Cassazione Penale, Sez. 4, 22 aprile 2011, n. 16089 - Datore di lavoro ed idonea protezione della macchina


 

  • Datore di Lavoro
  • Macchina ed Attrezzatura di Lavoro
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    Responsabilità del legale rappresentante di una srl per infortunio ad operaia dipendente che  subiva l'amputazione della mano destra per aver introdotto il braccio nella bocca di scarico degli scarti dell'estrattore centrifugo per effettuarne la pulizia, siccome privo, a cagione delle omissioni dovute a colpa generica e specifica dell'imputato, di idonea protezione atta ad evitare il contatto delle mani delle operaie.

     

    Ricorso in Cassazione - Inammissibile.

     

    La Corte afferma che "non è dato evincere, ad onta delle infondate doglianze di ricorrente, alcuna contraddittorietà od illogicità con il conclusivo assunto dell'esclusione di un comportamento abnorme ed imprevedibile della lavoratrice ex se idoneo ad interrompere il nesso di causa tra le omissioni risalenti all'imputato e l'evento, alla cui formulazione erano pervenuti i Giudici d'appello all'esito di una congrua valutazione delle risultanze probatorie. Nè invero, in ossequio a consolidata e prevalente giurisprudenza di legittimità, la condotta della lavoratrice poteva qualificarsi, nel caso di specie, come atto abnorme, imprevedibile, inopinato. Abnorme è da ritenersi il comportamento imprudente del lavoratore che o sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - quindi, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - ovvero che, pur rientrando nelle mansioni che gli sono proprie, sia consistito in qualcosa di radicalmente e di ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore stesso nella esecuzione del lavoro. Sicchè, al di fuori dell'ipotesi di siffatta condotta abnorme, il datore di lavoro è responsabile anche degli infortuni ascrivibili a imperizia, negligenza ed imprudenza del lavoratore,essendo questi titolare di una posizione di garanzia che gli impone di apprestare tutti gli accorgimenti, i comportamenti e le cautele necessari a garantire la massima protezione del bene protetto: la salute e l'incolumità del lavoratore. Una siffatta posizione conduce necessariamente ad escludere che il datore di lavoro possa fare affidamento sul diretto, autonomo, rispetto da parte del lavoratore delle norme precauzionali, essendo invece suo compito, non solo apprestare tutti gli accorgimenti che la migliore tecnica consente per garantire la sicurezza degli impianti o macchinar utilizzati, ma anche di adoperarsi perchè la concreta esecuzione del lavoro avvenga nel rispetto di quelle modalità."


     

     

    REPUBBLICA ITALIANA
    IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
    SEZIONE QUARTA PENALE

     

    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

    Dott. MARZANO Francesco - Presidente

    Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

    Dott. IZZO Fausto - Consigliere

    Dott. VITELLI CASELLA Luca - rel. Consigliere

    Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

    ha pronunciato la seguente:
    sentenza

     

    sul ricorso proposto da:

    1) T.A. N. IL (OMISSIS);

    avverso la sentenza n. 1447/2006 CORTE APPELLO di L'AQUILA, del 03/12/2008;

    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/01/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUCA VITELLI CASELLA;
    Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Monetti Vito, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;

    Udito il dif. avv. Brasile Luigi che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

     

    Fatto

     

    Ricorre per cassazione T.A., tramite il difensore, avverso la sentenza emessa in data 2 dicembre 2008 con la quale, la Corte d'appello dell'Aquila, in parziale riforma della sentenza pronunziata in data 13 ottobre 2005 dal Tribunale di Vasto, ritenuto il concorso di colpa della vittima, riduceva la pena a mesi DUE di reclusione, confermando nel resto le statuizioni relative all'affermazione della penale responsabilità dell'imputato in ordine al delitto di cui all'art. 590, commi 3 e 5 in relazione all'art. 583 c.p., comma 2, n. 3, commesso in (OMISSIS) in danno di Z.M., operaia alle dipendenze del T. s.r.l. (di cui il ricorrente era legale rappresentante), che subiva l'amputazione della mano destra (lesioni personali gravissime conseguenti alla perdita di un arto) per aver introdotto il braccio nella bocca di scarico degli scarti dell'estrattore centrifugo per effettuarne la pulizia, siccome privo, a cagione delle omissioni dovute a colpa generica e specifica dell'imputato, di idonea protezione atta ad evitare il contatto delle mani delle operaie addette con le pale in movimento, del rotore.


    Censura il ricorrente la sentenza con un unico motivo, deducendo il vizio di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.

    Nessuna argomentazione ha addotto la Corte d'appello a suffragio della sussistenza del nesso di causa tra la presunta omissione - ascritta all'imputato -(per non aver dotato l'apparecchiatura di un sistema idoneo a garantire che l'operaio addetto lavorasse a distanza di sicurezza, quale una prolunga od altro) ed il verificarsi dell'evento lesivo. Ed inoltre, dopo aver ribadito che alla produzione dell'evento ha sicuramente contribuito la stessa parte offesa, ha tuttavia la stessa Corte distrettuale affermato, in termini apodittici e contraddittori, che il comportamento della lavoratrice infortunata non ha rivestito il ruolo di causa esclusiva o fortemente prevalente (come avrebbe lasciato intendere la premessa del ragionamento esposto nella motivazione della sentenza) ma solo di causa indipendente, ma concorrente dell'evento, senza quantificare tale concorso di colpa.

     

     

    Diritto

     

    Il ricorso è inammissibile per manifesta infondatezza essendo basato, come si dirà in appresso, su doglianze attinenti a motivi non consentiti in sede di legittimità ovvero concernenti questioni tecnico -giuridiche prospettate in termini difformi alla prevalente e consolidata giurisprudenza di questa Corte. Non è quindi consentito rilevare l'intervenuta prescrizione (posto che si tratterebbe di causa originaria di inammissibilità) che, alla stregua di quanto dedotto dal difensore nel corso dell'odierna discussione, si sarebbe definitivamente compiuta il 31 novembre 2009 ovvero successivamente alla pronunzia della sentenza d'appello.
    Ed invero l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude pertanto la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (v. Sezioni unite, 22 novembre 2000, n. 32, De Luca, rv. 217266).

    Ciò posto, osserva il Collegio che la Corte distrettuale ha correttamente e logicamente dato conto nella motivazione della sentenza impugnata, richiamando per relationem quella della sentenza di primo grado, che, in violazione di quanto prescritto dal D.P.R. n. 547 del 1955, art. 73 (integrante il profilo di colpa specifica contestata all'imputato), l'apertura dell'apparecchio estrattore a centrifuga, deputata alla fuoriuscita degli scarti delle lavorazioni dei prodotti vegetali, non era dotata di un dispositivo di sicurezza (costituito da una prolunga o da una griglia) idoneo ad impedire che l'operatore (o chiunque altro) - sia che la macchina funzionasse ad una certa altezza da terra sia che fosse appoggiata al suolo (come era accaduto al momento dell'infortunio) - potesse raggiungere, previa introduzione all'interno della mano, il rotore in movimento.


    Come logicamente rimarcato dai Giudici d'appello, è ovvio che, l'incidente si era verificato proprio perchè la lavoratrice non aveva incontrato siffatto specifico "impedimento". Tant'è vero che l'Ufficiale di P.G. della USL B.L. aveva, dopo il fatto, formulato al T. specifica prescrizione in tal senso alla quale questi "si era poi attenuto rendendo addirittura inamovibile la prolunga della bocca di scarico degli scarti, a mezzo di bullonatura o saldatura (v. test. B. a pag. 16)", come testualmente si legge nella sentenza di primo grado. Tantomeno è incorsa la Corte d'appello nel dedotto vizio di inosservanza od erronea applicazione del citato art. 192 c.p.p. allorchè ha ritenuto il concorso di colpa della vittima nella produzione dell'evento per aver posto in essere "un'operazione indubbiamente anomala ", di pulizia manuale, come pacificamente acclarato in punto di fatto, senza esser tenuta a quantificarne, in termini percentuali, l'effettiva incidenza, non dovendo i Giudici di merito statuire in ordine alla responsabilità civile dell'imputato.


    Posta siffatta chiara premessa, non è dato evincere, ad onta delle infondate doglianze di ricorrente, alcuna contraddittorietà od illogicità con il conclusivo assunto dell'esclusione di un comportamento abnorme ed imprevedibile della lavoratrice ex se idoneo ad interrompere il nesso di causa tra le omissioni risalenti all'imputato e l'evento, alla cui formulazione erano pervenuti i Giudici d'appello all'esito di una congrua valutazione delle risultanze probatorie. Nè invero, in ossequio a consolidata e prevalente giurisprudenza di legittimità, la condotta della lavoratrice poteva qualificarsi, nel caso di specie, come atto abnorme, imprevedibile, inopinato. Abnorme è da ritenersi il comportamento imprudente del lavoratore che o sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - quindi, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - ovvero che, pur rientrando nelle mansioni che gli sono proprie, sia consistito in qualcosa di radicalmente e di ontologicamente lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore stesso nella esecuzione del lavoro. Sicchè, al di fuori dell'ipotesi di siffatta condotta abnorme, il datore di lavoro è responsabile anche degli infortuni ascrivibili a imperizia, negligenza ed imprudenza del lavoratore,essendo questi titolare di una posizione di garanzia che gli impone di apprestare tutti gli accorgimenti, i comportamenti e le cautele necessari a garantire la massima protezione del bene protetto: la salute e l'incolumità del lavoratore. Una siffatta posizione conduce necessariamente ad escludere che il datore di lavoro possa fare affidamento sul diretto, autonomo, rispetto da parte del lavoratore delle norme precauzionali, essendo invece suo compito, non solo apprestare tutti gli accorgimenti che la migliore tecnica consente per garantire la sicurezza degli impianti o macchinar utilizzati, ma anche di adoperarsi perchè la concreta esecuzione del lavoro avvenga nel rispetto di quelle modalità. (cfr. in senso conforme, ex multis Sez. 4, Sentenza n. 47146 del 29/09/2005 - dep. 23/12/2005 - Imputato: Riccio con cui si è stabilito che "il comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento, tanto da escludere la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, solo quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzarle intervento e prevedibile scelta del lavoratore. Tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorchè avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, non essendo esso, in tal caso, eccezionale ed imprevedibile").


    Alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè (trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente: cfr. Corte Costituzionale sent. N. 186 del 7-13 giugno 2000) al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00.

     

    P.Q.M.


    Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della Cassa delle ammende.