T.A.R. della Puglia, Sez. 1, 31 marzo 2011, n. 528 - Mobbing


 

N. 00528/2011 REG.PROV.COLL.

N. 01570/2003 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 1570 del 2003, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
 

D.P. Roberto, rappresentato e difeso dagli avv. Federico Carbonara e Antonio Falagario, con domicilio eletto presso Federico Carbonara in Bari, via Putignani, 47;


contro

Ministero della Difesa - DGPM, Corpo del Genio Aeronautico dell’A.M., Reparto Infrastrutture del Comando Logistico dell’A.M. e Comando 16° Reparto Genio Campale dell’A.M. (ex 3° Reparto Operativo Infrastrutture), rappresentati e difesi dall’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Bari, domiciliataria per legge in Bari, via Melo, 97;


per il risarcimento

del danno da depauperamento del bagaglio professionale e lesione della immagine, dignità e professionalità;

 


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa - DGPM, del Corpo del Genio Aeronautico dell’A.M., del Reparto Infrastrutture del Comando Logistico dell’A.M. e del Comando 16° Reparto Genio Campale dell’A.M.;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 23 febbraio 2011 il dott. Francesco Cocomile e uditi per le parti i difensori avv.ti Federico Carbonara e Giovanni Cassano;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

 


FattoDiritto

 

Il ricorrente Ten. Col. D.P. Roberto (Ufficiale in servizio presso il 3° Reparto Operativo Infrastrutture di Bari-Palese con l’incarico di Capo Ufficio Progetti) agisce in giudizio con il ricorso introduttivo e con i successivi motivi aggiunti per il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante da condotte di mobbing asseritamente poste in essere nei suoi confronti da colleghi e da superiori gerarchici nel corso di innumerevoli anni di servizio.

Il ricorrente individua alcuni episodi che - a suo dire - sarebbero sintomatici di una condotta mobbizzante.

L’amministrazione resistente, nel costituirsi in giudizio, evidenzia che non vi è stato alcun demansionamento del D.P.; che lo stesso a seguito del trasferimento da Bari a Roma avvenuto con il provvedimento del luglio del 2003 ha ottenuto una nuova sede ed un incarico previsto per il ruolo ed il grado rivestito, valido ai fini delle attribuzioni necessarie per le valutazioni al grado superiore; che l’odierno ricorrente è stato sottoposto a numerose visite mediche presso l’Istituto Medico Legale di Roma le quali hanno attestato che lo stesso è idoneo al servizio; che le problematiche alloggiative del ricorrente sono state affrontate positivamente dalla stessa amministrazione resistente; che il D.P. ha presentato innumerevoli istanze al fine del conferimento con i propri superiori, istanze che sono state accolte; che le istanze di accesso presentate dal ricorrente sono state parimenti accolte; che pertanto non vi è alcun elemento per poter ritenere integrati nel caso di specie gli estremi delle condotte di mobbing e di bossing.

Preliminarmente va evidenziato che secondo Consiglio Stato, Sez. IV, 7 luglio 2008, n. 3380 “La regola generale dell’onere probatorio, secondo cui spetta a chi agisce in giudizio indicare e provare i fatti su cui fonda la pretesa avanzata, trova infatti integrale applicazione nel giudizio risarcitorio, nel quale non ricorre quella diseguaglianza di posizioni tra amministrazione e privato che giustifica nel giudizio di legittimità l’applicazione del principio dispositivo con metodo acquisitivo.”.

Ed ancora rileva Cons. Stato, Sez. IV, 21 aprile 2009, n. 2435 che “L’azione risarcitoria non è soggetta alla regola del principio dispositivo con metodo acquisitivo, bensì al principio dell’onere della prova (artt. 2697 c.c. e 115 c.p.c.) in quanto inerente a processo avente ad oggetto diritti (risarcitori); ed invero, trattandosi di giudizio che verte principalmente sull’esistenza delle condizioni perché un danno possa ritenersi ingiusto, occorre innanzitutto la prova della sua esistenza e del suo ammontare, consistente nella verifica positiva degli specifici requisiti e, in particolare, nell’accertamento di una effettiva lesione alla propria posizione giuridica soggettiva tutelata ovvero la violazione della norma giuridica che attribuisce la protezione a tale interesse.”.

Detto principio trova ora conferma nella previsione normativa di cui all’art. 64, comma 1 cod. proc. amm. ove si afferma che “Spetta alle parti l’onere di fornire gli elementi di prova che siano nella loro disponibilità riguardanti i fatti posti a fondamento delle domande e delle eccezioni.”.

Pertanto nel presente giudizio risarcitorio trova piena applicazione il principio dell’onere della prova di cui al combinato disposto degli artt. 64, comma 1 cod. proc. amm. e 2697 cod. civ. poiché i fatti posti a fondamento della relativa domanda risarcitoria rientrano sicuramente nella sfera di disponibilità del ricorrente.

Ritiene, tuttavia, questo Collegio che il ricorso introduttivo integrato da motivi aggiunti debba essere respinto poiché il D.P. non fornisce prova alcuna sul piano oggettivo della “condotta persecutoria” contestata e sul piano soggettivo dell’intento persecutorio della P.A. datrice di lavoro.

Invero il ricorrente avrebbe potuto e dovuto formulare a tal fine richiesta di prova anche per testi (certamente ammissibile nel processo amministrativo con la innovativa previsione di cui all’art. 63, comma 3 cod. proc. amm.; peraltro nel caso di specie si è in presenza di un contenzioso rientrante nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sul pubblico impiego non privatizzato), ma non lo ha fatto.

Manca inoltre la prova, il cui onere gravava sempre su parte ricorrente, del disegno persecutorio e del carattere unitariamente persecutorio e discriminante delle condotte poste in essere dalla P.A. datrice di lavoro nei confronti del D.P..

Come evidenziato da Cass. civ., Sez. lav., 17 febbraio 2009, n. 3785 “Per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità. Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono, pertanto, rilevanti: a) la molteplicità di comportamenti di carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio; b) l’evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore o del superiore gerarchico e il pregiudizio all’integrità psico-fisica del lavoratore; d) la prova dell’elemento soggettivo, cioè dell’intento persecutorio.”.

Rileva inoltre Cons. Stato, Sez. IV, 21 aprile 2010, n. 2272 che “La ricorrenza di una condotta mobbizzante va esclusa quante volte la valutazione complessiva dell’insieme delle circostanze addotte e accertate nella loro materialità, pur se idonea a palesare "singulatim" elementi e episodi di conflitto sul luogo di lavoro, non consenta di individuare, secondo un giudizio di verosimiglianza, il carattere unitariamente persecutorio e discriminante nei confronti del singolo del complesso delle condotte poste in essere sul luogo di lavoro.”.

Ed ancora secondo Cons. Stato, Sez. IV, 7 aprile 2010, n. 1991 “La condotta di mobbing dell’Amministrazione pubblica datrice di lavoro, consistente in comportamenti materiali o provvedimentali contraddistinti da finalità di persecuzione e di discriminazione, indipendentemente dalla violazione di specifici obblighi contrattuali nei confronti di un suo dipendente, deve da quest’ultimo essere provata e, a tal fine, valenza decisiva è assunta dall’accertamento dell’elemento soggettivo, e cioè dalla prova del disegno persecutorio.”.

Infine Cons. Stato, Sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2015 ha sottolineato che “Costituisce mobbing l’insieme delle condotte datoriali protratte nel tempo e con le caratteristiche della persecuzione finalizzata all’emarginazione del dipendente con comportamenti datoriali, materiali o provvedimentali, indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi contrattuali o dalla violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato; sicché, la sussistenza della lesione, del bene protetto e delle sue conseguenze deve essere verificata, procedendosi alla valutazione complessiva degli episodi dedotti in giudizio come lesivi, considerando l’idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata, per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificatamente da una connotazione emulativa e pretestuosa. Tuttavia, determinati comportamenti non possono essere qualificati come mobbing se è dimostrato che vi è una ragionevole e alternativa spiegazione.”.

E’ evidente che nel caso di specie i comportamenti posti in essere dalla P.A. resistente nei confronti dell’odierno ricorrente non si caratterizzano per il carattere unitariamente persecutorio e discriminante (il cui onere probatorio, rimasto inadempiuto, gravava - come detto - su parte ricorrente) mancando altresì la prova del disegno persecutorio.

Né detti comportamenti possono essere qualificati come “mobbing” posto che la stessa amministrazione, come visto in precedenza, ha dimostrato nel corso del presente giudizio che vi è una ragionevole e alternativa spiegazione.

Dalle considerazioni espresse in precedenza discende la reiezione sia del ricorso introduttivo che dei successivi ricorsi per motivi aggiunti.

In considerazione della natura e della peculiarità della presente controversia nonché della qualità delle parti, sussistono gravi ed eccezionali ragioni di equità per compensare le spese di giudizio.

 

P.Q.M.

 

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, Sez. I, definitivamente pronunciando sul ricorso come in epigrafe proposto integrato da motivi aggiunti, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 23 febbraio 2011 con l’intervento dei magistrati:

 

Corrado Allegretta, Presidente

Giuseppina Adamo, Consigliere

Francesco Cocomile, Referendario, Estensore

   
   
L'ESTENSORE  IL PRESIDENTE
   
   
   
   
   

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 31/03/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)