T.A.R. della Puglia, Sez. 3, 14 gennaio 2011, n. 95 - Mobbing


 

  

N. 00095/2011 REG.PROV.COLL.
N. 01300/2009 REG.RIC.

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA

 


sul ricorso numero di registro generale 1300 del 2009, proposto da:
Loredana R., rappresentata e difesa dagli avv. Antonio De Feo, Cristina Mazzamauro, Corrado Cardarello, con domicilio eletto presso Antonio De Feo in Bari, c.so Vitt. Emanuele, 143;
contro
Banca D'Italia Sede di Roma in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Olina Capolino, Maria Patrizia De Troia, Donatella La Licata, con domicilio eletto presso Olina Capolino in Bari, c/o Banca D'Italia corso Covour, 4; Banca D'Italia Filiale di Foggia;
nei confronti di
Carmine W.M., rappresentato e difeso dall'avv. Vincenzo M., con domicilio eletto presso Alessandro Iacobellis in Bari, viale Papa Pio XII n.50;
per l'accertamento
- del diritto della ricorrente alla reintegrazione delle relative mansioni di titolare dell’ufficio incassi, pagamenti e controllo della filiale di Foggia con conseguente, ove occorrer possa, annullamento del provvedimento n.836362 del 4 agosto 2008 con il quale la ricorrente è stata di fatto destituita dall’incarico di titolare dell’ufficio incassi, pagamenti e controllo della filiale di Foggia e conseguente comunicazione n.67 del 3 ottobre 2008;
nonché per l'accertamento
- della dequalificazione patita dalla ricorrente e conseguente condanna della Banca d’Italia al risarcimento del danno;
- della effettiva configurazione di una condotta datoriale mobbizzante e conseguente condanna della Banca d’Italia al risarcimento del danno;
- in subordine, l’accertamento della effettiva configurazione di straining e conseguente condanna al risarcimento del danno;
- dell’avvenuta lesione all’immagine professionale della ricorrente e conseguente condanna della Banca d’Italia al risarcimento del danno.

Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio di Banca D'Italia Sede di Roma e di Carmine W.M.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 dicembre 2010 il dott. Paolo Amovilli e uditi per le parti i difensori l'avv. Giovanni Bellardi, su delega dell'avv. Corrado Cardarello, l'avv. Maria Patrizia De Troia e l'avv. Vincenzo M..;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FattoDiritto


 

 

I. Espone l’odierna ricorrente, funzionaria della Banca d’Italia in servizio dal 1983, che il 9 luglio 2007, dopo aver assunto la reggenza temporanea dell’ufficio a partire dal 31 maggio 2007, otteneva la promozione al grado di “Funzionario di prima” con l’incarico di titolare dell’ufficio Incassi, Pagamenti e Controllo (UIPC) della filiale di Foggia.
A partire dal settembre 2007 riferisce la dott.sa R. l’inizio di vari atteggiamenti di aperta aggressione e marcata ostilità contro la sua persona, con conseguente lesione dell’immagine professionale ed effetti pregiudizievoli per il suo stesso stato di salute psicofisica.
Nel novembre 2007 il Dr. C. quale Direttore della filiale di Foggia, sollecitava l’intervento dell’Ispettorato interno, in relazione ad episodi di differenze di cassa presso una unità di custodia valori; l’ispezione dopo aver sentito la stessa dott.sa R. quale titolare dell’ufficio, si concludeva il 18 luglio 2007, evidenziando varie criticità nella gestione, senza tuttavia dar luogo ad un formale esito comunicato all’odierna ricorrente.
Con comunicazione del 25 settembre 2008 a firma del Dott. C., la Banca d’Italia comunicava alla ricorrente che in data 29 settembre avrebbe preso servizio quale nuovo titolare dell’Ufficio Incassi Pagamenti e Controllo della filiale di Foggia e il rag. M., allegando copia del provvedimento n.836362 del 4 agosto 2008 con cui la dott.sa R. veniva di fatto destituita dall’incarico di titolare.
L’odierna ricorrente quindi tramite i legali di fiducia, chiedeva spiegazioni in merito alle motivazioni a supporto della suddetta destituzione, ricevendo conferma, a suo dire, della natura disciplinare conseguente alle carenze riscontrate durante l’ispezione.
Con ricorso notificato il 16 luglio 2009, ritualmente depositato, l'odierna ricorrente come sopra rappresentata e difesa, propone azione di accertamento del diritto all’ufficio ed alla funzione esercitata mediante incarico conferitole il 9 luglio 2007 con contestuale richiesta di risarcimento del danno patrimoniale, non patrimoniale ex art 2059 c.c. comprensivo del danno biologico cagionato dalla condotta mobbizzante perpetrata a suo danno, deducendo i seguenti motivi:
- Violazione del regolamento del personale direttivo nella parte disciplinante la procedura disciplinare e violazione art 7 l.300/1970;
- Violazione art 69 regolamento inerente la disciplina normativa del rapporto di impiego del personale della carriera direttiva della Banca d’Italia;
 

In via subordinata demanda l’accertamento della responsabilità risarcitoria per danno da c.d. straining, in relazione al demansionamento comunque subito, risultando la dott.sa R. a seguito della citata destituzione, completamente inattiva e priva di concrete mansioni da svolgere.
Tiene a precisare la difesa di parte ricorrente, al fine della ricevibilità del gravame, che l’azione in epigrafe riveste natura di accertamento di diritti soggettivi nell’ambito della giurisdizione esclusiva del G.A., da proporsi entro il termine di prescrizione quinquennale anziché di decadenza, con impugnazione soltanto in via residuale ed incidentale del provvedimento autoritativo di destituzione dall’ufficio.
Si costituiva la Banca d’Italia, eccependo in rito l’irricevibilità della domanda quantomeno in riferimento all’accertamento del diritto alla reintegrazione nelle mansioni di titolare dell’Ufficio Incassi della Filiale di Foggia, evidenziando in particolare come nell’ambito del pubblico impiego non privatizzato quale quello per cui è causa, la pretesa a conseguire o mantenere la titolarità di uffici o altre strutture organizzative non ha consistenza di diritto soggettivo suscettibile di azione di accertamento, trattandosi al più di interesse legittimo da far valere nel termine di decadenza.
Nel merito chiedeva comunque il rigetto delle pretese ex adverso sostenute, indicando la natura esclusivamente organizzativa e non già disciplinare/sanzionatoria delle misure adottate dalla Banca d’Italia sfavorevoli per la ricorrente.
 

Si costituiva altresì il controinteressato Carmine W.M., che evidenziava la palese infondatezza della pretesa azionata.
All’udienza pubblica del 13 ottobre 2010 il Collegio, in parziale accoglimento delle istanze istruttorie avanzate dalla ricorrente, disponeva con ordinanza n.238/2010 prova testimoniale ai sensi degli art 244 c.p.c., sui seguenti due capitoli:
- “vero che la dott.sa R. Loredana ha concretamente svolto nel periodo dal 3 ottobre 2008 al 16 luglio 2009 le mansioni indicate nel rapporto valutativo del 27 agosto 2009 sulle prestazioni dell’anno 2009 a firma congiunta del dott. M. e della stessa dott.ssa R. Loredana”;.
- “vero che la ricorrente per il periodo dal 3 ottobre 2008 al 16 luglio 2009 è stata lasciata per la gran parte della giornata lavorativa completamente inattiva, non essendole affidata alcuna attività da svolgere.”
 

Avverso tale ordinanza istruttoria proponeva opposizione il controinteressato, ritenendo i suddetti capitoli inammissibili in quanto volti a contrastare un prova privilegiata quale la confessione stragiudiziale contenuta nel rapporto valutativo del 27 agosto 2009, sottoscritto dalla stessa dott.sa R..
All’udienza pubblica del 10 novembre 2010 venivano escussi quattro dei cinque testi di cui era stata disposta intimazione, e con ordinanza n.252/2010 il Collegio dichiarava la decadenza dal diritto di escussione del quinto teste, sia per difetto di regolare intimazione che, soprattutto, per la ravvisata non necessità ex art 245 c.p.c. di procederne al rinnovo, essendosi già sufficientemente acquisiti gli elementi istruttori di cui all’ordinanza 238/2010, con fissazione dell’udienza pubblica al 16 dicembre 2010.
Con ulteriore memoria depositata il 2 dicembre, la difesa della ricorrente chiedeva sia la fissazione di nuova udienza per l’escussione del teste, sia comunque il differimento dell’udienza di merito ai sensi del combinato disposto degli art. 71 c.5° e 73 c.p.a. al fine di consentire il pieno esercizio del diritto di difesa.
All’udienza pubblica del 16 dicembre 2010 la causa veniva trattenuta per la decisione.
 

II. Preliminarmente, va affermata d’ufficio la giurisdizione del G.A. giacché la disciplina del pubblico impiego del personale della Banca d’Italia si sottrae alla generale disciplina del lavoro pubblico "contrattualizzato" o "privatizzato" (ex art. 68, comma 4, in riferimento al d.lgs. n. 29 del 1993, art. 2, comma 4, ora trasfusi rispettivamente nel d.lgs. n. 165 del 2001, art. 63, comma 4, e art. 3, comma 1) ed è rimasto regolato dalle normativa di settore come pubblico impiego, perchè la Banca d’Italia svolge la sua attività nelle materie concernenti la tutela del risparmio, l'esercizio della funzione creditizia e la valuta ex d.lgs.C.P.S. 17 luglio 1947, n. 691, richiamato dal d.lgs. n. 165 del 2001, art. 3, comma 1, che individua il personale a regime pubblico (Cassazione sez.un. 24 settembre 2010, n.20161, cfr. Cass., sez. un.. 24 ottobre 2005, n. 20475; id, 1 ottobre 2003, n. 14667, Consiglio di Stato sex VI, 9 febbraio 2009, n.728, T.A.R. Lazio sez I 25 luglio 2006, n. 6382).
Ciò premesso, la giurisdizione esclusiva del G.A. in materia di pubblico impiego non privatizzato si estende alla cognizione sulle azioni inerenti il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivante da mobbing (in termini Consiglio di Stato, sez. VI, 04 settembre 2006, n. 5087) a condizione che l’azione proposta - quale quella in epigrafe - si qualifichi in termini di responsabilità contrattuale, per violazione dell’obbligo di garanzia imposto dall’art 2087 c.c. (ex multis Consiglio di Stato sez V 15 ottobre 2010 n.7527).
 

III. Deve preliminarmente respingersi anche l’istanza di differimento ex art 71 c.5° e 73 c.p.a. dell’udienza pubblica avanzata da parte ricorrente, atteso che la fissazione alla data del 16 dicembre, in mero prosieguo alle incombenze istruttorie disposte con ordinanza n.238/2010 all’udienza del 10 novembre 2010, non risulta lesiva del diritto di difesa, avendo comunque il Collegio acquisito (come si dirà) in tale sede tutti gli elementi istruttori necessari, a pena della violazione del generale principio di ragionevole durata del processo codificato dallo stesso art 2 c.p.a.
 

IV. Il ricorso è in parte irricevibile per tardività ed in parte infondato.
 

Nell’ambito del rapporto di lavoro pubblico rimasto escluso dalla privatizzazione, l’Amministrazione in veste di datore di lavoro emana atti di natura autoritativa idonei ad affievolire le posizioni soggettive del lavoratore, quali l’atto di nomina, di cessazione del rapporto, di inquadramento (Consiglio di Stato, sez V 18 gennaio 1995, n.89, id. sez VI 16 settembre 2004 n.5994) e di trasferimento, in guisa che le relative pretese del pubblico dipendente dirette a contestarne la legittimità debbono necessariamente essere proposte nel termine di decadenza, decorrente dalla piena conoscenza dell’atto, fatta eccezione per i soli atti paritetici, quali quelli aventi ad oggetto il calcolo delle pretese patrimoniali et simila (T.A.R. Lazio sez I, 7 luglio 2007, n.6133).
Ne consegue che avverso i provvedimenti di destituzione dall’incarico di tipo direttivo/dirigenziale quale quello per cui è causa, il dipendente pubblico non vanta - diversamente dalla prospettazione della difesa della ricorrente - una posizione di diritto soggettivo bensì di interesse legittimo, la cui tutela va comunque esercitata entro il generale termine decadenziale, sia che abbia consistenza di azione demolitoria, sia di accertamento (Consiglio di Stato sez VI, 9 febbraio 2009, n.717) non essendo mai ammissibile l’azione di accertamento se elusiva del suddetto termine (Consiglio di Stato sez V, 2 agosto 2010, n.5073).
Essendo infatti documentata per tabulas la piena conoscenza del provvedimento 836362 del 4 agosto 2008 da parte della ricorrente quantomeno dal 23 ottobre 2008 (con la sottoscrizione in qualità di sostituto dell’Ufficio IPAC) il gravame (notificato il 16 luglio 2009) risulta irricevibile per la parte diretta a contestare la destituzione dall’incarico e la nomina del controinteressato rag M..
 

V. Il ricorso va pertanto in parte qua dichiarato irricevibile ai sensi dell’art 35 c.primo lett a) c.p.a.
 

VI. Quanto alla domanda di risarcimento del danno per condotta c.d. mobbizzante, secondo la giurisprudenza (ex multis Cassazione civile, sez. lav., 09 settembre 2008, n. 22858, Consiglio di Stato sez VI, 6 maggio 2008, n.2015) integra la nozione di mobbing “la condotta del datore di lavoro protratta nel tempo (per almeno 6 mesi) e consistente nel compimento di una pluralità di atti (giuridici o meramente materiali, ed, eventualmente, anche leciti) diretti alla persecuzione od all'emarginazione del dipendente, di cui viene lesa - in violazione dell'obbligo di sicurezza posto a carico dello stesso datore dall'art. 2087 c.c. - la sfera professionale o personale, intesa nella pluralità delle sue espressioni (sessuale, morale, psicologica o fisica).
Secondo tale orientamento, da cui il Collegio non ha motivo per discostarsi, la circostanza che la condotta di mobbing provenga da un altro dipendente posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, non vale ad escludere la responsabilità del datore di lavoro - su cui incombono gli obblighi ex art. 2049 c.c. - ove questi sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo, dovendosi escludere la sufficienza di un mero (e tardivo) intervento pacificatore, non seguito da concrete misure e da vigilanza.
Ciò premesso, non ritiene il Collegio che la ricorrente abbia dato prova della sussistenza degli estremi di tal peculiare fattispecie di illecito contrattuale, risultando la ricostruzione prospettata se non interamente, quantomeno fondata prevalentemente in riferimento alla lesività del provvedimento del 4 agosto 2008 di destituzione dalla titolarità dell’incarico, che come visto è divenuto pienamente inoppugnabile, e di cui il Collegio non può apprezzare neppure in via incidentale - come richiesto - le censure di legittimità.
Infatti, aderendo alla tesi dominante della pregiudizialità amministrativa, “è ammissibile, ma infondata nel merito, la domanda di risarcimento danni che non sia stata preceduta dall'annullamento dell'atto asseritamente illegittimo, che tale danno avrebbe provocato, atteso che la sua mancata impugnazione consente a tale atto di operare in modo precettivo dettando la regola del caso concreto, autorizzando la produzione dei relativi effetti ed imponendone l'osservanza ai consociati ed impedisce così che il danno possa essere considerato ingiusto o illecita la condotta tenuta dall'Amministrazione in esecuzione dell'atto inoppugnato” (ex multis Consiglio Stato, sez. V, 03 novembre 2010, n. 7766, T.A.R. Campania Salerno sez II 13 settembre 2010 n.11033, T.A.R. Veneto sez III 26 maggio 2010 2208).
E’vero che la condotta mobbizzante dedotta trae inizio dal 2007 ed in particolare dal novembre 2007 - cioè dalla richiesta da parte del dott. C. di ispezione interna e dai comportamenti pregiudizievoli posti in essere dal medesimo già prima dell’agosto 2008 - ma appare al Collegio determinante sotto il profilo eziologico, in relazione al pregiudizio di cui la ricorrente chiede tutela, l’effetto svolto dal provvedimento di destituzione, unitamente all’asserito successivo completo demansionamento, rivelatosi insussistente alla luce delle risultanze istruttorie disposte con l’ordinanza n. 238/2010.
Osserva incidentalmente il Collegio che anche a voler seguire la tesi “civilistica” negativa della pregiudizialità amministrativa (Cass. S.U., 3 marzo 2010, n.5025, T.A.R. Lazio Roma, sez III 5 gennaio 2011, n.41) - peraltro oggi di fatto non completamente accolta dallo stesso c.p.a. approvato con d.lgs 104/2010 laddove esclude il risarcimento del danno che si sarebbe potuto evitare mediante rituale impugnazione dell’atto lesivo (art 30 c.3 c.p.a.) - la valutazione incidentale della legittimità del provvedimento di destituzione dall’incarico porterebbe comunque al rigetto della censura di violazione dell’art 7 l.300/1970, non avendo esso natura disciplinare bensì tipicamente organizzativa, attesone il carattere fiduciario, ostativo alla stessa configurabilità del potere disciplinare (Cass. sez lav. 3 aprile 2002, n.4729 in riferimento al rapporto dirigenziale).
In materia di prova dell’inadempimento contrattuale del datore di lavoro, non diversamente dal criterio tracciato in via generale nel campo della responsabilità contrattuale (Cassazione Sez.Unite 30 ottobre 2001 n.13533) allorquando da parte di un lavoratore sia allegata una dequalificazione o venga dedotto un demansionamento, riconducibile ad un inesatto adempimento dell'obbligo gravante sul datore di lavoro ai sensi dell'art. 2103 c.c. è su quest'ultimo che incombe l'onere di provare l'esatto adempimento del suo obbligo attraverso la prova della mancanza in concreto di qualsiasi dequalificazione o demansionamento, ovvero attraverso la prova che l'una o l'altro siano stati giustificati dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari o, comunque, in base al principio generale risultante dall'art. 1218 c.c. da un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (Cassazione civile, sez. lav., 06 marzo 2006, n. 4766)
E’invece addossato al lavoratore l’onere di provare il danno ed il nesso eziologico con l’allegato inadempimento; nella fattispecie parte ricorrente ha allegato la circostanza che a seguito dell’intervenuta destituzione dall’incarico sarebbe risultata completamente priva di mansioni da svolgere, in uno stato di completa inattività in ipotesi sicuramente fonte di responsabilità contrattuale anche sotto il profilo non patrimoniale c.d. esistenziale (ex multis Cassazione civile, sez. lav., 09 settembre 2008, n. 22858) se dimostrato lo stato di peggioramento della qualità di vita, trattandosi di danno-conseguenza e non di danno-evento.
In riferimento specifico al demansionamento connesso a mobbing, è posto a carico del lavoratore inoltre anche la non agevole prova dell’intento persecutorio (Cassazione sez lav. 26 marzo 2010 n.7382).
Il Collegio ha pertanto ritenuto di disporre prova testimoniale in forma non scritta - sul presupposto della inapplicabilità implicita dell’art. 68 c.3 c.p.a. approvato con d.lgs.104/2010 alle controversie devolute alla giurisdizione esclusiva del G.A in materia di pubblico impiego, dovendo la tutela dei diritti soggettivi innanzi al G.A avvenire “con le stesse garanzie di quelle innanzi al G.O” (Corte Cost. sent. n.146/1987) - al fine di accertare, nel concreto contesto lavorativo, lo svolgimento o meno di effettive mansioni lavorative da parte della dott.sa R., al di là delle risultanze formalmente emergenti dalla documentazione depositata in giudizio (rapporto valutativo del 27 agosto 2009).
Tale incombente istruttorio non ha dimostrato l’assunto della difesa del ricorrente in merito alla totale inoperatività della dott.sa R., risultata invece nel complesso destinataria di compiti lavorativi compatibili con il propria inquadramento professionale, conformemente alle risultanze del rapporto valutativo sottoscritto dalla stessa dott.sa R. il 27 agosto 2009 con riferimento alle prestazioni dell’anno 2009
Ne consegue che l’asserita condotta mobbizzante, depauperata dell’atto di destituzione - da ritenersi come detto in questa sede pienamente legittimo - e altresì dalla sussistenza di un postumo demansionamento professionale, risulta irrimediabilmente priva degli elementi costitutivi richiesti in via pretoria per tal fattispecie atipica di illecito contrattuale, sia quanto ad illiceità della condotta, ingiustizia del danno e relativo nesso eziologico.
Va infatti evidenziato, come rilevato dalla stessa difesa della Banca d’Italia, anche la mancata prova da parte della ricorrente del nesso eziologico della sindrome depressiva medicalmente accertata in relazione alle condotte datoriali contestate, se non altro perché la certificazione medica depositata in giudizio (Dr. G. resp. SSD Medicina Psicosomatica del centro di Foggia) è in data antecedente il presunto demansionamento concretizzatosi dopo l’avvenuta destituzione del 4 agosto 2008, quindi non certo ad esso causalmente riconducibile.
D’altronde, ritiene il Collegio come non possa agevolmente riconoscersi la figura del mobbing da demansionamento in ipotesi di mancata conferma o destituzione anticipata dall’incarico di tipo direttivo/dirigenziale, venendo in rilievo il sindacato sull’esercizio del potere organizzativo ampiamente discrezionale dell’Amministrazione circa l’affidamento degli incarichi dirigenziali, e non applicandosi l’art 2103 c.c.(art 19 c. primo d.lgs.165/2001) bensì i soli principi del d.lgs.165/2001, tra cui l’art 52 come integrato dal Regolamento per il personale della Banca d’Italia.
Per le figure di vertice o sub-apicali destituite dall’incarico dirigenziale, impregiudicata la tutela impugnatoria da farsi valere nel termine di decadenza, appare pertanto più arduo - rispetto a figure professionali di livello inferiore - riconoscere una condotta persecutoria tale da integrare il mobbing da demansionamento (T.A.R. Veneto sez I, 14 maggio 2007, n.1459) non esistendo nell’ordinamento un diritto all’incarico dirigenziale (ex multis Cass civ., 22 dicembre 2004, n.23760), bensì una tutela risarcitoria per equivalente per l’illegittimo o scorretto esercizio datoriale dello ius variandi.
 

VIII. Posto che parte ricorrente infine domanda in via subordinata l’accertamento della responsabilità per c.d. straining - fattispecie che richiederebbe a differenza del mobbing una singola azione con effetti duraturi nel tempo (Tribunale civ Bergamo 20 giugno 2005) - ritiene il Collegio infondata la pretesa azionata anche sotto tal profilo, per la dimostrata assegnazione alla dott.sa R. di concrete mansioni lavorative compatibili con il proprio inquadramento professionale.
 

IX. Nella fattispecie per cui è causa, pertanto non ravvisa il Collegio gli elementi costitutivi di una condotta mobbizzante, tali da fondare la domanda risarcitoria nella duplice accezione patrimoniale e non patrimoniale per danno da demansionamento, né quelli della condotta da c.d. straining.
Per i suesposti motivi il ricorso va in parte dichiarato irricevibile, e per la rimanente parte respinto perché infondato.
Le spese seguono la soccombenza, secondo dispositivo.
 

 

P.Q.M.
 

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara in parte irricevibile ed in parte infondato, come da motivazione.
Condanna parte ricorrente alla refusione delle spese processuali quantificate in complessivi 5.000 euro, oltre agli accessori di legge, di cui 2.500 in favore della Banca d’Italia e 2.500 in favore del controinteressato.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Bari nella camera di consiglio del giorno 16 dicembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Pietro Morea, Presidente
Antonio Pasca, Consigliere
Paolo Amovilli, Referendario, Estensore


L'ESTENSORE IL PRESIDENTE





DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 14/01/2011
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)