Cassazione Civile, Sez. Lav., 10 marzo 2011, n. 5714 - Superamento dell'orario di lavoro nel contratto part time


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio  -  Presidente   - 
Dott. CURCURUTO Filippo -  Consigliere  - 
Dott. NAPOLETANO Giuseppe -  Consigliere  - 
Dott. BERRINO Umberto -  rel. Consigliere  - 
Dott. ARIENZO Rosa  -  Consigliere  - 
ha pronunciato la seguente:

sentenza

 

sul ricorso proposto da:
P. S.R.L.  (già  P. snc),  in  persona   del   legale rappresentante  pro tempore, nonchè R.M. nella  qualità  di Amministratore  Unico  della Piemonte S.r.l.  (già  socio  e  legale rappresentante  della P. s.n.c.), elettivamente domiciliati  in ROMA, VIA A. BAIAMONTI 2, presso lo studio dell'avvocato BLASI PAOLO, che  li  rappresenta e difende unitamente all'avvocato  MANCUSI  UGO, giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro DIREZIONE  PROVINCIALE DEL LAVORO DI ROMA, domiciliata in  ROMA,  VIA DEI  PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che  la rappresenta e difende, ope legis; 

- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1617/2006 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 27/01/2006 r.g.n. 19333/05;
udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 20/12/2010 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;
udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
                

 

 

Fatto

 

Con sentenza del 24/1/06 il Tribunale di Roma rigettò il ricorso proposto il 18/3/05 dalla società P. s.r.l e da R.M. avverso l'ordinanza - ingiunzione n. 78/05, emessa il 18/2/05 dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali - Direzione Provinciale del Lavoro di Roma per l'importo di Euro 34.099,70 a titolo di sanzione per la violazione della L. n. 863 del 1984, R.D. n. 692 del 1923, art. 5, comma 4, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 21, comma 1, e R.D. n. 1955 del 1923, art. 12, comma 4, L. n. 1079 del 1955, dopo aver rilevato che dalle dichiarazioni rese dai testi in sede ispettiva era emerso che per alcuni lavoratori in regime di "part time" vi era stato un consistente e continuo superamento dell'orario di lavoro, non giustificato da esigenze di natura eccezionale, e che anche dalla documentazione prodotta dagli opponenti si evincevano il ripetuto superamento dell'orario di lavoro pattuito e l'assenza di fattori realmente eccezionali atti a giustificarlo, mentre per le altre violazioni contestate, di natura formale, poteva ritenersi che le stesse rientravano nella fattispecie prevista dalle norme indicate nell'ordinanza-ingiunzione opposta.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso sia la P. srl che R.M., affidando l'impugnazione ad un unico articolato motivo di censura.

Resiste con controricorso la Direzione Provinciale del lavoro di Roma.

 

Diritto

 

Con un unico articolato motivo di censura i ricorrenti denunziano i seguenti vizi della sentenza impugnata: violazione e la falsa applicazione della L. n. 863 del 1984, art. 5, comma 4, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5; violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 21, comma 1, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione R.D. n. 692 del 1923, art. 12, comma 4, (convertito con L. 17 aprile 1925, n. 473) in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, n. 11, art. 23, con riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3; motivazione erronea, insufficiente e irrazionale (art. 360 c.p.c., n. 5).


In particolare, per quel che concerne la contestata violazione della norma di cui alla L. n. 863 del 1984, art. 5, comma 5, le doglianze che i ricorrenti muovono all'impugnata sentenza sono le seguenti: il giudice adito non avrebbe correttamente interpretato tale norma, per effetto della quale è vietato io svolgimento di lavoro supplementare nei rapporti part-time, salvo previsioni della contrattazione collettiva, anche aziendale, in relazione a specifiche esigenze aziendali; tali esigenze effettivamente sussistevano, in ragione della particolarità e flessibilità del lavoro appaltato dalla committente Villa d'Este; la scarsità delle ore di lavoro dedicate alle attività di pulizia, solitamente svolte negli orari di chiusura degli uffici della committenza, unitamente alla modesta entità della relativa retribuzione, rappresentava un elemento di incentivo per gli stessi lavoratori a svolgere orari più estesi rispetto a quelli previsti nel contratto di assunzione; lo stesso accordo del 5/7/85, di interpretazione autentica del contratto collettivo di riferimento, aveva dato atto del fatto che nel settore delle pulizie le specifiche esigenze organizzative richieste dalla legge rappresentavano una caratteristica intrinseca, con la conseguenza che, da un lato, le modalità della prestazione imponevano il frequente ricorso a contratti a tempo parziale, e, dall'altro, vi era la possibilità di concordare il lavoro aggiuntivo, spesso non programmabile; la peculiarità del settore era comprovata dal contenuto del contratto collettivo del 25/5/2001, il cui art. 34 consentiva, in considerazione delle specifiche esigenze tecnico-organizzative e produttive del settore, lo svolgimento di lavoro supplementare fino al raggiungimento dell'orario a tempo pieno giornaliero e/o settimanale di cui all'art. 32 del contratto e con un massimo di 250 ore nell'anno solare; la decisione impugnata era contraddittoria anche perchè se, per un verso, riconosceva che solo per alcuni lavoratori avrebbe dovuto essere esclusa la sussistenza di un lavoro supplementare, d'altro canto non ne traeva le conseguenze in ordine all'ammontare della sanzione comminata; inoltre, lo stesso giudicante non aveva ammesso alcuna prova, nonostante una espressa richiesta in tal senso, al fine di consentire la dimostrazione dell'esistenza delle condizioni riconosciute dal contratto collettivo per il ricorso al lavoro supplementare. Le considerazioni di parte ricorrente, fin qui espresse, possono essere trattate congiuntamente in considerazione della unitarietà della questione che affrontano, cioè quella della possibilità di ricorso all'utilizzo del lavoro supplementare all'interno di un rapporto di lavoro a tempo parziale.


Anzitutto, non è affatto vero che il primo giudice ha erroneamente interpretato la norma di cui alla L. n. 863 del 1984, art. 5, comma 4, in quanto il medesimo ha espressamente posto in evidenza, richiamandole, le quattro ipotesi in cui la contrattazione collettiva allora vigente consentiva, in base alla stessa previsione normativa summenzionata, la deroga al generale divieto di svolgimento di lavoro supplementare nel corso del rapporto di lavoro parziale. Il giudicante ha, quindi, accertato che dalle dichiarazioni rese dai lavoratori nel corso della visita ispettiva del 25/11/1999 non era emersa nella fattispecie la ricorrenza di alcuna delle esigenze eccezionali contrattualmente previste per il ricorso alla tipologia del lavoro di cui trattasi e che, anzi, dalla successiva produzione documentale allegata alle note del 13/12/2005 si evinceva il ripetuto superamento dell'orario di lavoro pattuito e l'assenza di fattori realmente eccezionali.

Le argomentazioni spiegate dal giudice di prime cure a sostegno del suo convincimento sono, quindi, assolutamente congrue e poggiano su criteri di logica giuridica che le sottraggono ai rilievi di censura mossi dai ricorrenti nella presente fase di legittimità.

Al contrario, non può non rilevarsi l'assoluta genericità delle giustificazioni (particolarità del lavoro richiesto dalla committente ed esigenze di incrementi retributivi dei dipendenti assunti a tempo parziale) addotte dagli odierni ricorrenti a sostegno della loro tesi sulla possibilità di ricorrere al lavoro supplementare in deroga al generale divieto di espletamento dello stesso nel corso di un rapporto lavorativo "part time". Infatti, come è dato vedere, le dedotte esigenze non rientrano nel novero delle specifiche esigenze eccezionali previste dalla contrattazione collettiva all'epoca vigente e che erano ancorate alle prefissate ipotesi di vacanza determinata da dimissioni improvvise del dipendente, di necessità di rimpiazzo determinata da assenza per breve periodo di personale dovuta a malattia, infortunio, cause di forza maggiore, ferie di breve durata, permessi di qualunque natura ed, infine, ai casi di esecuzione di lavori urgenti ed eccezionali di breve durata.

Nè pregio alcuno può avere il richiamo alla contrattazione collettiva del 25/5/2001 che è successiva all'epoca di regolamentazione dei fatti di causa, risalenti al 1999. Quanto alla doglianza inerente la mancata ammissione delle prove richieste è sufficiente rilevare che "la motivazione del rigetto di un'istanza di mezzi istruttori - nella specie, escussione di alcuni testimoni - non deve necessariamente essere espressa, potendo la stessa "ratio decidendi", che ha risolto il merito della lite (come nella fattispecie), valere da implicita esclusione della rilevanza del mezzo dedotto." (Cass. sez. lav. n. 6570 del 2/4/2004).

In ordine alla violazione contestata di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 21, i ricorrenti deducono che, se per un verso, è vero che i libri paga e matricola non erano presenti presso il cantiere "Villa d'E.", d'altro canto il significato della norma non era quello attribuitole dalla Direzione del Lavoro e dal Giudice, nel senso che solo gli ispettori addetti alla vigilanza sul rispetto delle assicurazioni afferenti a malattie ed infortuni e non già quelli della Direzione del lavoro erano i soggetti individuati per l'esecuzione di un tale tipo di controllo. Si osserva, anzitutto, che ciò che rileva è il fatto che l'ordinanza-ingiunzione opposta fu emessa da un ente competente ad irrogarla, a prescindere dalla titolarità dell'operazione propedeutica di ispezione, rispetto alla quale, comunque, i ricorrenti si limitano solo a dedurre una mancanza di investitura degli agenti verbalizzanti, senza, però, dimostrarla.

In ogni caso, trattasi di questione inammissibile, in quanto nuova, così come eccepito anche dalla controparte.

Infatti, dalla lettura della sentenza non si ricava che una tale questione fu prospettata in quel giudizio e gli stessi ricorrenti, allorquando ripercorrono nella parte narrativa del loro ricorso le fasi del giudizio di primo grado, spiegano che a proposito della contestazione in esame evidenziarono le difficoltà, per non dire l'impossibilità, ad avere i libri paga e matricola presso tutti i cantieri, data la loro molteplicità, congiunta al fatto che alcuni lavoratori prestavano attività in più appalti. Quindi, in quella sede fu dedotta, con riferimento alla contestata violazione della mancanza di libri paga e matricola, una mera giustificazione di fatto che è assolutamente diversa dalla questione di diritto oggi sollevata per la prima volta ed i cui presupposti fattuali sono, tra l'altro, solo allegati e, come tali, implicherebbero nuove indagini di fatto inammissibili nella presente sede di legittimità. Invero, questa Corte (Cass. Sez. lav. n. 20518 del 28/7/2008) ha già avuto occasione di affermare che "ove una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l'onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di Cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (nella specie, relativa alla dedotta mancata produzione del mandato generale alle liti, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo del ricorso, rilevando che nel corso del giudizio di merito non risultava mai sollevata alcuna contestazione in ordine alla regolarità della costituzione della società convenuta)." Si è anche statuito, al riguardo, che "la questione della nullità di un contratto sollevata per la prima volta nel giudizio di cassazione sotto un profilo diverso da quello posto a fondamento della domanda proposta nei precedenti gradi di merito ed implicante ulteriori accertamenti, è inammissibile, perchè la sua rilevabilità d'ufficio, anche in sede di legittimità, postula che non vi sia necessità di nuove indagini di fatto." (Cass. Sez. 1 n. 16541 del 15/7/2009).

Quanto alla violazione contestata di cui al R.D. n. 692 del 1923, art. 12, per mancata esposizione della tabella dell'orario di lavoro, rispetto alla quale i ricorrenti deducono trattarsi di norma disciplinante la diversa ipotesi del lavoro straordinario, si osserva che si è in presenza di un semplice errore di indicazione in quanto l'art. 12 deve essere inteso, in realtà, come quello del Regolamento di cui al R.D. 10 settembre 1923, n. 1955, art. 5, comma 4, di applicazione del D.L. 15 marzo 1923, n. 692, relativo alla limitazione dell'orario di lavoro per gli operai ed impiegati delle aziende industriali o commerciali di qualunque natura, che recita testualmente quanto segue: "In ogni azienda industriale o commerciale e in ogni altro luogo di lavoro soggetto alle disposizioni del presente regolamento dovrà essere esposto, in modo facilmente visibile ed in luogo accessibile a tutti i dipendenti interessati, l'orario di lavoro con le indicazioni dell'ora di inizio e di termine del lavoro, del personale occupato e dell'ora e della durata degli intervalli di riposo accordati durante il periodo di lavoro".
Quindi, come è dato vedere, trattasi esattamente del fatto contestato agli odierni ricorrenti, per cui al di là dell'errore di indicazione della norma di riferimento, il diritto di difesa non è stato affatto pregiudicato, con la conseguenza che la relativa doglianza è infondata.

Infine, i ricorrenti si lamentano della mancata riduzione della sanzione ad opera del giudice, il quale ha motivato il mancato esercizio del suo potere discrezionale al riguardo sulla base della considerazione che mancava una espressa richiesta in tal senso. I ricorrenti obiettano che non occorreva a tal fine una loro richiesta espressa, rientrando nei poteri del giudice, ai sensi della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 11, anche quello di modificare l'ordinanza limitatamente all'entità della sanzione dovuta. Anche tale doglianza è infondata.
Invero, si è già avuto modo di statuire, in omaggio sia alla regola, fissata dalla stessa norma richiamata, della possibilità della modifica dell'entità della sanzione in caso di accoglimento dell'opposizione, sia al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che " in tema di sanzioni amministrative, la modifica dell'ordinanza - ingiunzione, limitatamente all'entità della sanzione, non può essere disposta dal giudice se non in accoglimento della corrispondente domanda dell'opponente. (In applicazione di tale principio, la Corte ha cassato senza rinvio la sentenza di merito con la quale il giudice aveva disposto la riduzione della sanzione in difetto della domanda dell'opponente)". (Cass. Sez. 1 n. 21486 dell'11/11/2004).


Il ricorso è, pertanto, infondato e va di conseguenza rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e vanno liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 


La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 4000,00 per onorario, oltre spese generali, IVA e CPA ai sensi di legge, nonchè agli esborsi nella misura di Euro 11,00.
Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2010.
Depositato in Cancelleria il 10 marzo 2011