Cassazione Penale, Sez. 4, 18 maggio 2011, n. 19566 - Tubi di ghisa e responsabilità del direttore tecnico di cantiere per infortunio


Responsabilità del Direttore Tecnico di cantiere per infortunio ad un lavoratore dipendente della ditta individuale alla quale il Comune aveva appaltato l'esecuzione delle opere per la realizzazione della rete idrica cittadina:  era infatti accaduto che durante le operazioni di imbraco, sollevamento e scarico di tubi di ghisa dal rimorchio di un autoarticolato parcheggiato sul molo, veniva colpito alla testa da un tubo in fase di sollevamento e spostamento.

 

In violazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, l'imputato ometteva di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere e di attuare le misure tecniche ed organizzative volte a ridurre al minimo i rischi nonchè a verificare l'idoneità degli accessori e delle operazioni di sollevamento e imbracatura dei carichi, ed ometteva, altresì, di provvedere alle necessarie verifiche prima di consentire lo scarico dei tubi.

 

Condannato, ricorre in Cassazione - Rigetto.

Attesa l'indubbia colposità della condotta dell'imputato che violò le raccomandazioni del direttore dei lavori (F.) in ordine all'attrezzatura da adoperare, ed anzi si disinteressò palesemente delle operazioni affidategli dal suddetto demandandone interamente l'esecuzione e l'organizzazione alla parte offesa con il significativo invito "organizzati", sì da configurare la colpa generica contestata ulteriormente evidenziata, come rilevato dalla Corte territoriale, dal fatto di aver messo a disposizione degli operai un piccone e non già delle cesoie per tagliare le fascette che legavano i tubi, è logicamente conseguente ed ineludibile ritenere che l'evento letale che ne seguì sia da porre in diretto rapporto causale con la detta condotta colposa come, di converso, non vi è ragione di ritenere che la puntuale ottemperanza alle prescrizioni ricevute al riguardo avrebbe avuto le medesime conseguenze letali.

 

Non meno corretta ed esaustiva è la motivazione addotta in ordine alla posizione di garanzia dell'imputato.

La qualifica di "direttore del cantiere dell'impresa" (che lo stesso ricorrente non contesta, rappresentando solo la confusione terminologica con quella di "direttore tecnico dell'impresa") risulta tratta dalla deposizione del teste S., che effettuò le indagini sull'incidente nonchè da quella del direttore dei lavori (F.). La posizione di garanzia deriva dalla stessa funzione svolta (nel caso in esame, in violazione di precise indicazioni del F. e del piano di coordinamento sopra richiamato), non essendo necessaria a tal fine una specifica delega di competenze in materia di sicurezza.

 

Quanto all'ultima censura, corretta s'appalesa la motivazione addotta al riguardo dalla sentenza impugnata laddove ha escluso ogni valenza ai fini della graduazione della colpa riconosciuta al F., della colpevole condotta della persona offesa (che non era provato non indossasse il casco protettivo e che non violò, come già rilevato, alcuna specifica disposizione in tema di sicurezza) nella quale non ha ravvisato i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità o dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo al punto da essere del tutto imprevedibile o inopinabile.


 



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MARZANO Francesco - Presidente

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto - rel. Consigliere

Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) F. C. N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 659/2009 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del 25/03/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 07/04/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO MASSAFRA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MONETTI Vito che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore avv. Luchi, del foro di Cagliari, per l'impugnato, il quale resiste per l'accoglimento del ricorso.

 

Fatto

 

 

Il Tribunale di Cagliari-Sezione distaccata di Carbonia, con sentenza in data 13.7.2007, affermava la penale responsabilità di F. C. in ordine al reato di cui all'articolo 590 c.p.p., comma 3, per avere, secondo l'imputazione, nella qualità di Direttore Tecnico di cantiere della Ditta A., cagionato per colpa, consistita in imprudenza, imperizia, negligenza e nella violazione della norma di prevenzione prevista dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, lesioni gravi, dalle quali derivava una malattia con incapacità di attendere alle ordinarie occupazioni per un periodo superiore ai 40 giorni (trauma cranio cerebrale con frattura temporale destra, ematomi extra e sottodurale, contusione emorragica tempora-basale), nonchè l'indebolimento della funzione cognitiva superiore ed a carico della sfera psichica, al lavoratore C. P., dipendente della ditta individuale A. F. (ditta alla quale il Comune di (Omissis) aveva appaltato l'esecuzione delle opere relative alla realizzazione della rete idrica cittadina sul lungomare di detto centro), in quanto, durante le operazioni di imbraco, sollevamento e scarico di tubi di ghisa dal rimorchio di un autoarticolato parcheggiato sul molo, veniva colpito alla testa da un tubo in fase di sollevamento e spostamento.

In particolare, perchè, in violazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 35, ometteva di mettere a disposizione dei lavoratori attrezzature adeguate al lavoro da svolgere e di attuare le misure tecniche ed organizzative volte a ridurre al minimo i rischi connessi alle attrezzature di lavoro nonchè a verificare l'idoneità degli accessori e delle operazioni di sollevamento e imbracatura dei carichi, ed ometteva, altresì, di provvedere alle necessarie verifiche prima di consentire lo scarico dei tubi (essendo risultato che per rompere le fascette in acciaio veniva utilizzato un piccone, che, come mezzo di sollevamento dei tubi, veniva utilizzata una terna gommata non idonea allo scopo e che il gancio di sollevamento saldato sul braccio della terna risultava sprovvisto di dispositivo di antichiusura) (in (Omissis)).

Il F. veniva, pertanto, condannato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di 2 mesi di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi davanti al competente Giudice Civile, con l'assegnazione di una provvisionale provvisoriamente esecutiva di euro 3.000, e alla rifusione delle spese sostenute dalla stessa.

Il Tribunale fondava la decisione di colpevolezza sulla base delle deposizioni rese dalla p.o. C. P. unitamente a quelle di vari altri testi dipendenti della ditta A. e del direttore dei lavori Ing. F. A. nonchè alle dichiarazioni del medico consulente del P.M. e di S. A. in servizio presso l'ASL n. (Omissis) che, in seguito gli accertamenti sul posto, muoveva, nella sua relazione, al F., direttore del cantiere, una serie di contestazioni, rilevando, tra l'altro, la carenza nel P.O.S. (Piano operativo di sicurezza) relativamente alla valutazione dei rischi.

Tale pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte di Appello di Cagliari con sentenza in data 25.3.2010 che applicava al F. l'indulto sulla pena inflitta.

 

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il difensore di fiducia di F. deducendo i seguenti motivi.

 

1. L'inosservanza o erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articoli 5 e 35, quali norme integrataci della legge penale e contraddittorietà della motivazione, avendo la Corte omesso di tenere conto delle norme citate, limitandosi a ratificare quanto affermato dal giudice di primo grado in ordine all'assoluta ininfluenza dell'utilizzo da parte del C. di attrezzature diverse da quelle indicate dal F. , in pieno contrasto con quanto affermato dal capo d'imputazione.

Inoltre, la sentenza impugnata ritiene provata l'inadeguatezza delle attrezzature messe a disposizione degli operai, sulla scorta della sola circostanza che l'ing. F. aveva raccomandato (come da verbale di "Coordinamento della sicurezza in esecuzione" riprodotto in ricorso) di eseguire lo scarico dei tubi unicamente a mezzo della gru di cui il camion che li trasportava doveva essere dotato: mentre dal documento in questione e ritrascritto in ricorso non risultavano tali "istruzioni precise ed inderogabili" dell'ing. Fa. .

 

2. Il vizio motivazionale in ordine alla mancanza del nesso di causalità tra condotta dell'imputato e l'evento, avendo la sentenza sostenuto che l'omessa osservanza della distanza di sicurezza, oggetto di specifica disposizione impartita al lavoratore, non avrebbe rilievo alla luce dell'utilizzo di un mezzo diverso da quello adeguato, in tal modo non verificando la probabilità di realizzazione dell'evento lesivo laddove il lavoratore avesse tenuto una condotta conforme alle istruzioni impartitegli.

 

3. L'inosservanza o erronea applicazione del Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 12, comma 3, ed il vizio motivazionale circa la posizione di garanzia, attesa la confusione che fa la sentenza attribuendo al F. la qualifica di direttore del cantiere dell'impresa rispetto a quella di direttore tecnico dell'impresa di cui all'imputazione che riguardano incarichi ben diversi e non sovrapponigli.

Nè la sentenza aveva valutato quanto risultante dagli atti circa la qualifica del Ca. come operaio specializzato e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza laddove aveva invece sostenuto che non erano emersi elementi per sostenere che il Ca. avesse la qualifica di capo cantiere e ciò a fronte dello specifico motivo d'appello che rappresentava la possibilità che la posizione di garanzia attribuita al Fa. fosse invece atribuibile alla persona offesa.

 

4. Il vizio motivazionale circa l'esorbitanza ed imprevedibilità della condotta della persona offesa circa il contributo causale della stessa al verificarsi dell'evento.

 

 

Diritto

 

 

Il ricorso è infondato.

Le censure mosse hanno riproposto in questa sede sostanzialmente le medesime doglianze rappresentate dinanzi alla Corte territoriale che le ha disattese con motivazione ampia e congrua, immune da vizi ed assolutamente plausibile. Inoltre, le dette censure nel criticare le argomentazioni in motivazione addotte dal Giudice di appello, cercano di sovrapporre, estrapolandoli dal contesto motivazionale, incisi del tutto irrilevanti ed inconferenti rispetto alle conclusioni lineari e corrette assunte dalla Corte territoriale.

Invero, corrisponde a logica elementare l'irrilevanza dell'utilizzo per le operazioni di scarico dei tubi di ghisa da parte del C. di una terna (escavatrice gommata) JCB diversa da quella indicata dal F.: se nessuna delle due avrebbe dovuto essere adoperata secondo le indicazioni dell'ing. F. che, come emerge dal documento in tema di coordinamento della sicurezza riprodotto in ricorso (ritenendo che sia il medesimo al quale si riferisce la sentenza impugnata a pag. 4), faceva riferimento ad un "mezzo di sollevamento" (e tale non può ritenersi la terna che ha funzione di scavatrice) ed in particolare, sia pur implicitamente, ad una gru laddove si richiama la fascia di sollevamento e l'esatta centratura dei carico, è chiaro che la mancata ottemperanza alle prescrizioni del sovraordinato in materia di sicurezza esponeva l'imputato a piena responsabilità derivante dall'utilizzo di attrezzatura non prevista dal piano di coordinamento e, come tale, inidonea all'operazione effettuanda. Del pari la distanza di sicurezza che il personale doveva mantenere "dal raggio di azione del mezzo di sollevamento", atteso il contesto in cui veniva raccomandata, era riferibile esclusivamente all'impiego dell'attrezzatura indicata (cioè la gru), sicchè correttamente la Corte territoriale ha ritenuto l'irrilevanza della breve distanza dal carico in movimentazione alla quale si trovava il C. .

Attesa l'indubbia colposità della condotta dell'imputato che violò le raccomandazioni del F. in ordine all'attrezzatura da adoperare, ed anzi si disinteressò palesemente delle operazioni affidategli dal F. demandandone interamente l'esecuzione e l'organizzazione al C. con il significativo invito "organizzati", sì da configurare la colpa generica contestata ulteriormente evidenziata, come rilevato dalla Corte territoriale, dal fatto di aver messo a disposizione degli operai un piccone e non già delle cesoie per tagliare le fascette che legavano i tubi, è logicamente conseguente ed ineludibile ritenere che l'evento letale che ne seguì sia da porre in diretto rapporto causale con la detta condotta colposa come, di converso, non vi è ragione di ritenere che la puntuale ottemperanza alle prescrizioni ricevute al riguardo avrebbe avuto le medesime conseguenze letali, onde era superflua una specifica verifica in tal senso da parte del giudice di appello.

Non meno corretta ed esaustiva è la motivazione addotta in ordine alla posizione di garanzia del F., anch'essa già contestata con l'atto di appello.

La qualifica di "direttore del cantiere dell'impresa" (che lo stesso ricorrente non contesta, rappresentando solo la confusione terminologica con quella di "direttore tecnico dell'impresa") risulta tratta dalla deposizione del teste S., che effettuò le indagini sull'incidente nonchè da quella dell'ing. F., direttore dei lavori. La posizione di garanzia deriva dalla stessa funzione svolta (nel caso in esame, in violazione di precise indicazioni del F. e del piano di coordinamento sopra richiamato), non essendo necessaria a tal fine una specifica delega di competenze in materia di sicurezza.

Nè quanto correttamente osservato al giudice a quo circa la concreta qualifica della persona offesa (operaio che non aveva alcun potere di autonomia decisionale o di sovra-ordinazione rispetto agli altri dipendenti, come sta a dimostrare anche la frase "organizzati" rivoltagli dal F. , dei cui ordini era mero esecutore), può ritenersi superato dalle deduzioni del ricorrente, dal momento che la funzione di "rappresentante del Lavoratori per la sicurezza" attribuita al C. non vale in alcun modo a suffragare la tesi difensiva che rivestisse anche la qualifica di capo cantiere.

Al riguardo, non è inutile ricordare che il nuovo testo dell'articolo 606 cod. proc. pen., comma 1, lettera e), come modificato dalla Legge 20 febbraio 2006, n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli "atti del processo", non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito (Cass. pen. Sez. 4, 19.6.2006, n. 38424), giacchè, attraverso la verifica del travisamento della prova. Il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi (Cass. pen., Sez. 4, 12.2.2008, n. 15556, rv. 239533). Ciò peraltro vale nell'ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell'ipotesi di doppia pronunzia conforme (come nel caso di specie, in ordine al riconoscimento della penale responsabilità) il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l'ipotesi In cui il giudice d'appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice. Ancora, va rammentato che non è necessario che nella motivazione il giudice di merito debba compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo; nel qual caso devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata e ravvisare, quindi, la superfluità delle deduzioni suddette (cfr. Cass, pen. Sez. 4 24.10.2005, n. 1149, Rv. 233187).

E tanto è ciò che, alla luce delle sovrapposte considerazioni, si ritiene abbia compiutamente fatto la Corte territoriale.

Quanto all'ultima censura, corretta s'appalesa la motivazione addotta al riguardo dalla sentenza impugnata (pag. 5) laddove ha escluso ogni valenza ai fini della graduazione della colpa riconosciuta al F., della colpevole condotta della persona offesa (che non era provato non indossasse il casco protettivo e che non violò, come già rilevato, alcuna specifica disposizione in tema di sicurezza) nella quale non ha ravvisato i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità o dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo al punto da essere del tutto imprevedibile o inopinabile.

Del resto, è stato affermato che "in caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (Sez. 4, n. 36339 del 7.6.2005, Rv. 2322271).

 

Consegue il rigetto del ricorso e, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.