Cassazione Penale, Sez. 4, 13 aprile 2011, n. 14987 - Violazione del POS e caduta dall'alto


 

Responsabilità per omicidio colposo in danno di un lavoratore salito su una scala doppia all'altezza di circa mt. 4,40 per staffare delle canaline e conseguentemente precipitato al suolo.

 

Il lavoro era stato effettuato utilizzando la scala (e non un ponteggio mobile) su disposizione del Responsabile tecnico e del Servizio di Prevenzione (M. D.) e ciò in violazione del P.O.S. che prevedeva l'uso del trabattello e delle cinture di sicurezza.

 

Quest'ultimo, insieme all'amministratore unico della srl (M. G.) che a sua volta non aveva controllato il rispetto del POS, vennero condannati in primo grado; la Corte di Appello di Firenze confermava la condanna del M. D. ma mandava invece assolto, per non aver commesso il fatto, M. G., considerato che non era stato identificato nella sua persona colui che aveva colloquiato con il M. D. prima che quest'ultimo desse la disposizione dell'utilizzo della scala.

 

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore delle parti civili (nei confronti di M. G.) ed il difensore dell'imputato condannato - La Corte dichiara inammissibile il ricorso dell'imputato M. D. e rigetta i ricorsi delle parti civili.

 

La Corte afferma che il ricorso di M. D. è inammissibile, perchè fondato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondati.

"Nel confermare la pronuncia di condanna, la Corte territoriale ha osservato che la responsabilità del M. D. emergeva dalle seguenti circostanze:
- presso il cantiere sito nell'Istituto Cottolengo di (Omissis) il giorno dei fatti bisognava staffare delle canaline; a tale operazione erano stati addetti il G. ed il M.;
- i due operai avevano constatato che non era possibile utilizzare il ponteggio mobile in quanto il pavimento non era stato completato e vi erano rischi di instabilità;
- per tale motivo avevano telefonato al M. D. il quale, dopo avere contattato altra persona rimasta ignota, aveva disposto che lavorassero utilizzando la scala doppia;
- alle 14.00 il G. era salito per svolgere il lavoro, estendendo la scala fino a mt. 4,40, contro le indicazioni della ditta costruttrice della scala, che prevedeva una estensione massima di mt. 4,15;
- una volta salito, precipitava a terra riportando gravi lesioni cerebrali che ne determinavano il decesso;
- l'incidente era avvenuto durante l'attività di lavoro, in quanto la vittima non avrebbe avuto alcuna altra ragione per salire sulla scala e, peraltro, sulle pareti erano freschi i segni dove porre le canaline;
- la condotta tenuta su indicazione del D. violava le norme di sicurezza e le esplicite disposizioni del Piano di Sicurezza, che prevedevano l'utilizzo del carrello mobile e le cinture di sicurezza;
- l'uso di tali mezzi avrebbe evitato l'evento, in quanto il G. , anche se avesse patito un malore sarebbe stato protetto dai parapetti del ponteggio;
- del fatto doveva rispondere il M. D., in quanto era stato questi a dare una disposizione in contrasto con le misure di sicurezza, così ponendo in essere con colpa, la condizione che aveva determinato l'evento."

 

Quanto al ricorso delle parti civili nei confronti di M. G. la Corte afferma che esso va, invece, rigettato in quanto infondato.

"La Corte distrettuale ha osservato che nessuna addebito poteva essere mosso a tale imputato, in quanto l'azienda di cui questi era amministratore era dotata degli strumenti di lavoro che avrebbero consentito lo svolgimento della attività in sicurezza, come previsto dai P.O.S. Inoltre non era stato identificato nella sua persona colui che aveva colloquiato con il M. D. prima che quest'ultimo desse la disposizione dell'utilizzo della scala."


 

 
 
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORGIGNI Antonio Presidente del 11/01/2 -

Dott. IZZO Fausto rel. Consigliere SENTE -

Dott. MARINELLI Felicetta Consigliere N. -

Dott. VITELLI CASELLA Luca Consigliere REGISTRO GENER -

Dott. MONTAGNI Andrea Consigliere N. 20490/2 -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) M. D. , n. a (Omissis);

avverso la sentenza della Corte di Appello di Firenze del 4/12/2009 (n. 3588/09 ; nr. r.g. 1358/09);

nonchè proposto dalle parti civili, nei confronti di:

2) M. G. , n. a (Omissis);

udita la relazione fatta dal Consigliere Dott. Fausto Izzo;

udite le conclusioni del Procuratore Generale Dr. Fodaroni Maria Giuseppina, che ha chiesto rigettarsi il ricorso delle parti civili e dichiararsi inammissibile il ricorso di M. D.;

udite le conclusioni dell'Avv. Marina Bianco, per le parti civili, che ha concluso per l'accoglimento dei suoi ricorsi;

letta la memoria difensiva del 22/11/2010;

udite le conclusioni dell'Avv. Taddeucci Sassolini Giuseppe, per gli imputati, che ha chiesto accogliersi il ricorso di M. D. e rigettarsi quello delle parti civili.

 

Fatto

 

 

1. Con sentenza emessa in data 22/11/2007 il Tribunale di Firenze condannava M. G. e M. D. per il delitto di cui all'articolo 589 c.p., comma 2 per omicidio colposo in danno dell'operaio G. R. .

Dall'istruttoria svolta, ed in particolare dalla deposizione del compagno di lavoro M. M., era emerso che tale lavoratore verso le ore 14.00 del (Omissis) era salito su una scala doppia all'altezza di circa mt. 4,40 per staffare delle canaline. In tale frangente cadeva procurandosi gravi lesioni che lo conducevano a morte in data (Omissis).

Il lavoro era stato effettuato utilizzando la scala e non un ponteggio mobile su disposizione del M. D. e ciò in violazione del P.O.S. che prevedeva l'uso del trabattello e delle cinture di sicurezza. La responsabilità del fatto doveva ricadere sul M. D. (Responsabile tecnico e del Servizio di Prevenzione) che aveva disposto le modalità anomale di lavoro e sul M. G. (Amministratore Unico della " O. M. T. s.r.l.") che non aveva controllato il rispetto del P.O.S..

Gli imputati venivano condannati alla pena di anni 1 e mesi 6 di reclusione, con le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante, pena sospesa e non menzione, nonchè al risarcimento del danno in favore delle costituite parti civili, con la liquidazione di una provvisionale immediatamente esecutiva.

Con sentenza del 4/12/2009 la Corte di Appello di Firenze confermava la condanna del M. D. e mandava assolto, per non aver commesso il fatto, M. G., considerato che non era stato identificato nella sua persona colui che aveva colloquiato con il M. D. prima che quest'ultimo desse la disposizione dell'utilizzo della scala.

 

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore delle parti civili (nei confronti di M. G. ) ed il difensore dell'imputato condannato, lamentando:

 

2.1. M. D. : la contraddittorietà della motivazione in quanto dalla deposizione del teste M., contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, non era possibile desumere una dinamica certa dell'incidente. Invero al momento del fatto il M. si trovava di spalle alla scala e si era voltato solo dopo avere sentito il tonfo della caduta. Pertanto non era stato possibile accertare se il G. era caduto mentre saliva o scendeva; da che altezza; se avesse o meno segnato i punti di staffaggio; se era caduto per un malore o per altra causa. In ogni caso l'uso del ponteggio non avrebbe con certezza evitato l'evento in quanto per salire su di esso sarebbe pur sempre stato necessario l'utilizzo di una scala durante la salita della quale l'operaio poteva egualmente cadere.

2.2. le parti civili:

a) Carenza di motivazione in relazione alla esclusione della responsabilità del M. G., basata su una apodittica ma non dimostrata presenza nel cantiere del ponteggio mobile, previsto dal P.O.S. e che, se utilizzato, avrebbe evitato l'evento.

La presenza del trabatello non si evinceva nè dalla deposizione del collega di lavoro della vittima, M.M., nè dalla deposizione del tecnico della prevenzione dell'ASL T. E. .

b) la carenza di motivazione in ordine alla identificazione della persona con cui il M. D. si era consultato prima di disporre l'utilizzo della scala. Tale persona non poteva non essere il M. G. , unico altro socio della O. .

 

Diritto

 

 

3. Il ricorso di M. D. è inammissibile, perchè fondato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondati.

Nel confermare la pronuncia di condanna, la Corte territoriale ha osservato che la responsabilità del M. D. emergeva dalle seguenti circostanze:

- presso il cantiere sito nell'Istituto Cottolengo di (Omissis) il giorno dei fatti bisognava staffare delle canaline; a tale operazione erano stati addetti il G. ed il M. ;

- i due operai avevano constatato che non era possibile utilizzare il ponteggio mobile in quanto il pavimento non era stato completato e vi erano rischi di instabilità;

- per tale motivo avevano telefonato al M. D. il quale, dopo avere contattato altra persona rimasta ignota, aveva disposto che lavorassero utilizzando la scala doppia;

- alle 14.00 il G. era salito per svolgere il lavoro, estendendo la scala fino a mt. 4,40, contro le indicazioni della ditta costruttrice della scala, che prevedeva una estensione massima di mt. 4,15;

- una volta salito, precipitava a terra riportando gravi lesioni cerebrali che ne determinavano il decesso;

- l'incidente era avvenuto durante l'attività di lavoro, in quanto la vittima non avrebbe avuto alcuna altra ragione per salire sulla scala e, peraltro, sulle pareti erano freschi i segni dove porre le canaline;

- la condotta tenuta su indicazione del D. violava le norme di sicurezza e le esplicite disposizioni del Piano di Sicurezza, che prevedevano l'utilizzo del carrello mobile e le cinture di sicurezza;

- l'uso di tali mezzi avrebbe evitato l'evento, in quanto il G. , anche se avesse patito un malore sarebbe stato protetto dai parapetti del ponteggio;

- del fatto doveva rispondere il M. D. , in quanto era stato questi a dare una disposizione in contrasto con le misure di sicurezza, così ponendo in essere con colpa, la condizione che aveva determinato l'evento.

Le censure mosse dalla difesa alla sentenza, esprimono solo un dissenso generico rispetto alla ricostruzione del fatto (operata in modo conforme dal giudice di primo e secondo grado) ed invitano ad una rilettura nel merito della vicenda, non consentita nel giudizio di legittimità, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata che regge al sindacato di legittimità, non apprezzandosi nelle argomentazioni proposte quei profili di macroscopica illogicità, che soli, potrebbero qui avere rilievo. Peraltro, le censure formulate insinuano il dubbio sulle cause e modalità della caduta (malore; mentre scendeva o saliva, ecc.) e la sua ineluttabilità, in quanto la caduta sarebbe potuta avvenire, se utilizzato il ponteggio, anche al momento della salita su di esso.

Orbene, è da premettere che in sede di giudizio è possibile che si prospettino al giudice del merito una pluralità di possibili cause di un determinato evento.

Nella sua valutazione il giudice dovrà discernere quali siano quelle che costituiscono mere ipotesi, da quelle invece che si prospettano come probabili cause in quanto ancorate ad elementi di fatto emergenti dagli atti del processo.

Invero, come già in passato osservato da questa Corte (Cass. 4, 30057/06, imp. Talevi, rv. 234373), una mera ipotesi che si appartenga al novero del solo astrattamente possibile non è idonea, di per sè, a togliere rilievo a fatti diversi storicamente accertati che esplicano i loro effetti non piu' nella sfera dell'astrattamente possibile, ma in quella del concretamente probabile. A fronte di una spiegazione causale del tutto logica, siccome scaturente e dedotta dalle risultanze di causa correttamente evidenziate e spiegabilmente ritenute, la prospettazione di una spiegazione causale alternativa e diversa, capace di inficiare o caducare quella conclusione, non può essere affidata solo ad una indicazione meramente possibilista, ma deve connotarsi di elementi di concreta probabilità, di specifica possibilità, essendo necessario, cioè, che quell'accadimento alternativo, ancorchè pur sempre prospettabile come possibile, divenga anche, nel caso concreto, hic et nunc, concretamente probabile, alla stregua, appunto, delle acquisizioni processuali.

Nel caso di specie, come visto, la Corte di Appello, ha dato una coerente e logica motivazione della dinamica del sinistro, ancorata ai dati probatori raccolti, quindi come detto insindacabile in questa sede.

Alla inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, che si ritiene equo liquidare in euro 1.000,00, in favore della cassa delle ammende.

 

4. Il ricorso delle parti civili nei confronti di M. G. va, invece, rigettato in quanto infondato.

La Corte distrettuale ha osservato che nessuna addebito poteva essere mosso a tale imputato, in quanto l'azienda di cui questi era amministratore era dotata degli strumenti di lavoro che avrebbero consentito lo svolgimento della attività in sicurezza, come previsto dai P.O.S. Inoltre non era stato identificato nella sua persona colui che aveva colloquiato con il M. D. prima che quest'ultimo desse la disposizione dell'utilizzo della scala.

In ordine ai dubbi sulla presenza del ponteggio da utilizzare (come previsto dal P.O.S.), della sua presenza sul luogo di lavoro ne ha parlato il teste M. , collega della vittima; inoltre, il teste T. dell'ASL non ha escluso la sua presenza, ma ha solo riferito che all'atto del sopralluogo non era stato esibito.

Peraltro, come osservato dal giudice di merito, la presenza del ponteggio, inutilizzabile per la fisionomia del piano di calpestio, rende ragionevole il fatto che la vittima avesse chiesto al M. D. le modalità con cui proseguire il lavoro. Con riferimento alla successiva telefonata effettuata dall'imputato condannato, le parti civili ritengono che quest'ultimo, prima di dare la infausta disposizione di utilizzare la scala, si sia consultato con il M. G., così da coinvolgere anche il fratello nella responsabilità per il fatto verificatosi.

Ciò premesso, vanno condivise le argomentazioni svolte dalla Corte di merito che, pur valutando possibile che l'interlocutore con cui si era consultato il D. fosse il G., pur sempre questa rimaneva un'ipotesi che non poteva portare alla condanna dell'imputato al di la di ogni ragionevole dubbio.

Ne consegue da quanto detto che le censure formulate dalle parti civili sono infondate ed i loro ricorsi devono essere rigettati, si impone pertanto la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso dell'imputato M. D. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende;

rigetta i ricorsi delle parti civili e condanna le stesse al pagamento in solido tra loro delle spese del procedimento.