Cassazione Civ., Sez. Lav., 30 marzo 2011, n. 7272 - Ipoacusia da rumore e risarcimento


 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico - Presidente

Dott. STILE Paolo - Consigliere

Dott. DI CERBO Vincenzo - rel. Consigliere

Dott. CURZIO Pietro - Consigliere

Dott. TRIA Lucia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

 

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

T.G , elettivamente domiciliato in ROMA, V. VELLETRI 24, presso lo studio dell'avvocato DOMANICO MARIA PIA, rappresentato e difeso dagli avvocati CARLI ROBERTO, D'ANGELO VITTORIO, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

M.R.I S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SABOTINO 22, presso lo studio dell'avvocato TARDELLA CARLO, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato JUCCI GUIDO, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 378/2007 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 11/10/2007 r.g.n. 690/04 + 1;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/12/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito l'Avvocato TARDELLA CARLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

 

Fatto

 

Con ricorso al Giudice del lavoro di Ascoli Piceno T.G. ed altri cinque lavoratori, tutti dipendenti della M.R.I s.r.l., chiedevano la condanna della suddetta società al risarcimento dei danni patiti in conseguenza dell'ipoacusia da rumore contratta durante l'attività lavorativa prestata alle dipendenze della stessa.

 

Il giudice adito accoglieva la domanda proposta dai lavoratori tranne quella del Tr. relativamente alla quale riteneva che il diritto azionato fosse prescritto.

 

La Corte d'appello di Ancona, decidendo, fra l'altro (gli altri profili non rilevano in questa sede di legittimità) sul gravame proposto dal Tr. , lo rigettava.

 

Affermava in particolare che già nel (Omissis) il Tr. aveva avuto conoscenza della malattia e della sua eziologia professionale e che pertanto non rilevavano, ai fini della decorrenza del termine prescrizionale, il protrarsi dell'esposizione a rischio e la perdurante inosservanza, da parte del datore di lavoro, dei doveri ex articolo 2087 cod. civ, atteso che non era stata dimostrata la sussistenza di un aggravamento del danno dovuto non già al mero peggioramento della malattia in atto ma all'insorgere di una nuova ed autonoma lesione derivante dalla ulteriore esposizione al rischio professionale. Ciò in applicazione del principio secondo cui l'aggravamento del danno derivante da un mero peggioramento del processo morboso già in atto non vale a determinare lo spostamento del termine iniziale della prescrizione decennale.

 

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso affidato a due motivi.

 

La società M.R.I. (divenuta s.p.a. prima dell'inizio del giudizio d'appello) resiste con controricorso.

 

 

Diritto

 

 

 

Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell'articolo 112 cod. proc. civ. in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4, deducendo l'omessa pronuncia su una questione giuridica, puntualmente sottoposta alla Corte territoriale, concernente il decorso, o meno, del termine prescrizionale in costanza della condotta illecita datoriale.

 

Col secondo motivo il ricorrente denuncia violazione degli articoli 2087, 2934, 2935 e 2946 cod. civ. in relazione all'erronea individuazione del termine iniziale di decorrenza della prescrizione. La Corte di merito non aveva infatti tenuto conto del diverso regime della decorrenza a seconda del carattere istantaneo, ovvero permanente, dell'illecito. Nel caso di specie la condotta datoriale di violazione degli obblighi derivanti dall'articolo 2087 cod. civ. si era protratta oltre la data nella quale il lavoratore aveva avuto conoscenza della natura professionale della malattia dalla quale era affetto.

 

I due motivi, che devono essere trattati congiuntamente in quanto logicamente connessi, sono fondati.

 

Va premesso che sulla questione della prescrizione la Corte d'appello si è pronunciata, sicchè è infondata la censura di omessa pronuncia cui il ricorrente fa riferimento nel primo motivo.

La censura di violazione di legge sostanziale di cui è fatto cenno nel primo motivo e che è sviluppata pienamente nel secondo motivo di ricorso, è invece fondata.

Deve premettersi che, trattandosi di domanda di risarcimento del danno basata sulla responsabilità del datore di lavoro derivante dall'inadempimento degli obblighi, inerenti al rapporto di lavoro, di tutela delle condizioni di lavoro del dipendente (articolo 2087 cod. civ.), si applica alla stessa la prescrizione decennale (cfr., ad esempio, Cass. 11 settembre 2007 n. 19022).

Secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità occorre distinguere, ai fini della decorrenza del termine prescrizionale fra illecito istantaneo con effetti permanenti - caratterizzato da un'azione che unu actu perficitur, che cioè si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando peraltro permanere i suoi effetti nel tempo - e illecito permanente, nel quale, cioè, la condotta illecita si protrae nel tempo.

 

Mentre nel primo caso, in base all'articolo 2935 cod. civ., la prescrizione decorre dalla data in cui s'è verificato il danno, cioè la conseguenza pregiudizievole derivata dalla lesione della posizione giuridica soggettiva tutelata (purchè il danneggiato ne sia consapevole e non sussistano impedimenti giuridici a far valere il diritto al risarcimento), nel secondo, in base alla stessa norma e nella ricorrenza degli stessi presupposti (conoscenza e difetto di impedimenti), la prescrizione della pretesa risarcitoria decorre dalla data di cessazione della condotta illecita, come correttamente sostenuto dal ricorrente (cfr. Cass. 13 febbraio 1998 n. 1520; Cass. 21 febbraio 2004 n. 3498, entrambe in motivazione; Cass. 2 febbraio 2004 n. 6515). Ed infatti il protrarsi nel tempo della condotta illecita determina lo spostamento della decorrenza del termine prescrizionale all'epoca della definitiva cessazione della medesima (cfr. Cass. 7 novembre 2005 n. 21500).

 

La decisione impugnata non ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi, avendo attribuito esclusivo rilievo, ai fini della decorrenza del termine prescrizionale decennale, alla data in cui il Tr. ha avuto conoscenza della malattia e della sua eziologia professionale in una situazione nella quale, come peraltro evidenziato dalla stessa Corte territoriale, l'inosservanza, da parte del datore di lavoro, dei doveri ex articolo 2087 cod. civ. si era pacificamente protratta oltre la suddetta data.

 

La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata con rinvio ad altro giudice, individuato come in dispositivo, il quale dovrà applicare il seguente principio di diritto: in tema domanda di risarcimento del danno subito dal lavoratore per effetto della mancata tutela da parte del datore delle condizioni di lavoro, domanda quindi basata sulla responsabilità del datore di lavoro derivante dall'inadempimento degli obblighi allo stesso imposti dall'articolo 2087 cod. civ., la prescrizione decennale, applicabile a tale fattispecie, decorre dal momento in cui il danno si è manifestato, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile e non dal momento di un successivo aggravamento che non sia dovuto ad una causa autonoma, dotata di propria efficienza causale; ove peraltro il suddetto inadempimento da parte del datore di lavoro si sia protratto oltre il momento come sopra individuato, il termine prescrizionale inizia a decorrere al momento della definitiva cessazione della condotta inadempiente.

Il giudice del rinvio provvederà anche alle spese del giudizio di cassazione ex articolo 385 c.p.c., comma 3.

 

P.Q.M.

 

LA CORTE

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Perugia.