Cassazione Penale, Sez. 4, 18 novembre 2008, n. 43117 - Instabilità del carico e responsabilità dell'addetto alla manovra della gru


 

 

 

 

Responsabilità di un capo squadra e di un datore di lavoro per un infortunio durante lo svolgimento di un'operazione di carico di due bobine di cavi consistito nello schiacciamento di un arto cagionato dal ribaltamento di una bobina, del peso di circa due tonnellate, irregolarmente collocata e spostata sul cassone di carico dell'autocarro.


Al capo squadra, oltre che addetto alla manovra della gru, si imputava di aver deciso "per risparmiare un viaggio", di caricare due bobine per volta anziché una sola e, quindi, di collocare le stesse sul cassone di carico in verticale (e pertanto in equilibrio precario) anziché in orizzontale (il che ne avrebbe assicurato la stabilità), nonché per avere dato disposizioni al lavoratore di salire sul cassone per aiutarlo, spingendola a mano, nello spostamento di una bobina (proprio durante tale manovra la bobina si era ribaltata e aveva schiacciato la gamba sinistra del G.).


Al datore di lavoro si addebitava, invece, una colpa specifica, segnatamente la violazione del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 22 (omessa formazione - informazione dei lavoratori sui rischi specifici dell'attività svolta) e dell'art. 35, cit. D.Lgs. (omessa adozione di procedure idonee ad assicurare il più elevato livello di sicurezza nello svolgimento delle operazioni di carico di oggetti pesanti ed instabili come le grosse bobine di cavo elettrico).


Condannati, ricorrono in Cassazione - Inammissibili.


 

 


Fatto

 


1. Con sentenza in data 10 ottobre 2005, il Tribunale di Piacenza dichiarava V.A.M. e C.G., entrambi dipendenti della S.p.A. Rete Gamma, colpevoli del reato di lesioni personali colpose commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in danno di G. V., in (OMISSIS).
L'infortunio si era verificato durante lo svolgimento di un'operazione di carico di due bobine di cavi ed era consistito nello schiacciamento di un arto cagionato dal ribaltamento di una bobina, del peso di circa due tonnellate, irregolarmente collocata e spostata sul cassone di carico dell'autocarro.
Al C. si attribuiva una colpa generica (imprudenza) per avere, nella veste di capo squadra, oltre che di addetto alla manovra della gru, deciso, "per risparmiare un viaggio", di caricare due bobine per volta anziché una sola e, quindi, di collocare le stesse sul cassone di carico in verticale (e pertanto in equilibrio precario) anziché in orizzontale (il che ne avrebbe assicurato la stabilità), nonché per avere dato disposizioni al G. di salire sul cassone per aiutarlo, spingendola a mano, nello spostamento di una bobina (proprio durante tale manovra la bobina si era ribaltata e aveva schiacciato la gamba sinistra del G.).
Al V., datore di lavoro, si addebitava, invece, una colpa specifica, segnatamente la violazione del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 22 (omessa formazione - informazione dei lavoratori sui rischi specifici dell'attività svolta) e dell'art. 35, cit. D.Lgs. (omessa adozione di procedure idonee ad assicurare il più elevato livello di sicurezza nello svolgimento delle operazioni di carico di oggetti pesanti ed instabili come le grosse bobine di cavo elettrico).


2. Con la sentenza Indicata in epigrafe, la Corte di appello di Bologna confermava la condanna.

2.1. Quanto al C, osservava:
- che correttamente il primo giudice aveva ritenuto che l'imputato avesse avuto un "ruolo preminente" (non un "ruolo di preposto") in considerazione dell'esperienza di fatto acquisita e che la normale diligenza avrebbe dovuto consigliargli di verificare la tenuta dell'imbragatura della bobina e di non richiedere al G. di assisterlo salendo sul cassone ed operando "a mano" per spingere la bobina durante il sollevamento.
- che, invero, lo schiacciamento si era verificato perchè G. si era trovato ad operare "a mano" nei pressi di un carico male imbragato e disposto per scelta del C;
- che, In ogni caso, per evitare rischi era sufficiente la minima esperienza di base di cui ogni operatore di strumenti di sollevamento di carichi dispone;
- che l'inadempimento del dovere del datore di lavoro di formazione - informazione sui rischi specifici di quell'attività non escludeva l'autonoma colpa del lavoratore.

 

2.2. In relazione all'imputato V., i giudici di appello affermavano:
- che la condotta colposa del lavoratore nello svolgimento delle proprie mansioni è evenienza priva di caratteri di eccezionalità e di anormalità (quindi dell'idoneità ad interrompere il rapporto di causalità);
- che il C. aveva tenuto un comportamento la cui imprudenza era da considerarsi "inerente alla considerazione del rischio" sicché la corretta informazione sul rischio medesimo "avrebbe richiamato l'attenzione del lavoratore, scoraggiato la condotta imprudente concorrente e così evitato l'evento";
- che la delega conferita a V.E.C, non ineriva alla prevenzione ed alla sicurezza e, in ogni caso, non era idonea a determinare il trasferimento alla stessa dei doveri e delle responsabilità gravanti per legge sul datore di lavoro;
- che l'atto assegnava alla stessa la generale competenza a trattare i rapporti con il personale e ad "effettuare pagamenti";
- che si trattava di atto che riguardava quella parte di vita aziendale relativa ai rapporti di lavoro, alle relazioni con gli enti previdenziali e con i sindacati ed all'erogazione di retribuzioni ed altri trattamenti economici;
- che nella delega non era ricompresi poteri decisionali nel campo della prevenzione degli infortuni, né "specifici poteri di impegno di spesa";
- che, infine, la competenza professionale della delegata era di tipo gestionale, amministrativo e contabile e nulla aveva a che vedere con l'organizzazione della struttura operativa e con lo svolgimento tecnico dell'attività.

 

3. Avverso l'anzidetta sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati (il V. per mezzo del difensore), chiedendone l'annullamento.

 

4. C. affida le proprie doglianze a tre motivi.
4.1. Con il primo motivo deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 43 c.p., comma 3, nonché contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata per avere la Corte di appello ritenuto sussistente la colpa senza tuttavia individuare quali preesistenti regole di diligenza e di prudenza avrebbe in concreto violato.
Non spiega, in particolare, la Corte sulla base di quale predefinita regola di esperienza abbia ritenuto di poter affermare che porre due bobine in posizione verticale sia operazione contraria alle regole cautelari, ovvero che le bobine devono sempre essere poste in orizzontale.
La Corte avrebbe, inoltre, affermato, contrariamente al vero, che non era stata contestata, con l'atto di appello, "la dinamica dei fatti". Si era, infatti, sostenuto che la versione dell'accaduto offerta dall'infortunato (in particolare, il fatto di avergli imposto le modalità di caricamento sul camion delle due bobine) fosse priva di riscontri.

4.2. Con il secondo motivo lamenta la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata per avere la Corte di appello, da un lato, ritenuto l'efficacia causale dell'omessa Informazione - formazione sui rischi specifici del lavoro, dall'altro, concluso che detta omissione non escludeva la sua colpa "benché non Informato sul predetti rischi".
La Corte aveva, dunque, riconosciuto la sua colpa per la violazione di non meglio precisate regole di diligenza a di prudenza, malgrado la mancata formazione - Informazione sul rischi del caricamento delle bobine.
La sentenza impugnata sarebbe contraddittoria anche nella parte in cui, da un lato, afferma che, in ragione dell'esperienza, aveva assunto un ruolo "preminente", dall'altro, che non aveva ricevuto la necessaria formazione - informazione.
Non è dato, In ogni caso, riscontrare nella motivazione della sentenza impugnata a quale esperienza la Corte si riferisse, come e quando l'avrebbe maturata, come potesse essere portatore di esperienza quando lo stesso giudice di merito aveva affermato la sua scarsa istruzione professionale, come e con quali criteri avrebbe quindi dovuto fare un'adeguata valutazione dei rischi.

 

4.3. Con il terzo motivo si duole della mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale intesa ad acquisire la documentazione concernente la sua qualifica e le sue mansioni quale dipendente della Rete Gamma.
La presunta qualifica di capo squadra non era emersa da alcun documento, né aveva trovato conferme testimoniali. Non si comprende, pertanto, come il giudice possa averla ritenuta provata.

 

5. Il difensore dell'Imputato V. articola due motivi.

 

5.1. Con il primo motivo deduce inosservanza o erronea applicazione delle disposizioni dettate in materia di rapporto di causalità (articoli 40 e 41, in relazione all'art. 590 c.p.).
Contrariamente al vero il giudice d'appello aveva affermato che l'imputato non aveva contestato che le inadempienze ipotizzate fossero dotate di efficacia causale in relazione all'evento verificatosi.
Nell'atto di appello, invero, si era lamentata l'insufficienza, la contraddittorietà e l'incertezza del riscontro probatorio sulla reale efficacia condizionante della condotta omissiva del datore di lavoro rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell'evento lesivo.
La stessa Corte aveva rimarcato come l'operato del C. fosse stato contrario alla prassi e ad evidenti regole di prudenza.
Poiché effettivamente il C. aveva quell'esperienza professionale e conosceva la prassi (che prevedeva il carico di una bobina per volta in orizzontale, previa verifica della tenuta dell'imbragatura), era chiaro che egli aveva agito in quel modo non perchè ignorasse le regole di carico e scarico, ma soltanto perchè aveva fretta.
La sua decisione, pertanto, non era dipesa dalla mancata formazione - informazione.
Una più intensa formazione - informazione non avrebbe cambiato nulla, nè avrebbe fornito nozioni ulteriori a chi già conosceva perfettamente il modus operandi.
Se anche, in conclusione, fosse stata fornita un'ipotetica informazione - formazione aggiuntiva l'evento si sarebbe comunque prodotto.
Quanto al G., poi, la formazione - informazione al medesimo dovuta era quella relativa alle sue mansioni; se anche, pertanto, fosse stato correttamente formato ed informato in relazione, ad esempio, alle modalità di guida nel caso di trasporto di sostanze pericolose o esplosive avrebbe agito nello stesso modo e, quindi, l'evento lesivo si sarebbe comunque verificato.

5.2. Con il secondo motivo si duole del vizio di motivazione in relazione all'interpretazione dell'atto di delega.

 

Rileva:

- che la delega non si estende espressamente al campo della prevenzione degli infortuni soltanto perchè rìsale al (OMISSIS), mentre la normativa antinfortunistica si sarebbe sviluppata soltanto dalla metà degli anni (OMISSIS);
- che, in ogni caso, la competenza In relazione alla formazione dei lavoratori era attribuita proprio al responsabile della gestione delle risorse umane;
- che il delegato era, dunque, stato investito delle funzioni relative allo specifico ambito prevenzionale;
- che, nell'ambito del settore anzidetto, la delegata aveva poteri decisionali e di spesa;
che le competenze richieste ai fini del corretto adempimento dei compiti assegnati erano, in modo diretto o indiretto, possedute dalla delegata.

 

 

Diritto

 

6.1 ricorsi sono inammissibili.

6.1. Il primo motivo del ricorso presentato nell'interesse dell'imputato C. è manifestamente infondato.
La Corte di merito ha, invero, individuato le regole di diligenza violate dall'imputato, rimarcando, anzi tutto, che lo stesso aveva imposto di caricare due bobine in verticale anziché una soltanto in orizzontale, come era solito farsi e come ogni sollevatore di carichi, con una minima esperienza, sapeva di dover fare in considerazione della diversa stabilità, nei due casi, del carico. Esperienza che insegna che l'equilibrio di due bobine in verticale è bel lontano dalla stabilità che assicura una bobina in orizzontale. Massima di esperienza che, a ben vedere, il ricorrente contesta soltanto con affermazioni generiche.
Come, non meno velleitariamente, il ricorrente sostiene che mancherebbero riscontri da quanto affermato dal G. in ordine al fatto che fosse stato l'imputato ad imporre quelle modalità di carico.
Come è noto, invero, alla deposizione della persona offesa dal reato non si applicano le regole di cui all'art. 192 c.p.p., commi 3 e 4, come d'altra parte per qualsiasi altra testimonianza (cfr., ex plurlmis, Cass. 3 18 ottobre 2001, Panaro, RV 220362).
E nessun sembra aver posto in dubbio l'attendibilità delle dichiarazioni dell'infortunato, anche perchè sarebbe stato difficile credere che, in quella situazione, fosse stato lui, un autista, a dettare le condizioni di carico e, in ogni caso, come si diceva, i motivi sono, anche su questo punto, privi del requisito della specificità, consistendo nella generica esposizione della doglianza.
Ed è forse per questa ragione, cioè perchè ha reputato che non vi fossero motivi per non ritenere credibile il G., che la Corte di appello ha affermato che l'imputato non aveva contestato la "dinamica dei fatti".
Si noti ancora, per tornare alle regole di diligenza non osservate, che la Corte di merito ha ritenuto che il carico fosse stato male imbragato ed anche questa affermazione non è stata contestata dall'imputato.

6.2. Palesemente destituito di fondamento è anche il secondo motivo del ricorso dell'imputato C.
Non è contraddittorio, invero, affermare la sussistenza della colpa del lavoratore e contestare al datore di lavoro di non avere dato una formazione - informazione adeguata.
Nella specie, va detto che l'omessa formazione - informazione è stata contestata al V. anche con riguardo al G..
Ma, a parte questa considerazione, il giudizio di merito ha condotto ad affermare che il C. aveva acquisito una certa esperienza nel settore del sollevamento di carichi pesanti.
Il riferimento, dunque, era all'esperienza pratica accumulata, non alla formazione - informazione teorica e questo spiega perchè anche la seconda delle contraddizioni prospettate non sussiste.
Si aggiunga che il C. si lamenta del fatto che gli sia stata riconosciuta questa esperienza di lavoro nel settore, ma non ha mai addotto concreti argomenti idonei a confutare l'affermazione.

6.3. Anche il terzo motivo del ricorso C. è manifestamente infondato perchè la qualifica di capo squadra non rileva nel caso in esame (rileva, invece, che fosse addetto alla manovra della gru ed all'esecuzione delle operazioni di carico) e deve, tra l'altro, osservarsi che il ricorrente, con questa censura, mira nella sostanza a prospettare una ricostruzione dei fatti diversa da quella accolta nella sentenza Impugnata.

6.4. E' manifestamente infondato il primo motivo del ricorso proposto nell'interesse dell'imputato V. nella parte in cui adombra l'anomalia della condotta del C. senza considerare che, come la giurisprudenza di questa Corte ha più volte ribadito (v., tra le ultime, Cass. 4 26 ottobre 2006, Palmieri, RV 236009; Cass. 4 16 maggio 2006, Lorenzoni, RV 234596; Cass. 4 29 settembre 2005, Riccio, RV 233186), il contegno del lavoratore può determinare l'interruzione del rapporto di causalità soltanto qualora sia "abnorme", "del tutto anomalo", "esorbitante dalle normali operazioni di lavoro" ovvero "incompatibile con il sistema di lavorazione" cui il medesimo sia addetto.
In altre parole, si afferma, cosi interpretando l'art. 41 c.p., comma 2, che la condotta del lavoratore, per giungere ad interrompere il nesso causale (tra condotta colposa del datore di lavoro o chi per esso, ed evento lesivo) e ad escludere, in definitiva, la responsabilità del garante, deve configurarsi come un fatto assolutamente eccezionale, del tutto al di fuori della normale prevedibilità. E, nel caso in esame, non può certo dirsi che C. (che stava svolgendo il lavoro cui era addetto) abbia posto in essere una condotta esorbitante dal procedimento di lavoro, e neppure che non abbia osservato precise disposizioni antinfortunistiche ricevute. In ogni caso si ricordi che le norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro perseguono il fine di tutelare il lavoratore anche in ordine agli infortuni derivati da sua colpa.
Hanno, in altre parole, la funzione di evitare che si verifichino eventi lesivi dell'incolumità fisica, intrinsecamente connaturali all'esercizio dell'attività svolta dal lavoratore, anche nell'ipotesi in cui essi siano conseguenti ad eventuale imprudenza e disattenzione del lavoratore stesso, la cui incolumità deve essere sempre protetta con appropriate cautele.

6.5. Anche il secondo motivo del ricorso dell'Imputato V. è inammissibile.
Il motivo prospetta censure di manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione della delega conferita a V.E.C., muovendo, tra l'altro, dalla non condivisibile considerazione che esso non contiene un'espressa estensione al campo della prevenzione degli infortuni perchè rìsale al (OMISSIS), mentre la legislazione antinfortunistica si sarebbe sviluppata soltanto dalla metà degli negli anni novanta.
In ogni caso, fermo restando che l'illogicità del discorso giustificativo deve essere di macroscopica evidenza (cfr. Cass. S.U., 24 dicembre 1999, Spina; Cass. S.U., 30 aprile 1997, Dessimone; Cass. S.U. 24 settembre 2003, n. 47829, Petrella), il ricorrente si limita ad offrire una propria diversa lettura del contenuto dell'atto di delega, quindi una propria diversa verità processuale, che non può, peraltro, essere delibata In sede di legittimità allorquando, come nel caso in esame, la struttura razionale della sentenza ha, sul punto, una propria puntuale coerenza argomentativa ed è, senza contraddizioni, saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica e delle massime di comune esperienza, al tenore letterale del documento.

7. Con riguardo, infine, all'invocata prescrizione, il relativo termine (in presenza di atti interruttivi, anni sette e mesi sei, al sensi dell'art. 157 c.p., comma 1, n. 4, e art. 160 c.p., comma 3 nei testi anteriori alle modificazioni ai medesimi apportate dalla L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 6) è maturato il 14 ottobre 2007.
La sentenza impugnata è stata, peraltro, pronunciata in epoca anteriore ((OMISSIS)).
Escluso, dunque, che l'estinzione del reato per prescrizione potesse essere dichiarata nel giudizio di merito, va rilevato che neppure può essere dichiarata in questa sede, ostandovi la inammissibilità del ricorso conseguente alla enunciazione di motivi manifestamente infondati, generici o non consentiti (cfr. Cass. S.U. 11 novembre 1994, Cresci; Cass. S.U. 30 giugno 1999, Piepoli; Cass. S.U. 22 novembre 2000, De Luca).

8. Segue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento e, ciascuno, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, In Euro 1.000,00 (mille/00).

 

P.Q.M.

 


dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del procedimento e, ciascuno, al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00 (mille/00). Cosi deciso in Roma, il 28 ottobre 2008. Depositato in Cancelleria il 18 novembre 2008