Cassazione Penale, Sez. 4, 01 giugno 2011, n. 22145 - Riscaldamento del bitume e operazione pericolosa



 

Responsabilità di un datore di lavoro per infortunio occorso ad un lavoratore: quest'ultimo infatti, durante il suo lavoro, notava che a causa della bassa temperatura il bitume liquido non passava regolarmente nella tubatura dell'impianto di betonaggio, per cui decideva di scaldare il bitume con un soffione alimentato tramite tubo di gomma da una bombola a gas. All'improvviso, però, si era sprigionata una estesa fiammata che lo aveva investito, ustionandolo gravemente.

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Rigetto.

 

Afferma il Collegio che la Corte territoriale, nel fare proprie le valutazioni effettuate dal primo giudice, ha considerato: che erano stati accertati gli elementi rilevanti nell'ambito della fattispecie di giudizio, da individuarsi nel fatto che l'infortunio fosse avvenuto nel corso di una operazione intrinsecamente pericolosa; e che l'operazione di riscaldamento del bitume con un soffione alimentato tramite tubo di gomma da una bombola a gas era già stata posta in essere in precedenza da altri operai dell'azienda.

Dunque tale pericolosa manovra di riscaldamento del bitume era prevista dal piano gestionale dell'azienda.

La Corte di Appello ha pure evidenziato che fra le prescrizioni imposte all'azienda dopo l'incidente vi era quella di prevedere un impianto per riscaldare il bitume attraverso resistenze elettriche.

Quanto alla presunta responsabilità dell'infortunato, la Corte afferma che, anche ipotizzando che il sinistro fosse stato causato dall'apertura anticipata del gas rispetto al momento dell'accensione, detta manovra non determinava la responsabilità esclusiva del lavoratore; ciò in quanto l'attività non aveva i caratteri della eccezionalità, essendo già stata svolta con le medesime modalità da un diretto superiore dell'infortunato, nè della abnormità, in quanto era finalizzata allo svolgimento della prevista attività lavorativa. La Corte di Appello ha pure rilevato che il lavoratore risultava ben preparato rispetto alle proprie ordinarie incombenze, ma che aveva sottovalutato la pericolosità della specifica operazione di riscaldamento del bitume, avendola vista fare ad un superiore.


 

 




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente

Dott. BIANCHI Luisa - Consigliere

Dott. MAISANO Giulio - Consigliere

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

Dott. MONTAGNI Andrea - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 



sul ricorso proposto da:

1) TO. MA. , N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 12842/2008 CORTE APPELLO di TORINO, del 11/03/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/03/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gialanella Antonio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore avv. Ponzio Roberto.

 

FattoDiritto



Il Tribunale di Cuneo, con sentenza del 22 febbraio 2008 dichiarava To. Ma. colpevole del reato di cui all'articolo 590 c.p., commesso in data (Omissis) e lo condannava, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, alla pena di venti giorni di reclusione, interamente condonata, oltre al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile. La Corte di Appello di Torino, in data 16 luglio 2010, in parziale riforma della sentenza pronunciata dal primo giudice riduceva la pena e confermava nel resto. La Corte territoriale dichiarava inammissibili le maggiori richieste avanzate dalla parte civile, non appellante.

La Corte di Appello riferiva che il (Omissis) l'operaio Gh. Ro. notava che a causa della bassa temperatura il bitume liquido non passava regolarmente nella tubatura dell'impianto di betonaggio, per cui decideva di scaldare il bitume con un soffione alimentato tramite tubo di gomma da una bombola a gas.

All'improvviso, però, si era sprigionata una estesa fiammata che aveva investito l'operaio, ustionandolo gravemente.

La Corte di Appello richiamava quindi i motivi di censura dedotti dall'appellante, il quale aveva rilevato: che il sistema di riscaldamento del bitume non era pericoloso e che l'impiego delle resistenze elettriche risultava sconsigliabile; che non era possibile sostenere che il tubo fosse fessurato prima della deflagrazione, dovendo di converso ritenersi che dette fessure fossero una conseguenza e non la causa del sinistro. Evidenziava la Corte territoriale che la difesa, inoltre, aveva osservato: che non aveva incidenza che il tubo fosse destinato ad uso domestico, e che l'impianto era munito di certificato di conformità CE; che non era rilevante la mancata applicazione della valvola di non ritorno; che il sinistro era stato determinato dalla apertura anticipata del gas rispetto al momento dell'accensione; e che il lavoratore era esperto e ben preparato, di talchè la responsabilità nella causazione del sinistro era da ascrivere unicamente al Gh. .


Avverso la richiamata sentenza della Corte di Appello di Torino ha proposto ricorso per cassazione l'imputato per mezzo del difensore.

Con il primo motivo la parte deduce la nullità della sentenza per difetto di idonea motivazione in ordine alla dinamica del sinistro.

L'esponente rileva che i giudici di merito non hanno chiarito il luogo preciso dell'incidente, la dinamica dell'infortunio e l'operazione posta in essere dall'infortunato, anche in considerazione delle contraddittorie dichiarazioni rese dalla parte offesa. Il ricorrente ritiene che la Corte territoriale non abbia affrontato detti profili, oggetto di specifico motivo di appello.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per difetto di motivazione in ordine alla contestata inidoneità dell'attrezzatura fornite al lavoratore. La parte ritiene che la Corte abbia ignorato i rilievi svolti dal consulente tecnico della difesa.

Con il terzo motivo il ricorrente assume che la sentenza impugnata sia nulla, per difetto di idonea motivazione in ordine alla fessurazione della tubazione. La parte ribadisce che detta fessurazione costituisce non causa ma conseguenza della fiammata. Il ricorrente rileva poi che la fiammata non può essere riconducibile alla mancanza della valvola di non ritorno.

Con il quarto motivo viene dedotta la nullità della sentenza per difetto di idonea motivazione in ordine alla mancata formazione del lavoratore. La parte rileva che il lavoratore aveva in realtà una adeguata formazione.

Con il quinto motivo la parte rileva la nullità della sentenza per difetto di motivazione in ordine all'incidenza causale della negligenza dei lavoratore. Sul punto la parte, argomentando sulla base del contenuto della consulenza tecnica della difesa, rileva che la deflagrazione fu dovuta a grave imprudenza del lavoratore.

Con il sesto motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per omesso controllo sulla credibilità della parte offesa, costituitasi parte civile e quindi portatrice in causa di pretese economiche.

Con l'ultimo motivo il deducente rileva la mancata correlazione tra sentenza e imputazione. Osserva, al riguardo, che la ricostruzione dell'accaduto offerta dalla parte lesa in dibattimento, ed accolta dalla Corte territoriale, non risulta conforme rispetto ai termini della contestazione.

Il ricorso risulta infondato, per i rilievi di seguito esposti.

Soffermandosi sul primo e sul sesto motivo di ricorso, che vengono trattati unitariamente, si osserva che la Corte di Appello ha chiarito che già il Tribunale, all'esito della espletata istruttoria, aveva rilevato che era rimasto incerto il luogo esatto del fatto ed il momento dell'incidente. Non di meno, la Corte territoriale, nel fare proprie le valutazioni effettuate dal primo giudice, ha considerato: che erano stati accertati gli elementi rilevanti nell'ambito della fattispecie di giudizio, da individuarsi nel fatto che l'infortunio fosse avvenuto nel corso di una operazione intrinsecamente pericolosa; e che l'operazione di riscaldamento del bitume con un soffione alimentato tramite tubo di gomma da una bombola a gas era già stata posta in essere in precedenza da altri operai dell'azienda. La Corte di Appello ha pure evidenziato che fra le prescrizioni imposte all'azienda dopo l'incidente vi era quella di prevedere un impianto per riscaldare il bitume attraverso resistenze elettriche. Come si vede, si registra un filo unitario tra le motivazioni poste a fondamento delle due sentenze di merito di primo e secondo grado; la Corte di Appello di Torino, infatti, ha espressamente rilevato di condividere le valutazioni effettuate dal primo giudice, tanto da registrarsi una risposta di insieme offerta ai motivi di censura. La Corte territoriale ha considerato specificamente che la spiegazione offerta dalla parte lesa in dibattimento, circa l'utilizzo del soffione di cui si tratta, appariva pienamente credibile ed in linea con la accertata prassi di lavoro; e che detta manovra, se pur rischiosa, risultava certamente consentita nel piano gestionale dell'azienda. Si osserva che questa Suprema Corte ha chiarito che sussiste la possibilità di procedere all'integrazione delle sentenze di primo e secondo grado, così da farle confluire in un prodotto unico cui il giudice di legittimità deve fare riferimento, proprio nel caso in cui le due decisioni abbiano utilizzato criteri omogenei e seguito un apparato logico argomentativo uniforme (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 10163 in data 1 febbraio 2002, dep. 12 marzo 2002, Rv. 221116).

Con riferimento al secondo motivo di ricorso, null'altro che evidenziare che la Corte distrettuale ha specificamente osservato che la ricostruzione prospettata dal consulente della difesa risultava priva di supporto tecnico; e che benchè il giudice di primo grado avesse posto come alternative due diverse modalità di azione da parte del lavoratore - come sopra si è rilevato - risultava accertato: che l'operazione posta in essere fosse da qualificarsi come pericolosa e che il dipendente non fosse attrezzato idoneamente per eseguirla in condizioni di sicurezza.

Con riguardo al terzo ed al quarto motivo di ricorso, che si esaminano congiuntamente, si osserva che la Corte di Appello ha rilevato che le fessurazioni presenti sul tubo di gomma potevano costituire l'origine della deflagrazione; e che il marchio CE presente sul tubo non rendeva detto strumento, destinato ad uso domestico, utilizzabile in un ambiente esterno e freddo. Il Collegio ha, inoltre, considerato che, anche ipotizzando che il sinistro fosse stato causato dall'apertura anticipata del gas rispetto al momento dell'accensione, detta manovra non determinava la responsabilità esclusiva del lavoratore; ciò in quanto l'attività non aveva i caratteri della eccezionalità, essendo già stata svolta con le medesime modalità da un diretto superiore dell'infortunato, nè della abnormità, in quanto era finalizzata allo svolgimento della prevista attività lavorativa. La Corte di Appello ha pure rilevato che il lavoratore risultava ben preparato rispetto alle proprie ordinarie incombenze, ma che aveva sottovalutato la pericolosità della specifica operazione di riscaldamento del bitume, avendola vista fare ad un superiore.

In tali termini si introduce la disamina del quinto motivo di ricorso, con il quale la parte assume che l'infortunio avvenne per colpa dello stesso lavoratore. Al riguardo, si osserva che questa Suprema Corte ha chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, può escludersi l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata l'abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa all'evento. Nella materia che occupa deve cioè considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e la giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Cass., sez. 4, 14 dicembre 1999 n. 3580, Bergamasco, Rv. 215686; Cass. 3 giugno 1999 n. 12115, Grande, Rv. 214999; Cass. 14 giugno 1996 n. 8676, Ieritano, Rv. 206012). La Suprema Corte ha pure chiarito che non può affermarsi che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione rientrante pienamente, oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli, (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 10121 del 23.01.2007, Rv. 236109). Con specifico riguardo al caso di specie, si osserva che la Corte territoriale ha rilevato che la manovra posta in essere dall'infortunato era finalizzata allo svolgimento della prevista attività lavorativa.

Con riferimento all'ultimo motivo di ricorso, con il quale la parte deduce il difetto di correlazione tra sentenza e imputazione, giova evidenziare che la Corte territoriale ha chiarito che gli elementi rilevanti nell'ambito della fattispecie di giudizio sono da individuarsi nel fatto che l'infortunio sia avvenuto nel corso di una operazione - il riscaldamento del bitume con un soffione alimentato tramite tubo di gomma da una bombola a gas - intrinsecamente pericolosa; e deve pure osservarsi che proprio il rischio del congelamento del bitume e le operazioni di scongelamento del bitume presente nelle tubazioni dell'impianto sono evenienze espressamente richiamate nel capo di imputazione che viene contestato all'odierno imputato. Si registra, pertanto, piena correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza impugnata. Si osserva, infine, che la stessa Corte di Appello ha considerato che la pericolosità della manovra di riscaldamento del bitume prevista dal piano gestionale dell'azienda - modificata solo dopo il verificarsi dell'Infortunio - costituiva oggetto di addebito.

Al rigetto dei ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.


Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.