è meno grave che in passato.
L’organizzazione dei cantieri è anch’essa regolamentata, ma non può esserlo più di tanto, poiché ogni cantiere ha le sue peculiari caratteristiche.
La cosiddetta direttiva cantieri (494) e il D.P.R. 222/2003 prescrivono che per l’area del cantiere ci sia un coordinatore. Il piano operativo della sicurezza compete all’impresa. Il committente è coinvolto nella gestione della sicurezza.
Anche nel campo dell’organizzazione dei cantieri sono stati fatti progressi, insomma, sia pure a prezzo di costi crescenti. Non tutti sanno stimare i costi per la sicurezza.
Le malattie professionali dell’edilizia diminuiscono. In ordine di diffusione, ipoacusia e sordità sono in testa, seguite da malattie cutanee (specie nell’edilizia di restauro) e patologie osteo-articolari (su questo ultimo punto, esiste un DLgs., chiamato «direttiva-vibrazioni»). Le neoplasie da lavori a contatto con asbesto sono in calo (l’amianto fu bandito nel 1991). ANCE ha compiuto studi sui rischi connessi al rumore, che sono stati riconosciuti dal Ministero del Lavoro e utilizzati quali riferimenti per la normativa in materia.
La dottoressa Sassi, sempre dello ANCE, parla della formazione per la sicurezza. Ella accenna al sistema paritetico che si articola nei CNCPT ed illustra l’attività delle scuole edili (98 in tutta Italia), che per il 40% riguarda la sicurezza. I corsi vanno da un minimo di 8 ore ad un massimo di 120. Il tema della sicurezza è entrato nel rinnovo contrattuale, ed è presente a livello di contrattazione territoriale.
I lavoratori extracomunitari – che sono in aumento, specie ai livelli più bassi – sono i più soggetti ad infortuni. I corsi per loro sono non soltanto tecnico-professionali, ma anche linguistici. Le scuole edili, secondo la legge Bossi-Fini, tengono pure corsi nei Paesi di origine dei lavoratori extracomunitari, che dovrebbero dare un diritto di prelazione a chi li ha frequentati, ma i relativi decreti attuativi non sono ancora stati emanati. In generale, per la partecipazione ai corsi di formazione si rilasciano attestati di frequenza.
Si attendono decreti attuativi anche in ordine alla modulistica della comunicazione delle assunzioni. Dal 2002, c’è un generale accordo sul fatto che la comunicazione debba avvenire il giorno prima della assunzione.
Il senatore Pizzinato, a questo punto, pone domande su vari punti tra i quali: il coordinamento nei cantieri, con particolare riferimento alla figura del coordinatore degli stessi; gli effetti degli appalti al ribasso sulla sicurezza; i rappresentanti per la sicurezza; i controlli; l’opportunità o meno di prevedere un tesserino di regolarità per l’accesso ai cantieri.
Sui controlli, la dottoressa Sassi si richiama alle verifiche svolte dai CPT; sulla formazione, aggiunge dettagli sulle scuole edili; circa il tesserino, nella prassi delle grandi opere esistono accordi in tal senso, ovvero protocolli, e tali esperienze potrebbero essere diffuse; i rappresentanti della sicurezza sono contemplati nei suddetti protocolli. Sul coordinamento nei cantieri, il dottor Tritto osserva che ai sensi della direttiva 494 sono responsabilità del committente, mentre l’impresa deve adeguare il piano di sicurezza ai mutamenti intervenuti. Comunque, si svolgono riunioni periodiche tra il coordinatore del cantiere ed i rappresentanti delle imprese e dei lavoratori. Gli RLS ricevono i piani elaborati dal coordinatore e, volendo, possono suggerire emendamenti. In ogni caso, il responsabile della sicurezza è il coordinatore, non il direttore del cantiere. Le due figure possono coincidere in una sola persona, ma non è detto. I responsabili della sicurezza sono scelti dal committente, ma devono possedere determinati requisiti. I decreti attuativi del 195/2003 non sono ancora pronti. Il problema del ribasso d’asta è risolto dal fatto che esso è vietato sui costi per la sicurezza i quali, anzi, sono scorporati dagli altri costi. La formazione per i lavori in quota viene erogata dai datori di lavoro, fino a quando non uscirà un decreto attuativo in materia.
Il senatore Pizzinato dà la parola ai rappresentanti dello ISPESL.
Interviene l’ingegner Cianotti, responsabile del Dipartimento Teconologia e Sicurezza Ispesl. Egli illustra i compiti e le attività del suo Dipartimento, aggiungendo che numerose ricerche sono svolte in collaborazione con le parti sociali e le Regioni o nell’ambito di comitati tecnici del CEN (studi finalizzati ad elaborazione di norme europee, classificazioni e standard ISO, eccetera). In proposito, cita la recente norma EN/74 (tubi e ponteggi).
Le norme tecniche danno la presunzione di conformità delle attrezzature, e consentono così il libero scambio di prodotti.
Le buone pratiche sono altresì importanti e, purtroppo, in questo campo si è più arretrati. Pertanto Ispesl ha elaborato linee-guida sull’uso delle attrezzature. Tra queste, le linee-guida sui sistemi di trattenuta contro le cadute dall’alto, che sono state autonomamente recepite dalla Regione Toscana e sono prese in esame ai fini delle prossime norme UNI (altre Regioni non le hanno recepite, ma non vi erano obblighi in tal senso). Ispesl, nominato organo di accertamenti tecnici sulle macchine per effetto del D.P.R. 459/96 (c.d. Direttiva macchine), dal 1997 in poi ha effettuato circa 1.500 accertamenti nei cantieri. Presto uscirà una nuova «Direttiva macchine», che dovrebbe ridurre i rischi connessi al montaggio e smontaggio di opere provvisionali. È in vigore una convenzione tra Ministero e Ispesl per i controlli sulle autorizzazioni relative ai ponteggi.
In Italia non ci sono banche-dati adatte ai fini della prevenzione, mentre in Francia e altrove sì (ispettori del lavoro, che trasmettono al Ministero).
Quelle Inail non parlano della dinamica degli incidenti. Sei Regioni stanno facendo un esperimento di banca-dati per l’agricoltura, ma su basi volontarie. Tale allestimento non passa attraverso Inail, e comprende pure gli infortuni occorsi durante attività hobbistiche. Ispesl rileva la necessità di uno specifico addestramento dei lavoratori che operano sui ponteggi e che manovrano le macchine di sollevamento.
La Regione Veneto lo ha fatto. È opportuno che i corsi si concludano con il rilascio di attestati.
Interviene poi l’ingegner Cortis, anch’egli dello Ispesl, il quale afferma che la sicurezza dipende dalle caratteristiche dei prodotti, dall’uso che se ne fa e dalla perizia di chi li usa. Contro le cadute dall’alto, occorrono mezzi di protezione collettiva oltre che individuale. Ispesl ha approfondito le ricerche sulle cinture di trattenuta e sugli effetti delle trattenute, che oggi sono pesanti e che si spera di attenuare. Analoghi studi si svolgono a livello CEN. Sono in corso ricerche particolari calibrate sul modello delle piccole e medie imprese.
A domanda del senatore Pizzinato, l’ingegner Cianotti chiarisce che ISPESL è competente sui materiali per opere provvisionali (ponteggi e simili), non sui materiali di costruzione.
Sia ANCE che ISPESL, infine, consegnano documentazione, che viene acquisita. Il senatore Pizzinato ringrazia i rappresentanti di ANCE e ISPESL, li congeda, e si passa alla seconda parte dell’audizione, relativa ai comitati paritetici, ai patronati sindacali e alle associazioni artigianali.
Il dottor Turri, Vicepresidente dei CNCPT, descrive compiti ed attività della sua organizzazione. Sulla formazione, in particolare, nel 2004 si sono tenuti 1.500 corsi, che hanno interessato circa 30.000 lavoratori. La formazione abbraccia tutti i profili della sicurezza e tutte le figure professionali.
La formazione è erogata sia direttamente che da enti-scuola presso le Regioni, certificati a livello europeo. Lavorano per il CNCPT tecnici pagati con contributi di lavoratori e di imprese. Si sta costituendo una banca-dati dei controlli. CNCPT, che già collabora con Casse edili e con enti-scuola, desidererebbe collaborare anche con ASL, ISPESL ed altre istituzioni, al fine di realizzare un sistema integrato. Il dottor Turri, inoltre, informa di una convenzione tra CNCPT e INAIL mirante a fare formazione in loco nei piccoli cantieri, grazie ad un camper itinerante appositamente attrezzato, che sta dando buoni risultati.
A sua volta l’ingegner Di Camillo, sempre dei CNCPT, aggiunge dettagli sui corsi di formazione ed accenna a due pubblicazioni CNCPT su aspetti non normati. Inoltre preannuncia corsi su montaggio e smontaggio di ponteggi.
Il dottor Bottazzi, della INCA-CGIL, anticipa che in futuro saranno disponibili utili dati INPS, la cui raccolta è cominciata. Egli rileva la diffusione delle patologie della colonna vertebrale, sebbene in Italia meno riconosciute che all’estero. Frequenti pure le ipoacusie (più che nel resto dell’Europa). Cita studi Inail sulle patologie del sistema mano-braccio, e ricorda che i lavoratori i quali accusano disturbi vanno più soggetti ad infortuni.
Il dialogo con i lavoratori extracomunitari presenta serie difficoltà linguistiche. A causa di queste ultime, per loro gli attuali corsi di formazione risultano quasi inutili.
Il dottor Sciarri, della CNA costruzioni, sottolinea che gli infortuni mortali presso le imprese artigiane sono più rari che altrove. In edilizia, i più colpiti sono gli extracomunitari, via via più numerosi anche nel ruolo di imprenditori. Occorrerebbero requisiti di professionalità per aprire un’impresa edile, attualmente non richiesti.
Sul piano fiscale, i contributi del 36% per le ristrutturazioni hanno avuto il positivo effetto di fare emergere il «sommerso», ma ora l’aumento dell’IVA al 20% previsto dalla legge finanziaria all’esame rischia di produrre l’effetto contrario.
La formazione va fatta sul piano linguistico, più ancora e prima ancora che sulla specifica materia della sicurezza.
Il signor Massarelli, della ITAL-UIL, sostiene che cadute dall’alto ed infortuni mortali derivano innanzi tutto da mancata applicazione delle norme di sicurezza, che in teoria sarebbero sufficienti. Semmai, bisognerebbe vedere per colpa di chi le norme vengono disattese. L’esigenza attuale non è cambiare le norme, bensì intensificare i controlli e tentare di estenderli all’attuale «sommerso».
La formazione degli extracomunitari andrebbe sottoposta a verifiche, la mera presenza ai corsi non basta. A domanda del senatore Pizzinato, Massarelli risponde che un tesserino unico di regolarità contributiva potrebbe servire. Il sistema dei controlli, però, va modificato, perché oggi si registrano sovrapposizioni di molteplici ispettori in alcuni cantieri, e assenze in altri.
La formazione dei lavoratori non deve essere troppo mirata, perché i cantieri sono diversi l’uno dall’altro. Piuttosto, bisognerebbe specializzare i formatori.
L’ingegner Di Camillo riprende la parola, per dire che la formazione relativa all’alta velocità va bene, gli infortuni riguardano maggiormente i cantieri ordinari. La formazione delegata alle imprese di solito non funziona.
Il signor Angelini, della INAS-CISL, dubita che i dati ufficiali sul calo degli infortuni mortali siano veritieri, perché inficiati da carenze dei sistemi di rilevazione. In particolare, giovani e soprattutto extracomunitari non lasciano superstiti (moglie, figli) e quindi, non dando origine ad una rendita pagata dall’INAIL, restano fuori dalle statistiche. È un problema diverso da quello del «sommerso», che pure esiste.
Il dottor Bottazzi, della INCA-CGIL, si associa nel giudicare insufficienti i dati INAIL.
Il signor Bombardieri, della Ital-UIL, fa presente che per molti immigrati stranieri il meccanismo di indennizzo per infortuni e malattie è vanificato da quello di espulsione previsto dalle legge Bossi-Fini; il lavoratore viene espulso dall’Italia ben prima di poter ricevere le sue spettanze.
Il dottor Turri, a nome del CNCPT, appoggia l’idea un tesserino unico o altri sistemi di riconoscimento dei lavoratori che accedono ai cantieri.
Il dottor Lanni, della EPASA-CNA, mette in evidenza che non sono stati emanati decreti attuativi dell’articolo 10 della legge 152/2001, laddove si tratta delle funzioni di patronato a pagamento e delle relative tariffe.
Tale punto di vista è ribadito dal signor Angelini della INAS-CISL, il quale fa riferimento anche al DLgs. 626/94.
Il dottor Bottazzi, della INCA-CGIL, osserva che nel caso della TAV è stato verificato che tra lavoratori italiani e stranieri che svolgono le medesime mansioni negli stessi luoghi, il secondo gruppo si infortuna più spesso. Pertanto, la maggiore incidenza di infortuni tra gli extracomunitari non dipende (soltanto) dall’essere solitamente destinati alle mansioni più rischiose.
Il dottor Rossi, della INAPA-Confartigianato, parla della diffusione del «caporalato» anche in aree geografiche che in passato erano immuni da questa piaga. Rossi deplora che nessuno accerti preventivamente le capacità professionali di coloro che si offrono come manovali, e propone incentivi fiscali per chi ottiene i migliori risultati nel campo della sicurezza. Infine, richiama all’attenzione la questione degli infortuni in itinere, sovente oggetto di contenzioso.
Infine, CNCPT e INCA-CGIL consegnano documentazione, che viene acquisita. Altre organizzazioni si riservano di fare altrettanto nelle prossime settimane, recapitandola alla segreteria della Commissione d’Inchiesta Infortuni sul lavoro e «morti bianche».
A questo punto, il senatore Pizzinato dichiara conclusa l’audizione e ringrazia i partecipanti. Successivamente, il coordinatore ed i collaboratori del gruppo di lavoro stabiliscono il calendario delle prossime audizioni.
Si decide quindi che martedì 6 dicembre p.v., alle ore 14.00, vengano ascoltati i rappresentanti delle federazioni nazionali sindacali degli edili (facenti capo rispettivamente a CGIL, CISL, UGL e UIL). A seguire, alle ore 15.00 del medesimo giorno, verranno auditi: sulla questione dei restauri in edilizia e dei connessi rischi, il professor Tarsitani dell’Università di Roma (ed eventualmente altri esperti che verranno segnalati dalla collaboratrice Cossero); sulla questione delle cadute dall’alto, il signor Luca Delle Donne (Società italiana rocciatori) ed il signor Bonaiti (ditta Kong).
La riunione termina alle ore 17,15.

Riunione gruppo di lavoro «settore edile» 6 dicembre 2005

La riunione ha inizio alle ore 14.
Sono presenti il Coordinatore del gruppo di lavoro, senatore Pizzinato, ed i collaboratori Cavalchini, Cossero, D’Agostino, Ferrera e Marzocchella.
Il Coordinatore Pizzinato introduce l’audizione dei rappresentanti delle organizzazioni sindacali dei lavoratori dell’edilizia, parlando dei compiti del suo gruppo di lavoro. Il senatore Pizzinato sottolinea la gravità del fenomeno infortunistico nell’edilizia ed accenna a specifici problemi quali il «caporalato» ed i sub-appalti.
La parola passa alla signora Nardini, Segretario generale della FILLEA- CGIL, la quale prende le mosse dai contenuti di una nota scritta da lei consegnata alla Commissione Infortuni sul lavoro e «morti bianche» in occasione di una seduta plenaria.
Nardini rileva che ancora oggi si muore per cadute dall’alto o per incidenti in fase di lavori eseguiti «in seppellimento», allo stesso modo in cui ciò avveniva decenni fa. La causa principale è che la normativa intesa a prevenire i suddetti eventi mortali viene troppo spesso ignorata.
Per le cadute dall’alto, Nardini apprezza la scelta compiuta dalla Regione Toscana, la quale ha recepito con legge regionale le linee-guida ISPESL in materia. Ella auspica che tale esempio si diffonda, anche con l’aiuto di appositi incentivi per chi applica le linee-guida sulla sicurezza.
Il «caporalato», presente sia al Nord che altrove, nel Settentrione è tanto più ingiustificabile in quanto si tratta di area ad alto tasso di occupazione.
Le attuali regole sugli appalti producono una proliferazione di imprese piccole e piccolissime e nuocciono alla sicurezza, risultando favorevoli a chi ne abbatte i costi.
L’esperienza delle grandi opere (come la TAV del tratto Firenze-Bologna) insegna che il committente pubblico può introdurre di fatto una regolamentazione preventiva capace di interessare tutti i gradi di appalto.
Concertazione e contrattazione anticipata vanno promosse. Quando la committenza è pubblica, l’applicazione di questi metodi è più facile. Nei piccoli cantieri, di solito, c’è meno sicurezza. Essi, peraltro, sono protagonisti delle ristrutturazioni, intorno alle quali ruota circa il 60% del giro di affari dell’edilizia. La normativa che ha assegnato un contributo del 36% e ha abbassato l’IVA sui materiali al 10% ha svolto una funzione positiva. Al contrario la legge finanziaria in discussione, qualora alzasse l’IVA al 20% – pur elevando al 40% il rimborso al committente – rischierebbe di far scivolare di nuovo nel «sommerso» una cospicua parte di attività e di essere, quindi, controproducente sotto ogni punto di vista.
Sarebbe opportuno verificare chi entra e chi esce dai cantieri imponendo di dotare i lavoratori di un tesserino apposito. Nardini suggerisce inoltre di concedere il permesso di soggiorno agli immigrati che denunciano l’esistenza di lavoro «nero» nei cantieri.
Il signor Gullo, Segretario nazionale della Feneal-UIL, concorda. In tema di appalti, egli afferma che i ribassi per l’aggiudicazione – mediamente del 30% – si ottengono quasi sempre per mezzo di subappalti e impiego di manodopera irregolare. Al momento dell’offerta per la gara d’appalto, sovente la filiera del sub-appalto è già costituita. Occorrerebbero altri criteri per individuare le offerte più vantaggiose (Gullo non li indica).
I controlli vanno rafforzati. Ci vuole più coordinamento tra i molteplici soggetti controllori. Il DURC potrà giovare. La CNCE sta preparando una banca-dati delle imprese che hanno commesso irregolarità, ed è auspicabile che l’iniziativa possa servire ad escluderle da appalti futuri.
Nell’edilizia privata, la normativa dei contributi del 36% per le ristrutturazioni andrebbe estesa ad altri tipi di interventi, cominciando da quelli di manutenzione. Gli appalti privati non sempre sono piccoli: si pensi alle banche o alle grandi imprese privatizzate negli anni scorsi.
La concertazione preventiva è positiva, tanto che ci vorrebbero obblighi normativi in tal senso. Ai fini della prevenzione, è bene coinvolgere gli RLS e tutti gli altri soggetti che si occupano della sicurezza.
Il signor Turri, Segretario nazionale della FILCA-CISL, è d’accordo con Nardini e con Gullo. Egli sostiene poi che il problema delle cadute dall’alto va contrastato innanzi tutto attraverso la formazione di imprese e lavoratori. Basterebbero cicli di 8 ore, ma tale passaggio raramente viene realizzato, soprattutto a causa della frammentazione e della frenesia del ciclo produttivo. La normativa che impone di denunciare l’assunzione dei lavoratori con anticipo rispetto all’inizio delle prestazioni lavorative potrebbe, eventualmente, essere finalizzata alla formazione per la sicurezza.
Per lavorazioni specializzate, quali quelle relative alle opere provvisionali, ci vorrebbe un attestato. Sarebbe bene che il libretto di lavoro comprendesse anche i percorsi formativi per la sicurezza compiuti dal lavoratore.
Nel settore edile, le procedure di accesso alle professioni e di costituzione di imprese andrebbero riviste. L’attuale liberalizzazione è eccessiva, e comporta un abbassamento della professionalità, nonché una negativa frammentazione. Gli addetti all’edilizia sfiorano i due milioni; tolti 400.000 impiegati, restano circa 700.000 lavoratori autonomi, 800.000 operai dipendenti da imprese, e ci sono 600.000 imprese edili.
A questo punto, il senatore Pizzinato pone agli auditi alcune domande, volte ad approfondire le seguenti questioni: la formazione dei lavoratori ai fini della sicurezza, l’organizzazione dei cantieri delle grandi opere ed il relativo ruolo delle Regioni, gli effetti dei ribassi nelle gare di appalto sui costi per la sicurezza, il DURC, il «caporalato».
In risposta il signor Gullo, premesso che formazione professionale e formazione per la sicurezza sono due cose diverse, dice che sarebbe utile registrare la formazione per la sicurezza ricevuta dai lavoratori su appositi libretti. Le scuole edili stanno predisponendo una specie di «libretto del cittadino», per sviluppare la cultura della sicurezza.
Quanto alle grandi opere, alcune Regioni si sono date positivamente da fare, altre no. Esse dovrebbero spingere in direzione della concertazione preventiva. Le vigenti norme sul coordinamento di coloro che operano nei cantieri (a cominciare dalla direttiva 494) giustamente concepiscono il cantiere quale unità produttiva unica. Nella pratica, occorrerebbe che le riunioni periodiche tra i soggetti che si occupano della sicurezza si tenessero con maggiore frequenza.
La situazione negli appalti pubblici è migliorata rispetto a qualche tempo fa, quando si assegnavano anche a chi prevedeva risorse minime per le spese di sicurezza. Spesso, purtroppo, se si tratta di tagliare le spese strada facendo, viene sacrificata proprio la sicurezza. In ogni caso, si tenga conto che i cantieri e le loro risorse umane non sono entità statiche ed esattamente definite sin dall’inizio.
Le regole sull’ingresso dei lavoratori nei cantieri, quando ci sono, vengono aggirate in vari modi. A Malpensa, per esempio, pur esistendo appositi protocolli ed un tesserino di ingresso, alcuni lavoratori clandestini venivano introdotti nascondendoli nei cofani delle automobili.
La legge Bossi-Fini, che programma i flussi di immigrazione, è scarsamente compatibile con le esigenze dei cantieri, per i quali la programmazione a lunga scadenza delle risorse umane da impiegare risulta difficile.
La signora Nardini, sulla questione degli appalti, dichiara che si attende l’emanazione di un decreto ministeriale concernente obblighi di indicazione del costo del lavoro (per settori diversi dall’edilizia, invece, si è provveduto).
I controlli nei cantieri sono troppo rari (una singola impresa viene ispezionata una volta ogni sette anni circa), ed i vari soggetti che li effettuano dovrebbero coordinarsi. Le riunioni periodiche tra coloro che si occupano della sicurezza si diradano anche per effetto della direttiva 494, la quale ammette deroghe, e perciò andrebbe modificata su questo punto.
Il coordinamento e le figure dei coordinatori sono previste dalla 494, ma i lavoratori autonomi vi si sottraggono perché, a differenza dell’impresa, essi sono subordinati casomai al coordinatore, il quale spesso è assente dal cantiere. Anche gli autonomi, che sono numerosi, dovrebbero essere tenuti a presentare misure per la sicurezza.
Il signor Turri auspica che in futuro ai lavoratori siano distribuiti libretti contenenti dati sulla loro formazione per la sicurezza. La formazione va curata pure negli istituti professionali per geometri e nelle facoltà universitarie (ad esempio, architettura), dove invece è carente. La consultazione preventiva è utile.
Nel campo degli appalti, occorrerebbe che i costi per la sicurezza fossero indicati in maniera dettagliata invece che sommaria.
L’accesso ai cantieri andrebbe consentito solo ai lavoratori che abbiano ricevuto formazione per la sicurezza e agli iscritti alle Casse edili.
I controlli sui tesserini di ingresso sono opportuni, benché i malintenzionati tendano a vanificarli.
I piani di coordinamento per la sicurezza talvolta restano sulla carta.
Le norme dovrebbero precisare meglio chi sono i preposti, e le rispettive responsabilità di ciascuno di essi.
Il signor Pileggi, rappresentante provinciale della UGL-Federazione nazionale costruzioni, non pronuncia interventi ma si riserva di trasmettere prossimamente una memoria scritta alla segreteria della Commissione d’inchiesta Infortuni sul lavoro e «morti bianche».
Volgendo al termine l’audizione degli esponenti delle federazioni sindacali, il signor Gullo della Feneal-UIL ed il signor Turri della FILCACISL consegnano documentazione, che viene acquisita.
Il senatore Pizzinato, dopo aver ringraziato e congedato gli auditi, chiude la prima parte della riunione ed apre la seconda, dedicata alle problematiche inerenti ai lavori di restauro.
Sull’argomento, interviene la signora Boccini, della FILLEA-CGIL.
La Boccini parla di una ricerca pionieristica sulle patologie da lavori di restauro, promossa dal sindacato.
Gli addetti al settore del restauro sono numerosi (nel Lazio, circa 3.000) I rischi riguardano soprattutto la vista e la cute. Tra i lavoratori che hanno superato i 50 anni, si registrano frequenti tumori. Tra gli agenti patogeni, spiccano polveri, funghi e parassiti. Tuttora manca un quadro preciso delle malattie professionali. Un passo avanti si è fatto nel 2004, quando ISPESL ha riconosciuto profili di rischio di malattie legate al restauro e ha finanziato una ricerca.
Occorre prevenzione e, allo scopo, Boccini suggerisce la creazione di uno sportello informativo. Inoltre, ella consiglia la redazione di apposite cartelle cliniche e controlli negli ambienti di lavoro. Il sindacato ha presentato proposte in tal senso all’INAIL e, per l’edilizia, guarda ai comitati paritetici.
Interviene poi il professor Biondi, nella doppia veste di rappresentante Agenquadri-CGIL e di rappresentante dell’Istituto di scienze e sanità pubblica dell’Università «La Sapienza» di Roma.
Biondi rileva che lo 80% degli addetti al restauro sono donne, per lo più sotto i 35 anni. Operano sia lavoratori dipendenti che liberi professionisti.
Questi ultimi non si sottopongono a controlli, mentre i dipendenti sì, ogni 6 mesi, ma i dati dei singoli individui non vengono adeguatamente raccolti. Pertanto, uno sportello informatico sarebbe utile.
I controlli attuali sono i medesimi che si effettuano per tutto il comparto dell’edilizia e, dunque, non specifici e poco adatti.
Alle industrie si chiedono prodotti meno tossici, ma il cammino è ancora ai primi passi.
Il signor Pagani, della CNA, informa che molti restauratori sono artigiani.
Le imprese sono molto piccole, imprenditore e lavoratore spesso coincidono. Il comparto del restauro non viene mai riconosciuto e viene confuso con il resto del comparto edile.
Ci si cura più delle esigenze artistiche che della nocività di prodotti e sostanze.
La proposta di cartella clinica non convince, meglio verifiche sugli effetti di ciascun prodotto. Il DLgs. 626 del 1994 già impedisce l’uso di cancerogeni.
La prevenzione sotto forma di informazione agli addetti potrebbe dare buoni risultati, in quanto si tratta persone ad alto livello di istruzione.
Sulle cartelle cliniche, il professor Biondi precisa che esse dovrebbero comprendere dati non solo sulla nocività delle sostanze, ma pure su ambienti di lavoro e specificità delle mansioni (ad es. oscurità, posture).
A domanda del senatore Pizzinato su possibili innovazioni normative, il professor Biondi risponde che, nella fase attuale, sarebbe necessario prima completare una serie di indagini.
La signora Boccini fa presente che la formazione dei restauratori viene riconosciuta solo se avviene presso gli istituti centrali, nei quali si diplomano meno di 50 persone l’anno, ossia una minoranza di coloro che lavorano nel ramo.
A domande del senatore Pizzinato circa le modalità di accesso alla professione e alle forme di contratto più diffuse, Boccini afferma che i contratti sono spesso individuali, atipici. Quasi mai sono contratti applicati e, quindi, quasi mai i lavoratori frequentano i corsi di formazione da essi previsti. Gli infortuni sono più frequenti presso i cantieri. Negli appalti, le recenti norme hanno abbassato i livelli di sicurezza e prevenzione.
È necessario delineare diverse figure professionali, su tre livelli: dal più specializzato al meno qualificato, i restauratori, i collaboratori e gli operatori. Il Ministero dovrebbe definire standard formativi, che le Università stanno aspettando.
Il signor Pagani, a sua volta, sostiene che la regolamentazione va bene, ma a patto che non sia troppo rigida. Egli lamenta che la legge sugli appalti in alcuni punti sia oscura e che lo siano ancor più i criteri di assegnazione.
Il mercato degli appalti va reso più trasparente. I programmi formativi sono insufficienti anche presso gli istituti centrali. La sicurezza nei luoghi di lavoro è ingiustamente trascurata.
A questo punto dell’audizione, la signora Boccini della FILLEACGIL consegna alla segreteria della Commissione d’inchiesta infortuni sul lavoro e «morti bianche» documentazione, che viene acquisita. Il professor Biondi, avendo portato con sé documentazione su supporti informatici che non sono immediatamente applicabili presso i locali della riunione, concorda con gli uffici di inviare i suoi testi attraverso posta elettronica, nei prossimi giorni.
Il coordinatore Pizzinato ringrazia gli auditi e li congeda. Si passa ad una terza ed ultima fase della riunione, durante la quale il senatore Pizzinato ed i collaboratori del gruppo di lavoro «settore edile» mettono a punto il programma dei lavori. In particolare, il senatore Pizzinato individua alcuni nodi problematici emersi dalle audizioni, tra i quali: organizzazioni dei cantieri, accesso ai cantieri, relazione tra appalti e costi per la sicurezza, formazione, controlli, libretti per i lavoratori, ruolo delle Regioni.
A seguito di osservazioni da parte del collaboratore Cavalchini circa la compatibilità tra questi temi e la ripartizione dei sottogruppi di lavoro che era stata stabilita nella riunione del 15 novembre u.s., il senatore Pizzinato chiarisce che l’articolazione dei sottogruppi allora fissata resta valida e basilare. I temi da lui menzionati poc’anzi, quindi, vanno intesi alla stregua di approfondimenti e specificazioni.
Infine, si stabilisce che il prossimo appuntamento del gruppo di lavoro consista in una riunione di carattere interno, alla quale i collaboratori recheranno contributi di elaborazione, sia pure embrionali e provvisori.
Tale riunione avrà luogo in una data compatibile con il calendario parlamentare e con le disponibilità di tutti i senatori componenti del gruppo di lavoro.
La riunione termina alle ore 16,30.

Riunione gruppo di lavoro «settore edile» 12 dicembre 2005

Sono presenti il Coordinatore del gruppo di lavoro, senatore Pizzinato, ed i collaboratori: Cavalchini, Cossero, D’Agostino, Gaglione, Leone e Marzocchella.
La riunione, dedicata alla discussione interna, ha inizio alle ore 14,15.
Il Coordinatore, senatore Pizzinato, comunica che sono pervenuti i primi, provvisori contributi da parte dei collaboratori Cavalchini, Cossero e Leone, lasciando ai rispettivi autori il compito di illustrarli. I suddetti testi vengono distribuiti in copia a tutti i presenti. Il coordinatore Pizzinato, inoltre, fa presente che nelle prossime settimane i senatori saranno estremamente impegnati dai lavori dell’aula e, pertanto, di qui alla prima decade di gennaio i collaboratori del gruppo dovranno procedere autonomamente, con la collaborazione degli uffici della segreteria della Commissione.
Ulteriori audizioni, già previste, potranno svolgersi solamente a gennaio 2006.
In linea con le indicazioni del senatore Pizzinato, i collaboratori decidono di riunirsi nella mattinata di lunedì 19 dicembre p.v.
Successivamente, la collaboratrice Cossero espone i contenuti dei testi da lei presentati: una Premessa riguardante la situazione complessiva della sicurezza e degli infortuni nell’edilizia, e due Ipotesi di scaletta, l’una concernente la questione delle cadute dall’alto, l’altra le malattie professionali.
La Premessa parte dal fenomeno del «caporalato» e tocca via via, nell’ordine: le lacune nell’applicazione delle norme sulla sicurezza vigenti; i profili di inadeguatezza dei dati statistici attualmente disponibili; la perdurante assenza di un decreto attuativo circa l’obbligo di legge sulla iscrizione a libro paga prima dell’inizio dei lavori; il sistema delle gare di appalto ed i negativi riflessi del criterio del «massimo ribasso» (peraltro derivante da indirizzi comunitari) sui costi per la sicurezza; l’opportunità del DURC e di aggiornarlo con frequenza mensile; l’introduzione di requisiti di professionalità per l’imprenditoria edile; la normativa sulla formazione dei coordinatori alla sicurezza e dei lavoratori; la possibilità di fornire incentivi alle imprese più attente alla prevenzione; il rafforzamento del sistema dei controlli, il coinvolgimento delle parti sociali.
In tema di malattie professionali – fenomeno sottostimato – Cossero prospetta innanzi tutto la necessità di linee-guida e di riqualificazione professionale dei medici. La normativa andrebbe migliorata nel senso di prevedere che in caso di insorgenza di una patologia i lavoratori affetti passino ad altre mansioni, prima che la malattia diventi cronica. Per talune lavorazioni, occorrerebbe l’obbligo di appropriate vaccinazioni. I casi di tumore andrebbero correlati alle attività lavorative svolte da chi ne è vittima, istruendo i medici di base in tal senso e prevedendo adeguati sistemi di rilevazione.
In fatto di cadute dall’alto, Cossero rileva che non esistono specifiche disposizioni relative a quelle causate dal calore ambientale (la 494/96, c.d. «direttiva cantieri», più genericamente prevede il rischio per «sbalzi eccessivi di temperatura»). Le linee-guida Ispesl, invece, evidenziano il problema, che in altri Paesi – Francia e Svizzera – è oggetto di apposita regolazione normativa. Cossero critica la sempre più frequente composizione all’interno dei cantieri di squadre miste – cioè costituite da lavoratori appartenenti ad aziende diverse – perché ciò genera confusione nell’attribuzione delle responsabilità per la sicurezza.
Infine, la collaboratrice Cossero propone che il gruppo di lavoro «settore edile» si occupi pure di quelle categorie di lavoratori dello spettacolo che operano in quota.
In merito alle dichiarazioni della collaboratrice Cossero, interviene il collaboratore Gaglione, il quale parla delle cadute dall’alto. Egli sostiene che la principale causa di tali infortuni risiede nelle carenze della formazione dei lavoratori. Quando la formazione risulta adeguata, la costituzione di squadre miste non comporta problemi gravi. Le certificazioni della formazione vanno aggiornate periodicamente e spesso, altrimenti anche i lavoratori preparati dimenticano ciò che hanno appreso.
I DPI comunemente adottati non sempre sono omologati, e talvolta sono comunque obsoleti. Ispesl dovrebbe redigere una lista di DPI più idonei di quelli in uso.
La parola passa al collaboratore Cavalchini il quale, prima di soffermarsi sul suo scritto Tema: formazione alla sicurezza, condivide la valutazione di Gaglione sulla bassa qualità dei DPI nei cantieri italiani. Cavalchini sviluppa l’argomento della formazione alla sicurezza prendendo le mosse dai lavori delle passate Commissioni parlamentari presiedute da Lama e da Smuraglia. Secondo Cavalchini, il frazionamento della struttura produttiva italiana in imprese di dimensioni piccole e piccolissime è il primo, serio ostacolo alla formazione. Per imprese di questo tipo, la formazione significa mancata produzione. I dati CTP e Formedil, insieme all’esperienza delle Casse Edili del Lazio, dimostrano che solo un’esigua minoranza di lavoratori riceve la formazione che sarebbe prevista dalla legge 626/94.
Per rimediare, bisognerebbe innanzi tutto estendere il sistema della contrattazione anticipata, oggi instaurato in alcuni cantieri delle grandi opere. Il miglioramento della formazione richiederebbe prove d’esame finali ed aggiornamenti periodici. La formazione dovrebbe essere poi certificata su appositi «libretti formativi», che al momento non esistono. In materia di sicurezza, l’azione di consulenza alle imprese da parte di ASL, CTP e sindacati va incoraggiata e diffusa.
Cavalchini concorda con Cossero circa l’opportunità di requisiti di professionalità per l’accesso alle attività del settore edile, nonché di una politica di incentivi fiscali e sgravi contributivi finalizzata alla sicurezza.
È positivo che già oggi vi sia un 11% INAIL per chi è iscritto ad una Cassa Edile. IL DURC sta avendo l’effetto di aumentare gli iscritti alle Casse Edili, e così il «sommerso» riemerge. Le Casse Edili di Roma, dal canto loro, offrono contributi a chi autocertifica attività di formazione ai sensi della 626/94.
Il collaboratore D’Agostino interviene sulle questioni relative all’organizzazione del lavoro. Egli accenna alle discrepanze tra la 494/96 ed il D.P.R. 554/99 (Regolamento attuativo della legge quadro sui lavori pubblici) sul punto dell’inviduazione del responsabile della sicurezza nei lavori.
D’Agostino sottolinea che nella prassi, nonostante le disposizioni del D.P.R. 222/2003, i piani per la sicurezza calcolano il totale dei costi ma non contengono indicazioni di dettaglio. Il piano per la sicurezza andrebbe sdoppiato in due fasi: una anteriore alla data di inizio lavori e l’altra posteriore. Circa la creazione di un tesserino di regolarità per l’accesso ai cantieri, è auspicabile che sia imposta da norme e non da semplici accordi tra le parti. Il principio della notifica preliminare delle assunzioni è valido, ma bisogna precisare meglio i termini cronologici e porre alle imprese obblighi di dichiarazione sugli organici.
D’Agostino propone registri a livello regionale per i medici che si occupano di malattie professionali, e nuovi libretti formativi che includano una parte dedicata alla sicurezza. Sempre a livello regionale, i Dipartimenti Regionali di Prevenzione funzionano bene solo in poche realtà (quali la Toscana). Tavoli permanenti per la prevenzione potrebbero giovare.
A proposito di tavoli tecnici il collaboratore Leone, dopo aver espresso apprezzamento per la precedente esposizione di Cavalchini, suggerisce l’audizione del tavolo tecnico di Taranto. Leone accenna ai finanziamenti per le attività di formazione, che l’articolo 4 della 626/94 pone a carico delle imprese, e che nel Lazio sono di fatto erogati pure dalla Regione.
Da alcune ricerche risulta che in molti casi gli obblighi relativi alla formazione vengono assolti sulla carta, ma non nella realtà. I controlli ad opera del Nucleo Ispettorato Lavoro dei Carabinieri riguardano piuttosto la criminalità che la formazione.
Quanto agli incentivi alle imprese che curano la prevenzione, la Scandinavia è un esempio: chi ha meno infortuni paga meno tasse. In Italia, le SOA (Società Organismo Attestazione) si muovono in questa direzione.
Il collaboratore Gaglione, tornando sulle difficoltà – di cui diceva Cavalchini – relative alla partecipazione dei lavoratori di piccole imprese a corsi di formazione, suggerisce di organizzare corsi per gruppi di aziende.
Sarebbe bene che gli attestati di frequenza a tali corsi venissero rilasciati dagli enti formatori, e non dalle imprese.
Dopo gli interventi dei collaboratori, riprende la parola il senatore Pizzinato, il quale raccomanda loro di aprire l’elaborato conclusivo con un quadro generale del settore edile (dati statistici sugli addetti, sulle imprese, sul volume di affari, sulla crescita, eccetera). È importante, inoltre, che sia rilevato il diseguale grado di impegno delle diverse regioni in materia di sicurezza. Va affermato che i costi per la sicurezza devono essere ben distinti dagli altri e devono essere esplicitati non solo per il livello superiore della catena degli appalti, ma anche per i sub-appalti. La situazione delle grandi imprese è generalmente differente da quella delle piccole.
Esistono inoltre cantieri irregolari, questione della quale dovrebbero interessarsi i Comuni. I lavoratori extra-comunitari sono numerosi, ed i loro peculiari problemi vanno messi in evidenza. Non si debbono vietare le squadre miste, bensì fare in modo che anche in questi casi si individui chiaramente un soggetto responsabile per la sicurezza (ad esempio, il compito di sceglierlo potrebbe toccare al committente. Dovrà trattarsi di una persona fisica). Gli sforzi per la sicurezza che si fanno mediante accordi tra le parti sociali sono positivi, e andrebbero generalizzati per mezzo di norme. Ci vorrebbe un «libretto formativo» diviso in due parti: l’una per la qualificazione professionale, l’altra per la sicurezza. Alla formazione specializzata dovrebbero provvedere i centri di impiego e di formazione dei distretti produttivi. La comunicazione preventiva di assunzione è indispensabile.
Il DURC pure, ed il suo aggiornamento deve essere mensile (come sostengono anche i Carabinieri del Nucleo Ispettorato Lavoro). Occorre maggiore coordinamento tra gli enti preposti alla sicurezza: gli assessorati competenti delle Regioni (in primo luogo quelli al Lavoro e alla Sanità) devono fare di meglio. I programmi di prevenzione iniziale danno buoni frutti, come dimostra l’esempio della TAV del tratto Firenze- Bologna. È opportuno che i contributi dei collaboratori accennino pure ai RLS.
In ogni caso, il testo finale dovrà riferirsi il più possibile ai lavori svolti dal gruppo «edilizia» attraverso le audizioni e le acquisizioni di documentazione.
Alla sua elaborazione parteciperanno collaboratori e senatori, ed ogni fase di tale percorso sarà caratterizzata da momenti di confronto e da una pluralità di apporti e di scambi.
La riunione termina alle ore 16.

Riunione gruppo di lavoro «settore edile» 20 dicembre 2005

La riunione ha inizio alle ore 15,15.
Sono presenti il Coordinatore del gruppo di lavoro, senatore Pizzinato, il senatore De Rigo, ed i collaboratori Cavalchini, D’Agostino, Ferrera, Gaglione e Marzocchella.
Il Coordinatore Pizzinato introduce l’audizione, evidenziando le specificità della questione delle cadute dall’alto rispetto al fenomeno complessivo dell’infortunistica in edilizia.
Tra gli auditi, interviene per primo il signor Luca Delle Donne, presidente della AIR (Associazione Nazionale Rocciatori). Delle Donne illustra il panorama delle attività svolte dall’associazione che egli rappresenta, soffermandosi sui contributi della AIR alla stesura di linee-guida in collaborazione con ANCE, poi pubblicate a cura del Ministero del Lavoro e del Ministero della Salute, nonché alla predisposizione del DLgs. 235/2003, recante Attuazione della direttiva 2001/45/CE relativa ai requisiti minimi di sicurezza e di salute per l’uso delle attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori. A suo giudizio, si tratta di un testo normativo innovativo ed importantissimo per la formazione dei lavoratori che operano in quota con funi. La Regione Lombardia, prendendolo come riferimento, ha conferito alla ASL di Lecco una delega per studiarne le possibilità di implementazione e le criticità. Su queste basi, è stata fatta formazione sperimentale, integrata da successivo monitoraggio delle sue applicazioni da parte di coloro che li hanno frequentati. I risultati sono stati ottimi. La Conferenza Stato-Regioni ha allo studio un documento di intesa volto ad allargare su scala nazionale tale esperienza. Nell’insieme, si può dire che la situazione sia confortante, poiché il principio dell’obbligo formativo è sancito sul piano normativo, e si prospetta un largo accordo su una proposta formativa realizzabile.
Tra i possibili miglioramenti, Delle Donne suggerisce che la 626/94 venga modificata introducendo un riferimento più chiaro agli obblighi formativi previsti dal DLgs. 235/2003. Inoltre, laddove il D.P.R. 34/2000 elenca una serie di categorie di lavori, se ne dovrebbe creare una nuova per i lavori in quota, distinta dall’attuale OS 12 nella quale essi sono accorpati con la costruzione di guard-rail, ossia un lavoro diverso che comporta esigenze diverse. In generale, ai fini della sicurezza, è necessario un approccio sistemico, di modo che i lavoratori addestrati siano inseriti in imprese anch’esse attente, a loro volta, alle problematiche della sicurezza.
La parola passa al signor Erminio Sertorelli, responsabile del Collegio nazionale delle guide alpine. Egli ricorda il fondamentale contributo che da sempre le guide alpine forniscono alle lavorazioni in quota. Sertorelli si riallaccia alle positive esperienze di elaborazione di linee guida e di allestimento di corsi di formazione delle quali parlava Delle Donne, e condivide le positive valutazioni sui risultati conseguiti.
Negli ultimi due anni, le guide alpine si sono dedicate alla formazione di istruttori specialisti. Tutti i corsi per la formazione relativa ai lavori in quota meriterebbero un riconoscimento, nell’interesse sia dei lavoratori che dei loro istruttori. È indispensabile che tali corsi si concludano con un esame finale e non si esauriscano nella mera frequentazione.
Il dottor Marco Bonaiti, che è presidente della ditta Kong produttrice di attrezzature e, al contempo, è membro di commissioni europee per gli standard sui DPI (Dispositivi di Protezione Individuale), sottolinea che la formazione stessa passa attraverso l’uso di materiali ed attrezzature. Inoltre, occorre avere una corretta percezione del rischio; di solito, chi lavora nei disgaggi e con le funi ne ha una percezione elevata, mentre chi lavora sui ponteggi o sui tetti lo sottovaluta.
A livello europeo, dove la competenza in materia di DPI è dei working groups afferenti rispettivamente a CEN 160 (ambienti di lavoro) e a CEN 136 (alpinismo), i delegati più attivi e propositivi sono i tedeschi.
Ciò significa, purtroppo, che le normative tendenzialmente sono regolate secondo parametri pensati per l’operaio tedesco, il clima tedesco, l’organizzazione del cantiere tedesco: situazioni un po’ diverse dalle corrispettive realtà italiane. Di conseguenza, la normativa europea grava l’operaio italiano di fardelli adeguati ai suoi più corpulenti colleghi tedeschi, ad un clima più rigido del nostro, ad ambienti di lavoro organizzati diversamente da quelli nazionali: insomma, fardelli troppo pesanti o comunque di impaccio e i lavoratori, per reazione, finiscono per disfarsene e non usare alcuno strumento di protezione. Pertanto, per gli italiani bisognerebbe studiare DPI più agili. Si aggiunga poi che mentre gli esperti dei gruppi relativi al CEN 136 sono assai preparati, quelli del CEN 160 lo sono meno e, perciò, forniscono direttive meno appropriate. Sarebbe opportuno che UNI (o altro soggetto) imponesse che i DPI non superino determinati pesi.
I caschi protettivi da lavoro e quelli da alpinismo hanno prestazioni differenti. I datori di lavoro dovrebbero essere liberi di scegliere se fare impiegare l’uno o l’altro senza che la loro decisione, in ogni caso opinabile, li esponesse a censure.
Il dottor Giovanni Achille, funzionario della ASL di Lecco, afferma che la formazione serve per tutti: datori di lavoro, lavoratori, rappresentanti per la sicurezza. I DPI sono un valore aggiunto per la sicurezza se si sa come usarli correttamente, altrimenti no, e può essere persino l’opposto.
Il DLgs. 235/2003 è stato utile, anche perché le norme preesistenti erano difficilmente applicabili. La Regione Lombardia ha fatto proprie le osservazioni della ASL di Lecco ( di cui parlava Delle Donne) e la ha rilanciate in sede di Conferenza Stato-Regioni, dove sembrano incontrare crescenti consensi.
La formazione deve tenere conto dei differenti livelli di rischio inerenti a differenti mansioni. Deve riguardare pure i sorveglianti, i quali non devono saper dirigere, ma anche essere capaci di intervenire in caso di emergenza. I formatori vanno selezionati e sottoposti a verifiche prima di ricevere un accredito all’esercizio della loro attività. Nei corsi di formazione relativi alla 626 c’è stata troppa approssimazione. Le lezioni di fisiopatologia devono essere impartite da medici, quelle di arrampicata da guide alpine. La formazione deve comprendere anche gli ancoraggi.
A questo punto il Coordinatore Pizzinato riprende la parola. Egli invita gli auditi a consegnare documenti scritti – eventualmente anche in versione provvisoria – e a farlo in tempi brevi, poiché al gruppo di lavoro restano ormai poche settimane prima della presentazione del suo contributo alla relazione conclusiva della Commissione d’inchiesta Infortuni sul lavoro e «morti bianche». Poi il senatore Pizzinato pone domande sul tema della formazione, in particolare sulla sua registrazione su appositi libretti da rilasciare ai lavoratori.
Il dottor Achille è favorevole all’idea di un libretto che contenga uno spazio per la formazione alla sicurezza (Delle Donne si associa). Achille rileva carenze di formazione in vari campi, non soltanto nella sicurezza.
Egli ritiene che siano conseguenze della flessibilità. Coloro che lavorano in quota dovrebbero possedere specifici requisiti di idoneità psico-fisica agli speciali compiti cui sono chiamati. Oggi, invece, né i datori di lavoro né i lavoratori sono tenuti a sottoporsi ad accertamenti di questo tipo, ma non si può far finta che operare in quota sia un lavoro come un altro. Un futuro libretto, pertanto, dovrebbe avere una sezione anche per i controlli sanitari di cui sopra. Achille insiste sulla formazione rispetto agli ancoraggi e i montaggi dei ponteggi. Infine, egli solleva la questione della vigilanza che attualmente è esercitata da molteplici soggetti, con effetti di confusione e spreco di risorse. Sotto questo profilo, alcune disposizioni della 626/94 andrebbero ritoccate.
Il signor Delle Donne ribadisce che la sicurezza va curata da tutto il sistema dell’impresa.
Il signor Sertorelli osserva che le tecniche di posizionamento e i DPI sono già studiati in funzione di tempi rapidi di intervento, qualora se ne presenti la necessità. Tra i fattori critici ai fini dell’idoneità psicofisica, si potrebbero prendere in considerazione l’età, l’uso di alcolici, la circolazione sanguigna (specie degli arti inferiori) ed il sovrappeso.
Agli elementi indicati da Sertorelli, il dottor Bonaiti aggiunge i disturbi da vertigini (peraltro difficili da diagnosticare). Bonaiti ribadisce l’opportunità di lasciare il datore di lavoro arbitro di scegliere i DPI più adatti, tra quelli omologati.
Il dottor Stefano Cesari, membro di un gruppo che ha partecipato all’elaborazione delle linee guida ISPESL, ritiene che gli strumenti legislativi esistenti siano già sufficienti e che il problema, semmai, consista nel favorire la diffusione della loro applicazione. La formazione è essenziale, e va indirizzata anche verso una sensibilizzazione rispetto all’esistenza e alla portata del rischio. Una volta acquisita tale coscienza, i lavoratori sarebbero più propensi anche ad apprendere l’uso dei DPI. La Direttiva europea 45/2001 sulla prevenzione delle cadute dall’alto è buona.
Avvicinandosi la conclusione dell’audizione, il dottor Achille ed il dottor Cesari consegnano documentazione, che viene acquisita, mentre gli altri auditi si riservano di inviare contributi scritti alla segreteria della Commissione Infortuni sul lavoro e c.d. «morti bianche».
Il senatore Pizzinato, così, ringrazia i presenti e dichiara conclusa la seduta.
La riunione termina alle ore 16,50.

Riunione gruppo di lavoro «settore edile» 11 gennaio 2006

Sono presenti il Coordinatore del gruppo di lavoro, senatore Pizzinato, i senatori De Rigo e Florino, ed i collaboratori: Bertorello, Cavalchini, Cossero, D’Agostino, Gaglione, Leone e Marzocchella.
La riunione, dedicata alla discussione del documento conclusivo, ha inizio alle ore 14,30.
I collaboratori della Commissione presentano al Coordinatore del gruppo, senatore Pizzinato, una bozza di relazione finale. Il senatore Pizzinato introduce l’esame del documento, dando la parola alla collaboratrice Cossero, la quale illustra sommariamente i contenuti del testo.
Seguono osservazioni da parte del senatore Pizzinato, del senatore Florino e del senatore De Rigo. Esse riguardano in particolare le cadute dall’alto (tema che il senatore Pizzinato chiede ai collaboratori di trattare in forma più estesa), i cantieri abusivi e gli intervalli di riposo nel corso degli orari di lavoro. A loro volta, intervengono nella discussione anche i collaboratori Cavalchino e Cossero. Sulla questione delle pause di riposo, i senatori Pizzinato, De Rigo e Florino forniscono ai collaboratori indicazioni in merito alle proposte da formulare in materia.
Il senatore Pizzinato rileva altresì l’opportunità che il testo finale sia adeguatamente suddiviso per titoli e sottotitoli nonché corredato da un allegato elenco dei documenti acquisiti dal gruppo di lavoro. Tra questi, anche una recente delibera della Regione Lombardia in materia di amianto (dicembre 2005) della quale il senatore Pizzinato consegna copia agli uffici della Commissione.
Si concorda infine un calendario di lavori per i prossimi giorni, tale da mettere il gruppo «settore edile» in condizione di ricevere dai collaboratori un testo tendenzialmente definitivo, che tenga conto anche del dibattito odierno, in tempi utili ai fini di un riesame globale nel corso della prossima apposita riunione, fissata per mercoledì 18 gennaio p.v. alle ore 14.00.
La riunione termina alle ore 16,20.

Riunione gruppo di lavoro «settore edile» 18 gennaio 2006

Sono presenti il Coordinatore del gruppo di lavoro, senatore Pizzinato, i senatori De Rigo e Florino, ed i collaboratori: Bertorello, Cossero, D’Agostino, Leone e Marzocchella.
La riunione ha inizio alle ore 14,45. Si riprende la discussione del documento conclusivo, avviata la volta scorsa.
Il Coordinatore, senatore Pizzinato, formula brevi osservazioni sul testo.
Altre osservazioni, in forma scritta, giungono da parte del senatore De Rigo. Tutti i presenti convengono sull’opportunità di recepire le une e le altre, nonché sulle relative modalità di integrazione nel complesso della relazione. Si concorda altresì di stralciare le parti del testo che trattano dei settori marittimo, portuale e cantieristico. Queste ultime verranno segnalate agli uffici della segreteria della Commissione d’inchiesta Infortuni sul lavoro e c.d. morti bianche, ai fini di una loro utilizzazione nella parte generale del futuro documento finale che la suddetta Commissione elaborerà.
In conclusione, il gruppo di lavoro «settore edile» approva, all’unanimità, la relazione in oggetto.
La riunione termina alle ore 15,30.
___________
Fonte: Senato della Repubblica