SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Lunedì 18 gennaio 2010

Audizioni svolte presso la Prefettura di Genova



Presidenza del presidente TOFANI

INDICE

Audizione del procuratore presso la procura della Repubblica di Genova
Audizione del vice sindaco del comune di Genova, del presidente della provincia di Genova, dell’assessore alla salute e del dirigente del servizio igiene della Regione Liguria
Audizione del questore di Genova, del comandante provinciale dell’Arma dei carabinieri, del comandante provinciale della Guardia di finanza e del comandante provinciale dei VVFF
Audizione del direttore provinciale del lavoro, del direttore provinciale dell’INAIL, del direttore provinciale dell’INPS, del direttore generale dell’ASL 3 di Genova, del direttore UOPSAL
Audizione di rappresentanti sindacali della CGIL, della CISL, della UIL e dell’UGL
Audizione di rappresentanti provinciali delle organizzazioni imprenditoriali
Audizione del presidente dell’Autorità portuale e del comandante in seconda della Capitaneria di porto
Audizione del console CULMV «Paride Batini» e del direttore generale della società Grandi Navi Veloci


Audizione del procuratore presso la procura della Repubblica di Genova



Interviene il procuratore presso la procura della Repubblica di Genova, dottor Francesco Lalla.

PRESIDENTE
Ringrazio il procuratore Lalla per essere intervenuto ai nostri lavori.
La presenza a Genova della Commissione è legata anche all’infortunio mortale del 23 dicembre dello scorso anno. La nostra iniziativa vuole avere altresì la funzione di assumere maggiori informazioni in riferimento agli infortuni che più in generale si determinano nei porti (a prescindere dal grande e importante porto di Genova), così da farci se necessario promotori di iniziative volte a colmare quelle lacune che riguardano aspetti di interesse della nostra Commissione d’inchiesta, anche con riferimento al rapporto che dobbiamo avere con l’Aula del Senato, promuovendo iniziative e avanzando proposte.
Per entrare nel merito, nelle realtà portuali si determina la presenza di due tipologie di lavoratori, coperte da assicurazioni diverse: l’Istituto di previdenza per il settore marittimo (IPSEMA) per i marittimi e l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) per i portuali in genere, ivi compresi i camalli. Vorremmo approfondire questo tema perché lo riteniamo importante, atteso che anche in questa circostanza l’infortunio mortale si è determinato su nave e non a terra ed il lavoratore dovrebbe quindi rientrare nella configurazione riguardante i marittimi.
Questo è uno degli aspetti che ci interessa approfondire: vorremmo avere un quadro più chiaro grazie agli elementi che lei vorrà cortesemente fornirci sulla dinamica dell’incidente ed eventualmente altri dati a sua disposizione.
Ho preferito fornirle questi elementi che rappresentano le motivazioni vere e più profonde dell’inchiesta, rischiando altrimenti di cadere in quelle emotive del drammatico evento. Vorremmo avere queste informazioni e possibilmente comprendere il contesto. La ringraziamo in anticipo per il contributo che ci potrà fornire.

LALLA
Signor Presidente, credo che lei abbia toccato il problema centrale che ritengo debba essere posto alla vostra attenzione per eventuali soluzioni legislative: mi riferisco alla pluralità di soggetti facenti capo ad organi, enti e datori di lavoro diversi e, quindi, alla necessità di coordinare le varie posizioni, che spesso rispondono invece soltanto alla logica della loro singola appartenenza.
L’incidente in oggetto coinvolge addirittura i rappresentanti della Compagnia Unica che erano stati chiamati dall’armatore per completare le operazioni di carico, il personale di Grandi Navi Veloci (che è l’armatore del traghetto su cui è avvenuto l’incidente) sia di terra che della nave (quindi marittimi veri e propri che facevano parte della compagnia per il settore mare). Un’operazione in fin dei conti banale, come caricare la nave dei rimorchi e semirimorchi, coinvolge soggetti appartenenti a tre aree diverse, che rispondono quindi alle normative, anche pattizie, interne del corpo e proprie del gruppo di appartenenza.
Voi conoscete sicuramente la dinamica del tragico incidente. La nave era quasi al completo e doveva partire. Faccio presente in proposito un dato che risulta anche dagli atti, ma che comunque è pacifico: c’era una certa fretta, nel senso che la nave aveva caricato passeggeri di un altro traghetto la cui partenza era stata ritardata. Non so se l’esigenza di fare presto fosse stata trasmessa in modo esplicito al personale della nave, ma era comunque implicita nel dinamismo dell’operazione. C’era fretta e tutti si adoperavano per far partire il traghetto il più presto possibile perché i passeggeri premevano per partire. La nave era quasi carica e mancava soltanto un semirimorchio. La ralla prende il semirimorchio, va in retromarcia nella parte del traghetto in cui ci sono due corsie da riempire: la corsia di destra (guardando la prua della nave) era già riempita, mentre nella corsia di sinistra potevano starci ancora uno o forse due semirimorchi.
La ralla prende il semirimorchio, entra a marcia indietro e si avvicina a un trattore già posteggiato, rizzato e fermato: l’autista della ralla, secondo la sua versione, retrocede sino al momento in cui i due operai della Compagnia Unica, fra cui proprio il Desana, poi deceduto, sono a terra e gli indicano di fermarsi perché il semirimorchio era arrivato in prossimità del trattore già posteggiato e fermo. A questo punto l’operazione da eseguire era mettere il tacco sotto la ruota del semirimorchio posteggiato in modo da evitare oscillazioni avanti e indietro durante la navigazione e nel posizionare un cavalletto sotto il semirimorchio per sostenerlo nell’ipotesi in cui i due pulsanti idraulici che il semirimorchio ha in dotazione non fossero stati sufficienti a sostenerlo, soprattutto durante una navigazione magari non proprio tranquilla. L’autista sostiene – ma si tratta di aspetti oggetto dell’indagine ancora in corso – che gli era stato detto di fermarsi (sono dichiarazioni fatte nell’immediatezza e presumiamo con molta spontaneità e freschezza di ricordi, perché era appena avvenuto l’incidente). Si era quindi fermato e stava staccando la ralla dal semirimorchio per uscire fuori, evidentemente perché pensava che tutte le operazioni a poppa nel retro del semirimorchio fossero completate (quindi lo zoccolo sotto le ruote, il cavalletto, eccetera). Evidentemente ciò non era avvenuto, non si sa per quale disarmonia nei gesti, nelle parole e nelle dichiarazioni dei protagonisti. Sta di fatto che mentre stava staccando la ralla, il semirimorchio si è spostato all’indietro e il povero Desana, che era davanti al trattore già posteggiato, è rimasto schiacciato. Purtroppo questa, nella sua banalità, è stata la dinamica dell’incidente.
Anche in questo caso ci sono regole che valgono per chi a terra va a prendere il rimorchio e regole che valgono per chi invece sale sulla nave: a bordo comandano o dovrebbero comandare i marittimi, perché è chiaro che c’è un ufficiale che è preposto a tutte le operazioni di carico, non tanto per quanto riguarda la fissazione dei mezzi (tali regole appartengono anche alla competenza del personale della CULMV e del personale di terra) quanto la distribuzione dei pesi, che è estranea, in questo caso, all’incidente, perché quel semirimorchio doveva essere posizionato lì.
Quindi ci sono un ufficiale, il personale della CULMV e l’autista, che è dipendente della compagnia Grandi Navi Veloci (cioè la stessa dell’armatore), che però fa parte del personale di terra e risponde quindi presumibilmente alle logiche di chi comanda a terra poiché il suo lavoro si svolge soprattutto a terra (tuttavia quando sale a bordo deve obbedire alle indicazioni del personale di bordo).
Questi sono la dinamica dell’incidente e i problemi che si cominciano a intravedere. Spero di essere stato chiaro e abbastanza sintetico. Si tratta quindi di un coordinamento fra soggetti appartenenti ad ambiti diversi. Francamente non so fino a che punto si tratti di mancanza delle regole. In proposito – credo di toccare un problema generale, che non so se può servire per il vostro lavoro, ma spero di sì – non credo si tratti tanto di un problema di norme di prevenzione specifica, in quanto ritengo che queste ci siano e siano già tante: ci sono il decreto legislativo n. 271 del 1999, le regole internazionali e i protocolli che sono stati sottoscritti (credo che anche nella prefettura di Genova sia stato sottoscritto un protocollo nel maggio del 2007). Quindi non è che manchino le regole: anzi, ce ne sono e tante. Mi sembra che anche questo infortunio metta in luce la mancanza di un coordinamento fra coloro che debbono ottemperare alle regole e farne rispettare la valenza e l’imperatività in determinati casi.
Scusatemi, forse non dovrei dare giudizi, ma attenermi solo ai fatti.

PRESIDENTE
No, lei deve fare anche sue valutazioni.

LALLA
Proprio in vista di questa audizione, ho indetto una riunione del gruppo specializzato della procura di Genova che, tra le altre cose, si occupa di infortuni sul lavoro. Tutti i componenti del gruppo mi hanno dato indicazioni di questo tipo, relative cioè alla mancanza di coordinamento tra le norme, ma soprattutto tra le persone che dovrebbero preoccuparsi di rendere armoniose le norme tra loro, con un risultato positivo e virtuoso che quindi a volte non c’è. Alcuni hanno toccato un aspetto particolare del problema: il coordinamento di segnali e gestualità tra i lavoratori del porto. Infatti abbiamo avuto diversi incidenti per il classico container preso dalla gru che ha schiacciato l’operatore per mancanza di coordinamento. Evidentemente non c’erano una gestualità e una ritualità chiare nei gesti che potessero far capire al gruista che stava a terra i movimenti e i tempi da rispettare per sganciare. Questa è la constatazione più macroscopica che hanno rilevato i miei sostituti che si occupano dell’infortunistica nel lavoro in porto. Mi è stato detto che stamani su questo problema audirete anche la responsabile della ASL, la quale ha ancora più esperienza di noi, nel senso che si occupa anche di prevenzione laddove noi ci occupiamo solo dell’aspetto repressivo, intervenendo cioè quando succede qualche guaio. La responsabile della ASL ha forse una visione molto più completa di noi su questo problema.
Altra questione è quella della difficoltà per chi fa prevenzione di avere chiarezza in ordine ai ruoli all’interno del porto. Questa è una constatazione che ho fatto io stesso occupandomi di infortuni sul lavoro (ho fatto per vent’anni il pretore). La constatazione è che l’ambito portuale rappresenta non dico una specie di repubblica indipendente (non vorrei essere eccessivo), ma un modo di vedere le cose e di regolarle che è particolare degli operatori portuali, sicché spesso, anche nella ricostruzione del fatto, quando si vuole ricostruire un determinato avvenimento spesso viene data una versione non dico falsa, ma indubbiamente condizionata dalla esigenza di rispondere ad una logica interna, ad una logica del porto. L’assunto infatti è quello per cui coloro che sono fuori non capiscono nulla di ciò che avviene all’interno del porto, della dinamica e specificità delle operazioni, e i professionisti magari danno di esse una versione che a volte non corrisponde alla realtà.
Nel mio lavoro di giudice a volte mi sono trovato in difficoltà nel capire cosa fosse realmente avvenuto, perché mi veniva data una versione che rispondeva alla logica dei lavoratori del porto ma non a quella di chi è al di fuori della realtà portuale.

PRESIDENTE
Desidero innanzitutto ringraziare il procuratore per il suo contributo. Vorrei sapere se è a conoscenza dell’esistenza di un protocollo, di cui abbiamo avuto notizia, tra i camalli della CULMV (Compagnia Unica fra i Lavoratori delle Merci Varie) e la società Grandi Navi Veloci.

LALLA
Non ne sono a conoscenza. Nessun avvenimento tra quelli che hanno riguardato la sede repressiva ha messo in luce l’esistenza di un simile protocollo. Non ne so nulla, anche se ciò non vuol dire che non esista. So che alcuni terminalisti hanno un protocollo di sicurezza per i propri dipendenti, che altri terminalisti invece non hanno: mi sembra che la società Grandi Navi Veloci non ce l’abbia.
I miei collaboratori mi hanno riferito che un paio di terminalisti, ad esempio la SECH (Southern European Container Hub), hanno un loro protocollo: ciò comporta anche l’addestramento del proprio personale a una risposta congrua in determinati momenti della vita portuale. I terminalisti che non hanno predisposto un analogo protocollo magari addestrano ugualmente i propri dipendenti, però il fatto di non avere un protocollo implica la mancanza di una risposta cogente su questo punto.

PRESIDENTE
La ringrazio per la collaborazione.


Audizione del vice sindaco di Genova, del presidente della provincia di Genova, dell’assessore alla salute e del dirigente del servizio igiene della regione Liguria



Intervengono il vice sindaco del comune di Genova Paolo Pissarello, il presidente della provincia di Genova Alessandro Repetto, l’assessore alla salute della regione Liguria Claudio Montaldo e il dirigente del servizio igiene della regione Liguria Paola Oreste.

PRESIDENTE
Desidero ricordare ai nostri ospiti, che ringrazio, che il motivo della presenza a Genova della Commissione parlamentare d’inchiesta non è solo dettato dal drammatico infortunio occorso il 23 dicembre scorso, ma deriva anche dalla volontà di acquisire una maggiore comprensione delle attività di prevenzione, di formazione e di gestione del lavoro nel porto. Si tratta di una realtà importante e complessa, in cui vive e lavora una serie di soggetti che svolgono funzioni diverse. Ciò al fine di cogliere l’eventuale necessità di predisporre normative più dirette, chiare e snelle.
Mi sembra infatti che emerga un problema attinente al coordinamento dei vari soggetti, in riferimento alle diverse e molteplici attività che si svolgono nel porto. Vi chiedo se per le vostre funzioni istituzionali e per le vostre attività specifiche potete fornirci elementi di dettaglio ed eventuali riflessioni e proposte in merito.

MONTALDO
Vi ringrazio per averci offerto l’opportunità di intervenire e per la sensibilità e l’attenzione dimostrata nei confronti della situazione, che è molto particolare. La nostra realtà portuale, infatti, sia per dimensioni che per modalità organizzative è unica nel panorama nazionale.
Prima di parlare del porto, voglio però fare una breve premessa sulle questioni generali. Sia a livello regionale che a livello delle singole ASL abbiamo svolto un lavoro molto intenso sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro, che all’indomani dell’emanazione del decreto legislativo n. 81 del 2008 ci ha portato a dare immediatamente corso ai provvedimenti attuativi. In modo particolare, voglio sottolineare che abbiamo tempestivamente costituito il Comitato regionale di coordinamento, di cui fanno organicamente parte le componenti sociali, ovvero le rappresentanze delle imprese e quelle sindacali dei lavoratori: essi sono soggetti con pari dignità all’interno del coordinamento. Attraverso tale coordinamento è stata sviluppata un’analisi sulle tipologie degli incidenti avvenuti negli ultimi anni, prendendo in esame un arco di tempo abbastanza ravvicinato ma importante e sono state definite alcune iniziative, a nostro giudizio rilevanti, per monitorare la tipologia degli incidenti avvenuti negli anni precedenti e aprire una fase di lavoro con le parti sociali (ovvero le imprese e i sindacati), in modo da stimolare tutti i soggetti in campo a rimuovere le cause che li hanno provocati.
Nell’ambito di questo lavoro è stato svolto anche un approfondimento specifico sulle questioni della portualità, individuando le due tipologie di incidenti che si verificano con maggiore frequenza, su cui i soggetti coinvolti sono stati stimolati ad attuare procedure preventive. Le due tipologie più frequenti sono le seguenti: la caduta dall’alto (il terz’ultimo infortunio verificatosi in porto è originato infatti da una caduta dalla nave); gli incidenti da investimento da parte di un mezzo operativo, come quello che ha causato l’infortunio mortale di cui si tratta. Abbiamo dunque cercato di sollecitare i responsabili della sicurezza delle imprese e le organizzazioni sindacali per attivare, nelle singole situazioni, procedure finalizzate a scongiurare la possibilità che si creino tali eventi. Abbiamo anche dato vita ad un ufficio operativo, costituito dai vari enti – che quindi coinvolge soltanto soggetti pubblici – coordinato dalla Regione e con la presenza di altri soggetti quali l’INAIL, la Direzione Regionale e le Direzioni Provinciali del lavoro, con il compito di coordinare e verificare l’attività di controllo e vigilanza. Ciò ha costituito un passo avanti molto importante. Nonostante le difficoltà che la nostra Regione ha affrontato nella gestione del sistema sanitario (siamo fuoriusciti dal regime di accompagnamento proprio il 1º gennaio di quest’anno, dopo tre anni di particolare difficoltà e quindi di tensione anche per quanto riguarda le politiche del personale) abbiamo incrementato gli addetti ai settori della prevenzione in tutte le ASL.
Passando alle questioni riguardanti il porto, va evidenziato un aspetto specifico, che potrà essere approfondito dai rappresentanti della ASL 3 di Genova: ricordo infatti che quella portuale è l’unica realtà lavorativa a cui abbiamo dedicato un nucleo specifico del servizio PSAL (Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro). Tale nucleo, costituito da una decina di componenti, si è specializzato nel corso degli anni in modo significativo e ha dato un contributo molto importante al Ministero e all’allora Sottosegretario nella redazione del decreto legislativo n. 81 del 2008, con riferimento alla parte riguardante il lavoro portuale, che ha una sua specificità.
Dopo il primo degli incidenti verificatisi in questi anni (purtroppo uno l’anno) su iniziativa dell’allora prefetto Giuseppe Romano, con un lavoro proseguito dal suo successore, il prefetto Annamaria Cancellieri, è stato attivato in Prefettura un tavolo con tutte le parti interessate, che ha portato alla definizione di un protocollo e all’individuazione di alcune misure specifiche da adottare nell’ambito dell’attività portuale, che fanno riferimento al bisogno di coordinamento.
Signor Presidente, vorrei raccogliere la sua sollecitazione, perché la realtà portuale ha delle particolarità rispetto alle altre realtà lavorative.
Vi operano infatti molti soggetti contemporaneamente, che svolgono il proprio lavoro intorno alla stessa attività. È dunque assolutamente necessario compiere dei miglioramenti anche sul piano legislativo per quanto riguarda il tema della responsabilità: un intervento sulla normativa in materia di portualità potrebbe dare un contributo in questo senso. In situazioni come quella dell’ultimo incidente, infatti, operavano nello stesso ambito il terminalista, l’armatore della nave e la Compagnia portuale.
Proprio in quel periodo, peraltro, abbiamo affrontato una situazione meteorologica molto difficile (anche se questo non c’entra affatto con l’incidente, desidero ricordarlo per chiarire il contesto dei fatti), in cui si è avuto un abbassamento delle temperature inusuale per la nostra città, con pioggia, ghiaccio e pioggia ghiacciata e conseguenti rischi sulle banchine che hanno dato vita a molte situazioni di tensione e di contenzioso operativo per decidere se vi fossero o meno le condizioni per lavorare in sicurezza. In questi frangenti, si determina sempre una situazione in cui non è chiaro chi abbia la responsabilità di decidere se fermarsi e ripartire dopo un’ora per aspettare che migliorino le condizioni oppure attendere che si decongestionino le situazioni operative.
Nel corso del tempo, è venuto meno il ruolo dell’Autorità portuale, per una scelta legislativa: riteniamo che questa potrebbe essere una strada sulla quale lavorare in sede normativa, per attribuirle maggiore responsabilità; abbiamo bisogno di qualcuno che decida e non può che essere un soggetto pubblico, che abbia una responsabilità di carattere generale sul porto. Sicuramente non può trattarsi della ASL, sulla quale si riversano molte aspettative, che però ha compiti diversi e soprattutto non ha competenza dal punto di vista dell’operatività portuale. Questa è quindi la sollecitazione che vi rivolgerei, anche a nome di tutti i soggetti che hanno lavorato e stanno lavorando in questi termini.
Abbiamo preparato una corposa documentazione, che lasciamo a disposizione della Commissione: naturalmente, insieme alla dottoressa Paola Oreste, la nostra dirigente del settore prevenzione della Regione, siamo qui per rispondere alle vostre richieste.

PRESIDENTE
La ringrazio, assessore Montaldo, per gli elementi di riflessione che ci ha fornito, nonché per il corposo dossier che avete preparato.
Proprio su questo ci stiamo interrogando, come del resto ho sottolineato anche nella mia brevissima introduzione, al fine di poter dare una risposta a queste problematiche, di cui si sta interessando la senatrice Donaggio, qui presente, insieme ad altri colleghi, nella Commissione lavori pubblici e comunicazioni del Senato.
Può quindi essere questo il momento più adatto per intervenire da un punto di vista legislativo. Proprio stamattina stavamo riflettendo su questo tema, grazie ad una considerazione della senatrice Donaggio: la necessità di restituire il proprio ruolo all’Autorità portuale, per fare in modo che ci sia comunque un soggetto che, conoscendo a fondo le varie attività, possa arrivare ad una determinazione. Ritengo che anche le Regioni potrebbero dare un contributo sul tema, posto che potremmo andare verso una normativa che preveda un elemento concorrente proprio con le Regioni. Saremmo orientati ad avanzare proposte in questo senso, ma sembrerebbe esservi un irrigidimento da parte delle aziende sanitarie in genere. Lei ha affermato il contrario, dottor Montaldo, e la cosa non può che farci piacere, tuttavia credo che il problema esista. Potremmo anche audire in merito l’assessore Rossi (anche se non sono sicuro sia ancora in carica), che nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni s’interessa delle problematiche della sanità: questi aspetti infatti vanno concordati, onde evitare che si creino momenti di contrasto per una legislazione concorrente, che potrebbe emergere senza approfondimenti.
Trovare un elemento d’intesa con le Regioni potrebbe favorire molto noi e soprattutto chi in questo momento sta lavorando sul tema in sede di Commissione trasporti, per avere una risposta sostenuta da un’intesa tra Stato-Regioni. Possiamo farlo come Commissione, ma ancor di più da un punto di vista formale ed ufficiale potrebbe farlo la Conferenza Stato-Regioni stessa.
La ringrazio per questo contributo, dottor Montaldo, anche se, ripeto, bisognerebbe capire se appartiene ad una linea completamente condivisa o meno.

MONTALDO

Signor Presidente, è evidente che le Regioni sono molto gelose delle competenze sanitarie che il nuovo Titolo V ha loro assegnato, quindi sono fortemente interessate a che vi sia molta trasparenza nella ripartizione delle competenze. Non credo che possano spettare all’Autorità portuale competenze che oggi appartengono alla ASL, ma nel panorama portuale vi è bisogno di chiarezza. La senatrice Pinotti ed il senatore Bornacin, che conoscono bene la realtà genovese, sanno che ci troviamo di fronte ad una pluralità di soggetti e situazioni diverse, per cui dal punto di vista della gestione dell’operatività portuale c’è bisogno di un soggetto che abbia maggior forza e competenza per poter intervenire.
Immagino che ascolterete anche il presidente dell’Autorità portuale e vi potrete rendere conto di come questa posizione sia assolutamente condivisa, trattandosi di una richiesta che mi pare provenga da tutto il mondo della portualità.
Ovviamente, tutte le responsabilità rimangono in capo alla ASL, ma riteniamo difficile poter assegnare a questa anche la responsabilità di decidere se una certa operazione portuale si può fare o meno, posto che c’è anche un problema di conoscenza della parte tecnica e delle risorse disponibili: il porto di Genova è una realtà molto grande, che si sviluppa su svariati chilometri, con più terminal, per cui è ragionevole pensare che non possano esserci decine di soggetti a presidiare in modo puntuale queste situazioni.

DONAGGIO (PD)
Signor Presidente, nel ringraziare l’assessore Montaldo, vorrei premettere che, per fortuna, la salute e la sicurezza non sono state demandate alla legislazione concorrente, ma sono una delle materie rimaste in capo alla legislazione dello Stato.
La domanda che vorrei rivolgere è volta a capire come vi siete predisposti all’attuazione dei compiti che il Testo unico ha assegnato in capo alle Regioni (e non sono pochi), anche rispetto al coordinamento con i tavoli delle Province. Questo infatti era uno dei punti delicati della normativa sulla sicurezza, ossia il coordinamento dei numerosi soggetti che intervengono sulla base di un’articolazione piuttosto consistente delle normative, per avere un soggetto responsabilizzato rispetto alla loro attuazione.
Il procuratore della Repubblica ci ha fatto notare poc’anzi che una delle difficoltà della Procura nell’individuare le responsabilità sta appunto in questa frantumazione tra i vari soggetti in ordine alla capacità di presiedere all’operatività delle norme. Quindi, il problema che oggi si pone è quale sia il soggetto di coordinamento che sostanzialmente ha il compito di essere l’anello mancante della attuale legislazione. Parlo dell’Autorità portuale perché è il soggetto che autorizza l’ingresso delle imprese e ne verifica le caratteristiche di rispondenza della preparazione, delle competenze e delle risorse umane a svolgere quel tipo di lavorazione che, come tutti sappiamo, è uno di quelli maggiormente a rischio per l’incidenza di infortuni e morti sul lavoro.
La mia domanda mira quindi a sapere se questo soggetto di coordinamento – cioè l’anello mancante rispetto alle competenze che ognuno in questo momento svolge – non sia da individuarsi nell’Autorità portuale. In questo senso alcuni Presidenti di Autorità portuali hanno dato altri suggerimenti; il Presidente dell’Autorità portuale di Venezia, ad esempio, l’onorevole Paolo Costa, è di questa opinione. Anche lì, ci sono una serie di protocolli che abbiamo già verificato in una visita svolta nel territorio veneziano, per approfondire alcuni incidenti avvenuti nell’ambito portuale.
Dal momento che in sede di Comitato ristretto della Commissione lavori pubblici del Senato stiamo analizzando il problema, poiché ci apprestiamo a varare la nuova normativa sul lavoro e le attività portuali, ci sembrava utile colmare il vuoto esistente nell’individuazione di una competenza di coordinamento tra i vari soggetti. Ciò anche al fine di consentire alle autorità preposte ai controlli di avere un interlocutore certo. Questo è il punto sul quale vorremmo ragionare, perché si pone come un elemento determinante ai fini dell’efficacia dell’attività di prevenzione e di formazione, ma anche di una verifica rispetto al fatto che ciò non avvenga solo in termini formali.

PISSARELLO
Colgo anch’io l’occasione per ringraziarvi per la vostra attenzione, segnale dell’interesse istituzionale per questi fatti che colpendo la città tutta – al di là delle competenze specifiche che, come abbiamo sentito, risiedono molto più nella Regione che non nel Comune – inducono a formulare riflessioni e, se possibile, anche a fornire contributi.
Vorrei sottolineare che per noi il porto rappresenta l’industria della città. Al suo interno si muovono nel complesso circa 10.000 operatori, per cui si tratta di un elemento molto importante per l’economia, la storia, la cultura e la vita di Genova. Gli operatori sono divisi in grandi filoni: i portuali, che poi oggi sono quelli maggiormente alla nostra attenzione, ma anche coloro che fanno parte del settore delle riparazioni navali, che quindi si occupano della cantieristica vera e propria, con problemi specifici che ritengo importante vengano all’attenzione della Commissione. Tali problemi si concentrano in un fatto prima emerso con molta chiarezza: lavorano all’interno dell’area portuale più soggetti, con attività che spesso si sovrappongono, per quanto riguarda sia lo specifico delle operazioni portuali sia l’insieme del movimento della portualità. Non a caso, l’assessore Montaldo, indicando le tipologie degli infortuni, ha sottolineato proprio l’infortunistica da traffico (uso un po’ impropriamente questa espressione), che è data per l’appunto dalla congestione. Quindi credo che tale aspetto debba essere considerato centrale; esso è costituito da una quantità di situazioni che sono tipiche dell’area portuale, ma che interagiscono anche con l’area cittadina. Immaginate ad esempio cosa significhi l’arrivo contemporaneo di quattro o cinque traghetti (l’ultimo incidente è avvenuto su un traghetto) che sbarcano e imbarcano passeggeri in tempi rapidissimi, creando situazioni di fortissima congestione. È quindi importante un regolatore.
L’esempio che sto facendo è banale, però credo che possa aiutare perché se solo un soggetto regolatore riuscisse a cadenzare in maniera diversa l’arrivo in banchina e la partenza delle navi (che rappresentano certamente un fattore di congestione e di sovrapposizione) la situazione potrebbe migliorare. Questa è ovviamente una logica di prevenzione, che è quella che ci deve interessare principalmente.
Il Comitato portuale ha questa funzione di regolatore in un momento fondamentale, ossia quello dell’autorizzazione all’attività da parte dell’impresa.
Noi enti facciamo parte di tale Comitato, con il ruolo che al suo interno ci è riconosciuto, e vediamo che già la fase istruttoria per l’autorizzazione rappresenta un forte momento regolatore anche se manca qualcosa, perché credo che sia importante muoversi a livello di sistema (personalmente ho sempre affrontato e studiato la parte che riguarda il diritto del lavoro e la sicurezza), quindi puntare sulla responsabilizzazione del datore di lavoro e del lavoratore. È in questo ambito che non devono essere poste in essere delle iniziative che spostino il cardine della responsabilità sul processo. La banchina è un luogo particolare dove, come nel caso dell’ultimo incidente e come diceva l’assessore, marittimi, terminalisti e Compagnia si trovano ad interagire. Credo quindi che in alcune situazioni sia importante ragionare su quale ruolo può avere un’Autorità portuale, che è già soggetto regolatore: parlo di un ruolo più specifico che è quello su cui anche noi enti stiamo ragionando, tenuto conto del ruolo che già rivestiamo all’interno del Comitato. Sto parlando di un ruolo che deve servire a risolvere possibili conflitti nelle decisioni sui processi: anzitutto occorre la certezza che i processi siano sicuri e a tal fine detto ruolo deve essere supportato dalla formazione, quindi dalla competenza e dal sapere. Tale competenza risiede molto più specificamente nella Provincia (sicuramente interverrà il presidente Repetto) ma, per quello che può essere il contributo comunale attraverso le scuole e la formazione, il discorso è sicuramente aperto, anche perché c’è una parte di competenza, legata per esempio agli infortuni da traffico, in relazione alla quale possiamo dare un contributo. Bisogna però stare attenti a non aumentare le sovrapposizioni e a lasciare questo ruolo in capo a un solo soggetto (che secondo noi non può che essere l’Autorità portuale), anche nelle situazioni in cui occorre assumere decisioni sull’operatività. Genova è una città ventosa e i regolamenti stabiliscono quando ci si deve fermare, però vi sono dei fatti che hanno bisogno di una decisione presa al momento. Forse questo è l’anello cui faceva riferimento la senatrice Donaggio: effettivamente nel processo c’è un momento in cui occorre prendere una decisione che sia super partes, altrimenti rischieremmo di affidare agli interessi del momento, molto spesso commerciali, la regolazione di un fatto che attiene anche alla sicurezza.

PRESIDENTE
La ringrazio per il contributo offerto.

REPETTO
Signor Presidente, mi unisco ai ringraziamenti sia per la vostra sensibilità che per l’opportunità che ci è stata data di sottolineare in questa illustre sede la possibilità di un miglioramento del lavoro portuale e dell’attività portuale in generale.
Vorrei anzitutto mettere in evidenza due aspetti, il primo dei quali è stato già rilevato in riferimento a un eventuale contrasto tra competenze della ASL e competenze dell’Autorità portuale. Credo che questa dicotomia non ci dovrebbe essere perché sono diverse le sfere di competenza: quando si parla di tutela della salute e di sicurezza sul luogo di lavoro si intende una capacità di interloquire per quanto riguarda i fenomeni che intervengono nell’organizzazione del lavoro. Noi qui stiamo facendo, mi pare in maniera abbastanza unitaria, un riferimento all’Autorità portuale come responsabile dell’organizzazione del lavoro. A mio avviso, si tratta di un elemento molto importante da sottolineare. Abbiamo già accennato al fatto che questa riforma potrebbe effettivamente introdurre alcuni punti fermi proprio per ciò che riguarda l’organizzazione del lavoro nell’ambito dell’attività portuale. Quello che mi preme sottolineare è che a tal riguardo siamo ancora – lasciatemelo dire in termini anche un po’ provocatori – a livelli di spontaneismo, nel senso che non si è determinata in maniera compiuta una situazione di obiettiva trasformazione delle mansioni e delle competenze nell’ambito delle attività portuali. Si guarda infatti sempre all’attività portuale con un certo romanticismo; ad esempio, si riconduce l’attività della Compagnia Unica alla figura del camallo come se non avesse oggi a disposizione strumenti diversi rispetto al passato.
Ma ciò non è vero perché oggi vi sono strumenti di alta tecnologia e c’è un’organizzazione del lavoro diversa rispetto al passato. Credo pertanto sia necessaria la presenza di un ente regolatore per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro, nonché la predisposizione in tale ambito di iniziative che non si configurino soltanto come interventi formativi (questi infatti ci sono, seppur in maniera molto generica). Per quanto riguarda l’Amministrazione provinciale (lo abbiamo sperimentato nel settore dell’edilizia, anch’esso fortemente colpito dagli infortuni), non si può dire che sia soddisfatto il principio della formazione nel momento in cui si fa solo una formazione tout court, a 360 gradi (la cosiddetta formazione di ingresso).
Noi riteniamo che ci debba essere una formazione corrispondente a quelle che sono le mansioni e le posizioni organizzative che devono essere costruite. Credo che questo sia l’elemento di grande trasformazione che alcuni porti hanno tentato di realizzare: cito i casi di Venezia e di Livorno, dove questo tentativo è stato fatto anche se poi non ha avuto seguito.
A livello di attività portuale, oggi ogni dipendente del porto ha una scheda della sua attività lavorativa, che però non viene aggiornata con valutazioni sulla crescita professionale dell’individuo. Oggi, ad esempio – mi rifaccio a un discorso molto aperto che stiamo facendo con la Compagnia Unica –, nell’ambito della Compagnia il cosiddetto socio ha teoricamente di per sé, già dal primo giorno di ingresso, tutte le competenze per poter operare a tutti i livelli. Riteniamo che questo sia un punto su cui ragionare perché se si parla di effettiva capacità di rispondere alle esigenze (anche di formazione) della sicurezza, allora ci deve essere una diversa lettura anche dell’attività portuale (sullo stesso piano di quella che è un’organizzazione a livello di attività industriale).
In questo senso, nel 2009 abbiamo presentato un progetto di costituzione di scuola portuale. Questa non rappresenterebbe una dimensione nuova, ma soltanto una messa a sistema di realtà che già oggi si stanno attuando all’interno del porto di Genova. Dovrebbe rispondere a due esigenze: quello della formazione tout court (quindi non soltanto in tema di sicurezza, ma anche per quanto riguarda l’attività portuale nel suo complesso) e quello della certificazione. La scuola dovrebbe infatti provvedere alla certificazione delle posizioni nel momento in cui, attraverso la formazione, si tendono a costituire i livelli, poiché ciò potrebbe comportare, anche sotto il profilo dei requisiti, una diversa configurazione per quanto riguarda la sicurezza stessa. Una cosa è infatti mandare una persona a lavorare con mansioni diverse (che possono essere quelle dello stoccaggio o della normale attività di banchina), mentre altra cosa è avere delle diverse specializzazioni. Ciò vale non solo per la Compagnia che fornisce la manodopera, ma anche, in maniera precipua, per i terminalisti e gli armatori che avrebbero, a questo punto, delle figure consolidate (di carattere anche specialistico) che possono essere individuate. Altro obiettivo – come ho detto – è quello di certificare le posizioni lavorative che possono diventare corrispondenti alle esigenze sotto il profilo dell’organizzazione e della sicurezza.
Questo è lo sforzo che stiamo facendo. Tale proposta è stata inserita nel contesto delle attività dei piani operativi per quanto riguarda l’Autorità portuale per gli anni 2009-2011. Entro il mese di giugno del 2010 riteniamo di poter corrispondere alla totale messa in carico presso l’Autorità portuale della scuola che, sotto forma consortile, avrebbe quindi queste due grandi opportunità: portare avanti un concetto di formazione permanente e di formazione all’ingresso e operare anche in ordine ai contenuti, alle posizioni organizzative e alle relative certificazioni. In questo modo, con riferimento anche ai singoli lavoratori (cioè sia per quanto riguarda i dipendenti dei terminalisti che i dipendenti delle compagnie di prestatori di manodopera) si avrebbe la possibilità di avere una configurazione in termini di livelli (e quindi di skills corrispondenti) che siano obiettivamente tarati sui parametri dei porti del Nord Europa che abbiamo studiato.
Questa è la risposta che la Provincia intende fornire sul tema della sicurezza, perché riteniamo che, al di là dell’ente regolatore per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro, ci sia una carenza sotto il profilo organizzativo. L’obiettivo è che l’attività portuale (che in termini di PIL corrisponde a un’implementazione notevolissima nell’ambito dell’attività produttiva) possa avere una configurazione simile a quella di una normale attività industriale. Lo abbiamo fatto nell’ambito della formazione con l’iniziativa «I mestieri del mare». Credo che la Liguria sia la prima regione in Italia per quanto riguarda questo obiettivo e la seconda, insieme al Lazio, ad aver costituito il Polo dei mestieri del mare, nell’ambito del quale viene svolta un’attività di interattività nei confronti degli operatori, da cui abbiamo i riscontri delle effettive esigenze che su quella posizione di lavoro vengono richieste per quanto riguarda le varie evoluzioni.
Ciò ci consente di avere una formazione più aderente alle situazioni di mercato e una migliore configurazione per quanto riguarda la posizione di mercato e quindi i livelli occupazionali. Quello che conta, sotto il profilo della sicurezza, è la possibilità di tarare i livelli di formazione ai fattori di rischio delle singole posizioni lavorative. Un conto infatti è lavorare sopra un container, un altro conto è lavorare sulla banchina, un altro ancora è lavorare all’interno di una stiva.
Per fare ciò ci basiamo sul modello elaborato insieme all’Accademia Italiana della Marina Mercantile, l’unica struttura del genere presente in Italia, in cui ogni anno si diplomano circa 100 ufficiali di macchina o di coperta.

MONTALDO
Intervengo solo per dare risposta alla domanda posta dalla senatrice Donaggio: noi riteniamo di aver messo in atto tutti gli adempimenti previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008. Il cuore dell’attività è garantito in particolare dall’ufficio operativo il quale, sia a livello regionale che a livello di singole ASL – che corrispondono grosso modo al territorio delle province – garantisce un miglioramento della collaborazione tra tutti gli enti pubblici. Ciò è fondamentale per razionalizzare gli interventi.
Dal punto di vista della copertura dell’attività di controllo, da diversi anni abbiamo raggiunto – e ultimamente superato – la quota del 5 per cento, prevista dai livelli essenziali di assistenza per quanto riguarda i controlli sulle imprese: nell’ultimo anno ci siamo attestati su una percentuale del 5,9 per cento. Ciò rappresenta una buona copertura, che nel porto supera il 40 per cento. La scelta di creare un nucleo operativo specifico, sebbene le risorse non siano certo infinite, ha consentito di esercitare un controllo molto forte anche in questa direzione, considerando che l’attività portuale è assai articolata e la parte industriale è non meno rilevante di quella commerciale.

NEROZZI (PD)
Vorrei sapere se nella documentazione che intendete depositare c’è anche la ricerca di cui ci ha parlato.

MONTALDO
Sì.

NEROZZI (PD)
Le chiedo anche se è possibile avere la documentazione riguardante la scuola.

MONTALDO
Certamente.

ORESTE
Desidero specificare che nella documentazione troverete spesso una pluralità di loghi, come quello dell’INAIL, della Regione e dell’ASL. La base dati è quella dell’INAIL, ma ormai da anni i nostri enti lavorano insieme, a seguito di protocolli di intesa sia nazionali che regionali, e dunque le elaborazioni sono congiunte. Quindi è possibile che anche i rappresentanti dell’INAL consegnino alla Commissione documenti analoghi a questi.


Audizione del questore di Genova, del comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri, del comandante provinciale della Guardia di finanza e del comandante provinciale dei Vigili del fuoco



Intervengono il questore di Genova Salvatore Presenti, il comandante provinciale dell’Arma dei Carabinieri Gino Micale, il comandante provinciale della Guardia di finanza Maurizio Tolone e il comandante provinciale dei Vigili del fuoco Giovanni Nanni.

PRESIDENTE
I motivi della nostra presenza a Genova sono noti. Desideriamo conoscere dai nostri ospiti – che ringrazio – elementi, sulla base delle loro competenze e delle loro conoscenze, sull’infortunio mortale del 23 dicembre scorso. La nostra presenza tuttavia non è soltanto legata a questo drammatico evento. Vogliamo infatti conoscere meglio la complessa macchina del porto, i soggetti che vi operano e le diverse competenze, al fine di ipotizzare – qualora ve ne fosse bisogno – una migliore organizzazione, anche connessa all’emanazione di normative più cogenti, in modo da fare del porto un unicum che possa essere meglio gestito e coordinato in modo più funzionale alla salute e alla sicurezza sul luogo di lavoro.

PRESENTI
Onorevoli commissari, l’infortunio sul lavoro occorso il 23 dicembre dello scorso anno, che ha riguardato Gianmarco Desana, è avvenuto all’interno di una nave del terminal traghetti della compagnia creata da Aldo Grimaldi. La Questura non ha compiuto interventi diretti, ma si è limitata a seguire gli sviluppi successivi, che hanno determinato scioperi immediati, con il blocco della circolazione all’entrata del porto e la congestione dell’autostrada all’altezza di Genova est. So che l’Autorità portale ha creato una commissione per migliorare le condizioni di lavoro degli operai della CULMV, che in passato aveva il monopolio del carico e dello scarico delle merci, e di tutti i soggetti che a vario titolo, come dipendenti degli armatori o dei terminalisti, operano all’interno delle navi e movimentano le merci. Si sono infatti verificati quattro casi del genere, ma in nessuno è intervenuta la polizia giudiziaria. Nell’ultimo caso è intervenuta la ASL, che ha dichiarato l’accidentalità dell’evento, visto che il lavoratore è stato schiacciato da un semirimorchio. Può darsi che vi sia stato un errore umano, tanto che la nave non è stata nemmeno sequestrata dal pubblico ministero di turno ed è ripartita con i passeggeri.
Le nostre pattuglie si interessano dei cantieri, per verificare se sono a norma, e qualora non lo siano viene effettuata una segnalazione agli enti competenti. Ci limitiamo dunque a questa attività.

MICALE
L’Arma dei Carabinieri non è stata chiamata in prima battuta nella circostanza dell’incidente: ciò che conosco risulta dunque dalla ricostruzione degli eventi fatta dalle unità dei Carabinieri che sono intervenute per gestire l’ordine pubblico. Per inquadrare l’evento bisogna partire dalla sera precedente l’incidente, il 22 dicembre, quando a bordo della nave «La Superba» si è sviluppato un incendio nella sala macchine, per cui i 1.482 passeggeri che erano a bordo non sono potuti partire, ma sono stati fatti scendere ed è stato consentito loro di trascorrere la notte sulla motonave «Splendid», della stessa società Grandi Navi Veloci. Questi stessi passeggeri sono stati imbarcati il giorno successivo sulla nave «La Suprema», su cui è avvenuto l’incidente. Immagino che le condizioni generali e le aspettative delle 1.482 persone, che con quelle condizioni climatiche attendevano di partire da 24 ore, hanno presumibilmente creato una certa atmosfera di fretta. È dunque ragionevole pensare che tutte le operazioni siano avvenute con una certa pressione complessiva. Fatto sta che durante le operazioni di stivaggio di alcuni mezzi pesanti in uno dei garage della nave è avvenuto l’incidente mortale che è costato la vita a Gianmarco Desana.
Una volta conclusi tutti gli accertamenti, alla nave è stato consentito di partire, perché bloccarla ancora in porto avrebbe probabilmente creato ulteriori tensioni, visto che molte delle persone a bordo non erano a conoscenza di quanto accaduto. Dunque, la nave è salpata alle 17,15 alla volta di Palermo. Ciò ha determinato la reazione di alcuni lavoratori del porto, che hanno in qualche maniera visto mortificato il loro dolore, e ha generato una serie di turbative dell’ordine pubblico, con blocco degli accessi al porto. Nell’arco del pomeriggio si sono ammassate su tutti gli assi di ingresso al porto circa 7.000 persone, che dovevano partire alla volta di Tunisi, Olbia e Porto Torres. Per quel che mi risulta, alla fine di una trattativa abbastanza intensa, è stato consentito ai passeggeri di partire per le rispettive destinazioni, mentre il traffico merci è stato bloccato fino al successivo 26 dicembre. Il dato rilevante è che qualsiasi cosa accada in porto, a prescindere dalle responsabilità e dalla gravità, ha comunque fortissime implicazioni su tutta la città.

TOLONE
Signor Presidente, sull’argomento specifico di cui ci stiamo occupando non ho elementi particolari di conoscenza da sottoporre alla vostra attenzione, in ragione delle competenze della Guardia di finanza sulle tematiche del lavoro. Infatti, gli aspetti dei quali ci occupiamo riguardano i controlli, che svolgiamo o insieme ad altri organi dello Stato a ciò specificamente demandati oppure anche autonomamente nell’ambito di quelli di natura fiscale che rientrano nella nostra normale attività. Per spiegarmi meglio, quando svolgiamo tali controlli guardiamo anche alla regolarità dei rapporti di lavoro delle persone che operano nell’azienda controllata, ma con riferimento specifico alla regolarità del rapporto stesso rispetto alla normativa previdenziale retributiva e reddituale.
Certamente, può capitare che un rapporto di lavoro irregolare sotto i profili che ho appena ricordato possa risultarlo anche sotto quello della mancata osservanza delle norme di sicurezza. Questo però non è capitato fino ad ora: abbiamo constatato ed accertato irregolarità sotto il profilo contributivo e fiscale senza, per fortuna, accertare mai nel corso dei nostri controlli situazioni intrinsecamente pericolose sotto il profilo del rapporto di lavoro.

PRESIDENTE
Lei si riferisce all’ambito del porto, dottor Tolone?

TOLONE
Parlo in generale, signor Presidente: questi controlli vengono fatti per varie tipologie commerciali o industriali, a seconda dei periodi dell’anno. D’estate, ovviamente, vengono fatti controlli specifici nel settore balneare oppure, a prescindere dal periodo dell’anno, in quello dell’edilizia; nel settore portuale, abbiamo svolto i normali controlli senza riscontrare irregolarità.

NANNI
Signor Presidente, nella competenza del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco rientra ovviamente la materia del controllo del rischio derivante da sostanze suscettibili di provocare incendi ed esplosioni o il rilascio di sostanze pericolose per la salute. La descrizione dell’incidente è stata correttamente ed esaustivamente già fatta da chi mi ha preceduto, per cui non ritornerò sulla vicenda. Vorrei fornire però una panoramica per gli aspetti di nostra competenza in ordine alla situazione dei rischi nell’ambito del porto. Sostanzialmente, anche con riferimento agli adempimenti, la situazione è più ossequiente di quanto non accada in altri settori. Per quanto riguarda gli incidenti riferibili al rischio controllato dal nostro Corpo, non c’è una casistica, posto che quella che abbiamo osservato riguarda essenzialmente la movimentazione delle merci nelle aree di cantiere ed in quelle industriali. Abbiamo avuto modo di constatare che in una larga casistica le problematiche che vanno affrontate sono relative ai controlli e vanno eventualmente pensate in un’ottica di organo collegiale per evitare la segmentazione delle competenze.
Se si vuole ridimensionare l’effetto dell’assuefazione alla ripetitività delle operazioni normalmente eseguite dagli operai un aspetto fondamentale è pensare ad un’incentivazione della formazione, non intesa in senso occasionale o sporadico ma continua, in modo da cercare di tenere viva la consapevolezza del rischio che si corre e dei comportamenti da osservare.
Diversamente la routine – come ben sappiamo – porta ad attenuare le attenzioni e, nella popolazione ignara, come in quella particolarmente esperta, fa osservare una casistica di incidenti dovuti all’eccessiva familiarità.
Con interventi di formazione continua, che tendano a rivitalizzare
l’attenzione, si potrebbe tentare di abbattere l’incidenza di questi eventi.

PRESIDENTE
Durante l’intervento di un autorevole esponente audito in precedenza è emerso un elemento legato a questo aspetto che lei, ingegner Nanni, sta sottolineando: si determinano incomprensioni tra i vari soggetti e spesso anche operazioni all’insaputa gli uni degli altri o in assenza della necessaria attenzione da parte degli operatori coinvolti.
Si è addirittura fatto riferimento alla gestualità, che sovente – pur essendo lo strumento per mandarsi segnali di manovra nelle operazioni – accade non venga compresa affatto o addirittura lo sia al contrario, per cui possono verificarsi gravi infortuni legati proprio a questo aspetto.
Indubbiamente c’è la presenza di questo elemento, che è emerso fin dall’inizio e sul quale ci soffermeremo anche nelle prossime audizioni, sperando che chi ha competenze più dirette e specifiche in materia sia in grado di fornirci elementi di rassicurazione circa le attività formative continue nell’organizzazione – che comunque va meglio definita – di questa grande realtà globale che è il porto. Non vorrei infatti che la fretta, la noia o altri elementi di questo tipo determinassero gli infortuni più gravi, anche mortali. Credo quindi che tale aspetto vada particolarmente evidenziato e sottolineato.
Vi ringraziamo per la collaborazione.


Audizione del direttore provinciale del lavoro, del direttore provinciale dell’INAIL, del direttore provinciale dell’INPS, del direttore generale dell’ASL 3 di Genova, del direttore UOPSAL



Intervengono il direttore dell’ufficio provinciale INAIL Enrico Lanzone, accompagnato dal dirigente medico della Direzione regionale INAIL Liguria Claudio Calabresi e dall’ispettore Paolo Rebollini e dall’incaricato della prevenzione Diego Cattivelli, il direttore dell’ufficio provinciale INPS Aniello D’Ambrosio, il direttore dell’ufficio provinciale del lavoro Vera Corbelli, accompagnata dal dottor Paolo Righi della direzione generale, il direttore della ASL 3 «Genovese» Renata Canini, il direttore UOPSAL Rosaria Carcassi e il direttore sanitario Giovanni Bruno.

PRESIDENTE
Do il benvenuto ai nostri ospiti.
Non starò a ripetere i motivi della nostra presenza a Genova, che – come potete immaginare – riguardano sia l’infortunio mortale del 23 dicembre scorso sia, più in generale, la ricerca di elementi utili a comprendere meglio le problematiche di questa complessa realtà che è il porto, nonché di indicazioni in riferimento a questo importante tema.
Del tragico evento cui abbiamo accennato si stanno occupando in modo più specifico la Procura e gli organi inquirenti, che stanno seguendo il percorso previsto.
Lascio dunque la parola al dottor Lanzone.

LANZONE
Signor Presidente, in qualità di direttore dell’Ufficio provinciale dell’INAIL della sede di Genova, sono accompagnato dai colleghi che più da vicino seguono la materia: l’ispettore che si occupa degli infortuni mortali (e che si è occupato di tutti quelli degli ultimi tre anni), il dottor Paolo Rebollini; il nostro esperto di prevenzione, che lavora anche a livello nazionale con l’INAIL, il dottor Calabresi, che segue il discorso relativo a questa materia dal punto di vista dei dati statistici e dei flussi, che è un lavoro particolarmente delicato; il dottor Cattivelli, incaricato della prevenzione.
Per quanto attiene all’attività dell’Istituto sul territorio, il nostro lavoro principale si è sviluppato soprattutto a seguito del decreto legislativo n. 38 del 2000. Non forniamo solo assistenza alle famiglie, ma anche un intervento a livello di studio, consulenza e prevenzione. Posso produrre gli ultimi tre rapporti annuali sugli infortuni in Liguria, che contengono tutti i dati statistici relativi agli eventi infortunistici, anche mortali, della Regione, con riferimento agli aspetti che riguardano il porto. Per quanto concerne l’attività di vigilanza e prevenzione degli infortuni, anche mortali, depositerò altri tre fascicoli, che possono essere utili alla Commissione al fine di approfondire l’argomento.
Quanto al porto, l’Istituto fa parte del Sistema operativo integrato (SOI), organismo creato dopo la firma del protocollo d’intesa, avvenuta in Prefettura nel 2007 e a cui parteciparono l’INAIL, l’ASL, la Direzione provinciale del lavoro e l’INPS. Il SOI negli ultimi anni ha raccolto i dati relativi agli andamenti infortunistici e ai rischi delle attività svolte in questo settore.
Preliminarmente devo precisare che il porto è una realtà molto complessa – si tratta di un’area di 30 chilometri – visto che parliamo non solo di carico e scarico delle merci (gli eventi riguardano soprattutto questo settore) ma anche di passeggeri e di cantieristica (che rappresentano comunque elementi molto rischiosi dal punto di vista dell’attività). I nostri dati – e anche alcuni studi che abbiamo fatto, sempre finalizzati alla prevenzione – confermano che questa tipologia di attività determina delle situazioni che possono creare effettivamente un alto tasso di rischio e, quindi, un notevole numero di infortuni. C’è infatti un rischio insito nell’attività stessa (penso, ad esempio, al manovrare pesi), ma anche nell’interferenza tra diversi soggetti: gli spedizionieri, i dipendenti della CULMV (oppure delle altre aziende che fanno manualmente certi tipi di lavoro) e delle aziende di trasporto marittimo, che chiaramente sono gli armatori.
Dai nostri studi abbiamo constatato che, a parte un alto tasso infortunistico soprattutto per quanto riguarda i lavoratori della CULMV, vi è un tasso infortunistico che è addirittura il doppio o il triplo di quello delle altre realtà che convivono in questo tessuto. Tutto ciò è documentato nel materiale che potrete esaminare direttamente.
Desidero inoltre soffermarmi sull’attività di vigilanza che svolgiamo, similmente alla Direzione provinciale del lavoro e all’INPS, non per questioni attinenti alla sicurezza ma soprattutto con riguardo all’emersione del lavoro nero, alla regolarità contributiva e alla classificazione del rischio (infatti, come voi sapete, l’Istituto ha questa funzione specifica). La nostra vigilanza ha rilevato che vi sono molto spesso non corrette classificazioni del rischio: ad esempio, si tende a classificare con voci diverse o con livelli di rischio più bassi rispetto alla realtà il lavoro realizzato a bordo, che presenta invece un tasso maggiore di rischio.

PRESIDENTE
Direttore Lanzone, può chiarire quest’ultimo aspetto?

LANZONE
Molto spesso vi sono ditte (mi riferisco soprattutto al settore delle riparazioni, al ramo industriale) che provengono da altri tipi di realtà lavorativa e che prendono degli appalti all’interno del porto per fare determinate lavorazioni, anche se hanno classificazioni che nulla o poco hanno a che fare con ciò che devono realizzare, ossia con un lavoro che viene fatto a bordo.

PRESIDENTE
Quando lei parla di classificazioni si riferisce alla professionalità?

LANZONE
È una conseguenza: la classificazione è un aspetto tecnico dell’Istituto, che utilizza delle voci particolari. E consiste nella codificazione delle attività lavorative secondo il livello di rischio dell’attività denunciata.
Quello a bordo è un rischio assai maggiore rispetto a quello che vi può essere in un’officina o in un altro tipo di lavoro. Chiaramente, laddove questa professionalità viene utilizzata in un contesto diverso (che è quello portuale, delle riparazioni navali, a bordo o con trasporto di materiali), è chiaro che l’indice di rischio è maggiore e la competenza dovrebbe pertanto essere più alta. Su questo abbiamo cercato di promuovere delle iniziative a livello prevenzionale con la CONTARP (Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione), che ha studiato questo fenomeno.

PRESIDENTE
Questo è uno dei punti chiave della nostra indagine. Noi ci siamo posti dei problemi legati proprio a questo aspetto. Ci sono soggetti (così come è accaduto per il lavoratore che è morto) che operano nel porto, sia pure impegnati in attività terminali, i quali probabilmente sono stati adeguatamente formati (abbiamo sentito prima di voi rappresentanti di altre istituzioni che hanno progetti ancor più importanti di intensificazione della formazione). Accade però che l’evento infortunistico si determina a bordo e, quindi, si connota l’esigenza di una competenza, della conoscenza e di una formazione proprie di un marittimo (perché, appunto, si opera all’interno di una nave). È un aspetto che vorremmo capire meglio anche per valutare in che modo possiamo trovare insieme delle soluzioni.
Il vostro Istituto investe nelle attività di prevenzione, ma in riferimento alle competenze degli assicurati (scusate questo termine, ma mi sembra il più chiaro per capirci). Accade però che costoro vanno poi a svolgere un lavoro in un ambito diverso e quindi le competenze diventano di un altro istituto che è, appunto, l’IPSEMA. Gradiremmo una sua riflessione su questo aspetto.

LANZONE
Abbiamo approfondito anche questo aspetto. Il rapporto che vi consegno (risalente al 2006) contiene un lavoro condotto dalla CONTARP, che approfondisce i temi del lavoro, della prevenzione e del rischio; riguarda le esposizioni a vibrazioni nei terminal portuali (anche quello delle malattie professionali è infatti un tema molto importante). Abbiamo centinaia di richieste da parte di ex portuali che accusano la malattia professionale provocata dalla vibrazione. Abbiamo degli studi che vanno poi collegati con quelli della ASL (che ha la competenza in materia di igiene e sicurezza sul lavoro) per approfondire questi temi. Chiaramente cerchiamo di coinvolgere le aziende che sono istituzionalmente presenti nel porto: penso alla Compagnia Unica, ai terminalisti, eccetera. Abbiamo svolto anche dei corsi per formare i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS), in maniera tale che essi diffondano tra i lavoratori le competenze acquisite. Si tratta dello stesso spirito del protocollo firmato nel 2007, che è andato un po’ a rilento, ma che probabilmente rappresenta la sede opportuna per compiere questi approfondimenti. Infatti il rischio tipico portuale è diverso, per le ragioni che dicevo in precedenza, da quello di altre attività e altri settori. Molto spesso intervengono nel porto aziende che hanno vinto un appalto e, in questo senso, può esserci un maggior rischio dovuto alla mancanza di professionalità di alcuni degli attori che intervengono. In realtà gli infortuni mortali che ci sono stati riguardano lavoratori della Compagnia unica che nel suo DNA, da secoli, svolge questo tipo di attività e che dovrebbe essere formata.

PRESIDENTE
E allora? Questo contraddice il resto.

LANZONE
Il fenomeno infortunistico è abbastanza elevato per diversi motivi.

PRESIDENTE
Siamo d’accordo.

LANZONE
Per quanto riguarda la Compagnia Unica, è vero – sono stato il primo a dirlo – che essa registra un tasso di infortuni addirittura doppio o triplo che è legato, a nostro avviso, alla tipologia di lavoro, alle interferenze che possono verificarsi, ai tanti attori presenti in quel contesto e al fatto che la Compagnia Unica svolge il lavoro materialmente più rischioso. L’armatore porta infatti la nave e ha un piccolo concorso in questo tipo di attività, mentre lo spedizioniere realizza altre attività. Il lavoro più rischioso è quello della movimentazione merci e dell’utilizzo di balle e ralle. Io ritengo che su questo settore bisognerebbe puntare di più: dovrebbe farlo già il datore di lavoro – noi siamo stati sempre disponibili e lo continuiamo a fare – per una maggiore puntualità nell’informazione, nella formazione e anche nel controllo (che a noi è inibito).

NEROZZI (PD)
Voi avete fatto uno studio approfondito. Fra gli elementi formativi che voi fornite al personale di terra e la formazione che riceve il personale di bordo c’è differenza?
Premesso che non è di vostra competenza, noi stiamo ragionando su due competenze diverse che però possono produrre, soprattutto nell’elemento preventivo e formativo, una discrasia.

LANZONE
Ci è inibito tutto il settore di attività che è dell’IPSEMA, per cui dobbiamo fermarci ogni volta che entriamo in conflitto su questo tipo di attività. Non c’è pertanto una continuità. D’altro canto, il settore ci è inibito perché la normativa affida alle Aziende sanitarie locali la competenza, il controllo e anche la possibilità di intervenire a livello sanzionatorio nel caso in cui si rilevino delle mancanze dal punto di vista della sicurezza. Nel porto la competenza è dell’Autorità portuale e della ASL.
Secondo la legge dello Stato, il nostro compito è quello di garantire il massimo della consulenza. Rispetto ai nostri assicurati cerchiamo di fornire indicazioni sul tipo di lavorazione e sulle disposizioni di prevenzione degli infortuni. È chiaro, però, che abbiamo sempre dei confini e dei limiti che sono dati dalle competenze. Ad esempio, anche a seguito del protocollo che ha istituito il SOI, lavoriamo in sinergia con la ASL. Forse potremmo dare maggiore impulso a questa azione.

NEROZZI (PD)
Ci interessa soprattutto il rapporto con l’IPSEMA.

PRESIDENTE
Ci sembra il punto debole.

NEROZZI (PD)
Rientra nel più generale coordinamento? Questa è ancora un’altra questione.

LANZONE
Mi mette un po’ in imbarazzo.

NEROZZI (PD)
Capisco che il suo è un imbarazzo istituzionale. Chi l’ha preceduta ha detto che fra gli elementi formativi, per esempio, ci sono anche degli elementi di gestualità, di forme, di messaggi, di modi di essere e di consuetudini che rientrano in un aspetto formativo. Ma è evidente che se la gestualità a terra è diversa da quella a bordo, voi potete arrivare fino a un certo punto. Si levi pure dall’imbarazzo: è il nostro lavoro e vogliamo capire.

LANZONE
L’IPSEMA, forse anche perché la sua struttura è più piccola, difficilmente si rapporta con noi.
Noi abbiamo numerosi progetti e siamo molto attivi, ma non abbiamo mai lavorato in sinergia con l’IPSEMA (che, tra l’altro, non so neanche se sia firmatario del protocollo, anche se sarebbe comunque importante coinvolgerla).
Forse, però, la struttura dell’IPSEMA – non voglio difendere – non è molto adatta a svolgere questo tipo di attività, ma è una mia opinione personale. Può intervenire in proposito il dottor Calabrese, che ha seguito materialmente le attività di questo tipo. Ricordo anche il contributo offerto dalla CONTARP e il supporto dell’Istituto nazionale, che se necessario può avvalersi dell’attività di professionisti. Non credo che l’IPSEMA possa fare altrettanto.

CALABRESI
Sono molto intrigato dalle considerazioni fatte. Sono un medico del lavoro e mi occupo del sistema informativo dell’INAIL a livello nazionale e mi rendo conto che il tema affrontato dal senatore è di grande rilievo, non solo all’interno del porto; riguarda infatti il rapporto tra formazione, che è un termine molto generico, e addestramento a specifiche mansioni e a specifici ambienti.

NEROZZI (PD)
Si tratta di un tema importante, specialmente se si parla di ambienti misti.

CALABRESI
Non è un tema semplice, specialmente se pensiamo all’ambiente della nave. Credo si possa dire che nel porto di Genova le attività di formazione sono state effettuate, anche se quello che si fa non è mai sufficiente. Nonostante il numero degli infortuni mortali sia in calo, si assiste ancora a cause di morte legate a vecchi modi di lavorare, a vecchie lavorazioni e a vecchi comportamenti. Gli incidenti coinvolgono alcune centinaia di persone all’anno: si tratta sempre di numeri terribili. Comportamenti e modalità organizzative di questo tipo purtroppo non sono facili da scalfire. Ci sono infatti alcuni comportamenti che sono particolarmente difficili da superare, a causa della complessità delle lavorazione e per i connessi problemi organizzativi.
Il porto rappresenta una di quelle situazioni in cui non si fa mai abbastanza: su questo non c’è dubbio. Probabilmente uno degli obiettivi da porsi, oltre al mantenimento dei controlli, è quello di puntare molto sul complesso di attività parallele alla vigilanza, come la formazione, l’informazione e l’addestramento: ritengo che questa sia ormai una consapevolezza comune. Le nuove normative e il Testo unico in materia di sicurezza sul lavoro, forse per la prima volta, parlano specificamente di addestramento.
I soggetti in campo, però, devono essere vari: non bastano le sole istituzioni, ma serve anche la collaborazione dei datori di lavoro.

CORBELLI
Rivesto il ruolo di direttore della Direzione provinciale del lavoro di Genova soltanto dal 2 novembre di quest’anno e quindi conosco ancora poco la realtà genovese. Posso confermare comunque che stiamo lavorando in sinergia con l’INAIL e con l’INPS. Ci concentriamo soprattutto sull’individuazione dei casi di lavoro nero: naturalmente è ovvio che, laddove questo si annida, manca del tutto la cultura della sicurezza.

PRESIDENTE
Vorrei sapere se gli ispettori del suo Istituto si occupano solo di lavoro nero.

CORBELLI
Abbiamo anche la competenza a vigilare sulla sicurezza nei cantieri edili. Per quanto riguarda le competenze sugli altri settori, vi rimando a quanto detto dai colleghi che sono stati auditi.
Dunque, laddove si annida il lavoro nero manca la cultura della sicurezza perché i lavoratori non sono formati e sfuggono alla visite di idoneità per determinate mansioni.

PRESIDENTE
Scusi se la interrompo, ma vorrei sapere se all’interno del porto sono mai stati rilevati casi di lavoro nero. Si è infatti parlato di ditte che, se ho capito bene, lavorano in subappalto. Le chiedo quindi se è stato fatto un controllo o una verifica sulla posizione di queste ditte e se si è mai rilevata la presenza di soggetti che potremmo definire «opachi» o la presenza di lavoro nero o grigio.

CORBELLI
L’attività portuale e la cantieristica in genere sono normalmente soggette a vigilanza, proprio perché a Genova rappresentano una realtà importante e preminente: dunque viene svolta una costante attività di vigilanza. In effetti è presente una grande frammentazione. Nel porto operano anche molte imprese straniere, va ricordato che su questi soggetti sono effettuati controlli al momento dell’ingresso, anche se ultimamente viene impiegata molta manodopera neocomunitaria, che sfugge ai controlli dello Sportello unico per l’immigrazione; tale attività viene infatti svolta di concerto con la Prefettura. Per quello di cui sono a conoscenza, dunque, il lavoro nero in senso stretto è estremamente occasionale.

NEROZZI (PD)
A noi interessa conoscere sia la situazione della cantieristica che quella delle attività portuali. Benché si tratti sempre di porto, sono due fattispecie diverse. Nella cantieristica il lavoro grigio è presente: lo posso garantire, sulla base dell’esperienza che mi deriva dalla mia vita lavorativa precedente. A noi interessa avere informazioni su tutti e due i settori, compreso quello portuale e di scarico, in cui il lavoro nero non dovrebbe essere presente, almeno in teoria.

CORBELLI
Dai controlli effettuati non emerge la presenza di lavoro nero.

NEROZZI (PD)
Questo era quanto volevamo sapere. Per quel che riguarda la cantieristica, invece, sono presenti sia il lavoro cosiddetto grigio che il lavoro nero.

PRESIDENTE
Ciò deriva anche dal fatto che vengono utilizzati lavoratori di tutto il mondo, dal momento che alcune attività specialistiche sono svolte solo da lavoratori provenienti da alcune parti del mondo. La mia precedente domanda faceva riferimento alle attività portuali in senso stretto.

CORBELLI
Nel 2009 il settore della cantieristica è stato ampiamente vigilato e sono state riscontrate applicazioni non corrette dei contratti collettivi.
Il 2009 è stato un anno dedicato in modo particolare ai controlli su tali attività e non abbiamo riscontrato lavoro nero, ma solo irregolarità di altro tipo, legate ad esempio all’utilizzazione dei contratti collettivi in modo non conforme alla normativa in vigore o alla consegna delle buste paga all’estero. Si tratta dunque di violazioni non riferibili al lavoro nero.

D’AMBROSIO
Aggiungerò poche notazioni a quanto detto dai colleghi, condividendo le loro valutazioni. L’INPS non ha alcuna competenza in materia di infortunistica, ma anche noi possiamo testimoniare la nostra esperienza legata alle visite che compiamo all’esterno e, più raramente, all’interno del porto. Confermo che il lavoro nero si può riscontrare soprattutto nella cantieristica (può accadere di rilevarlo intervenendo a seguito di una specifica denuncia).
Confermo inoltre la totale collaborazione con la Direzione provinciale del lavoro e con l’INAIL. Abbiamo partecipato alle riunioni del SOI (Sistema operativo integrato) offrendo la nostra esperienza, che in materia è comunque molto limitata: non abbiamo infatti competenze specifiche e ci limitiamo alla verifica del lavoro nero. Confermo però che, laddove il lavoro nero è presente, quasi sempre ci sono maggiori rischi legati alla sicurezza. Non sono in possesso di dati non disaggregati, ma abbiamo verificato che tale fenomeno si verifica in misura più o meno uguale nell’industria e nelle aziende artigiane con dipendenti. Ciò significa che esso non è appannaggio di alcuni settori in particolare. Si tratta, lo ripeto, di dati non disaggregati, ma di dati provinciali. Posso inoltre fornire dati riguardanti il numero degli ispettori, distribuiti sulla città di Genova e sui territori del levante e del ponente, in cui abbiamo due sedi. Il dato è abbastanza equilibrato. Per non ripetere quanto è stato detto dai miei colleghi, confermo in pieno le loro valutazioni.

PRESIDENTE
Vorrei sapere a chi sono demandati i poteri sanzionatori all’interno delle circoscrizioni portuali per quanto riguarda la sicurezza.

LANZONE
Per il lavoro nero, per la regolarità contributiva, per il rischio lavorativo e per i contratti intervengono l’INAIL, l’INPS e la Direzione provinciale del lavoro.

CORBELLI
Sulla sicurezza, invece, interviene l’ASL.

PRESIDENTE
Dunque l’Autorità portuale non ha poteri sanzionatori.

MARAVENTANO (LNP)
Vorrei chiedere se ci sono dati riguardanti lo sfruttamento del lavoro minorile.

CORBELLI
I numeri al riguardo sono modestissimi. Nell’arco dell’anno si possono individuare otto o dieci minori impiegati.

DONAGGIO (PD)
Nell’ambito delle vostre competenze rientrano anche dei servizi di ispettorato: immagino quindi che nella documentazione che avete depositato vi sia un dettaglio dell’attività ispettiva che ogni ente ha svolto sulle questioni attinenti alla sicurezza, che sono di vostra competenza. Vorremmo capire se il sistema dei controlli ha funzionato e qual è stato il risultato della vostra attività di verifica e di ispezione sulle condizioni di lavoro.

CORBELLI
I nostri dati non riguardano l’aspetto della sicurezza, perché non siamo noi a comminare le sanzioni.

DONAGGIO (PD)
C’è un momento in cui si deve verificare se le regole sono state rispettate, altrimenti continuiamo a produrre norme, ma la loro efficacia rimane indeterminata.

CANINI
Signor Presidente, in veste di direttore generale dell’ASL 3 «Genovese», sintetizzerò brevemente la nostra attività sulla sicurezza del lavoro nel porto, per poi lasciare la parola alla dottoressa Carcassi per quanto riguarda i dettagli dell’attività della sua Unità Operativa, l’UOPSAL, che – come sapete – è deputata a seguire la materia.
L’ASL, prima ancora che con i propri poteri sanzionatori o dissuasivi, interviene soprattutto per sviluppare una cultura della sicurezza: nel territorio di competenza dell’ASL 3 esistono 50.000 unità lavorative e 500 solo nel porto, alle quali ultime l’ASL destina il 25 per cento delle risorse di cui dispone per l’UOPSAL. Questo accade in conseguenza dell’importanza che si attribuisce al porto di Genova, che è soprattutto economica per il nostro territorio, ma anche per le caratteristiche del lavoro che vi si svolge. Infatti, nel porto è molto più difficile intervenire rispetto ad altre realtà, a causa delle interferenze presenti tra l’uomo e i mezzi che si aggirano in panchina (carrelli, ralle, semoventi e gru) o la nave (con i conseguenti pericoli che provengono dall’alto).
Si attribuisce quindi grandissima importanza a tale realtà, come hanno sottolineato non solo i rappresentanti dell’INAIL, ma – immagino – anche chi mi ha preceduto. Nel 2007 abbiamo siglato un importante Protocollo con tutte le altre forze sociali e pubbliche che agiscono nella portualità per costituire un Sistema operativo integrato (SOI) di cui sostanzialmente fanno parte l’ASL, l’Autorità portuale e la Capitaneria di porto.
Il Sistema funziona così: le segnalazioni di eventuali inadempienze o situazioni di pericolo arrivano ad una segreteria unificata, per cui l’ispezione viene disposta subito dal personale dell’Autorità portuale che ha poteri ispettivi. Immagino che la Commissione sappia che l’Autorità portuale come promotrice di tutta l’economia portuale rilascia alla parte datoriale le concessioni, che quindi sono subordinate all’osservanza della normativa in materia di sicurezza. Qualora si verifichi la mancanza di tale osservanza, la concessione può essere ritirata dall’Autorità portuale fino a tre mesi: vi è quindi anche un potere ispettivo d’intervento e sanzionatorio da parte dell’Autorità portuale. Comunque, nei casi concreti, l’ispettore di Autorità portuale si reca sul posto e, se si tratta di un problema che può risolvere in interlocuzione con la parte datoriale lo fa, altrimenti se si tratta di un problema di diversa valenza – per cui è necessario l’intervento dell’ASL come autorità di vigilanza, in grado di fare prescrizioni ed emettere sanzioni – immediatamente si fa rapporto e l’ASL agisce.
Come sapete, l’ASL ha anche poteri di polizia giudiziaria, quindi quando si configurano ipotesi di contravvenzione e di reato interviene lavorando insieme alla Procura della Repubblica per fornire gli elementi di prova.
Vi abbiamo preparato del materiale a dimostrazione di come le attività di vigilanza e formazione e, come dicevo prima, quella dissuasiva e sanzionatoria dell’ASL abbiano comunque prodotto risultati in collaborazione e in interfaccia con l’Autorità portuale e la Capitaneria, perché negli ultimi anni gli infortuni sono drasticamente diminuiti. Bisogna però proseguire su questa strada, perché gli ultimi avvenimenti ci dimostrano che evidentemente non è ancora abbastanza quanto è stato fatto.
Immagino che le vostre richieste siano anche volte a conoscere i nostri suggerimenti, pertanto riteniamo giusto ribadire la necessità di sottolineare l’importanza del tema della sicurezza nei confronti dei datori di lavoro che agiscono in porto. Infatti, non si tratta soltanto di osservare una normativa, ma di promuovere una cultura della sicurezza, formando i lavoratori attivi nel porto, con i quali deve esserci una comunicazione costante, tale da renderli consapevoli in ogni momento del rischio che stanno correndo.
Abbiamo preparato una breve memoria sull’attività portuale: non so se sia questa la sede per dirlo, ma – come sapete – l’Azienda sanitaria e gli enti pubblici in generale si trovano a combattere con una stretta sul personale dipendente ripetuta nel tempo nelle varie legislature; pertanto, le risorse che possiamo mettere a disposizione per tutta l’area portuale come nucleo operativo UOPSAL ammontano solo a otto persone, compreso il dirigente di settore. Queste, oltre a svolgere i propri compiti istituzionali di polizia giudiziaria, ne svolgono altri, dato che il bacino di utenza comprende dall’aeroporto alla centrale dell’Enel con le riparazioni e le costruzioni navali, tra cui l’attività portuale vera e propria, per cui capita che le realtà lavorative siano molto estese ed il lavoro da fare sia tanto.
Diventerebbe così impossibile svolgere un’attività ispettiva proprio nel senso di effettuare controlli ripetuti e quotidiani sui vari settings lavorativi: quello che si può fare, però, è verificare se esistono le procedure di sicurezza, i documenti di valutazione del rischio e un rapporto corretto con gli RLS (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza) ed i responsabili di sito e se la parte datoriale assume non solo come proprio compito, ma anche interesse, la diffusione di questo tipo di comunicazione e consapevolezza negli operatori.

CARCASSI
Signor Presidente, in qualità di responsabile del nucleo porto dell’ASL 3, vorrei integrare i contenuti della cartellina che vi abbiamo lasciato agli atti.
Cosa significa nucleo porto? Si tratta di un ufficio che in realtà è un osservatorio sulle attività portuali, attivo per iniziativa della ASL già dall’anno 1996, addirittura in anticipo con la normativa sulla sicurezza dei porti (che è del 1999). È un segno dell’impegno dell’ASL in tale ambito denso di problemi, caratteristica tangibile nel primo allegato che abbiamo inserito in cartellina, dove abbiamo rappresentato una finestra degli infortuni mortali da quando esiste il nostro ufficio (ossia dal 1996), per non rimanere vincolati esclusivamente al discorso relativo alla recente tragica morte o a quelle verificatesi lo scorso anno. Non essendo questa una base di ragionamento, poiché sappiamo che i numeri – per fortuna piccoli – relativi ai morti sul lavoro non possono essere utilizzati come indicatori in territori ristretti, il discorso va esteso quanto più possibile su base provinciale e regionale, magari a tutti i porti, oppure temporale.
Mi sembrava quindi utile riportare i dati relativi a questi 14 anni, da cui emergono 30 infortuni mortali, dato che forse può anche risultare sorprendente: il numero è elevato, ma include anche un pesantissimo infortunio collettivo verificatosi a Genova nel 1996 dentro la Fincantieri, durante le prove a mare nella fase costruttiva finale della nave Portovenere; morirono sei persone per l’azionamento sbagliato del sistema di CO2.
Si vede quindi qui rappresentato quanto diceva la dottoressa Canini: nella realtà del porto di Genova opera la Fincantieri, che dal 2003 è stata inserita sotto la competenza del mio ufficio (ne abbiamo quattro territoriali: io coordino quello che si occupa del porto).
Come si può vedere, è stata colpita una gamma di settori e attività, per cui in sintesi ne emerge che il settore che ha subito la più elevata frequenza di morti è quello delle costruzioni e riparazioni navali, a causa dei suddetti sei decessi nella Fincantieri, anche se ne sono avvenuti altri, per un totale di dieci.
Nel settore delle operazioni portuali, e soprattutto in quello della movimentazione delle merci, vi sono stati otto infortuni mortali in questi 14 anni con vittime lavoratori portuali. Sei infortuni nello stesso arco temporale, sono a carico di marittimi. Questo è un dato rilevantissimo, perché sfuggono questi sei marittimi morti nel porto di Genova mentre svolgevano attività loro proprie sulla nave, a volte in interazione ed interferenza con le organizzazioni portuali di terra. Poi vi sono ovviamente i settori dell’edilizia portuale e dell’autotrasporto (due autotrasportatori sono morti durante lo svolgimento di operazioni proprie del loro lavoro).
In questa sequenza veramente nefasta, i primi quattro anni che abbiamo monitorato appena siamo entrati in campo con questa struttura (dal 1996 al 1999) hanno visto ben 17 morti sui 30 totali. Gli ultimi dieci anni, invece, dal 2000 al 2009, ne hanno visti 13: ecco quindi un primo dato che, pur non essendo un indicatore, ci serve comunque a ragionare sugli eventi nella loro dimensione più ampia possibile.
Un dato che invece a mio avviso è più significativo è il secondo allegato che abbiamo inserito in cartellina, che focalizza le operazioni portuali – quindi il settore commerciale – entro cui è avvenuta anche l’ultima morte di dicembre.
Le imprese di movimentazione merci autorizzate dall’Autorità portuale sono in tutto 25. Occorre guardare sostanzialmente il primo degli specchietti, mentre gli altri riportano i dati analitici delle ore lavorate ed il numero degli infortuni, ma il trend si può cogliere dal primo di essi, intitolato «Quanti infortuni?». Di queste 25 imprese, ne abbiamo estrapolato 23, che effettuano propriamente operazioni portuali e servizi portuali: si tratta dunque dei cosiddetti terminalisti, vale a dire le imprese private autorizzate dall’Autorità portuale. Abbiamo tenuto separate le compagnie portuali di manodopera, che nel porto di Genova sono due: una lavora dentro il terminal rinfuse, per cui si occupa della movimentazione delle rinfuse solide, ed è una realtà molto antica, ma piccolissima, perché impiega 30 persone; l’altra è la CULMV, con circa 1.000 persone.
Le abbiamo tenute separate per poter seguire il loro andamento differenziato in termini di infortuni nel tempo. Abbiamo raccolto questa statistica con un notevole dispendio energetico in termini di impegno dell’ufficio, chiedendo ad ogni azienda più o meno intorno alla metà di ogni anno, i dati relativi all’intero anno precedente, con una specifica molto rigorosa, perché vogliamo dati confrontabili negli anni per cogliere al meglio la realtà infortunistica.
Abbiamo cominciato seguendo quattro anni storici (dal 1999 al 2002) e gli ultimi quattro (dal 2005 al 2008) (secondo quanto previsto da uno dei punti del Protocollo), per monitorare il fenomeno, e continueremo a farlo anche per l’anno 2009, dato che ci serve per continuare a monitorare il fenomeno e per cogliere un andamento che sia statisticamente significativo.
C’è stata un’enorme riduzione dell’incidenza (stiamo parlando di tutti gli infortuni che accadono sopra un giorno agli addetti operativi di questo settore, che sono pari a 2.520). Vi porto un dato per cogliere la distanza: nell’anno 2000 l’indice infortunistico del settore operazioni portuali (le 23 imprese terminalistiche) era intorno a 40, mentre nell’anno 2008 (che è l’ultimo anno su cui abbiamo dati a disposizione) è stato di 18. Tale incidenza percentuale sta a significare che in questo settore si sono infortunati 40 lavoratori su 100 nel 2000, mentre nel 2008 18 su 100. Ovviamente le compagnie portuali, che fanno per le altre 23 imprese portuali le mansioni più a rischio, hanno gli indici più alti; era pari al 50 per cento negli anni 1999-2002, anche se ora l’indice è sceso per entrambe le compagnie al 20 per cento.
Dal dato (che è affidabile da un punto di vista statistico, in quanto avente ad oggetto grandi numeri) emerge pertanto una tendenza che fa pensare che si è innescato un qualche meccanismo virtuoso grazie al lavoro che si sta facendo con impegno nel settore, a maggior ragione da quando, nel 2007, è stato ratificato il Protocollo prefettizio che ha comportato una grossa sinergia tra gli enti. Con ognuno degli enti i cui rappresentanti erano qui presenti (e tutti partecipanti al SOI) abbiamo promosso delle azioni sinergiche. In questa parte del porto non c’è infatti lavoro nero, ma c’è l’esubero degli straordinari: ci sono stati segnalati casi di due e addirittura di tre turni fatti nell’arco delle 24 ore. Noi li abbiamo segnalati alla Direzione provinciale del lavoro che ha fatto degli accertamenti.
Il problema delle operazioni portuali è pertanto questo, mentre il problema del lavoro nero si colloca dall’altra parte, sul versante delle riparazioni navali e in Fincantieri.

NEROZZI (PD)
Mi scusi, ma quando lei parla di tre turni, fa riferimento alle operazioni di scarico?

CARCASSI
Sì. Il problema dei turni è stato evidenziato da subito. Il primo punto del Protocollo prefettizio prevedeva infatti un sistema di registrazione dei turni per tutte le imprese portuali. Diciamo che il problema dei turni era presente soprattutto all’interno della Compagnia Unica. Questo punto del Protocollo non è però stato portato a termine per ovvie resistenze.

NEROZZI (PD)
Io le ho fatto questa domanda aspettandomi questa risposta.

CARCASSI
La situazione adesso non si pone perché il problema è la scarsità di lavoro e non più quello dei turni troppo numerosi. Tuttavia recentemente in un’impresa portuale (che non è la Compagnia) si è registrato un esubero di straordinari e la Direzione provinciale del lavoro, su nostra comunicazione (la segnalazione era infatti arrivata a noi), è intervenuta sanzionando.

PRESIDENTE
Dottoressa Carcassi, in riferimento al decesso del 23 dicembre scorso abbiamo acquisito una serie di notizie. Ci potrebbe dare, sia pur brevemente e in sintesi, una sua valutazione? Conosciamo il racconto dell’incidente e le sarei pertanto grato se potesse dirci cosa c’è dietro.

CARCASSI
La questione è che a fare la stessa attività lavorativa c’erano tre componenti lavorative scollegate tra di loro: la componente di terra dell’impresa portuale (il cosiddetto rallista, cioè l’autista del trattore portuale addetto a portare il semirimorchio dentro la nave, il quale fa parte dell’organizzazione di Grandi Navi Veloci e ha in banchina il suo coordinatore operativo preposto); la squadra della Compagnia Unica chiamata dall’impresa portuale di terra in un regime che, come sappiamo, dal 1º novembre è quello della fornitura di lavoro temporaneo, assimilabile alla somministrazione di lavoro (e pertanto, dal punto di vista della sicurezza, con onere a carico integrale dell’utilizzatore, con residui compiti solo di formazione alla mansione iniziale da parte dell’impresa fornitrice di manodopera); infine, il personale marittimo che, per combinazione, apparteneva a Grandi Navi Veloci, ma avrebbe anche potuto essere di un’altra compagnia armatoriale. Ricordo che nell’ambito della disciplina della salute e della sicurezza sul lavoro le navi sono oggetto di una normativa specifica – mi riferisco al decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 271 – che le configura come fossero imprese galleggianti aventi all’interno tutte strutture proprie (per esempio, i responsabili del servizio di prevenzione e protezione e il datore di lavoro).
Questi tre set di personale sono confluiti in quel momento a svolgere insieme una sola operazione elementare (posteggio di semirimorchio sul traghetto) provenendo da organizzazioni diverse, non adeguatamente coordinate. Ciò vale anche per il fatto che i portuali chiamati in fornitura di lavoro temporaneo, sono intercambiabili: il meccanismo della chiamata implica infatti che il portuale ogni giorno venga mandato dove è richiesto, quindi in un terminal piuttosto che in un altro. Ciò significa che queste figure non sono affiatate rispetto alle procedure del terminal presso cui stanno svolgendo il turno e ciò determina una situazione esplosiva perché si devono mettere d’accordo su aspetti di non poca importanza (penso a chi dà l’alt al semirimorchio, a chi dice che la ralla portuale può andarsene lasciando lì il semirimorchio, a chi mette i tacchi, a chi garantisce che questi ci siano e a chi controlla che ci sia il sistema frenante).
Come si accordano costoro? Non si è capito. Noi stiamo conducendo l’indagine per la magistratura, ma la conclusione già prospettabile è che non ci fosse, e non si sia in operazioni analoghe, una procedura ragionata nota a tutti i lavoratori, comunque chiamati a svolgere la propria attività in interazione tra loro, cui rimane per difendersi solo la accortezza di cercare di mettersi individualmente in sicurezza.
Questo è il problema più rilevante da affrontare e noi ce lo siamo posto.
Per quanto riguarda il lavoro che viene portando avanti, attualmente è all’opera un gruppo del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che sta rivedendo il decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 271 (concernente i lavoratori marittimi) e il decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 272 (riguardante la salute e la sicurezza portuale). Tra l’altro, le Regioni apportano il proprio contributo in tale ambito attraverso il «Gruppo porti-navi» Coordinamento tecnico interregionale. Io sono la coordinatrice nazionale di tale Gruppo che ultimamente si è riunito a ritmo serrato, praticamente tutte le settimane. La scadenza della delega (contenuta nel Testo unico) è infatti fissata per il maggio del 2010. Stiamo quindi lavorando a tappe forzate.
Un tema che le Regioni hanno preteso di inserire subito nella normativa è quello del coordinamento terra-nave. Esso è infatti fondamentale, non solo quando la nave batte bandiera italiana (come nel caso di specie, in cui, tra l’altro, la compagnia armatoriale era italiana ed era la stessa società che svolgeva le operazioni portuali di terra), ma soprattutto nel caso di navi straniere, dove la questione diventa ancora più difficile. Proprio su proposta delle Regioni, abbiamo inserito una responsabilità solidale, in forza della quale occorre raccordarsi in termini di procedure.
L’anno scorso si è verificato un altro incidente mortale: un rizzatore della Compagnia è caduto dall’alto di un parapetto, che non era completo, su una nave straniera dove saliva per la prima volta. Di nuovo, si pone un problema di interazione e di garanzia che la nave che viene da fuori riesca a soddisfare tutte le condizioni e i dispositivi di sicurezza. Però non basta solo la responsabilità solidale del comando nave; da parte dell’impresa di operazioni portuali ci deve essere qualcuno incaricato di controllare che le condizioni della nave siano comunque sicure per i portuali che vi salgono a lavorare.
Se questa revisione normativa andrà a buon fine, ci sarà una responsabilità della nave straniera nel momento in cui è in territorio italiano e sta facendo effettuare operazioni portuali avvalendosi di imprese italiane, con lavoratori italiani. In prospettiva, tale revisione potrebbe pertanto migliorare la situazione. Ad ogni modo, non si tratta solo di questo, vale a dire di intervenire, anche con queste modifiche normative, sul coordinamento terra-nave: occorre lavorare affinché ci sia il corretto passaggio di istruzioni tra l’impresa portuale che svolge le operazioni di terra e la Compagnia Unica quale fornitore di manodopera. Ciò significa che le procedure devono essere definite, codificate e trasmesse (non burocraticamente, ma effettivamente) dalle imprese di terra ai lavoratori che tutti i giorni si presentano nella banchina per prendere lavoro sulla nave.

PRESIDENTE
Dottoressa Carcassi, la ringrazio per il contributo offerto.


Audizione di rappresentanti sindacali della CGIL, della CISL, della UIL e dell’UGL



Intervengono il signor Mario Ivaldi della segreteria provinciale CISL, il signor Giacomo Santoro, responsabile settore portuale FILTCGIL, il signor Marco Odone, responsabile settore portuale UIL, e il signor Ettore Rivabella, segretario regionale e provinciale UGL.

PRESIDENTE
Nel ringraziare gli intervenuti per aver accettato l’invito, faccio presente che la presenza della Commissione parlamentare di inchiesta è ovviamente legata all’infortunio mortale del 23 dicembre scorso. Il motivo non è però solo questo, visto che su tale fronte stanno già operando in modo istituzionale altri soggetti (mi riferisco all’indagine che sta portando avanti la Procura). Noi vorremmo capire come si è determinato l’evento, ma soprattutto capire la vita lavorativa all’interno di quell’ampia e vasta realtà che è il porto. Desideriamo pertanto cogliere – qualora vi siano, ma sono certo che vi sono – quegli aspetti particolarmente fragili o quei coni d’ombra dove si può annidare il rischio maggiore di infortuni lievi, gravi e – purtroppo – anche mortali.
Sarà interessante cogliere le riflessioni che ci sottoporrete dal vostro punto di vista (che è quello di rappresentanti delle organizzazioni dei lavoratori), atteso che siamo già a conoscenza di altri elementi perché nel corso di questa mattinata abbiamo assunto informazioni in riferimento, non solo al fatto luttuoso del 23 dicembre scorso, ma, più in generale, alle problematiche e all’organizzazione del porto, nonché a tutte le attività che si svolgono al suo interno.

IVALDI
Signor Presidente, nella convocazione non erano precisate le organizzazioni sindacali invitate. Dal momento che il responsabile di categoria territoriale ha anche un incarico nazionale e poiché gli incontri avvengono separatamente tra CGIL, CISL, UIL e altre sigle sindacali, noi non parteciperemo a questo incontro. Non neghiamo l’audizione ad alcuno, ma ci risulta che in sede nazionale i modi e le forme siano questi (ciò attesta il mio responsabile). Lascio pertanto la riunione.

PRESIDENTE
La nostra Commissione ha convocato, come ha sempre fatto, le varie organizzazioni sindacali. Non credo si possa sollevare in questa sede una questione legata ai tavoli di trattativa. Se pensa di volerlo fare, ne prendiamo atto. Di certo non sappiano cosa dirvi, se non che ci mettete in forte imbarazzo perché è la prima volta che accade una cosa del genere.

IVALDI
Credo che andasse ufficializzato il fatto che non partecipiamo all’audizione per questa ragione.

PRESIDENTE
Dunque, questa ragione sarebbe più importante dei contenuti dall’audizione. Ognuno è libero di fare ciò che vuole, ma vi lascio riflettere su questo aspetto.

NEROZZI (PD)
Le vorrei comunicare, per sua conoscenza, che nei circa venti incontri finora svolti dalla presente Commissione e nel centinaio di incontri svolti dalla Commissione lavoro, è la prima volta che accade una cosa del genere.

PRESIDENTE
Dal 2005 ho l’onore di presiedere questa Commissione e posso confermarlo. Potete comunque decidere se partecipare o meno: ciò rientra nella libertà di ciascuno.

(Il signor Ivaldi abbandona la sala).

SANTORO
Sono membro della segreteria della FILT-CGIL di Genova, con responsabilità nel settore portuale e marittimo. Prima del distaccamento sindacale ero un lavoratore del porto, in cui ho prestato attività per dieci anni.
Voglio affermare subito che il cono d’ombra esiste, a prescindere dalle dinamiche di quest’ultimo incidente o degli altri due accaduti negli ultimi tre anni: stiamo parlando dunque di un incidente mortale all’anno.
Nel 2007, dopo la morte di Enrico Formenti, abbiamo iniziato un percorso presso la Prefettura, da cui è scaturito un protocollo, sottoscritto il 13 maggio in Prefettura, con l’allora sottosegretario alla salute Patta. Si trattava di un documento innovativo, che ha anche costituito una spinta verso l’emanazione del decreto legislativo n. 81 del 2008. Con detto protocollo è stato individuato un coordinamento composto da otto lavoratori distaccati che andavano in giro per il porto a tempo pieno, per tenere contatti con i lavoratori e con gli RLS, al fine di segnalare e prevenire gli incidenti. Il protocollo è stato però applicato solo in parte e ciò ha creato numerosi problemi. Qualche terminalista era infatti più fedele a quanto avevano firmato i propri rappresentanti, mentre altri dicevano di non riconoscersi nel protocollo.
Alla fine, il decreto n. 81 del 2008 ha previsto contenuti diversi rispetto a quelli convenuti nel 2007. È stato quindi siglato un protocollo nazionale tra la FILT-CGIL, la FIT-CISL, la UIL-Trasporti nazionali e le controparti, per definire il ruolo delle RLS di sito nell’ambito normativo.
L’anno scorso, a Genova, abbiamo siglato l’ennesimo protocollo, secondo le normative vigenti, riducendo gli RLS di sito da otto a sei; costoro non sono più impegnati a tempo pieno, perché non vi è la possibilità di farlo, anche se ognuno di loro mette comunque a disposizione una quantità importante di ore, pari ad un minimo di 800 l’anno. Dunque, dal luglio dello scorso anno, utilizziamo questo sistema.
Tornando al protocollo del 2007, a Genova il ruolo degli RLS di sito si deve integrare con quello di altri due soggetti – la ASL e il servizio ispettorato dell’Autorità portuale – per formare il Sistema operativo integrato (SOI), istituito nel 2007. Esso dovrebbe compiere verifiche a seguito di contenziosi, quindi prima del verificarsi di un incidente: una volta che gli incidenti accadono, infatti, non riguardano più le nostre competenze o ci riguardano in maniera diversa. Dunque occorre verificare se ci sono contenziosi sulla sicurezza tra il terminalista, il quale magari sostiene che le condizioni di sicurezza ci sono, e il lavoratore che sostiene il contrario.
Non si può lasciare la soluzione del problema alla contrapposizione tra le due forze, perché le parti non hanno lo stesso potere. Il terminalista ha infatti una forza maggiore del dipendente o del lavoratore terzo (che fornisce, cioè, lavoro temporaneo ai sensi dell’articolo 17 della legge n. 84 del 1994), il quale si trova in una situazione di debolezza. Visto che il rapporto di forza non è alla pari, occorre dunque l’intervento di un soggetto terzo, per dirimere i contrasti e decidere in maniera oggettiva se ci sono o meno le condizioni per operare. Nel caso della tragedia recentemente accaduta c’era, ad esempio, un clima particolare, con i passeggeri che aspettavano di partire da 24 ore, visto che la nave precedente non era salpata. La fretta ha forse creato condizioni di difficoltà: poi purtroppo è accaduto quello che sappiamo.
L’attuale sistema non funziona, anche perché il porto di Genova è vasto: va dal porto storico fino a Voltri. Quando gli RLS di sito vengono chiamati si recano sul posto con gli ispettori dell’Autorità portuale, che verificano le condizioni di sicurezza. Può accadere che gli stessi ispettori rilevino la mancanza delle condizioni di sicurezza per poter lavorare, ma purtroppo non possano intervenire, perché non hanno poteri di polizia giudiziaria e dunque non possono sanzionare il terminalista, né hanno il potere di sospendere il lavoro per verificare tali condizioni. Dunque viene lasciato spazio al solo terminalista, che decide in maniera soggettiva se operare o meno. Ci sono alcuni terminalisti che hanno sensibilità su questo tema e altri che non ne hanno. Così ci troviamo ogni giorno, specie quando ci sono condizioni atmosferiche avverse, a ricevere telefonate che ci invitano a prendere una posizione sindacale per risolvere i problemi.
La ASL fa parte di questo sistema, svolge un lavoro importantissimo, ma per sua stessa ammissione non riesce ad essere presente in porto come servirebbe. Il vuoto di cui occorre occuparsi è proprio questo.
Quello che ci chiedono i lavoratori, dunque, è di risolvere questo problema una volta per tutte prevedendo la presenza di un soggetto arbitro, che non sia condizionato dal terminalista (il lavoratore, che sia dipendente o meno, è comunque condizionato dal datore di lavoro) e che possa decidere, in caso di contestazioni, se ci sono le condizioni minime per operare in sicurezza. Noi abbiamo individuato l’Autorità portuale come unico soggetto che può svolgere tale compito. Essa, ai sensi della legge n. 84 del 1994, ha già il potere di ritirare la concessione a un terminalista che non rispetti le norme di sicurezza. Per adesso è un’ipotesi molto vaga: al momento è difficile, se non impossibile, che ciò accada.
In questo momento sono in corso due discussioni importanti, relative alla riforma della legge n. 84 del 1994 e del decreto legislativo n. 272 del 1992, riguardante l’adeguamento della normativa sulla sicurezza e la salute dei lavoratori nell’espletamento di operazioni e servizi portuali. Sarebbe dunque importante riuscire a trovare una soluzione a questo problema in occasione delle riforme in corso.
ODONE. Intervengo a nome della UIL-Trasporti della Ligura, all’interno della quale mi occupo prevalentemente dell’attività portuale. L’incidente di cui la Commissione si sta occupando è il secondo quest’anno che riguarda la lavorazione a bordo di una nave. In precedenza è infatti morto un marinaio ucraino: a volte però notizie di questo tipo acquisiscono minor risalto. Le condizioni che hanno portato a questi due incidenti sono molto simili. Il problema, che riguarda il mondo del lavoro in generale e le attività portuali in particolare, è che ci sono grosse interferenze tra lavoratori e lavorazioni diverse. Entrambi gli incidenti a cui ho fatto cenno sono accaduti all’interno di una nave. Spesso una delle cause è la fretta.
Dobbiamo tutti prendere atto che si possono verificare situazioni come quella che ha portato all’incidente: 1.500 passeggeri che aspettano di partire da 24 ore e la necessità di trasbordo da una nave all’altra. Probabilmente è necessario implementare in modo chiaro le procedure vigenti, perché situazioni del genere si sono verificate e si verificheranno nuovamente.
Come ha detto il collega della CGIL, nel 2007, a seguito di un altro incidente mortale, abbiamo cercato di spingerci oltre, prevedendo un coordinamento di lavoratori che fosse di supporto al lavoro delle istituzioni che si occupano di prevenzione e controllo, che nell’ambito portuale sono tre: l’Autorità portuale, l’Autorità marittima e la ASL. Quest’ultimo soggetto ha compiti di polizia giudiziaria, che ad esempio gli ispettori dell’Autorità portuale non hanno. Alcune cose importanti sono state fatte, sia per quanto riguarda la formazione, che per quanto concerne il Sistema operativo integrato (SOI). È infatti opportuno che vi sia un’integrazione tra i soggetti istituzionali che ho citato e che devono avere un ruolo di verifica, di controllo e di prevenzione. Ricordo anche che sono stati siglati altri protocolli nel resto d’Italia che, se non ricordo male, sono triennali e dunque andranno a scadenza nel corso di quest’anno. Da ciò derivano dunque i Nuclei operativi integrati, che sono molto importanti perché anche se gli incidenti sono diminuiti all’interno del porto si vive una situazione problematica. Infatti, nei casi di incidenti mortali, o anche gravi o gravissimi, i servizi sanitari hanno difficoltà a raggiungere tempestivamente il luogo in cui si sono verificati. Il Nucleo operativo integrato è riuscito a snellire in modo importante le procedure, al fine di arrivare sul posto il più rapidamente possibile: il tempo è davvero un fattore importantissimo quando accadono incidenti simili. Questo è il contesto in cui ci siamo mossi finora e in cui credo dovremo continuare a lavorare. Ci sono dunque delle zone d’ombra: si tratta infatti di un’attività molto particolare, specialmente a causa delle interferenze e della velocità con cui si svolgono le operazioni.
A proposito delle possibili riforme, ci sono posizioni diverse sulla definizione dei ruoli e delle competenze di intervento nelle varie fasi di lavoro.
In ambito portuale, i prestatori di lavoro temporaneo ai sensi dell’articolo 17 della legge n. 84 del 1994 sono l’anello debole, come si è visto anche nel caso dell’ultimo incidente mortale. Essi vengono infatti utilizzati a tutto campo nel bacino portuale. Sarebbe dunque importante istituire un soggetto arbitro, che abbia competenze di prevenzione e di monitoraggio: noi individuiamo questo soggetto nell’Autorità portuale. Come responsabile del settore portuale ho ritenuto utile stilare un elenco dei punti più importanti, che lascerò agli atti della Commissione, basato anche sul rapporto finale di un organismo europeo, l’ETF (European training foundation), in modo tale da avere degli esempi di livello europeo cui fare riferimento, nell’analizzare le problematiche in ordine alle quali intervenire.
Desidero ribadire che, a nostro avviso, l’importante ora è avere un arbitro, che non deve essere individuato solamente nell’Autorità portuale, ma integrato dalla presenza di una rappresentanza di tre istituzioni (Autorità marittima, Autorità portuale e ASL). Tale figura dovrebbe dare indicazioni sulla gestione di situazioni, anche temporanee, in cui è necessario decidere se le varie lavorazioni si possono portare avanti oppure vanno modificate. Spesso infatti questi aspetti vengono lasciati al rapporto diretto o con il prestatore di lavoro temporaneo o del terminalista con i propri subalterni, i quali quindi si trovano in una condizione di debolezza. Nel mondo del lavoro abbiamo la necessità di definire meglio questa situazione per prevenire e risolvere conseguenze problematiche.

PRESIDENTE
Vi risulta l’esistenza di un protocollo tra Grandi Navi Veloci e la CULMV?

SANTORO
Signor Presidente, sinceramente non ne siamo a conoscenza.

PRESIDENTE
Lo chiederemo anche ai diretti interessati, tuttavia mi interessava sapere se anche voi, in quanto rappresentanti dei lavoratori, avete notizie in riferimento a tale protocollo. Ne hanno parlato alcune fonti giornalistiche, che quindi vanno prese come tali.

NEROZZI (PD)
Finora, tra gli auditi che abbiamo sentito, dal Procuratore ai rappresentanti dei sindacati, nessuno ne è a conoscenza.

PRESIDENTE
Probabilmente si tratta di una notizia che è circolata pur essendo infondata.

ODONE
Signor Presidente, anch’io non ne sono a conoscenza, ma si tratta di una delle problematiche relative al soggetto terzo, soprattutto da quando la Compagnia che abbiamo citato in precedenza si è trovata ad avere per legge un tipo di rapporto diverso da quello che aveva prima, grazie all’articolo 17 della legge n. 84 del 1994 di riforma della legislazione in materia portuale, che ne ha messo in chiaro la posizione, con riferimento al prestatore di lavoro temporaneo.
Da qui nasce un primo problema relativamente al soggetto terzo, che potrà essere l’Autorità portuale o potremo essere noi: in base al regolamento emanato dal Comitato portuale, tutti i soggetti autorizzati devono regolamentare i rapporti con le varie imprese, che nel porto di Genova mi pare siano 24. Non so se esista già un rapporto diretto, ma quello oggi vigente, che è di tipo diverso, d’ora in poi dovrà prendere un taglio differente, dal momento che per legge tale compito dovrà essere filtrato da un soggetto terzo. Ad esempio, vanno stabilite le condizioni in cui il lavoro si deve fermare, cosa che non deve essere addebitata ad un soggetto terzo, per evitare l’insorgere delle situazioni di cui sopra. Questo vale sia per i lavoratori temporanei, considerati l’anello debole della catena, sia per il lavoratore autonomo terminalista nei confronti dei propri dipendenti.

RIVABELLA
Signor Presidente, desidero esprimere il mio rammarico per il verificarsi di un’incomprensione con la CISL, della quale non ho compreso la ragione, dal momento che abbiamo sempre svolto le audizioni unitariamente. Ringrazio pertanto i rappresentanti della CGIL e della UIL per aver confermato questa posizione, che a Genova è sempre stata mantenuta obiettivamente, al di là delle differenze.

PRESIDENTE
La prego di entrare nel merito della questione, adesso.

RIVABELLA
Oggettivamente, abbiamo potuto constatare la complessità del lavoro nell’ambito portuale, da un punto di vista sia normativo (abbiamo una serie di legislazioni che compenetrano l’attività del lavoro portuale, anche nell’ambito di della sicurezza) sia contrattuale (abbiamo forme diverse di contrattualizzazione dei lavoratori, dal lavoro temporaneo a quello a tempo determinato o artigiano, posto che anche all’interno dell’area portuale abbiamo la presenza di imprese artigiane, composte da un’unica persona che svolge la propria attività). Questa complessità non va dimenticata quando si affronta il problema della sicurezza, perché una differenziazione oggettivamente importante rispetto a qualsiasi altro sito o area di attività è proprio la compenetrazione di normative, contrattualizzazioni e operatori differenti. Questo, secondo l’UGL, è il punto focale su cui intervenire per poter operare bene nel futuro ai fini della sicurezza e delle garanzie dei lavoratori.
In quest’ambito, vi sono differenti posizioni. Ad esempio, per gli operatori del settore metalmeccanico o della logistica i problemi relativi alla sicurezza sono completamente diversi rispetto ad altri settori. L’esigenza di avere uno strumento arbitrale superiore, che possa intervenire in maniera formale e sostanziale circa la sicurezza dell’area portuale, diventa veramente importante. Oggi stiamo parlando di problemi avvenuti a bordo delle navi, ma in passato abbiamo parlato di quelli afferenti al settore dell’allestimento – quindi metalmeccanico – e, in altre occasioni, dell’attività di arredamento, di carpenteria, di lavorazione del legno e di trasporto all’interno del settore portuale. C’è condivisione da parte del sindacato rispetto all’esigenza di intervenire in un’area molto particolare. Tutto questo però non basta, nel momento in cui non ci sono possibilità reali d’intervento in un ambito che, anche da un punto di vista geografico, è estremamente vasto. In un’area come il porto di Genova, che va dai monti al Porto antico, non è pensabile avere risorse tali da poter operare capillarmente, quindi tutte le componenti coinvolte devono attivarsi.
I dati che possono essere diramati dall’INAIL e dalla ASL risultano determinanti per capire dove si verificano le attività più pericolose per quanto riguarda la sicurezza dei lavoratori, dove sono avvenuti gli incidenti più gravi, quali caratteristiche hanno avuto e quale tipo di processo ha determinato gli incidenti stessi. Diventa così possibile analizzare le aziende e le realtà che non hanno subìto accadimenti del genere applicando protocolli tali da poter risultare di interesse per l’area portuale nel suo insieme e per poter azzerare – o perlomeno diminuire in maniera consistente – il numero degli incidenti. Nella quotidianità, infatti, i dati relativi agli incidenti nell’ambito dell’area portuale sono elevati, pertanto è la continuità degli incidenti e degli infortuni che dobbiamo analizzare.
Da una parte, quindi, c’è la necessità di uno strumento che può essere terzo e permetta un coordinamento ed un intervento come soggetto arbitro; dall’altra, c’è la necessità di un esame della realtà e delle varie attività durante le quali si sono determinati gli incidenti; infine, occorre esaminare le best practices praticate dalle aziende e dalle realtà in cui tali incidenti sono avvenuti in maniera inferiore o non sono avvenuti affatto, per capire se seguono protocolli particolari. A ciò vanno aggiunti interventi legislativi che potrebbero risolvere in parte le contraddizioni di una legislazione divisa tra l’ambito di bordo e quello portuale, senza creare quella compenetrazione di interessi e di opportunità che potrebbe risolvere in parte il problema degli infortuni.

NEROZZI (PD)
Nelle audizioni precedenti sono emerse due questioni.
La prima concerne il fatto che il lavoro nero non pare presente nelle operazioni di carico e scarico merci; ne chiedo conferma a voi (diversa è la cantieristica e diverse sono le forme di presenza dei marittimi di altre nazionalità).
È emerso invece un eccessivo uso dei turni, una turnazione per così dire extralarge, quindi non rispettosa della contrattazione nazionale. Vorrei sapere se questo accadeva di più in passato rispetto ad oggi, anche se forse per altre ragioni.

PRESIDENTE
Aggiungo anch’io una domanda per i nostri ospiti. Ci stiamo ponendo il problema di creare elementi di raccordo fra i soggetti che assicurano questi lavoratori. In poche parole, è emerso un rapporto che dovrà chiarirsi tra IPSEMA e INAIL, anche per le attività di prevenzione che svolge ognuno dei due istituti e per i metodi di comunicazione esistenti all’interno di un modello e dell’altro.
Voi rappresentanti dei lavoratori avete riflessioni o proposte in proposito?
Lo considerate un problema importante?

SANTORO
Signor Presidente, per quel che riguarda il ciclo delle operazioni portuali, non c’è lavoro nero perché tutto è molto definito. A norma dell’articolo 17, per quanto riguarda il ciclo delle operazioni portuali, tutti i soggetti impiegati sono autorizzati a lavorare dal Comitato portuale e dall’Autorità portuale. Eseguiamo anche alcune verifiche, se vediamo qualcosa di strano con riferimento ai permessi per entrare a lavorare in porto, e chiediamo agli ispettori dell’Autorità portuale di intervenire se abbiamo dubbi, ma non ci risulta l’esistenza di lavoro nero. Quindi confermo l’assenza di questo fenomeno all’interno delle operazioni portuali, come ha detto chi mi ha preceduto.
Il problema dei turni purtroppo nell’ultimo anno non è esistito; sono veramente pochi, in media non arrivano neanche a dieci al mese. Per il passato si doveva fare un discorso diverso, ma adesso, essendo in vigore il citato articolo 17, la speranza è prima di tutto che il lavoro arrivi al più presto per tutti e poi che possa esserci una migliore gestione della turnistica, con soggetti definiti anche nell’ambito della normativa. I turni in porto sono normalmente di sei ore, ma comunque CGIL, CISL e UIL non fanno campagne sui doppi turni, perché nei loro accordi con i terminalisti cercano sempre di non mettere nessun lavoratore in condizione di essere stanco.
Per quanto concerne il problema assicurativo, i lavoratori della Compagnia Unica lavorano anche su navi straniere, le navi porta-containers. Il problema è quello di un modello che vede più soggetti autorizzati a poter operare a bordo delle navi. Faccio un esempio: non essendo codificata la lingua in cui si parla (si tratta dell’inglese più che altro), è difficile che un lavoratore italiano di una ditta terza rispetto a quella dei terminalisti, che già lavora con il dipendente del terminal, possa magari interagire con l’ufficiale, con il marinaio di bordo che parla un’altra lingua. Inoltre non tutti parlano lo stesso inglese (i filippini parlano un inglese di un certo tipo, altri uno diverso). Quindi già prevedere una omogeneità tra i soggetti che operano nel terminal (quindi quelli di cui agli articoli 17 e 18) sarebbe un passo avanti, per lo meno rispetto alle interferenze che ci sono tra questi lavoratori. È chiaro che meno sono i soggetti che fanno certi tipi di lavorazioni più è semplice la gestione. Ad ogni modo, il lavoro in porto è pericoloso in sé.

PRESIDENTE
Ringrazio per la collaborazione gli intervenuti.


Audizione di rappresentanti provinciali delle organizzazioni imprenditoriali



Intervengono il presidente di Confindustria Genova Giovanni Calvini, il presidente di ASSITERMINAL Alessandro Giannini, il presidente della sezione Terminal operators Giuseppe Costa, il responsabile del servizio porti e infrastrutture CONFITARMA Giuseppe Lombardi ed il capo delegazione Genova CONFITARMA Claudio Barbieri.

PRESIDENTE
Ringrazio gli intervenuti per aver accolto il nostro invito.
Questa Commissione sta svolgendo audizioni in riferimento al tema riguardante la sicurezza e la salute nei luoghi di lavoro, nella fattispecie con specifico riferimento al porto di Genova, ovviamente anche tenendo conto dell’ultimo infortunio mortale verificatosi il 23 dicembre scorso.

COSTA
Sono il presidente della sezione terminal operator del porto di Genova. Come operatore è per me quasi banale dire che la sicurezza è un punto fondamentale della nostra quotidianità. Su di essa abbiamo investito e stiamo investendo costantemente. Ciò che desideriamo è che ci sia maggior coordinamento tra tutte le forze in campo e che fatti del genere (non solo gli incidenti mortali, ma anche quelli meno gravi) non abbiano più a verificarsi. Tuttavia, anche nell’ultimo protocollo non si riesce a capire esattamente il punto di inizio e di fine della competenza di ciascun soggetto dal punto di vista pratico. Sono stati richiesti interventi dell’Autorità portuale, come ente e soggetto arbitro, ma noi crediamo che non ci debba essere un arbitro: è necessario semplicemente un coordinamento tra tutti gli operatori, portuali e non, ossia tra tutti i soggetti che operano in porto – quindi non solo i terminalisti – affinché l’attività dell’uno sia seguente a quella dell’altro e non ci sia nel mezzo alcun vuoto normativo e procedurale. È ovvio che la stragrande maggioranza degli operatori è dotata di strumenti come le certificazioni sulla sicurezza, o ha comunque procedure facilmente certificabili. È altrettanto ovvio però che su questo tema l’Autorità portuale dovrebbe vigilare ulteriormente e aiutarci a compiere un cammino di certificazione di tutto l’ambito portuale sul versante dei terminalisti.

PRESIDENTE
Dato che questo è un punto importante e posto che lei ha un’importante funzione di rappresentanza, sarebbe per noi interessante avere qualche proposta in merito. È giusto parlare di coordinamento però lei, dottor Costa, cosa pensa che possa produrre questo e, anche, che cosa non lo produce? Si può fare una riflessione un po’ più approfondita, perché ci possono essere degli elementi che non lo producono e degli elementi che non lo propongono. Ma sono luoghi di partenza diversa che verosimilmente potrebbero incrociare lo stesso obiettivo, cioè quello di non averlo.

GIANNINI
Buongiorno, sono il presidente di ASSITERMINAL (Associazione italiana terminalisti portuali). Proverò a rispondere alla domanda posta. Insieme all’altra associazione più rappresentativa – ASSOLOGISTICA – abbiamo firmato, nell’ottobre 2008, l’accordo nazionale sulla sicurezza, in ottemperanza al decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81. A questo accordo nazionale sono seguiti accordi a livello locale, riferiti soprattutto alla creazione del coordinamento tra i lavoratori e all’inserimento della nuova figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza nel sito.
Quando lei, signor Presidente, ha posto poc’anzi la domanda, istintivamente volevo rispondere che sotto il profilo normativo – l’ho appena detto – tutto ciò che è stato previsto è stato anche attuato, ancorché in questi mesi sia in corso presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un’opera di aggiornamento del decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 272. Tuttavia, dal momento che credo di avere una certa esperienza portuale (lavoro nel porto da 17 anni), mi sento di dire che ciò che va sviluppato non è tanto l’aspetto normativo, che esiste e può essere perfezionato: occorre compiere maggiori sforzi per diffondere nel porto, tra i lavoratori e i datori di lavoro (ma la loro sensibilità è già acuta a tal proposito), la cultura della sicurezza, la quale è ancora sottovalutata dagli stessi protagonisti, dai lavoratori. Ciò significa formazione attenta, specifica, meno sporadica e più continua, in forme più efficaci delle riunioni di due o tre ore nel corso delle quali un istruttore ricorda agli astanti i loro impegni e doveri. Servono delle forme più moderne, ma non mi chiedete quali, perché non sono un pubblicitario.

PRESIDENTE
E non è un formatore.

GIANNINI
Esatto. Ho notato – non da oggi, ma da lungo tempo – questa necessità, perché sono a contatto con chi lavora in porto, sulle banchine e quindi ne percepisco il livello di attenzione ma talvolta anche l’eccesso di confidenza rispetto ad un lavoro che ha degli aspetti intrinsecamente pericolosi, al pari però di tante altre attività. Occorre pertanto diffondere con costanza e pervicacia la cultura della sicurezza tra i lavoratori.

CALVINI
Buongiorno, sono il presidente di CONFINDUSTRIA Genova.
Ho ascoltato attentamente chi mi ha preceduto e non posso che condividere i principi enunciati. Con riguardo all’ultimo incidente avvenuto il 23 dicembre scorso presso Grandi Navi Veloci, salta agli occhi che una delle criticità maggiori legate all’espletamento delle operazioni portuali è rappresentata dai rischi interferenti. In questo caso abbiamo avuto diversi soggetti che compivano operazioni diverse, appartenenti ad aziende diverse, che andavano opportunamente coordinati. Se c’è un fatto specifico su cui insistere è quello di capire e valutare se ci sono dei vuoti normativi da questo punto di vista. Io non conosco a fondo la legge, ma mi sono fatto un’idea abbastanza approfondita di questi aspetti. So che la materia è disciplinata, però la fattispecie specifica delle attività marittimo-portuali meriterebbe forse un approfondimento, vista la complicanza dei rapporti presenti all’interno dell’attività portuale.
Sono assolutamente d’accordo con il dottor Giannini circa il fatto che la soluzione per arrivare a minimizzare l’incidenza di questi accadimenti non possa che essere la cultura della sicurezza, che significa formazione e anche informazione costante sui luoghi di lavoro, così come il principio per cui ciò è un valore che va condiviso. Bisogna che si lavori tutti dalla stessa parte, datori di lavoro e lavoratori. Dobbiamo tutti quanti condividere questo obiettivo.
Quindi è necessario un grande sforzo di coordinamento tra le parti. Sono anche d’accordo con Beppe Costa quando dice che esistono strumenti di certificazione dei sistemi di sicurezza degli operatori, che in qualche maniera obbligano a compiere questo percorso di formazione e di informazione.
Dando dunque per scontato che gli investimenti infrastrutturali sulla sicurezza siano stati opportunamente eseguiti – ma sono i soggetti che hanno il compito di vigilare a dover stabilire se è così e se la nave o il mezzo sono idonei allo svolgimento delle operazioni – ciò che manca è quello che chiamo «l’ultimo miglio» della sicurezza, ovvero la formazione. A mio modo di vedere tale sforzo deve essere compiuto in due fasi: la prima, di importanza straordinaria, è costituita dall’avviamento.
I rappresentanti dei terminalisti mi correggeranno se sbaglio, ma in questo momento storico il volume dei traffici è basso e quindi gli operatori hanno a disposizione delle ore da dedicare al notevole sforzo formativo iniziale. Dopodiché è necessario dare continuità, nel tempo, al percorso formativo. Non dobbiamo limitarci ad adottare, sull’onda della tragedia, misure speciali e straordinarie che però si esauriscono nel breve periodo, ma bisogna che questi concetti entrino nel DNA di chi opera nel porto.
Ricollegandomi a quanto detto in precedenza, occorre tenere conto dell’applicazione dell’articolo 17 della legge n. 84 del 1994, che fa riferimento anche al rapporto tra i terminalisti e la Compagnia Unica, regolando una fattispecie assai diffusa nel porto di Genova. La responsabilità oggi cade in capo al terminalista e sappiamo bene quanto sia culturalmente e socialmente difficile il rapporto tra quest’ultimo e la Compagnia Unica. Per il terminalista è infatti difficile imporre regole e comportamenti alla Compagnia Unica: tale aspetto è intimamente legato alla storia del porto di Genova, in cui la Compagnia Unica ha sempre rappresentato un soggetto molto forte, con una notevole autonomia operativa. Visto che oggi la responsabilità ricade in capo al terminalista, occorre che i due soggetti si parlino con maggiore trasparenza e costanza, sapendo che devono condividere la stessa problematica e il medesimo approccio.
È inoltre necessario che non vengano prese misure specifiche per singoli porti. A questo proposito ricordo che il protocollo firmato qualche anno fa, prima che fosse varato il Testo unico, veniva applicato al solo porto di Genova. È invece necessario che la disciplina sia chiara e che venga applicata in tutti i porti, altrimenti si creano delle distorsioni.

PRESIDENTE
La delega legislativa descrive un quadro di maggiore omogeneità.

CALVINI
Lo so, ma desidero ribadire in modo chiaro questo concetto.

BARBIERI
Sono il responsabile della CONFITARMA (Confederazione italiana armatori) di Genova. Desidero però lasciare subito la parola al dottor Lombardi, che è il responsabile del Servizio porti e infrastrutture.

LOMBARDI
Riprendendo le fila del discorso che è stato finora sviluppato, mi sembra che la situazione dal punto di vista normativo susciti delle perplessità, almeno valutando ciò che è accaduto a Genova in questi ultimi tempi. Fino al mese di ottobre 2009, la Compagnia portuale andava a bordo delle navi per fornire il servizio di rizzaggio in regime di appalto, agendo come impresa. A partire dal novembre 2009, la Compagnia è andata a bordo delle navi in quanto soggetto – lo definisco così, perché non si tratta di un’impresa – che eroga manodopera temporanea. Da questo semplice cambiamento formale è derivato, dal punto di vista sostanziale e giuridico, il passaggio della responsabilità diretta in capo al terminalista, ovvero alla società che gestisce le operazioni di imbarco e sbarco dei mezzi gommati a bordo dei traghetti. Bisogna considerare che la squadra di lavoratori della Compagnia, che si reca a bordo a seguito di un contratto di somministrazione di manodopera, si presenta con una struttura organizzativa identica a quella che aveva quando agiva come ditta appaltatrice, ovvero con un capo squadra responsabile, che risponde nei confronti dei dipendenti della Compagnia anche per quanto riguarda l’aspetto della sicurezza.
Da questo punto di vista occorre tener presente che il protocollo sulla sicurezza a cui facevano cenno i colleghi, siglato a Genova nel 2007 e poi esteso a livello nazionale, era in vigore e in funzione nel momento in cui sono avvenuti gravi incidenti. Condividendo le osservazioni fatte in proposito, ho dunque la sensazione che più aumentano le normative e meno si garantisce la sicurezza: purtroppo, quando le normative diventano delle superfetazioni burocratiche finiscono per non garantire la sicurezza. Dunque ritengo che per realizzare condizioni di maggiore sicurezza occorrano soluzioni volte a chiarire e a rendere trasparenti le mansioni, le funzioni e le conseguenti responsabilità di tutti gli operatori collocati all’interno di un ciclo operativo. Mi riferisco in modo particolare al caso delle navi che impiegano personale di un’altra società. Nel caso dell’incidente all’esame della Commissione la situazione era molto particolare, perché Grandi Navi Veloci è una società armatoriale, ma è al tempo stesso anche un’impresa portuale autorizzata, ai sensi dell’articolo 16 della legge n. 84 del 1994, che dunque si occupa di imbarco e di sbarco e che per far fronte ai picchi di lavoro si avvale della squadra della Compagnia portuale, che le fornisce manodopera temporanea. Precedentemente non era così: alla Compagnia veniva semplicemente richiesto di far salire a bordo della nave una o due squadre per svolgere le operazioni di rizzaggio e derizzaggio; dunque si stipulava un contratto di appalto, come si fa in quasi tutti i settori produttivi.

PRESIDENTE
Le chiedo di chiarire meglio come ciò influisca sul tema della sicurezza, andando anche al di là dell’aspetto formale.

LOMBARDI
Per quanto riguarda la sicurezza si crea una minor tensione sotto il profilo della responsabilità. Pensiamo al caso di una struttura operativa, che opera all’interno di una nave insieme ad altre che fanno capo a datori di lavoro diversi, e che non si sente più responsabile sotto il profilo della sicurezza come lo sono gli altri e come invece dovrebbe accadere. Si è accennato prima al rischio di interferenza, che si avverte molto a bordo delle navi, in cui spesso operano contemporaneamente diverse imprese. In questi casi è necessario che vi sia la responsabilità di tutti gli operatori, con la consapevolezza ciascuno dei propri compiti e delle conseguenti responsabilità. La presenza di un soggetto anomalo, che non è un’impresa bensì un soggetto che somministra manodopera e che dunque non è più responsabile sotto il profilo della sicurezza, crea non poche difficoltà di rapporto. Penso, ad esempio, alla questione del controllo, di cui si parlava poc’anzi. Non è facile effettuare il controllo, perché si tratta di lavoratori abituati a lavorare a bordo delle navi come dipendenti di un’impresa appaltatrice. Trovarsi oggi a bordo delle navi alle dipendenze di un terminalista può creare, per ragioni culturali, delle conseguenze di tipo psicologico.

PRESIDENTE
Se è un fatto psicologico, non lo mettiamo in dubbio, per carità. Evidentemente però non sono stato in grado di cogliere differenze di altro tipo.

LOMBARDI
Ho parlato di un fatto psicologico per quanto riguarda la possibile resistenza nei confronti di un ordine impartito. Rispondo alla sua domanda sul nesso tra l’aspetto normativo e le conseguenze sul piano della sicurezza evidenziando lo scarso coordinamento e il possibile venir meno di una certa sensibilità per la propria responsabilità giuridica con riferimento alla sicurezza. Se un soggetto non è più responsabile direttamente sul piano della sicurezza, potrebbe porre minore attenzione nel gestire l’attività a bordo della nave.

PRESIDENTE
Vi risulta esistere un accordo tra la CULMV e la società Grandi Navi Veloci?

LOMBARDI
Certamente: da diverso tempo c’è un accordo, un protocollo operativo, tra questi soggetti. Non penso che si scopra niente di nuovo.

PRESIDENTE
Non mi riferisco al protocollo prefettizio. Si tratta di un punto importante per chiarire quello che è accaduto.

LOMBARDI
Prima c’era un contratto d’appalto tra i due soggetti. Da novembre, ovvero da quando la Compagnia non è più erogatrice di un servizio in appalto ma fornisce manodopera, è subentrata una situazione giuridicamente diversa, ovvero la stipula di un protocollo alternativo al contratto d’appalto. Il contratto d’appalto è espressamente e specificamente disciplinato dal decreto legislativo n. 81 del 2008 e se ne parla anche nel testo del decreto legislativo n. 272 del 1999, modificato alla luce dello stesso decreto n. 81. Questo protocollo serve a «traghettare» per un periodo transitorio e sperimentale – che se non erro arriva fino al 31 gennaio del 2010 – in modo da verificare se esistano delle difficoltà concrete dal punto di vista operativo, ovvero se esso può essere accettato e mantenuto nelle condizioni originarie.
La fornitura di questo servizio, che prima veniva reso dalla Compagnia come impresa appaltatrice e ora come impresa somministratrice di manodopera, non è cambiata dal punto di vista pratico. Si tratta delle stesse squadre che, a bordo della stessa nave, forniscono lo stesso servizio di prima.

PRESIDENTE
In questo modo conferma il ragionamento che ho fatto prima, quando le ho chiesto quale fosse la novità.

LOMBARDI
La novità sta nel fatto che questo soggetto oggi non è più responsabile.

PRESIDENTE
Cerchiamo di andare al di là dell’aspetto formale, perché non stiamo facendo un’indagine sull’organizzazione delle società.
Dal punto di vista della sicurezza, le chiedo quale differenza c’è tra la somministrazione di manodopera per compiere una certa operazione e il compimento della stessa operazione, da parte degli stessi soggetti, a seguito di un contratto d’appalto, al di là dell’aspetto psicologico di cui abbiamo parlato in precedenza. Ecco che torna la questione del protocollo, che evidentemente definisce elementi di responsabilità. Abbiamo bisogno di capire questi concetti, per ordinare le varie tessere del mosaico. Anche chi svolge l’attività inquirente, indagando sul recente incidente mortale, dovrà riflettere su questi aspetti, per capire il passaggio di cui stiamo discutendo e comprendere se c’è o meno qualche attinenza. La somministrazione di manodopera può essere un elemento di per sé stesso anche negativo, in circostanze come questa. Non voglio entrare nel merito delle politiche industriali e imprenditoriali di ciascuno, vorrei però capire se questo aspetto ha prodotto o meno un vulnus.

GIANNINI
La storia del rapporto fra terminalismo e Compagnia ha subito nell’ultimo anno una forte accelerazione con l’introduzione dell’articolo 17 della legge n. 84 del 1994 (relativo alla fornitura di lavoro temporaneo portuale): come saprete, a Genova la CULMV, che ora si chiama anche «Paride Batini», era rimasta ancora alla situazione regolamentata dall’articolo 21-bis della legge n. 287 del 1990 (relativo alle ex imprese portuali). C’è stato un richiamo da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti a sanare questa situazione, per cui è stato emanato un bando di gara che ha vinto la Compagnia. Questa nuova veste ha preso avvio nel porto di Genova dal 1º novembre.

PRESIDENTE
Stiamo parlando sempre della Compagnia Paride Batini?

GIANNINI
La CULMV si chiama adesso Paride Batini, dal nome console che l’ha guidata per venticinque anni: adesso a Genova c’è questa Compagnia Unica dei portuali, ma esiste anche la «Compagnia Pietro Chiesa», che è di dimensioni molto minori.

PRESIDENTE
È composta da 25 o 30 persone.

GIANNINI
La compagnia CULMV invece ne ha più di 1.050: l’applicazione dell’articolo 17 ha avuto inizio il 1º novembre, ma nel contempo, anche sotto l’egida dell’Autorità portuale di Genova, c’è stata una moratoria da qui fino alla fine di gennaio, perché sono emerse subito problematiche relative all’assunzione di responsabilità, quali quelle citate dal dottor Barbieri. A norma dell’articolo 17, il fornitore di lavoro temporaneo portuale – che è diverso dal lavoro temporaneo tout court, cioè interinale – deve agire sotto le dirette dipendenze e direttive dell’impresa utilizzatrice. Questa è costituita o dal terminalista o, nel caso dell’incidente mortale del 23 dicembre, da un armatore per conto proprio, cioè che, a norma dell’articolo 16 delle legge n. 84 del 1994, può compiere anche operazioni portuali ed essere un’impresa portuale: è l’unico soggetto – insieme a quello previsto dall’articolo 18, il concessionario di un’area portuale – che può chiedere, chiamare ed utilizzare la Compagnia (secondo l’articolo 17).
Il punto focale di questo discorso è l’assunzione di responsabilità: oggi, in base alla legge (ancorché in vari porti italiani, ad esempio Ravenna e Savona, ne siano state date interpretazioni più elastiche, soprattutto dell’articolo 17), la Compagnia deve avere un certo grado di autonomia, che si esplica attraverso la costituzione di squadre organizzate e autonome.
Cosa significa autonomia? Anche assunzione di responsabilità diretta, soprattutto per ciò che attiene alla sicurezza. Allo stato a Genova è in corso un dibattito proprio su questo tema fra terminalisti, Compagnia e Autorità portuale per arrivare ad una migliore definizione del Regolamento di esercizio dell’articolo 17 nel porto di Genova. Concordo con quanto affermato prima dal dottor Lombardi relativamente al fatto che è diverso l’approccio di chi lavora sapendo di «essere responsabile» – e sto parlando dei responsabili, non dei singoli lavoratori – e di chi lavora sapendo di «avere un responsabile». Bisogna infatti distinguere l’approccio del singolo lavoratore, che non può mutare in dipendenza dell’articolo di una legge, da quello dei responsabili e dei preposti alla sicurezza, che invece può mutare, perché possono sentirsi mallevati. Nel porto infatti, in base ad un accordo fatto dalla Compagnia e con il beneplacito dell’Autorità portuale, stiamo sperimentando una figura intermedia, ossia un preposto individuato all’interno della squadra, cioè all’interno della Compagnia, ma indicato e nominato dall’impresa utilizzatrice (o il terminalista o, come in questo caso, l’armatore per conto proprio, a norma del suddetto articolo 16), per creare una continuità nella responsabilità. Altrimenti, avviene quanto abbiamo denunciato – e non da oggi, ma fin dal marzo 2009, quando è stato redatto il regolamento sull’applicazione dell’articolo 17 – ossia una frattura fra l’impresa utilizzatrice, che è totalmente responsabile, anche sotto il profilo della sicurezza, e chi collabora, cioè la Compagnia (a norma dell’articolo 17), che non è responsabile di alcunché. L’approccio storico e culturale della Compagnia invece è da sempre stato diverso, come ricordava precedentemente il dottor Lombardi, perché che si basa su un forte, anzi fortissimo, grado di autonomia.
La legge n. 84 del 1994, come sapete, è in corso di revisione, con la riforma dell’Autorità portuale, ma anche con i regolamenti di attuazione, per cui possiamo dire che c’è un vuoto che lascia adito alle interpretazioni più varie, da quella più rigida a quella più elastica. Inizialmente qui a Genova si è scelta un’interpretazione molto rigida, per cui stiamo cercando di capire se quel regolamento può essere reinterpretato in maniera diversa.
Ciò comunque non risolve il problema della sicurezza e della responsabilità, che era e sarà sempre in capo al datore di lavoro, quindi in questo caso all’impresa utilizzatrice (cioè quella che utilizza la Compagnia, a norma dell’articolo 17). Occorre però un maggiore coinvolgimento sotto il profilo della sicurezza, affinché non vi sia una totale malleva, anche perché risulta difficile in certe attività lavorative esercitare un pieno controllo da parte del datore di lavoro.

LOMBARDI
Esatto, condivido.

PRESIDENTE
Dottor Giannini, ci aiuti a comprendere bene questi meccanismi che per voi sono molto familiari, ma per noi risultano più complessi: da qui nasce l’esigenza di quel protocollo cui prima facevamo riferimento?

GIANNINI
Signor Presidente, credo che il termine «protocollo» generi qualche confusione. In base al regolamento sull’articolo 17, fra la Compagnia Unica (a norma dell’articolo 17 stesso), la sezione terminal operators di Confindustria e, a seguire, le singole aziende, ai primi del novembre 2009 è stato sottoscritto un accordo quadro, che costituisce un contratto di fornitura transitorio fino alla fine di questo mese, come previsto dal Regolamento (si è deciso di avere almeno tre mesi di tempo per valutarne l’applicazione sul campo).
Quando parliamo di «protocollo» facciamo dunque riferimento a questo accordo quadro fatto dalla sezione terminalisti di Confindustria a Genova, che poi è stato recepito ed applicato da ciascun terminalista o armatore (a norma dell’articolo 16) che ha stipulato un accordo con la Compagnia su questa falsariga. È ovvio che poi ogni terminalista può avere delle proprie specificità che devono essere previste nel contratto di fornitura. Si tratta dunque di un accordo quadro fra soggetti e imprese (quindi terminalisti e Compagnia); a discendere, sulla stessa falsariga, c’è stato un contratto di fornitura fra i singoli e la Compagnia. Spero di aver spiegato meglio la situazione.

NEROZZI (PD)
Mi può ripetere la data ed il mese della stipula dell’accordo quadro?

GIANNINI

Abbiamo stipulato l’accordo quadro il 4 novembre, anche se avrebbe dovuto essere completato entro il 31 ottobre, poiché la sua applicazione è partita il 1º di novembre.

PRESIDENTE
Vi chiediamo di inviarcelo, perché vorremmo capire meglio questo meccanismo, che potrebbe esserci utile: la senatrice Donaggio prima ha ricordato che nella Commissione trasporti in queste settimane si sta discutendo anche di questo tema, quindi potrebbe essere funzionale a colmare talune lacune normative o quantomeno a non crearne.

COSTA
Signor Presidente, giusto in questi giorni lo stiamo riesaminando, per cui a breve dovrebbe esserci un perfezionamento, che recepisce le difficoltà operative incontrate. Anche di questo vi manderemo una copia, in accordo con l’Autorità portuale.

PRESIDENTE
La ringrazio. Vogliamo tenerci aggiornati su questo problema che costituisce un tema vivo del dibattito parlamentare.

COSTA
Signor Presidente, anche noi lo stiamo seguendo da vicino.

PRESIDENTE
Ringrazio i nostri ospiti per il contributo.


Audizione di rappresentanti della Capitaneria di Porto e dell’Autorità portuale



Intervengono il presidente dell’Autorità portuale Luigi Merlo, accompagnato dal capitano di fregata Napoli, e il comandante in seconda della Capitaneria di porto Luciano Pozzolano.

PRESIDENTE
Diamo il benvenuto ai nostri ospiti, che ringraziamo per la loro presenza. I motivi per i quali siamo qui, che ormai immagino conoscerete, non sono solamente legati al drammatico incidente avvenuto il 23 dicembre, ma sono volti a farci capire meglio i meccanismi di gestione di quel mondo complesso e articolato che è il porto. Vorremmo capire dove secondo voi è necessario creare una maggiore collaborazione: da più soggetti, infatti, è emerso un aspetto legato alla necessità di un maggiore coordinamento che possa dare risposte di vario genere, in primo luogo di funzionalità, ma per quanto ci riguarda soprattutto relative alla salute e alla sicurezza dei lavoratori.

POZZOLANO
Signor Presidente, questa è purtroppo la seconda volta che vengo audito da una Commissione: ho avuto un’esperienza precedente non a Genova, ma a Ravenna, che – com’è noto – fu sede di quella grande tragedia nel settore della cantieristica in cui morirono 13 persone: sto parlando del biennio 1996-1997, che fu poi preparatorio per quello che sarebbe diventato il decreto legislativo n. 272 del 1999 sulla sicurezza nell’ambito portuale.
Innanzitutto, ritengo importante focalizzare il momento in cui è avvenuto il fatto: si tratta del 23 dicembre; la sera prima, il giorno 22, sul traghetto gemello, diretto a Palermo, c’era stato un principio di incendio che per fortuna aveva provocato soltanto danni materiali. Come Capitaneria stiamo indagando su questo caso che ovviamente ha portato i 1.579 passeggeri ad attraversare un momento di estemporanea tensione, legata anche alle cattive condizioni climatiche di quella sera, visto che pioveva a dirotto e facevo freddo. La società non è stata molto pronta nel sopperire alle esigenze, per cui c’era un clima molto teso (questo è importante).
L’indomani la società Grandi Navi Veloci ha sostituito il traghetto per Palermo con una nave gemella. Ovviamente le operazioni sono state laboriose: dalle ore 10 della sera precedente la nave era a Genova con i passeggeri che chiaramente scalpitavano. C’era anche un problema di ordine pubblico, nel senso che le persone davano in escandescenze e volevano partire a tutti i costi. Ovviamente le tempistiche in campo marittimo sono quelle che conosciamo e forse anche questo ha accelerato la disgraziata morte del Desana. La fretta è cattiva consigliera, ma nell’ambito portuale marittimo molte volte porta a dei fatali errori anche nelle ordinarie operazioni che sono quotidiane. In un porto come quello di Genova si movimentano infatti migliaia di autoveicoli al giorno e quindi le operazioni di rizzaggio e derizzaggio sono ordinarie e ripetive, in quanto il traffico dei traghetti è notevole. La quotidianità dell’azione molto spesso porta a uno svilimento delle condizioni minime di sicurezza: la troppa sicurezza in un’operazione spesso ingenera errori drammatici.
Ad ogni modo, inquadrato il momento, che cosa si ricava da questa morte? Con rispetto per le persone e per il lavoratore, si tratta per fortuna di un numero di incidenti tutto sommato piccolissimo se considerata la mole di movimenti e di merci movimentate, anche se vorremmo non avere alcun incidente. Per l’ennesima volta è emersa la mancanza di coordinamento tra i lavoratori di due società, cioè – se dico qualcosa di errato il presidente Merlo mi correggerà – la Grandi Navi Veloci (ossia l’impresa portuale autorizzata ai sensi dell’articolo 16 della legge 28 gennaio 1994, n. 84) e la società fornitrice di manodopera (a norma dell’articolo 17 della stessa legge). In tale ambito, Genova, caposaldo della marittimità italiana, è arrivata forse ultima nella istituzione di un’impresa per la fornitura di manodopera temporanea. Probabilmente, ancora una volta, come avviene in altre lavorazioni anche a rischio come, per esempio, nelle riparazioni navali (ovviamente mi rifaccio al mio ambito), si rilevano interferenze, e non coordinamento delle operazioni. Anche per quelle del giorno dell’incidente che tutto sommato erano operazioni semplici, si è verificato quanto accennato. Che cosa è avvenuto nella fattispecie? Qualcuno ha detto all’autista che imbarcava il semirimorchio a marcia indietro, nel «garage» della nave, che poteva sganciare il semirimorchio. Sganciare ha significato che il semirimorchio, non essendo stato ancora frenato con i cunei sotto le ruote, è indietreggiato. Dietro il semirimorchio c’era il Desana che – io dico «probabilmente», ma forse il termine più esatto sarebbe «sicuramente» – non doveva trovarsi in quella posizione.

PRESIDENTE
Questo sarà poi l’indagine a stabilirlo.

POZZOLANO
Ovviamente.

PRESIDENTE
Perché là sotto, prima di sganciare, dovevano esservi anche i tacchetti.

POZZOLANO
Ecco dove è stato lo scoordinamento.

PRESIDENTE
Saranno le indagini a dirlo.

POZZOLANO
Sto prefigurando un’azione che è semplice, ma che ha comportato una morte assurda.
Un altro dato che emerge è sicuramente quello legato alla cultura della sicurezza, che ancora oggi è troppo scarsa. Probabilmente, nonostante venga molto rimarcata in tutti i testi di legge, c’è poca formazione nei lavoratori, o comunque spesso manca. Noi ce ne accorgiamo quotidianamente con riferimento agli esempi più banali: ad esempio, si fa ancora fatica a far capire che occorre indossare i dispositivi di protezione individuale.
Questo è uno degli esempi più lampanti che possiamo osservare nell’attività di controllo.
Venendo al terzo punto più importante, osservo che la prevenzione si fa anche e soprattutto con i controlli. Questi vengono svolti anche da noi, però in questo consesso faccio presente che gli organici sono insufficienti (probabilmente si tratta di una situazione comune ad altri enti): siamo pochissimi rispetto alla vastità del porto di Genova. Il discorso è simile anche con riguardo ad esperienze pregresse in altre situazioni locali: c’è poco controllo dovuto – ahimè – a carenze di organico.
Passando all’ultima analisi, probabilmente oggi la normativa riguardante l’ambito e le operazioni portuali c’è ed è abbastanza puntuale. A mio avviso, però esiste un difetto: troppe competenze diluite tra troppi enti. A volte ciò determina situazioni in cui, come si suol dire, ci sono tante responsabilità, ma c’è poca responsabilità. La vigilanza sull’applicazione della legislazione in materia deve essere rivista. Credo debba essere altresì rivista la questione del coordinamento tra gli enti. Faccio un esempio (chiedendo anche in questo caso un aiuto al presidente Merlo) per quanto riguarda il decreto legislativo 27 luglio del 1999, n. 272 del 1999: ai sensi dell’articolo 7, l’Autorità marittima non è presente nei comitati di sicurezza e di igiene del lavoro.
Ho raccolto quanto ho detto in un appunto che lascerò alla Commissione, sperando di essere stato esaustivo.

MERLO
Ringrazio la Commissione perché il tema trattato è di estremo interesse per l’Autorità portuale, tanto più che essa ha la competenza della materia della gestione delle operazioni portuali e del demanio portuale. In tema di sicurezza ritengo però che l’Autorità abbia purtroppo poteri limitati, anche nella sua azione di coordinamento. Questo è uno degli elementi principali da affrontare, perché, da questo punto di vista, con la legge n. 84 del 1994 (ossia con la privatizzazione dei porti) e con le procedure di concessione delle aree dei terminal operativi (nel porto di Genova ci sono 13 terminal dove vengono lavorate tutte le tipologie possibili di merci), la responsabilità ricade sul datore di lavoro (come è giusto che sia), ma i poteri attribuiti all’Autorità portuale sul piano della vigilanza sono di polizia amministrativa. Ciò si incrocia in qualche modo con i limiti di organico che venivano testé ricordati rispetto ai soggetti preposti alla competenza e ai controlli di prevenzione (in particolare Capitaneria di porto e ASL). Tra l’altro, per quanto riguarda la realtà genovese, c’è in tale ambito una fortissima collaborazione e un coordinamento positivo di funzioni e di operatività, tuttavia, come qualcuno avrà già detto nel corso dell’audizione odierna, viene chiesto un ruolo diverso all’Autorità portuale. Io sono favorevole a questo ruolo, anche se ci tengo a sottolineare che si tratta di una posizione personale perché all’interno dell’Autorità portuale non c’è la medesima visione, ritenendosi che essa non debba avere questa funzione aggiuntiva. Io sono dell’avviso che chi deve governare un ciclo di questioni così complesse debba assumersi la responsabilità maggiore. Penso quindi alla capacità di implementare l’attuale organizzazione con il cosiddetto NOI, che potrebbe riassumere in chiave formale la capacità collaborativa degli ispettori dell’Autorità portuale, della Capitaneria di porto e dell’ASL. Ciò rappresenterebbe un ausilio.
Altri elementi riguardano la tipologia delle operazioni, visto che non parliamo di una sola operazione: ci sono decine di diverse operazioni portuali che variano in qualsiasi istante perché la medesima nave ha condizioni di sicurezza profondamente diverse a seconda di come è attraccata e delle misure che vengono adottate. Da questo punto di vista, la prevenzione è quindi importante, così come la definizione di questi elementi.
Non vi nascondo una mia preoccupazione derivante dal fatto che anche il nostro settore, come molti altri, ha subito quest’anno una crisi molto profonda dal punto di vista economico e spesso, quando si determinano queste situazioni, gli elementi che portano all’abbattimento dei costi determinano anche una riduzione della sicurezza. Dico questo perché dal mio osservatorio noto una spinta sempre più forte da parte delle compagnie armatoriali (soprattutto quelle destrutturate, quelle che fanno attività spot nei porti) a utilizzare il proprio equipaggio per operazioni di carattere portuale.
Oggi parliamo di un deceduto della Compagnia, ma lo scorso anno c’è stato anche un marittimo russo deceduto in stiva e non doveva essere presente.

PRESIDENTE
Quando è accaduto?

MERLO
Nel 2009. Lo dico perché è un elemento che evidenzia questa criticità. Ci sono operazioni che sono più pericolose di altre. Questo è un elemento che può essere risolto solo all’interno della legge n. 84, il che non vuol dire tornare al monopolio della manodopera, bensì approdare a una definizione specifica dei cicli produttivi, in particolare del ciclo bordo-terra – l’esempio tipico è l’operazione che ha portato purtroppo alla morte di Desana –, laddove sono interessati alla stessa operazione soggetti diversi (nel caso dell’incidente, formalmente e correttamente dal punto di vista autorizzativo) che non sono però un team di persone che lavora abitualmente insieme (c’è infatti il personale della Grandi Navi Veloci e quello della Compagnia Unica). Un elemento che aiuterebbe molto a semplificare potrebbe essere la codifica di determinate operazioni all’interno del nuovo testo del decreto legislativo n. 272. In alcuni Paesi del Nord si è addirittura strutturato un rapporto nell’ambito del quale sono definite le operazioni che possono essere effettuate solo dal personale portuale e quelle appannaggio del personale marittimo. Nel meccanismo italiano ci sono ancora molte promiscuità e ciò non aiuta dal punto di vista delle procedure.
L’Autorità portuale esegue molta attività di polizia amministrativa.
Negli ultimi cinque mesi abbiamo fatto quasi 1.500 operazioni di controllo e verifica. Tuttavia, non c’è potestà sanzionatoria rispetto alla nostra azione. Noi inoltriamo le segnalazioni alla ASL che, nel caso, rileva alcune inadempienze segnalandole alla Procura. Si tratta però di una catena che non prevede un intervento di carattere immediato, come avviene quotidianamente da parte dei nostri ispettori che vengono chiamati nel luogo.
Concordo sul tema della prevenzione. Come ha detto il presidente della Provincia, lavoreremo molto sul tema della scuola di formazione professionale. Un recente studio europeo molto importante (che posso allegare) delinea il quadro dei sistemi internazionali. Noi vorremmo traguardare quegli obiettivi di massima qualità e abbiamo messo a disposizione anche le nostre risorse. Come ho segnalato, al pari dei SERT e di alcuni esperti, soprattutto di prevenzione, dell’ospedale San Martino, nel porto (come in molti altri luoghi di lavoro) l’uso delle sostanze stupefacenti e di alcolici è molto elevato. Va quindi promossa un’azione forte anche da questo punto di vista in un’area dove operano continuamente, con un ciclo di 24 ore, almeno 3.000 persone (cui si aggiungono gli autotrasportatori).
Quindi dal punto di vista strutturale stiamo intervenendo con un’ingente attività per la realizzazione di nuovi investimenti e manutenzioni (per un totale di 450 milioni di euro), finalizzati a migliorare l’infrastrutturazione del porto e a realizzare grandi interventi di messa in sicurezza.
Stiamo inoltre lavorando insieme alla Provincia sul mondo della scuola. Il tema più rilevante che occorre affrontare per quanto riguarda la prevenzione è però quello relativo al ruolo limitato che ci viene assegnato ai sensi della legge n. 84 del 1994. Dato che la legge di riforma di tale normativa attende di essere varata ormai da sette anni, essa dovrebbe a mio avviso essere specificamente integrata affinché definisca in modo più puntuale sia il ruolo dell’Autorità portuale dal punto di vista della sicurezza sia il tema del ciclo, suddividendo le funzioni tra i singoli soggetti.
Nel caso specifico tutto risulta regolare dal punto di vista formale (la cosa non è affatto scontata) grazie al fatto che, a quindici anni dall’applicazione della legge, l’Autorità portuale è riuscita – anche grazie a una circolare del Ministero che è stata vincolante in un passaggio delicato – ad espletare nel porto di Genova una gara ai sensi dell’articolo 17 della legge n. 84. Nelle indagini relative ai decessi avvenuti in passato non si sapeva se la Compagnia Unica operasse ai sensi dell’articolo 16 o dell’articolo 17 della legge n. 84 del 1994. Ciò influisce ai fini della responsabilità diretta riguardante il lavoro in porto: diverso è se l’azienda lavora per conto terzi o se lavora per il terminalista o se ha un proprio status autonomo di sicurezza. La società Grandi Navi Veloci è stata autorizzata dall’Autorità portuale ai sensi dell’articolo 16 e la Compagnia Unica ai sensi dell’articolo 17: noi vigiliamo in maniera molto intensa sulle autorizzazioni. Il problema maggiore riguarda queste navi spot, che dobbiamo in qualche modo intercettare quando sbarcano: teoricamente dovremmo essere in grado di controllarle tutte per evitare che utilizzino personale di bordo per operazioni non corrette.

NEROZZI (PD)
Forse, arrivando alla conclusione di questo ciclo di audizioni, riusciremo a capire meglio la situazione. Per il periodo transitorio, che va dal mese di novembre al 31 gennaio di quest’anno, tra la Compagnia Unica e la società Grandi Navi Veloci è stato siglato un accordo (almeno così ci hanno detto alcuni auditi) per regolare il periodo di transizione. Altri soggetti, però, non sapevano niente di questo accordo.
A noi interessa dunque capire se l’Autorità che rappresentate sia o meno a conoscenza della sua esistenza.
In secondo luogo, vorremmo sapere se all’interno dell’accordo transitorio sono regolate anche questioni riguardanti la sicurezza. Trovo comunque strano che non siano stati coinvolti né le istituzioni né i sindacati.

MERLO
Non credo che ci possa essere un accordo. Tra chi opera ai sensi dell’articolo 16 e chi lavora ai sensi dell’articolo 17 ci può essere una contrattualizzazione del ciclo, che però deve essere perfettamente consona alle funzioni e ai ruoli rispettivamente definiti dalla legge. Questo accordo riguarda, in generale, tutti i soggetti concessionari ai sensi dell’articolo 18 e dell’articolo 16, che utilizzano lavoratori ai sensi dell’articolo 17. Non credo ci possa essere un altro tipo di accordo.
Inoltre non definirei la fase come «transitoria», ma come fase di attivazione dell’articolo 17, perché nel mese di novembre, dopo quindici anni di inottemperanza, abbiamo consegnato l’autorizzazione alla Compagnia Unica, che ci ha chiesto di svolgere un percorso di accompagnamento.
Non mi risulta che questo possa definirsi un accordo: si tratta di un contratto tra le parti, che deve far seguito al rapporto esistente tra soggetti che operano ai sensi dell’articolo 16 e dell’articolo 17 e che dunque deve essere conforme alla normativa.

NEROZZI (PD)
Dunque si tratta di un contratto tra le parti.

MERLO
Esatto, si tratta di un contratto tra le parti: non ci possono essere altri elementi, salvo fatti di cui non sono a conoscenza. C’è poi un tavolo operativo dell’Autorità portuale, che coinvolge tutti i vari soggetti, per il monitoraggio e l’attuazione della normativa, da cui derivano indicazioni e interpretazioni che vi possiamo fornire.

NEROZZI (PD)
Questa è un’altra cosa.

MERLO
Per quanto riguarda l’accordo citato, se non si tratta di rapporti di carattere commerciale, non so che altro tipo di rapporti possa riguardare.

PRESIDENTE
Vorrei sapere cosa intende quando parla della regolazione tra soggetti che operano ai sensi degli articoli 16, 17 e 18 della legge n. 84 del 1994 e a cosa serve un eventuale ulteriore accordo.

MERLO
Non serve a nulla. Le competenza e le responsabilità sono definite dalla legge n. 84 del 1994, negli articoli 16, 17 e 18.

PRESIDENTE
Lei però sa dell’esistenza di questo accordo.

MERLO
Conosco il percorso interpretativo della norma di attuazione degli articoli 16 e 17, che è propedeutico alla sottoscrizione del contratto tra le parti. Non so però se c’è un contratto specifico tra la Compagnia Unica e la società Grandi Navi Veloci. Non vorrei che vi fosse una confusione nel linguaggio e una sovrapposizione di termini e che, invece di un accordo tra le parti, si faccia riferimento all’accordo siglato da Confindustria, dai terminalisti e dalla Compagnia Unica per l’attuazione dell’articolo 17, che ci è stato notificato. Con tale accordo si comunica che si sta ottemperando all’attuazione dell’articolo 17, attraverso alcuni step che accompagnano il passaggio da un sistema all’altro: esso risale a novembre, ovvero al momento in cui è entrata in vigore la norma. Non credo che però esista un rapporto specifico.

NEROZZI (PD)
Ora la questione è chiara.

PRESIDENTE
Vi ringrazio per la collaborazione.


Audizione dei rappresentanti della CULMV «Paride Batini» e della società Grandi Navi Veloci



Intervengono il console della CULMV «Paride Batini» Antonio Benvenuti e il direttore generale di Grandi Navi Veloci Ariodante Valeri, accompagnato dal direttore operativo Giuseppe Matranga e dal responsabile della sicurezza Alessandro Ferrari.

PRESIDENTE
Desidero entrare subito nel merito dell’audizione, perché gli auditi conoscono certamente i motivi della presenza della Commissione, che non sono legati soltanto all’infortunio mortale avvenuto il 23 dicembre, ma sono finalizzati anche a una migliore e maggiore comprensione delle problematiche e della complessa gestione della realtà portuale di Genova, per quanto riguarda l’importante e delicata materia della sicurezza e della salute dei lavoratori. Vogliamo inoltre approfondire il tema della modifica dei rapporti tra la Compagnia Unica e i vari soggetti che usufruiscono del suo operato: a tal proposito si è parlato di un’intesa o di un accordo. Vorremmo dunque capire se si sta parlando dell’accordo che fa riferimento all’articolo 17 della legge n. 84 del 1994, siglato nell’attesa che vi sia una declinazione definitiva dello stesso, o se c’è anche un ulteriore accordo tra la CULMV e la società Grandi Navi Veloci.

BENVENUTI
La CULMV da novembre ha siglato un accordo quadro con tutti i terminalisti: quindi non c’è un accordo specifico per ogni terminalista.
Ci può essere una richiesta di uomini e mezzi della Compagnia da parte di un terminalista anziché di un altro, ma tutto rientra nell’accordo quadro, che scadrà il 31 gennaio ed è suscettibile di ulteriori verifiche ed estensioni. Da questo punto di vista, nell’ambito del regime previsto dall’articolo 17, c’è questo accordo quadro che vale per tutti i terminalisti fino al 31 gennaio.

VALERI
Senza nulla aggiungere alla definizione dell’accordo siglato ai sensi dell’articolo 17, come rappresentante della società Grandi Navi
Veloci posso far presente che abbiamo anche un accordo pregresso di natura commerciale, che regola solo quanto è dovuto per le attività svolte a chiamata dalla CULMV e che risale a circa due anni fa.

PRESIDENTE
Vorrei sapere che cosa prevede questo accordo.

VALERI
È un accordo solo di natura commerciale, ad integrazione.

PRESIDENTE
Dunque non tocca gli argomenti dei quali ci interessiamo.
Vorrei inoltre sapere quale spiegazione vi siete dati a proposito dell’incidente mortale di cui stiamo discutendo. Ve lo chiedo in quanto rappresentate i due soggetti maggiormente interessati, al di là delle responsabilità che la legge specifica e prevede.

BENVENUTI
Al di là dell’inchiesta in corso, che produrrà i suoi risultati, posso dire che l’attività portuale è di per sé estremamente pericolosa. Non si tratta di un ciclo omogeneo di lavoro, ma di un ciclo mutevole, in cui intervengono vari soggetti: il personale della nave, gli agenti, gli spedizionieri, i camionisti, i portuali, i dipendenti dei terminal. Si tratta di un ciclo di lavoro complesso e mutevole, perché si può lavorare con la pioggia, con il vento o con la neve, con il sole o al buio. Di per sé c’è quindi una difficoltà di base, che rende pericoloso il lavoro portuale.
È evidente che ci sono situazioni di emergenza che possono rendere ulteriormente difficoltoso il lavoro, come quella che si è affrontata nel caso in esame, in cui c’è stata la necessità di sbarcare e imbarcare le navi, in modo da rendere il più breve possibile la già lunga permanenza dei passeggeri a bordo della nave, ferma in porto per un incendio in sala macchine. Di conseguenza è stata fatta una chiamata di emergenza ed è stata organizzata una squadra volante, perché quando si lavora in emergenza non abbiamo una chiamata normale, ma si tratta di un lavoro finalizzato a dare una mano a coloro che stanno già operando, per completare l’imbarco e consentire la partenza della nave. Questo è dunque un lavoro di per sé pericoloso. È chiaro che in quel tipo di operazione intervengono più soggetti: il rallista della Grandi Navi Veloci, il generico della Compagnia, i marinai, che hanno una loro funzione sia nel porgere i ferri, i cavalletti e le catene che nell’inserimento. Vanno dunque comprese la pericolosità e le difficoltà di questo lavoro, che vanno risolte dai soggetti presenti.
È inevitabile che vi sia un’interferenza tra macchine e uomini, e tra uomini che – come in questo caso – rispondono a datori di lavoro diversi. Ciò succede anche in altri terminal e non semplifica le cose dal punto di vista della sicurezza. Anche se ognuno di noi è dotato dei propri strumenti – come il documento di valutazione dei rischi, la formazione, i preposti – è evidente che il rizzaggio e il derizzaggio dei trailer costituisce un tipo di lavoro che quando è svolto da più soggetti comporta maggiori problemi dal punto di vista della sicurezza.

PRESIDENTE
Desidero sapere se lei ritiene che questo nuovo procedimento di somministrazione della manodopera – che riguarda direttamente l’organizzazione che rappresenta – in qualche modo possa creare un rischio maggiore rispetto alla gestione diretta dell’operazione: non mi riferisco specificamente all’infortunio in esame, ma lo chiedo in generale.

BENVENUTI
Se la gestione dell’operazione è diretta, è chiaro che ciò semplifica un po’ la partita dei rischi: se c’è un’unica entità che svolge il lavoro e ne risponde, la situazione è semplificata. Il problema è che c’è una questione a monte: tutti siamo in regola formalmente, ma in certi momenti – non mi riferisco al caso specifico, anche se avrebbe potuto essere così – si aprono dei contenziosi sulla sicurezza, che riguardano un crogiuolo di interessi, di tempi di lavoro e di presenze diverse: gli interessi costituiscono infatti una grossa fetta di questo problema e ognuno rappresenta una parte di questi interessi. In alcuni momenti le questioni attinenti alla sicurezza possono essere oggetto di un contenzioso, in cui si discute sull’appropriatezza o meno delle condizioni di lavoro. Quello che manca – e lo dico perché mi sembra giusto farlo – non è l’intervento successivo all’incidente che può essere compiuto dall’Autorità portuale che commina una sanzione, dall’ASL, che può pretendere la sanzione, o dai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, bensì la presenza di un soggetto che possa dirimere il contenzioso sul momento. Quindi prima che succedano gli incidenti le figure che si occupano della sicurezza del terminal o dei lavoratori devono verificare se un ciclo operativo in quel momento si sta realizzando in maniera appropriata o meno.
Credo di poter dire che il problema da questo punto di vista non sia stato risolto, anche se in questa nuova veste, come in quella precedente, abbiamo le nostre procedure di lavoro, come le hanno i terminalisti o coloro che operano in base all’articolo 16 (in questo caso GNV). Pertanto, ognuno di noi formalmente ha riferimenti precisi, ma di fatto le situazioni determinano momenti di pericolo contingenti, sui quali serve a poco intervenire in un secondo tempo: bisogna farlo prima, ovviamente se le varie parti presenti sul posto non hanno risolto tra loro tale tipo di rapporto e di contenzioso sulla sicurezza.

NEROZZI (PD)
Le vorrei rivolgere un’altra domanda, dottor Benvenuti, proprio con riferimento a quanto sta dicendo sull’opportunità di intervenire prima: in questo tipo di operazioni vi sono lavoratori che operano a terra, ma poi, come in questo caso, anche sulla nave e che sono soggetti a modelli formativi e assicurativi dell’INAIL; ve ne sono poi altri che operano sulla nave, soggetti a meccanismi formativi ed assicurativi dell’IPSEMA. Secondo la vostra esperienza sul terreno formativo (quindi anche dei segnali, delle modalità e delle forme di lavoro), questo può provocare qualche elemento di diversità, oltre che per gli aspetti assicurativi, o è irrilevante?

BENVENUTI
Ovviamente esprimo solo un’opinione personale: in porto sono presenti operatori o del terminal o che lavorano in base all’articolo 16 come imprese di servizio con proprio personale dipendente (che non è il marinaio di bordo, nella fattispecie si trattava di lavoratori estratti da una lista di driver di motrice) e la CULMAV che opera in base all’articolo 17 chiamata a supporto. Da tanti anni lavoriamo assieme e sono sempre presenti dipendenti del terminal o, ai sensi dell’articolo 16, lavoratori della Compagnia, chiamati dall’impresa stessa che operano in maniera collegata; si cerca di non comporre mai squadre miste nel caso del bordo. Il problema si può porre quando ci sono al lavoro i marinai di bordo, che ovviamente sono un altro soggetto che va oltre i due istituzionali di cui parlavo (e cioè i dipendenti propri del terminal o gli operatori a norma dell’articolo 16, che operano prima dei lavoratori della Compagnia che hanno il compito di coprire i momenti di picco e di integrare le squadre dei dipendenti dell’impresa). Il marinaio di bordo ovviamente ha una funzione diversa e a mio avviso questo può essere un problema, più in generale che nella fattispecie. Si tratta infatti di lavoratori formati diversamente, con i quali nel caso di navi straniere, come i traghetti, è anche difficile la comunicazione nel momento dell’arrivo e dello scarico delle merci.

VALERI
Signor Presidente, vorrei ripercorrere un piccolo passaggio circa il periodo di imbarco, che il console Benvenuti ha citato come il momento di emergenza: è vero che il giorno dell’incidente esisteva una certa tensione che traeva origine dall’incendio verificatosi a bordo della prima nave, ma non vi era l’urgenza di far partire l’altra nave (e lo dico a seguito della mia esperienza personale, perché alle ore 1,30 ero in fase di imbarco sottobordo): si era ancora in fase di carico di cibo e si stavano svolgendo le operazioni di bunkeraggio. Resta però il fatto che tutti i soggetti coinvolti – comprese le forze dell’ordine, la Capitaneria di Porto e l’Autorità portuale – avevano interesse a risolvere al meglio la situazione di criticità venutasi a creare a seguito della gestione di 1.600 passeggeri in partenza per Palermo.
Tenevo a specificarlo affinché non sembri che sia accaduto qualcosa di diverso dalla realtà, pur sapendo che non era questa l’intenzione delle parole del console: vero è che personalmente ho incitato le persone a fare in modo di imbarcare i passeggeri per dare un’adeguata sistemazione nelle cabine, ma null’altro. Al momento non era in atto un’emergenza o un contenzioso sulla sicurezza né credo ve ne siano stati in passato tra i nostri portuali e la CULMV: anche questo va sottolineato, perché potrebbe rimanerne il sospetto.
Vorrei rispondere alla vostra domanda, anche se non ho vissuto il momento e non conosco le motivazioni tecniche dell’incidente né della presenza in quel momento della persona deceduta su una nostra nave: a questo ancora non posso rispondere.
Ha ragione il console: non è possibile avere un ciclo produttivo che abbia univocità di responsabilità. I soggetti intervenuti nella fattispecie sono quattro: il terminalista, noi, la CULMV ed il bordo, davvero difficili da coordinare. È dunque auspicabile che vi sia un unico ente formativo, così come che vi siano regole certe, non solo per il porto di Genova, ma anche per tutti gli altri, cosa che però finora non è accaduta. Oggi vi sono diversità di trattamento, interpretazione e gestione delle regole da porto in porto, cosa che non permette ad una società – chiaramente parlo per la nostra – di avere processi formativi, gestione delle maestranze e reporting univoci. Più volte ci siamo scontrati con diversità tra Palermo e Genova in termini di gestione: parlo dei due porti dove abbiamo visto personalmente soggetti che lavorano sulle piattaforme.

NEROZZI (PD)
Se vi sono testi scritti – anche regolamenti – su queste differenze tra i vari porti, gradiremmo che ce li faceste avere.

VALERI
Potremo farvi avere i regolamenti portuali e la loro applicazione, perché ve ne sono poi varie interpretazioni. Avendo avuto precedenti esperienze con altre attività (nel mondo della moda o dei servizi di trasporto, come l’autonoleggio), ribadisco di avere una certa lettura del business. Valga un esempio per tutti: è stata costituita la IATA, che governa e regolamenta le attività di volo; sarebbe auspicabile che vi fosse anche una IATA del mare, che aiuterebbe tutti i soggetti.
Tornando a noi, per capire perché è avvenuto l’incidente, considerando che non vi erano contenziosi in materia di sicurezza e che non vi era fretta di far partire la nave – a differenza di quanto è stato scritto sui quotidiani – ma solo quella di mettere in sicurezza 1.600 persone (che significava alloggiarle, visto che la nave in sostituzione era presente), onestamente oggi non so dire perché sia avvenuto l’incidente.

PRESIDENTE
Questo poi ce lo diranno i risultati delle indagini.

BENVENUTI
Signor Presidente, vorrei precisare brevemente che quando ho parlato di emergenza intendevo riferirmi ad una chiamata di emergenza: quando ne riceviamo una a mezzanotte per il turno successivo, essendo fuori dai nostri tempi, potremmo non rispondere, perché non siamo tenuti a farlo, oppure possiamo predisporre una squadra, anche se non sarebbe previsto se la chiamata è fatta fuori orario. Questo avviene proprio per far fronte – come giustamente è stato spiegato – ad una chiamata improvvisata ed improvvisa, con i tempi normali di lavoro.

PRESIDENTE
Ci sono grandi lacune nelle testimonianze che abbiamo raccolto, come dimostra anche la vostra ricostruzione, ad esempio con riferimento alle responsabilità, che più volte avete citato oggi – e lei in particolare – anche in merito al contenzioso in corso. A me non sembra che ci sia un contenzioso rispetto alle responsabilità: a meno che non vi siano situazioni diverse che non conosciamo – e che non sta a noi conoscere – sono state svolte procedure chiare, sia da parte della Compagnia nel darvi il personale, sia da parte vostra nel compiere le operazioni dentro la nave. Nella fattispecie, vi sono responsabilità e doveri specifici, a meno che non sia già iniziato un braccio di ferro per capire chi è responsabile della sicurezza. Non riesco dunque a comprendere questo aspetto.

VALERI
Mi duole aver dato quest’impressione, signor Presidente, pertanto cercherò di essere più chiaro: per quanto riguarda la mia funzione, mi sento responsabile di quanto è accaduto, indipendentemente da quello che succederà; stavo facendo un discorso più generale, senza voler fare della filosofia.

PRESIDENTE
Nel suo intervento ha detto che c’è un problema di responsabilità sulla sicurezza.

VALERI

Non c’è mai stato tra noi e la CULMV un eventuale contenzioso sulla sicurezza, anzi, signor Presidente, ha ragione lei nel dire che ognuno di noi è responsabile per quello che ha fatto per la propria parte. Questa mia reazione è stata generata da alcune notizie che ho letto sulla stampa, che hanno urtato la mia sensibilità, ma la mia non voleva essere una deresponsabilizzazione.

PRESIDENTE

Bisogna anche capire anche perché quel lavoratore si trovasse lì, senza farne un giudizio di merito; ma tale aspetto sarà chiarito dalle indagini della magistratura.
Ringrazio nuovamente i nostri ospiti per il loro contributo.
Dichiaro concluse le audizioni.
_______
Fonte: Senato della Repubblica