Cassazione Penale, Sez. 1, 20 maggio 2011, n. 20123 - Strage di Nassiriyah e responsabilità


 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

 

Composta dagli III.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIEFFI Severo - Presidente

Dott. SIOTTO Maria Cristina - Consigliere

Dott. ZAMPETTI Umberto - rei. Consigliere

Dott. DI TOMASSI Mariastefania - Consigliere

Dott. CAPOZZI Raffaele - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

 

sul ricorso proposto da:

1) B.S. N. IL (OMISSIS);

2) C.A. N. IL (OMISSIS);

3) I.C. N. IL (OMISSIS);

4) C.M.D. N. IL (OMISSIS);

5) C.R. N. IL (OMISSIS);

6) F.D. N. IL (OMISSIS);

7) CI.MA. N. IL (OMISSIS);

8) F.A. N. IL (OMISSIS);

9) FR.GI.MA.AL N. IL (OMISSIS);

10) CO.GI.PA. N. IL (OMISSIS);
 
11) M.R. N. IL (OMISSIS);
 
12) IN.AL N. IL (OMISSIS);
 
13) IN.MA. N. IL (OMISSIS);
 
14) ME.FA. N. IL (OMISSIS);
 
15) S.A. N. IL (OMISSIS);
 
16) P.G. N. IL (OMISSIS);
 
17) PA.LU. N. IL (OMISSIS);
 
18) P.G. N. IL (OMISSIS);
 
19) PE.VI. N. IL (OMISSIS);
 
20) R.S. N. IL (OMISSIS);
 
21) MOTI. N. IL (OMISSIS);
 
22) Z.A. N. IL (OMISSIS);
 
23) T.M. N. IL (OMISSIS);
 
24) T.V. N. IL (OMISSIS);
 
25) MO.FR. N. IL (OMISSIS);
 
26) PA.AD.;
 
27) RO.MA.;
 
28) RO.NA.;
 
29) S.R. N. IL (OMISSIS);
 
30) L.V. N. IL (OMISSIS) C/;
 
31) ST.BR. N. IL (OMISSIS) C/;
 

1) MINISTERO DIFESA;

avverso  la  sentenza   n.   52/2009  CORTE   MILITARE  APPELLO  di   ROMA,  del 24/11/2009;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/11/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO ZAMPETTI; 


udito il P.G. in persona del Dott. Gentile F., sost. P.G. Militare che ha concluso per l'annullamento agli effetti civili;

udite, le parti civili, l'avv. Conte, Battocletti, anche per avv. Paoletti, Piccioni, anche per avv. Gamberoni, Tartaglia e Marpillero;

uditi i difensori avv. Polidori per L; Prof. Avv. Coppi per St..

 

 

Fatto

 

 

1. Il fatto storico alla base del presente procedimento penale - tristemente noto come strage di Nassiriyah - si è verificato alle ore 10,40 locali del 12.11.2003 quando un'autocisterna imbottita di esplosivo, con due uomini a bordo, proveniente dal ponte denominato Al Zaytun, si avvicinava alla base Maestrale -sede di un contingente militare italiano nell'ambito della missione Antica Babilonia - base allocata nell'edificio denominato "Camera di Commercio" sito all'interno dell'abitato della predetta località irakena. Secondo l'accertata dinamica - in questi limiti non contestata tra le parti processuali - il conducente dell'anzidetto automezzo, giunto all'altezza del varco esistente tra la fila semicircolare degli hesco bastion, svoltava repentinamente alla sua sinistra (così puntando verso l'edificio); il passeggero dell'autocisterna sparava contro la postazione di guardia che, nella persona del carabiniere F. A., rispondeva al fuoco; il mezzo degli attentatori proseguiva la marcia e, dopo aver divelto la sbarra d'ingresso, andava ad impattare contro la linea di hesco bastion, superandolo appena con la parte anteriore, al limite del parcheggio interno. A questo punto si verificava la devastante esplosione, a 25 metri circa dalla palazzina, che cagionava complessivamente la perdita di almeno 26 vite umane (12 carabinieri, 5 militari dell'esercito, 2 civili italiani, 7 o 9 cittadini irakeni) oltre ad un numero non precisato (forse 140) di feriti ed ingenti perdite materiali. In particolare l'edificio oggetto dell'attentato ebbe a subire la sostanziale distruzione; l'esplosione peraltro ebbe a provocare danni materiali anche all'edificio, sito al di là del fiume Eufrate, denominato "Museo", sede della base Libeccio.

Per tale gravissimo fatto si procedeva a carico dei generali dell'Esercito L.V. e St.Br. nonché del Colonnello dei Carabinieri D.P.G.. I primi due optavano per il rito abbreviato da cui deriva la presente vicenda processuale, mentre per il D.P. si procedeva a parte con rito ordinario.

A questo punto occorre dar conto però che l'addebito inizialmente mosso ai predetti ufficiali era quello di omissione aggravata di provvedimenti per la difesa militare di cui agli artt. 47 e 98 c.p.m.g. e art. 99 c.p.m.g., n. 1. In esito peraltro all'entrata in vigore della L. n. 247 del 2006, che disponeva l'applicazione del c.p.m.p. per il personale militare operante in Irak, il P.M. militare procedeva a modifica dell'imputazione, convertita in quella su cui si è poi dipanato il processo di distruzione pluriaggravata colposa di opere militari di cui all'art. 40 cpv. c.p., art. 47 c.p.m.g., nn. 2, 3 e 5, art. 167 c.p.m.g., comma 1 e u.c., operazione processuale che questa stessa sezione della Corte di cassazione, con sentenza n. 19331 in data 09.04.2008, riteneva del tutto legittima sul rilievo trattarsi di diversa qualificazione giuridica dello stesso fatto storico già contestato sub altro nomen juris.

L'addebito, quale consacrato nella richiesta di rinvio a giudizio, è dunque quello di distruzione pluriaggravata colposa di opere militari, nella pari qualifica di comandanti dell'Italian Joint Task Force Irak rivestita dal L. dall'inizio della missione (20.06.2003) al 07.10.2003, e dallo S. dall'08.10.2003 al momento dell'evento. L'imputazione, premessa la posizione di garanzia gravante sui predetti comandanti (ed invero è richiamato l'obbligo di impedire l'evento di cui all'art. 40 cpv. c.p.), ascrive ai due imputati l'omissione di disposizioni operative idonee a garantire l'adeguata difesa delle basi, a fronte delle ripetute minacce di attentati terroristici, od a ridurne la forza di impatto, con profili colposi addebitati in questi termini: a) imprudente sottovalutazione delle concrete minacce di attacchi armati contro il contingente italiano da attuare con mezzi mobili carichi di esplosivo; b) negligente inattività in ordine alle misure di protezione passiva a fronte delle notizie di un prossimo attentato pervenute in via crescente, dettagliata e diffusa fino alla data del 12.11.2003; e) negligente inattività in relazione alla necessità, resa evidente dalle predette allarmanti notizie, di una revisione del ed. dispositivo sul terreno ai fini di un più incisivo contrasto ai suddetti piani criminosi.

La sentenza di primo grado, resa dal Gup del Tribunale militare di Roma in data 20.12.2008, assolveva il L. mentre condannava lo S. alla pena di anni 2 di reclusione militare, nonché al risarcimento dei danni, da liquidare in separata sede, in favore delle costituite parti civili.

Tale pronuncia di primo grado era appellata dal Pubblico Ministero, dalle parti civili e dalla difesa dello S.. Con sentenza deliberata in data 24.11.2009 e depositata il 13.01.2010 la Corte militare d'appello assolveva il L. e lo S. perchè il fatto non costituisce reato in applicazione dell'esimente di cui all'art. 51 c.p..

Tale sentenza, oggetto dell'odierno scrutinio, svolge sostanzialmente un costrutto decisorio logico-giuridico che si può sintetizzare nel seguente schema:

a)   sussisteva effettiva ed indiscutibile posizione di garanzia nei due imputati, e dunque obbligo, su loro gravante per la veste di comandanti, di provvedere alla migliore sicurezza delle truppe affidate e delle basi della missione;

b)   sussisteva pericolo concreto di attentati contro la base italiana, in specie da effettuare con veicoli carichi di esplosivo, segnalati in continuazione fino al giorno del fatto, e dunque anche concreta prevedibilità dell'evento;

e) le misure di sicurezza passiva della base Maestrale erano complessivamente inadeguate;

d) sussisteva nesso di causalità tra le condotte omissive e l'evento;

e)   era però nel concreto quantomeno dubbio il requisito dell'evitabilità dell'evento;

f)  sussisteva peraltro, in capo agli imputati, l'esimente dell'adempimento del dovere per ordine legittimo di pubblica autorità superiore.

Ed invero la sentenza della Corte militare d'appello, dopo avere ricostruito il fatto nei suoi elementi storici, confrontando lo stesso con i termini dell'addebito, alla stregua anche dei motivi dei proposti gravami, accertava dapprima -confermando la sostanziale bontà dei dati refluenti dalle relazioni ispettive dei generali Ch. e Q., privilegiati rispetto ad altre risultanze ritenute meno affidabili - la complessiva insufficienza di adeguati mezzi di difesa passiva (anche se con valutazione meno severa di quella del primo giudice), rilevando: a) l'area di rispetto nella zona circostante la base, al fine di avvistare e fronteggiare eventuali intrusioni ostili, pur sussistente, era quella che gli spazi ristretti consentivano, inadeguata, comunque, a fronte di un attentato con camion bomba che avrebbe richiesto ben maggiore ampiezza; b) pur mancando vere e proprie serpentine all'ingresso della base, al fine di imporre il rallentamento dei veicoli in avvicinamento, serpentine per le quali non vi era spazio sufficiente, lo scopo era però in qualche modo raggiunto dalla necessità, per i veicoli in ingresso provenienti dalla strada, di voltare prima a sinistra e poi leggermente a destra; vi era poi una sbarra la cui reale robustezza non si è potuta però accertare. Quanto ad ulteriori elementi prospettati dalle parti, rilevava la Corte militare d'appello che non risultava nesso di casualità tra la deflagrazione delle munizioni custodite nella cd. "riservetta" e le perdite subite, ed altrettanto in merito al fatto che gli hesco bastion fossero riempiti di ghiaia anziché di sabbia, comunque dovendosi rilevare, per entrambi tali aspetti, che si trattava di questioni la cui riferibilità alla competenza degli imputati era almeno dubbia.

Ciò posto, confermava la Corte militare d'appello la sussistenza di una vera e propria posizione di garanzia in capo ai due imputati per la veste di comandanti del Corpo di spedizione, cui incombeva la sicurezza di uomini e strutture, con rilevabile responsabilità anche per il periodo precedente l'attentato, e dunque pure per il L, sia per la sussistenza di segnalazioni di attentati già prima del passaggio del comando allo S., cui non era seguita coerente attivazione, sia per le note regole giuridiche in tema di successione nella posizione di garanzia.

La posizione di garanzia, e cioè l'obbligo di impedire l'evento, era poi ritenuta riscontrata dal giudizio controfattuale per cui, se fossero state attuate le condotte virtuose necessarie, l'evento non si sarebbe verificato, condotte positive che venivano individuate - dobbiamo ora dire in via ipotetica, stante le successive considerazioni della Corte militare - nel trasferimento della base, ovvero nella chiusura di strade e ponti in prossimità della base stessa, in una prospettiva di tendenziale azzeramento del rischio.

Erano accertati concreti e ripetuti elementi di preavviso del pericolo costituito da un attentato contro la base italiana da eseguire con mezzi mobili carichi di esplosivo. In tal senso, ricordato come il giudizio di prevedibilità dovesse ancorarsi pur sempre a parametri concreti, la sentenza in esame ricorda una serie di preallarmi, notificati al Comando, derivanti dall'Intelligence in zona, susseguitisi dal 23 Luglio fino ai primi di Novembre, con vario grado di attendibilità e specificità, fino all'indicazione (punto di situazione del 10 Ottobre) secondo cui "possano essere incrementati gli attacchi con veicoli bomba" e (punto di situazione del 5 Novembre) "un gruppo di terroristi di nazionalità siriana e yemenita si sarebbe trasferito nella città di An Nassirya". Tali concreti preallarmi dovevano poi essere coniugati con la realtà di numerosi sanguinosissimi attentati posti in essere in Irak in quel periodo, tutti con veicoli-bomba (l'ultimo solo il 14 Ottobre). La sentenza della Corte militare conclude sul punto affermando che, seppure dovesse ritenersi "basso" il coefficiente di probabilità di un attentato quale quello poi attuato, tuttavia doveva ritenersi sussistente la concreta sua prevedibilità, ben presente ad ogni livello di comando.

Sussisteva poi - rilevavano i giudici di secondo grado - nesso causale tra le omissioni rilevate e l'evento, in tal senso sostenendo anche come il fatto illecito altrui, per non essere imprevedibile né completamente anomalo, nella situazione data, non interrompeva tale nesso, dovendosi anzi ritenere come la particolare esposizione e vulnerabilità della base costituisse un elemento favorente la scelta dell'obbiettivo da parte degli attentatori.

A questo punto la sentenza della Corte militare, affrontando il tema della evitabilità dell'evento, rileva come non fosse nella possibilità dei comandi militari in loco di attuare la misura più drastica dello spostamento in luogo più sicuro delle basi, cioè fuori della città, posto che la missione doveva avere, per decisione politica, spiccata caratteristica umanitaria e dunque svolgersi in mezzo alla popolazione; né poteva tranquillizzare la chiusura, sia pur temporanea, delle vie adiacenti e dei ponti sull'Eufrate, il che avrebbe prevedibilmente portato a manifestazioni ostili della popolazione.

Però - conclusivamente - doveva rilevarsi la concreta ricorrenza dell'esimente dello adempimento di un dovere: premesso l'obbligo dei militari di esporsi a rischio anche della stessa vita, e rilevato che si trattava di una missione con spiccate caratteristiche umanitarie da svolgere in mezzo alla popolazione locale, si doveva riconoscere che i rischi connessi a tale caratterizzazione erano imposti dalla direttiva politica di mantenere il profilo di missione umanitaria.

Passaggio motivazionale determinante è dunque quello (v. ff. 124- 125) secondo cui nel necessario giudizio di bilanciamento tra obblighi contrapposti, "la sintesi tra esigenze di raggiungimento degli ohbiettivi della missione ed esigenze di sicurezza non spettava al comandante in sede, ma ad autorità superiori" per cui "è eventualmente a queste che si sarebbe dovuto chiedere conto delle decisioni adottate, non risultando che gli attuali imputati abbiano mai ricevuto ordini di attuare diversamente le esigenze di protezione". In tal senso, ricordata la specifica normativa da cui discende il dovere per il militare di obbedire alle direttive del Ministro delle difesa, e la necessità per quest'ultimo di attuare le deliberazioni di Parlamento e Governo, si ricordano i principi che, in sede politica, erano stati posti alla base della missione, e si conclude rilevando che il livello di rischio consentito, o - alla fine - imposto, non era nella disponibilità dei due imputati, dunque scriminati dall'adempimento di un dovere.

 

 


2. Avverso tale sentenza non proponeva ricorso l'accusa pubblica.

Proponevano invece ricorso per cassazione le parti civili costituite che motivavano le rispettive impugnazioni con argomentazioni largamente sovrapponibili (per cui non si ripeteranno tutte) nei seguenti termini:

2.1 - quella ( Pa.Ad.) rappresentata dall'Avv. Paoletti:

a. premesso il contrastato percorso del procedimento, in tal senso sollecitando i poteri officiosi di questa Corte in ordine alla qualificazione giuridica del fatto, denuncia la ricorrente parte l'illegittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3 CosL, della L 29 dicembre 2009, n. 197, art. 4, comma 1 octies, norma entrata in vigore l'Ol.ul.2010 - e dunque dopo la pronuncia della sentenza di secondo grado, ma prima del suo deposito - che estende anche all'art. 167 c.p.m.p., comma 3, la previsione dell'art. 260 c.p.m.p., e quindi la procedibilità del reato soggetta alla richiesta del Ministro da cui dipende il militare colpevole, norma - assume la ricorrente parte - da qualificare ad personas. Sostiene l'atto di impugnazione qui in esame che la norma così introdotta viola i principi costituzionali di uguaglianza e di ragionevolezza, in particolare per estendere il ed. privilegio politico alla sola fattispecie colposa, permanendo invece la procedibilità officiosa per gli analoghi reati dolosi di cui allo stesso art. 167 c.p.m.p., commi 1 e 2, e per l'irragionevolezza di equiparare le minori fattispecie di cui all'art. 260 c.p.m.p. a quella più grave, e con diverso bene giuridico tutelato, di cui all'art. 167 c.p.m.p.. b. Denuncia poi la stessa parte la nullità dei giudizi di primo e secondo grado in quanto, svoltisi con rito abbreviato, sono stati celebrati in camera di consiglio e non in pubblica udienza e, di conseguenza, l'illegittimità costituzionale dell'art. 441 c.p.p., comma 3, nella parte in cui prevede che solo l'imputato, e non anche la parte civile, possa chiedere che il giudizio si svolga in pubblica udienza, in relazione agli artt. Ili e 117 Cost. e con riferimento all'art. 6 CEDI) che prevede sia la pubblicità del giudizio che la parità delle parti processuali, e. nel merito: ripercorsa la linea logico-giuridica della motivazione della sentenza d'appello, rileva la parte ricorrente contraddizioni ed incongruenze insite nella stessa: affermata la posizione di garanzia in entrambi gli imputati, ed accertata la prevedibilità dell'evento, risulta illogico mancare di confrontarsi con gli esiti effettivi in relazione alla concreta possibilità di ridurne la rilevanza, come sarebbe stata la predisposizione di una serpentina o di hesco bastion più alti; la sentenza è in contraddizione con se stessa perchè da un lato afferma l'inutilità di strumenti di difesa passiva (salvo il trasferimento della base), dall'altro la sicura efficienza di semplici accorgimenti anche in via d'urgenza, come chiudere le strade attigue ed il ponte Al Zaytun; apodittica ed illogica, nonché contraria alle risultanze oggettive (come i rilievi autoptici), risulta essere l'esclusione della rilevanza della collocazione della ed. riservetta; illogico, in definitiva, assumere che l'obbligo dei militari di esporsi al rischio, anche a prezzo della stessa vita, per ubbidire alla direttiva politica, possa giustificare l'omissione delle cautele possibili ed efficaci quanto meno per la riduzione degli effetti di danno, anche perchè nella base vi erano anche civili nei confronti dei quali pure gravava l'obbligo di garanzia; sopravvalutazione delle deposizioni degli ufficiali Ch. e Q. ed   illogica   svalutazione   delle   deposizioni   di   altri   testi,   quali   il   Col.   B., infondatamente assunti quali mancanti di esperienza.

2.2   - quelle ( Sa.Ri. e Mo.Fr.) rappresentate dall'Avv. R. Battocletti: che - per evitare ripetizioni - sono nella sostanza identiche al precedente (salvo la questione della pubblicità del rito abbreviato).

2.3   - quella ( Ro.Na.) rappresentata dall'Avv. Gamberini: ancora come il precedente;

2.4   - quella ( Ro.Ma.) rappresentata dall'Avv. Piccioni: ancora come il precedente;

2.5   - quelle ( Br.Sa. e altri) rappresentata dall'Avv. Conte:

a. questione di illegittimità costituzionale della L. n. 197 del 2009, art. 4, commi 1 e 8, (come i precedenti), b. peraltro, premesso che il C. penale militare è legge non solo speciale, ma da considerarsi anche legge eccezionale, in ossequio all'art. 2 c.p., comma 4 dovrà applicarsi il principio del tempus regit actum, con la conseguenza dell'indifferenza della sopravvenuta procedibilità a richiesta del Ministro, e. mancata assunzione di prove decisive richieste ad integrazione probatoria, respinte con motivazione apodittica; trattasi di verbali di ufficiali presenti nel territorio della missione ed assunti nel corso del procedimento con rito ordinario a carico del Col. D. P.;

b. nel merito - dopo avere richiamato la ricostruzione degli eventi, censura la ricorrente parte la sentenza impugnata in punto valutazione del nesso causale, in un reato omissivo improprio, tra la affermata sussistenza di colpa (certa essendo la prevedibilità dell'imminente attacco e dovendosi ritenere sostanziale inerzia nella predisposizione di misure adeguate di difesa) e l'evento, alla stregua della giurisprudenza di questa Corte (si cita sul punto la ben nota sentenza delle SS.UU. Franzese); in definitiva, pur anche a volersi sostenere che trattavasi di rischio necessario e consentito, ciò non significa che non si debba pretendere condotta volta almeno alla maggiore riduzione possibile del rischio stesso, il che, nel concreto e nelle condizioni date, era ben possibile ma non è stato attuato. Illogicità e contraddizioni, dunque, della decisione sul punto. Dichiarazione del dirigente terrorista S.M.A. H. circa la palese vulnerabilità della base italiana. Errata affermazione del bilanciamento tra esigenze di sicurezza dello Stato e garanzia della vita dei militari dipendenti: i risultati imposti dalle direttive politiche si sarebbero potuti ottenere ugualmente anche con una maggiore protezione della base. Eccessiva valutazione dei risultati delle indagini svolte dagli ufficiali Ch. e Q., ed illogica sottovalutazione di quelle del Col. B..

2.6    Con atti depositati tutti in data 29.07.2010, anch'essi largamente sovrapponibili, le parti civili rappresentate dagli Avv. Gamberini, Piccioni e Battocletti proponevano motivi nuovi.

Premessa la necessità di procedere, in ogni stato e grado, all'esatta qualificazione giuridica del fatto contestato, e premessa ancora la successione della L. n. 219 del 2003 e L. n. 247 del 2006 che avevano disposto divergenti previsioni in ordine all'applicabilità alle missioni all'estero del c.p.m.g. o del c.p.m.p., assumevano detti ricorrenti la necessità di ripensare la giurisprudenza di questa Corte, già espressa in proposito con le sentenze Cass. Pen. Sez. 1, n. 25811 in data 06.06.2007, Rv. 239559, P.M. in proc. Elia; Cass. Pen. Sez. 1, n. 26316 in data 27.05.2008, Rv. 240396 e 240397, Cau) secondo cui, trattandosi di leggi temporanee aventi la stessa rado, succedutesi durante la permanenza della situazione disciplinata, si dovesse applicare, per la regola dell'art. 2 c.p., comma 4, quella più favorevole. La logica della legge temporanea, per cui tempus regit actum (anzi delictum), di cui al cit. art. 2 c.p., comma 5, doveva dunque prevalere perchè la L. n. 247 del 2006 si poneva come eccezione sia rispetto al principio di cui all'art. 9 c.p.m.g. (per le spedizioni all'estero per operazioni militari armate), sia rispetto alla disciplina - sempre applicarsi il c.p.m.g. - dettata per altre simili spedizioni (Enduring Freedom ed Active Endevour). Vi era dunque una rilevabile discontinuità della L. n. 247 del 2006, svolta dettata da un ripensamento politico inteso a sottolineare le caratteristiche di operazione umanitaria, nonché per la sua esplicita affermazione di temporaneità (fino alla fase di rientro, allora previsto per l'Autunno 2006), per cui - con riferimento alla ratio decidendi delle sopra citate decisioni di questa Corte - non poteva neppure affermarsi che, tra le due normative (L. n. 219 del 2003 e L. n. 247 del 2006) vi fosse una vera continuità di intenti. Si doveva dunque ritornare alla regola dell'ultrattività della legge penale di guerra di cui all'art. 23 c.p.m.g. vigente al momento del fatto e non superabile dalla successiva normativa.

Peraltro - sostengono da ultimo le memorie prodotte - ci si trova di fronte non certo ad una abolitio criminis ma ad una successione di norme incriminatici, per cui il criterio della legge successiva più favorevole, cardine del criterio applicativo secondo l'art. 2 c.p., comma 4, avrebbe dovuto essere confrontato con la gravità del carico sanzionatorio specifico che è da ritenersi meno pesante proprio per l'art. 98 c.p.m.p. (reclusione militare fino a tre anni) rispetto a quello dell'art. 167 c.p.m.g. (reclusione militare fino a cinque anni), profilo sul quale vi era carenza assoluta di motivazione, nessun esame essendo stato affrontato dalla Corte militare d'appello su tale specifico punto.

Dovendosi dunque applicare il c.p.m.g., con il recupero dell'originaria imputazione, diveniva di conseguenza ininfluente la novella 197/2009.

 

 

Diritto

 

3. I ricorsi delle costituite parti civili, parzialmente fondati nei termini di cui alla seguente motivazione, devono essere accolti.

3.1 - Le questioni preliminari - Prima peraltro di affrontare il merito dei ricorsi, occorre verificare fondatezza e rilevanza delle questioni preliminari sollevate dai ricorrenti.

Esse, proposte da tutti i ricorrenti in termini sostanzialmente analoghi, sono in definitiva due: a) questione di costituzionalità della L n. 197 del 2009, art. 4, comma 1 octies, che ha introdotto la procedibilità a richiesta del Ministro del reato - ex art. 167 c.p.m.p. - contestato ai due imputati; b) norma applicabile in relazione al fenomeno di successioni di leggi rilevanti nel tempo.

Vi è poi la questione di costituzionalità dell'art. 441 c.p.p., comma 3, nella parte in cui non consente alla parte civile, a differenza dell'imputato, di chiedere la pubblica udienza in rito abbreviato, questione sollevata da una sola parte ricorrente (quella, Pa.Ad., difesa dall'Avv. Paoletti).

3.1.1    - Esaminando dapprima, per la sua individualità, quest'ultima questione (v. sopra sub 2.1.b), se ne deve ritenere la concreta irrilevanza nella presente vicenda processuale. Ed invero risulta in atti che nessuna richiesta di svolgimento dell'udienza di rito abbreviato in forma pubblica sia stata fatta dalla parte civile che ora propone la questione (né da altre parti) al momento dell'instaurazione del rito camerale ex artt. 438 e segg. c.p.p. (v. f. 5 della sentenza di primo grado). Vale osservare anche, nello stesso senso, che la medesima parte civile, nel proporre ora la questione in termini del tutto generici ed aspecifici, assolutamente non assume di avere fatto la richiesta in questione (svolgimento del rito abbreviato in udienza pubblica) e di essere stata pregiudicata dalla norma la cui conformità al dettato costituzionale ora contesta. In definitiva, poiché il giudizio sulla rilevanza di una questione di costituzionalità non può non essere che concreto, riferito alla vicenda processuale come effettivamente essa si è svolta, non essendo consentito sollevare questioni solo teoriche, in termini astratti e generali, si deve necessariamente concludere per la concreta mancanza del requisito della specifica rilevanza della proposta questione.

3.1.2    - Venendo ora ad esaminare le altre questioni preliminari, parimenti se ne deve dichiarare la concreta irrilevanza.

3.1.2.a - Tale è - irrilevante - quella, proposta da tutte le parti ricorrenti (v. sopra al p. 2), che prospetta dubbio di costituzionalità della norma che ha introdotto la procedibilità a richiesta del Ministro anche per il reato contestato agli imputati.

Ed invero le parti civili sono legittimate, ex art. 576 c.p.p., all'impugnazione, ai soli effetti della responsabilità civile, della sentenza assolutoria, ovviamente anche nel caso che l'assoluzione diventi, per l'imputato, definitiva agli effetti penalistici. Orbene, nella presente vicenda processuale, di fatto la sentenza assolutoria è passata in cosa giudicata, agli effetti penali, a cagione della mancata impugnazione della stessa da parte dell'organo dell'accusa (in realtà era quest'ultimo eventualmente interessato a proporre la questione ove, volendo ulteriormente coltivare l'azione penale proponendo impugnazione, fosse rimasto in ciò pregiudicato dalla ridetta novella). In concreto, dunque, il giudicato penale si è formato su giudizio (e formula assolutoria) di merito, per nulla inciso, in ragione della data della pronuncia divenuta irrevocabile, dalla successiva normativa, comunque essendo il reato procedibile ex officio al momento della pronuncia. Ciò posto, la certa legittimazione al ricorso in capo alle parti civili costituite rende non rilevante, per la loro posizione processuale, la  procedibilità  ad  istanza  introdotta  in  un  momento successivo a  quando (pronuncia della sentenza di secondo grado) il loro diritto impugnatorio, ex art. 576 c.p., era già sorto, né viene incisa negativamente ex post, stante il passaggio in giudicato della sentenza, il che rende la situazione, a fini penali, esaurita. Vale ribadire: la mancata impugnazione da parte dell'Accusa ha solidificato, agli effetti penali, l'assoluzione su reato procedibile ex officio ed ha - per così dire - mandato a vuoto, per la situazione sostanzialmente esaurita, la successiva procedibilità ad istanza.

Consegue che le parti civili, come detto, non trovano ostacolo nel disposto della citata novella. Consegue ancora -all'evidenza - la mancanza di concreta rilevanza, nella presente specifica vicenda processuale, della proposta questione di costituzionalità. 3.1.2.b -Altrettanto deve dirsi - in termini di concreta irrilevanza - in ordine alla questione proposta con i motivi nuovi (v. sopra sub p. 2.6) - ma da alcuni avanzata anche nei motivi principali (il che ne evita l'inammissibilità genetica) -in punto qualificazione giuridica del fatto contestato, in relazione alla problematica introdotta dalla successione normativa in materia, come sopra già ricordato. In proposito va premesso - e ribadito - che il formatosi giudicato agli effetti penali è intangibile, dunque anche - a quei fini penalistici - in punto qualificazione giuridica. La questione qui in esame, peraltro, viene dichiaratamente prospettata dalle ricorrenti al fine di paralizzare - nell'ottica fatta propria dalle parti civili - le problematiche paventate in seguito alla procedibilità a richiesta del Ministro introdotta con riferimento all'art. 167 c.p.m.p..- E' dunque evidente che, superata tale questione, come qui deciso da questa Corte (v. precedente p. 3.1.2.a), non residua più concreto interesse alla questione stessa in capo ai proponenti. Ciò in quanto, ove si prescinda da tale superato profilo, non si vede - francamente - l'interesse delle parti civili ad una qualificazione giuridica che, secondo il loro stesso assunto, e pur ai soli effetti civili, si profilerebbe di minore gravità rispetto a quella finora perseguita. Trattasi, dunque, di profilo di impugnazione al quale le parti ricorrenti non hanno concreto interesse, ex art. 568 c.p.p., comma 4, e che introduce argomento che non può annoverarsi tra quelli esaminabili d'ufficio, ex art. 609 c.p.p., comma 2. 3.2 - Il merito - Nel merito, i ricorsi delle costituite parti civili sono fondati, quanto alla posizione dello S..

Sono del tutto evidenti, invero, i vizi che inficiano l'impugnata sentenza. Diversa, peraltro, dovrà essere la valutazione per il L.

3.2.1 - Posizione dello St. - La prima evidenza, in ordine logico-giuridico, che deve essere criticamente rilevata da questa Corte, riguarda l'impianto generale stesso della decisione, la sua ratio decidendi, basata in sostanza sull'adempimento di un dovere, ex art. 51 c.p. (v. le frasi conclusive del p. 10 della sentenza impugnata, a f. 152), esimente che non può essere conciliata con una condotta ritenuta, così come contestata, essere costituita da atteggiamenti colposi di imprudenza e negligenza.

In proposito, prima di procedere ulteriormente in questa valutazione critica, occorre cogliere una distinzione, per necessaria chiarezza:

agli imputati, e dunque pure allo S., sono stati contestati anche elementi di violazione di legge e regolamenti (violazioni in ordine alle quali, in astratto, non sarebbe    incompatibile    la    suddetta    esimente,    pur    con    le    susseguenti problematiche chiamate in causa dall'art. 51 c.p.\ un superiore comanda di violare una legge od un regolamento), ma solo al fine di focalizzare la loro posizione di garanzia, e dunque in particolare per individuare il titolo della ipotizzata responsabilità omissiva (per l'obbligo dei comandanti di non esporre i militari subordinati a rischi eccessivi e non necessari). In definitiva tale quadro, appena evocato, si esaurisce nel presupposto soggettivo, indicato nel libello accusatorio con il riferimento agli incarichi di comando rivestiti.

Ma la concretezza della condotta incriminata, nell'imputazione come elevata ai generali L. e St., è puntualmente indicata, con una precisione che - ai fini di questa disamina - non ammette repliche, nei tre paragrafi di addebito: 1) profili di imprudenza, riguardo alla valutazione dei livelli di rischio, ecc.; 2) profili di negligenza, riguardo alla necessità di innalzare le misure di protezione passiva, ecc.; 3) profili di negligenza, riguardo alla necessità di una revisione, ecc..

E non c'è dubbio che si tratti di profili classici di vera e propria colpa (in una parola, per inadeguatezza della condotta rispetto alle esigenze di protezione). Orbene, non v'è dubbio che l'esimente dell'adempimento di un dovere sia in pieno e palese contrasto logico- giuridico con un atteggiamento psichico di colpa per negligenza ed imprudenza. Tali termini, invero, nella storica ed indiscussa lettura ermeneutica in tema di colpa, evocano trascuratezza ed avventatezza, inadeguatezza per difetto o per eccesso, in sostanza - in un senso o nell'altro -mancanza della sufficiente e corretta cura che la situazione (alla quale l'imputato è chiamato per l'indiscussa posizione di garanzia) di fatto richiede. E' di tutta evidenza, allora, già sul piano strettamente logico, e dunque dovendosi rilevare corrispondente vizio di motivazione, come non si possa essere né negligenti, né imprudenti, ed in definitiva non si possa essere inadeguati alla bisogna, od incapaci, per comando o direttiva di un superiore. L'esecuzione di un comando implica sempre una condotta finalizzata, non solo cosciente e volontaria, ma anche consapevolmente indirizzata, dunque intenzionale, secondo le recepite superiori direttive. L'applicazione dell'art. 51 c.p., pertanto, avrebbe senso (e la sua logica porterebbe a tale conclusione), solo ove fosse stato contestato reato doloso, magari sorretto da dolo eventuale (violazione, per comando superiore, di leggi o regolamenti anche "a costo di", assumendone il rischio: e non a caso parte della motivazione dell'impugnata sentenza si dilunga sul bilanciamento dei rischi, il che - per tutta evidenza - implica atteggiamento finalizzato, o, al più, consapevole scelta errata, non certo negligenza o inadeguatezza). Ma, ove si contesti e si ritenga - come pacificamente nella presente vicenda processuale - una condotta sorretta da colpa per negligenza ed imprudenza (e peraltro i precisi confini dell'imputazione non consentono incursioni improprie in altri campi) è poi consequenziale che non si possa proprio invocare l'adempimento di un dovere quale causa scriminante tipica, ma neppure - in via generale e meramente logica - quale area in cui inserire, sia pur con formula d'insussistenza dell'elemento psicologico, la descritta condotta. Vale dunque ribadire: non si può essere negligenti e disattenti, o incapaci ed inadeguati, per sottovalutazione dei rischi, per ordine superiore.

La scriminante dell'adempimento di un dovere prevista dall'art. 51 c.p. può essere  riconosciuta  nel  caso  in  cui   la  condotta  colposa  dell'agente  derivi dall'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline imposta da disposizioni o direttive superiori, mentre tale scriminante non trova spazio nelle ipotesi di delitto colposo quando la condotta riferibile all'agente che ricopre un ruolo di garanzia sia caratterizzata da negligenza o imprudenza.

Tanto ritenuto, è evidente come la presente valutazione critica implichi il crollo dell'impalcatura stessa della impugnata sentenza nel suo momento più strettamente decisionale-assolutorio, sentenza che - pur ampiamente rilevando almeno alcuni degli addebitati profili di colpa (e pur con le manchevolezze di cui infra), il che già comporterebbe ex se (ablata l'impropria esimente) conclusione di condanna - poi annega tale giudizio nell'illogicità motivazionale appena sopra rilevata.

Ed invero non può non rilevarsi, a fronte delle corrette deduzioni delle ricorrenti parti civili, come un ampio - e pur non completo - vaglio da parte della Corte militare d'appello abbia condotto a rilevare positivamente la sussistenza di elementi di colpa in capo al generale St. (per il L, si rimanda alla successiva diversa valutazione): - sussistenza di effettivo e crescente pericolo specifico, come imminente, almeno dall'Ottobre 2003; - conoscenza di tale pericolo, nei termini; - complessiva insufficienza delle misure di sicurezza passive poste in essere; - sussistenza di un effettivo nesso di causalità. Si tratta di temi tutti già ampiamente sopra trattati, per cui qui non resta che farvi rimando. Ma non può non essere ribadito, sul primo profilo, il vero e proprio preavviso di pericolo concreto contro le basi italiane in Nassirya (che seguiva un crescendo di allarmi ben riferiti in sentenza; cfr. in particolare pgg. 97-98 della sentenza d'appello, ma anche, amplius, tutto il p. 6, da f. 49 a 88, della sentenza di prime cure) dato dal "punto di situazione" del 5 Novembre (noto al comandante S.), secondo cui un gruppo di terroristi di nazionalità siriana e Yemenita si sarebbe trasferito a Nassirya, risultato ex post tragicamente veridico (vedi le dichiarazioni del terrorista S.M.A.H. circa la base italiana scelta, quale obbiettivo, dopo sopralluogo, per la sua palese vulnerabilità). Si devono, allora, ricordare anche i messaggi del Sismi del 23 ottobre (preciso per i tempi: un attacco ad un obbiettivo al massimo entro due settimane) e del 25 ottobre (preciso fin nei colori del mezzo: un camion di fabbricazione russa con cabina più scura del resto). Qui si deve rilevare l'evidente sottovalutazione, in capo allo S., comandante prò tempore, di un allarme così puntuale e prossimo. Tale allarme si colloca, temporalmente, nei suoi dati ultimi più stringenti, una settimana prima del tragico evento: ben c'era possibilità, dunque, di predisporre utilmente qualche maggior contrasto anche temporaneo (si dovrà tornare sul punto, in funzione del profilo della riduzione del rischio).

In ordine all'aspetto della complessiva insufficienza delle difese passive, il dato è certo e clamoroso. Né lo nega la sentenza impugnata che rileva quel che era sotto gli occhi di tutti (sul punto la sentenza ingiustamente svilisce le precise e corrette dichiarazioni del Col. B., ma anche del Col. Pe.: la situazione sul campo era anche più grave di quanto già non apparisse sulla carta): mancanza di un'area di rispetto, inesistenza di una serpentina, hesco bastion troppo bassi e riempiti di ghiaia anziché di sabbia, così essendo chiaramente insufficienti e passibili di trasformarsi in proiettili (come per le munizioni della riservetta) anziché  avere  effetto  protettivo.  Anche  quanto  alla   riservetta   la  sentenza appare inadeguata, disattendendo la questione con una generica affermazione di concreta irrilevanza, mancando con ciò di confrontarsi - per non dire errando sul punto - con gli esiti delle indagini medico-legali che rilevavano come alcune vittime fossero state colpite da proiettili esplosi ma non sparati, il che rimanda proprio alla riservetta esplosa per l'innesco causato dall'esplosione del camion-bomba. Sullo specifico punto, anche un estraneo alle arti militari dovrà rilevare l'irresponsabile assurdità della collocazione così esposta di un deposito di munizioni.

Venendo dunque ai punti centrali della decisione qui in esame, non v'è dubbio che la sentenza impugnata, proiettata nella sua errata logica ex art. 51 c.p., decisamente è manchevole - e gravemente - laddove in sostanza pone l'alternativa (tutto o niente, si direbbe, scegliendo la seconda ipotesi) tra il trasferimento della base, quale unico rimedio, e l'accettazione supina di un rischio così tremendo e così vicino (rischio rimandato agli ordini superiori). Occorre - a questo punto - inserire una riflessione centrale, da un lato a conferma del giudizio di erroneità, anche in fatto, della sentenza di secondo grado, dall'altro ad ulteriore sostegno della presente valutazione: tanto è poco vero che lo S. sarebbe stato colposamente inattivo solo per ordine superiore, per attuare le direttive di una presenza soprattutto umanitaria (come sostiene la sentenza impugnata), che egli stesso, nel suo interrogatorio in data 13.04.2007, opportunamente citato dalla sentenza del Gup militare (v. f. 49), ma ignorato dalla Corte di secondo grado, riferiva di aver emanato in data 22 ottobre 2003 la direttiva FRAGO 109/031 con la quale "si disponeva il progressivo trasferimento di alcune basi del nostro contingente verso aree più sicure". Dunque: piena consapevolezza dei rischi imminenti; dunque: percezione della necessità addirittura del trasferimento (non attuato); dunque: non vero che la direttiva gerarchica-politica imponesse la permanenza necessitata in posizione di rischio, tra la gente del posto; dunque: evidenza di innalzare, nel frattempo e nel possibile, le difese passive, in nulla attuate.

E' del tutto evidente, allora, come la sentenza impugnata manchi completamente di valutare il profilo della possibile riduzione del rischio, aspetto che sempre deve accompagnare la valutazione della colpa correlata a posizioni di garanzia (v. la fondamentale sentenza delle SS.UU. Franzese, Rv. 222138, ma anche tutta la successiva coerente produzione giurisprudenziale, per cui l'alto grado di prevedibilità logica deve tenere presente ogni risultato utile, non solo l'evento totale). E dunque si ripropone il tema delle difese passive colpevolmente inadeguate, e colpevolmente non innalzate in presenza di un pericolo così alto - come si è detto - e così prossimo.

Non può non rilevarsi, allora, proseguendo nell'analisi, come sia inaccettabile anche la successiva proposizione della sentenza impugnata, per cui il comandante St. si sarebbe trovato nell'alternativa di allarmare la popolazione locale adottando misure più stringenti, ovvero sperare che il rischio segnalato, pur in termini di imminenza, non si avverasse. E' illogica - deve qui affermarsi -una motivazione che pone sullo stesso piano un pericolo segnalato da numerosi e crescenti allarmi di strutture di intelligence, specifico e prossimo, proveniente da reparti appositi dotati di strumenti sofisticati, ed un'ipotesi generica e non più che virtuale. E non è chi non veda - e qui la responsabilità dello St. si fa stringente - come il tutto si leghi con il profilo appena rilevato - ignorato dalla sentenza, così come a suo tempo dall'imputato - della riduzione del rischio: non si trattava del trasferimento in blocco dell'intera base (o delle due basi), né di installare provviste invadenti, ma della predisposizione, in prospettiva temporanea, di mezzi più efficaci di protezione passiva, secondo semplici prudenze, quali hesco bastion più alti e riempiti a regola d'arte (con sabbia), area di protezione, serpentina; ma anche temporanei posti di blocco, od anche la chiusura del ponte e della via. Ciò era imposto - se si vuole - proprio da una adeguata valutazione del rischio preannunciato e pressoché sicuro, ma ciò era anche, per la sua limitata temporaneità, fino al rientro dell'allarme specifico, di accettabile impatto per la popolazione locale. Anche sul punto (non turbare la popolazione locale con aspetti troppo militaristici) enfatizzato dalla sentenza d'appello, non può non rilevarsi come la sentenza pretermetta, fino ad ignorare, il dato certo dei continui contatti dei comandi italiani con quelli locali, il che ben poteva consentire, proprio nel dichiarato intento di una fruttuosa collaborazione, di predisporre il necessario in termini di sicurezza con buona accettazione reciproca.

E' - ancora una volta - la sentenza di primo grado (v. f. 68) a ricordare come il 28 ottobre 2003, a due settimane dal tragico evento, vi fu un incontro tra i comandi locali e quelli italiani (che lo S. ha ammesso), incontro in cui si parlò proprio dei sempre più ricorrenti allarmi: occasione persa, in tale prospettiva, che non può non gravare, per quel che qui rileva, sui comandi italiani, e dunque sullo S.. Ed allora: un siffatto operare - il comportamento virtuoso che si richiede a chi presiede una posizione di garanzia - sicuramente avrebbe, secondo regole di comune e condivisa esperienza, ridotto il rischio in sé (il S. ed i suoi terroristi potevano ripensarci o dirigere diversamente la loro azione, per come il predetto ha poi sostenuto) o, quam minus, ridotto gli esiti di danno, perchè il camion bomba, costretto a fermarsi prima, non avrebbe cagionato la strage poi in realtà causata.

Va in proposito ripresa, e fatta nostra, la corretta osservazione del giudice di primo grado secondo cui l'impiego di un secondo attentatore, oltre il necessario autista del camion-bomba, fu previsto dai terroristi in funzione di mitragliatore, perchè era evidente che unico ostacolo poteva essere solo il Carabiniere della postazione (OMISSIS), altrimenti vi era via libera fino alla palazzina.

Pertanto, una volta escluso che nel caso di specie possa trovare spazio la scriminante dell'adempimento del dovere prevista dall'art. 51 c.p., la sentenza impugnata deve essere annullata ai soli effetti civili con rinvio alla Corte di appello di Roma che nel nuovo giudizio terrà conto dei rilievi suesposti ai fini dell'accertamento della condotta colposa ascritta allo St..

Alle parti civili vittoriose in questa sede devono essere assegnate spese ed onorari, con accessori, come per legge. Tale liquidazione pare opportuno rimandare alla successiva fase in sede civile per una più completa e complessiva valutazione di ogni elemento in tal senso utile.

 



3.2.2 - Posizione del L. - Diversa valutazione, rispetto a quella svolta per lo S., deve essere fatta per l'imputato L.

Anche per costui, confermata la posizione di garanzia prò tempore, e confermato il corretto giudizio sull'astratta - si ribadisce: astratta - collegabilita all'evento in ragione della teoria sulla successione delle posizioni di garanzia, deve essere rilevata la mancanza di un'attivazione generica in funzione della dovuta protezione. Anche nei confronti di costui la soluzione data dalla sentenza di secondo grado deve essere ritenuta, pur in tali limiti, non corretta, per i motivi sopra espressi. Peraltro, come ha rilevato il Gup militare con giudizio che sostanzialmente va qui recepito (v. p. 10 della prima sentenza, ff. Ili e segg.), le notizie che pervenivano dalle fonti informative fino al suo avvicendamento (08.10.2003) non erano così stringenti, né focalizzate sull'uso di veicoli-bomba, né con precisa direzione nei confronti della base italiana (salvo un caso su cui ben si è espresso il primo giudizio), e comunque egli ebbe a rappresentare la problematica al successore, compresa la prospettiva di un cambio di collocazione della base.

Sembra evidente, pertanto, la concreta mancanza almeno del necessario elemento psicologico del contestato reato colposo. In definitiva, su questa posizione, i ricorsi delle parti civili, che pur risultano apprezzabili sul piano generale, negli stesi termini accolti quanto allo St, non superano, per il L, le ragioni assolutorie espresse dal primo giudice.

 

 

P.Q.M.

 

Sciogliendo la riserva di cui alla pubblica udienza del 30.11.2010, così decide: annulla la sentenza impugnata nei confronti di St.

B. ai soli effetti civili e rinvia per nuovo giudizio alla Corte d'appello di Roma in sede civile.

Rigetta i ricorsi proposti dalle parti civili nei confronti di L. V..

Spese di parte civile riservate al giudice civile di rinvio.