Cassazione Penale, Sez. 4, 01 giugno 2011, n. 22138 - Rilevamento di campi magnetici e infortunio mortale


 

 

 


Responsabilità dell'amministratore delegato e responsabile della sicurezza di una spa per infortunio di un dipendente: quest'ultimo, incaricato di eseguire misure di rilevamento dei campi magnetici presso una stazione radio base, salito sulla copertura esterna dell'edificio, avente un'altezza dal suolo di circa venti metri, nell'avvicinarsi all'antenna da misurare, era scivolato sulla lastra di vetro di un lucernario ed era precipitato al suolo rimanendo infilzato in un'asta metallica, che si trovava nella corte interna dell'edificio, che gli ha trafitto organi vitali, causandone la morte.

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Rigetto.


Afferma il Collegio che la corte territoriale ha ribadito i profili di responsabilità già rilevati dal primo giudice nei confronti dell'imputato ed individuati, essenzialmente, nella scarsa informazione e formazione assicurate al giovane lavoratore, appena assunto, e nella mancata predisposizione dei mezzi necessari per prevenire i rischi connessi con l'attività esercitata. In proposito, i giudici del gravame hanno giustamente osservato, da un lato, che la formazione di un lavoratore, che prevede la frequenza a specifici corsi ed il relativo attestato, è cosa ben più complessa dell'apprendistato sul campo, dall'altro, che la pur approssimativa "informativa" non era stata rispettata, poichè al Lo. non erano stati forniti gli strumenti necessari per l'esecuzione in sicurezza dell'incarico affidatogli.

Riguardo alla vicenda oggetto del presente giudizio, osserva la Corte che non basta, per ritenere adempiuti, da parte dell'imputato, gli obblighi connessi con la sua posizione di datore di lavoro, l'avere elaborato un documento, indicato come "informativa", e l'avere reso edotto il lavoratore del divieto di accesso ai lastrici solari non calpestabili e dell'obbligo di ricorrere, in tali casi, ad una "piattaforma di lavoro omologata". Tali indicazioni, divieti, prescrizioni, diventano credibili, invero, solo se, accanto ad essi, da un lato, siano previsti, seri controlli diretti a verificarne la piena osservanza, dall'altro, che siano messi concretamente a disposizione del dipendente i mezzi e le attrezzature di protezione ritenuti necessari per garantire un sicuro svolgimento del lavoro.

Il giovane Lo., in realtà, è stato inviato da (Omissis) per eseguire una serie di controlli, senza che nessuno si fosse preoccupato di verificare preventivamente i luoghi ove essi dovevano svolgersi, senza che alcuno avesse analizzato i rischi specificamente connessi con l'esecuzione di tali controlli, senza che fossero forniti gli strumenti ed i mezzi che assicurassero l'adempimento in sicurezza degli stessi. In mancanza di analisi concreta del rischio ed in assenza di mezzi idonei, il Lo. , giunto sul posto, ha fatto le sue scelte, pur rischiose, a ciò indotto dalla necessità di portare a termine il lavoro affidatogli, non potendosi pretendere che egli, giunto in Toscana e resosi conto della necessità di salire su un lastrico solare non calpestabile, rientrasse a (Omissis) per procurarsi le cinture di sicurezza o la "piattaforma di lavoro omologata" alla quale la richiamata "informativa" faceva riferimento.


 

 




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ZECCA Gaetanino - Presidente

Dott. FOTI Giacomo - rel. Consigliere

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 



sul ricorso proposto da:

1) ZA. GI. , N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 2342/2009 CORTE APPELLO di FIRENZE, del 14/01/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/02/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO FOTI;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Monetti Vito, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

FattoDiritto



1 - Za. Gi. , amministratore delegato e responsabile per la sicurezza della " FI. s.p.a.", esercente l'attività di progettazione, realizzazione, installazione di impianti di telecomunicazione e di misurazione dei relativi campi magnetici, propone ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di Firenze, del 14 gennaio 2010, che ha confermato la sentenza del tribunale della stessa città, del 10 dicembre 2008, che lo ha ritenuto colpevole del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del dipendente Lo. St.; la stessa corte, in parziale accoglimento dell'appello proposto dall'imputato, ha dichiarato prevalenti, rispetto all'aggravante contestata, le attenuanti generiche e del risarcimento del danno, già riconosciute dal primo giudice, ed ha ridotto la pena da questo inflitta a mesi sette di reclusione.

In fatto, era accaduto che il Lo. , incaricato di eseguire misure di rilevamento dei campi magnetici commissionate alla " Fi. " dalla " Te. It. Mo. " presso la stazione radio base di (Omissis), salito sulla copertura esterna dell'edificio, avente un'altezza dal suolo di circa venti metri, nell'avvicinarsi all'antenna da misurare, era scivolato sulla lastra di vetro di un lucernario ed era precipitato al suolo rimanendo infilzato in un'asta metallica, che si trovava nella corte interna dell'edificio, che gli ha trafitto organi vitali, causandone la morte.

Nella sentenza impugnata, la corte territoriale, nel riassumere il fatto, ha ricordato che lo stesso giudice di primo grado aveva segnalato la condotta gravemente imprudente della vittima che, per eseguire l'operazione di verifica strumentale, pur potendo aggirare il lucernario passando lungo un camminamento presente sulla copertura, aveva cercato di oltrepassarlo poggiando il piede sulla lastra di vetro, che aveva ceduto.

I giudici del gravame, ricordato che il Lo., dopo avere sottoscritto, il 21 settembre 2004, un contratto a progetto, era stato assunto a tempo indeterminato a partire dal 1 dicembre 2004, cioè da due giorni prima dell'incidente, hanno individuato precisi profili di responsabilità nella condotta dell'imputato che, prima di affidare al dipendente incarichi a rischio, non aveva provveduto alla sua formazione professionale, nè lo aveva informato dei rischi connessi con l'attività lavorativa per la quale era stato assunto, nè lo aveva dotato dei necessari presidi di sicurezza. Hanno ricordato gli stessi giudici come fosse stata accertata l'abitudine del Lo. di accedere alle coperture degli edifici, laddove non fosse possibile procedere alle previste rilevazioni dai balconi o dalle scale. L'eventualità di tali accessi, del resto, era prevista nei moduli a stampa intestati alla " Fi. ", in cui si segnalava espressamente la possibilità che si dovesse accedere a terrazze o finestre per procedere alle verifiche strumentali.

Se era vero, poi, hanno ancora rilevato i giudici del merito, che il documento di valutazione del rischio (c.d. "informativa"), peraltro non conforme, secondo gli stessi giudici, alle prescrizioni di legge, prevedeva che, nel caso di coperture non calpestabili, gli operatori non dovessero accedervi e dovessero ricorrere alle piattaforme di lavoro (cestelli), era anche vero che di tali piattaforme il Lo. non era stato dotato.

Anche il giorno dell'incidente, il Lo. , scarsamente informato dei rischi connessi allo svolgimento delle mansioni affidategli, privo di adeguata formazione professionale, era stato indotto a seguire la pericolosa prassi di lavoro che prevedeva l'accesso alla copertura dell'edificio, pur non calpestabile, sul quale si trovava l'antenna oggetto di verifica, non essendovi altra possibilità, data l'assenza di balconi, di procedere ai programmati rilevamenti. Decisione che, evidentemente, non poteva che essere causa di pericolo anche perchè il lavoratore era privo di cinture protettive e non aveva la disponibilità di piattaforme che gli consentissero di svolgere in sicurezza l'incarico affidatogli.

Di tale decisione, e delle relative tragiche conseguenze, giustamente, secondo la corte territoriale, l'imputato è stato ritenuto responsabile, pur se all'incidente aveva dato causa anche la condotta gravemente imprudente della vittima. Circostanza che ha indotto la stessa corte a qualificare in termini di prevalenza il giudizio di comparazione tra l'aggravante contestata e le già riconosciute attenuanti ed a rideterminare la pena in misura più contenuta.


2 - Avverso tale decisione ricorre, dunque, l'imputato, che deduce vizio di motivazione della sentenza impugnata per:

A) Carenza e manifesta illogicità della stessa, laddove il giudice del gravame ha ritenuto di rigettare la tesi difensiva -che aveva segnalato l'assenza di responsabilità dell'imputato posto che era stato il Lo. , di propria iniziativa, ad accedere sul tetto dell'edificio- sul rilievo che il giovane saliva per prassi sulla copertura degli edifici, non avendo ricevuto alcuna formazione professionale ed adeguate informazioni sul lavoro da svolgere.

Affermazione del tutto generica, secondo il ricorrente, che non ha tenuto conto della tassativa disposizione impartita ai dipendenti che imponeva di non accedere a coperture non calpestabili e di servirsi di adeguate piattaforme di lavoro. Anche l'affermazione secondo cui il Lo. non aveva ricevuto adeguate informazioni e formazione viene ritenuta generica oltre che in contrasto con quanto sostenuto dal teste Pe. , il quale aveva riferito circa l'attività svolta per rendere edotto il Lo. delle modalità di esecuzione degli interventi e delle prescrizioni contenute nell'informativa che vietava l'accesso su lastrici solari non praticabili. Tali emergenze probatorie la corte territoriale avrebbe omesso di considerare, benchè richiamate nei motivi d'appello;

B) Omessa pronuncia ed illogicità, laddove è stato sostenuto che il Lo. non avesse a disposizione cinture di sicurezza nè idonea piattaforma di lavoro, senza considerare che il lavoratore non poteva certamente, per eseguire delle misurazioni, portarsi dietro la piattaforma in questione; invero, non potendo agevolmente accedere alla copertura dell'edificio, egli avrebbe dovuto sospendere l'intervento e programmarne un altro con l'ausilio della piattaforma; ciò nel rispetto delle disposizioni contenute nella richiamata "informativa" che vieta, in detti casi, l'acceso alla copertura ed impone il ricorso a piattaforme che trasportino il personale alla quota necessaria. Quanto al documento di valutazione del rischio, a giudizio della corte territoriale redatto senza rispettare i criteri di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, commi 2, 3 e 6, osserva il ricorrente che la stessa corte avrebbe fatto mal governo dei principi che regolano il nesso di causalità, avendo elevato a condizione per l'operatività di un preciso divieto un elemento formale privo di qualsiasi rapporto con la validità della prescrizione e l'operatività del divieto;

C) Illogicità ed omessa pronuncia in punto di nesso causale; sostiene il ricorrente che i giudici del gravame avrebbero omesso di considerare che il mancato rispetto, da parte del lavoratore, del divieto di accesso sui lastrici solari non praticabili, è stato, secondo il ricorrente, l'unica causa del tragico incidente; mentre le carenze di formazione ed informazione, richiamate dalla corte territoriale, non hanno avuto alcun ruolo, davanti all'aperta violazione di detto divieto, nella decisione del Lo. di accedere alla copertura dell'edificio;

D) Inosservanza ed erronea applicazione dell'articolo 40 c.p., laddove la corte territoriale non ha considerato che causa unica dell'evento è stata l'imprudente ed anomala condotta del lavoratore, che ha posto in essere, di propria iniziativa, un intervento del tutto diverso da quello cui era tenuto, contravvenendo a precise disposizioni.

3 - Il ricorso, che sostanzialmente denuncia, anche ove prospetta il vizio di violazione di legge, censure motivazionali, è infondato.

Deve, in proposito, anzitutto osservarsi che questa Corte ha costantemente affermato che il vizio della mancanza o manifesta illogicità della motivazione, valutabile in sede di legittimità, sussiste allorchè il provvedimento giurisdizionale manchi del tutto della parte motiva ovvero la medesima, pur esistendo graficamente, sia tale da non evidenziare l'iter argomentativo seguito dal giudice per pervenire alla decisione adottata. Il vizio è altresì ritenuto presente nell'ipotesi in cui dal testo della motivazione emergano illogicità o contraddizioni di tale evidenza da rivelare una totale estraneità tra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale prescelta.

Orbene, nel caso di specie le censure mosse dal ricorrente, che in parte ripropone questioni già poste all'attenzione dei giudici del merito, si rivelano, in realtà, quali astratte enunciazioni critiche nella denuncia di pretese carenze di motivazione della sentenza impugnata che, viceversa, presenta una struttura motivazionale adeguata e coerente sotto il profilo logico. Riprendendo le linee argomentative tracciate dal primo giudice a sostegno della propria decisione, i giudici del gravame hanno esaminato ogni questione sottoposta al loro giudizio e, dopo avere ricostruito i fatti, hanno adeguatamente motivato le ragioni del proprio dissenso rispetto alle argomentazioni ed osservazioni difensive. Essi hanno dunque ribadito la responsabilità dell'imputato, radicata su un'organica e corretta valutazione degli elementi probatori acquisiti, in relazione ai quali le osservazioni contenute nel ricorso si presentano del tutto incongrue e, talvolta, anche generiche.

In particolare, la corte territoriale ha ribadito i profili di responsabilità già rilevati dal primo giudice nei confronti dell'imputato ed individuati, essenzialmente, nella scarsa informazione e formazione assicurate al giovane lavoratore, appena assunto, e nella mancata predisposizione dei mezzi necessari per prevenire i rischi connessi con l'attività esercitata. In proposito, i giudici del gravame hanno giustamente osservato, da un lato, che la formazione di un lavoratore, che prevede la frequenza a specifici corsi ed il relativo attestato, è cosa ben più complessa dell'apprendistato sul campo, dall'altro, che la pur approssimativa "informativa" non era stata rispettata, poichè al Lo. non erano stati forniti gli strumenti necessari per l'esecuzione in sicurezza dell'incarico affidatogli.

In realtà, il rispetto delle norme antinfortunistiche e la corretta interpretazione, da parte del datore di lavoro, del ruolo di garante della sicurezza del luogo ove si svolge l'attività d'impresa che la legge allo stesso attribuisce, non passa solo attraverso la teorica individuazione dei doveri e dei divieti, nè solo attraverso la indicazione delle più sicure modalità di esecuzione del lavoro e degli strumenti e delle misure di protezione da utilizzare, ma anche, e soprattutto, attraverso la verifica del rispetto delle stesse da parte del lavoratore nonchè attraverso la concreta messa a disposizione di tali strumenti e misure, individuati preventivamente dopo attenta e precisa analisi dei rischi connessi con l'esecuzione dello specifico incarico affidato al dipendente.

Riguardo alla vicenda oggetto del presente giudizio, osserva la Corte che non basta, per ritenere adempiuti, da parte dell'imputato, gli obblighi connessi con la sua posizione di datore di lavoro, l'avere elaborato un documento, indicato come "informativa", e l'avere reso edotto il lavoratore del divieto di accesso ai lastrici solari non calpestabili e dell'obbligo di ricorrere, in tali casi, ad una "piattaforma di lavoro omologata". Tali indicazioni, divieti, prescrizioni, diventano credibili, invero, solo se, accanto ad essi, da un lato, siano previsti, seri controlli diretti a verificarne la piena osservanza, dall'altro, che siano messi concretamente a disposizione del dipendente i mezzi e le attrezzature di protezione ritenuti necessari per garantire un sicuro svolgimento del lavoro.

Si vuole, cioè, rilevare, con riguardo alla vicenda che oggi interessa, che il divieto di accesso ai lastrici solari non calpestabili, previsto nella "informativa", ed il conseguente obbligo di utilizzare dette attrezzature, hanno un senso solo se il datore di lavoro eserciti in necessario controllo per assicurarne il rispetto, ed ancora, se il dipendente abbia realmente la possibilità di scegliere tra il rispetto di tali divieti ed obblighi -potendo concretamente far ricorso agli strumenti indicati della "informativa"- e la loro elusione laddove, in assenza di detti strumenti, gli rimanga solo la scelta, per portare a termine il lavoro, di violare i divieti ed imboccare strade traverse e più rischiose.

Il giovane Lo. , in realtà, è stato inviato da (Omissis) per eseguire una serie di controlli, senza che nessuno si fosse preoccupato di verificare preventivamente i luoghi ove essi dovevano svolgersi, senza che alcuno avesse analizzato i rischi specificamente connessi con l'esecuzione di tali controlli, senza che fossero forniti gli strumenti ed i mezzi che assicurassero l'adempimento in sicurezza degli stessi. In mancanza di analisi concreta del rischio ed in assenza di mezzi idonei, il Lo. , giunto sul posto, ha fatto le sue scelte, pur rischiose, a ciò indotto dalla necessità di portare a termine il lavoro affidatogli, non potendosi pretendere che egli, giunto in Toscana e resosi conto della necessità di salire su un lastrico solare non calpestabile, rientrasse a (Omissis) per procurarsi le cinture di sicurezza o la "piattaforma di lavoro omologata" alla quale la richiamata "informativa" faceva riferimento.

Non basta, d'altra parte, l'apprendistato di un mese per ritenere adempiuto in maniera accettabile, da parte dell'imputato, l'obbligo di formazione del lavoratore, specie se giovane, come il Lo., ed alle prime esperienze lavorative.

Al cospetto della palese violazione dei compiti che la legge gli assegnava, l'imputato non può invocare, a propria discolpa, la condotta della vittima, quasi che essa si sia posta quale causa alternativa del nesso causale tra l'evento e la condotta colposa contestatagli.

In tema di causalità, invero, questa Corte ha costantemente affermato che il rapporto di causa deve ritenersi escluso solo in presenza di un processo causale del tutto atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili. Situazione certamente non riscontrabile nel caso in esame, non solo per la prevedibilità, in sè, del gesto, pur imprudente, del giovane di salire, comunque, sul lastrico solare, pur non calpestarle, per eseguire le verifiche di cui era stato incaricato, ma anche perchè è pacificamente emersa l'abitudine del Lo. , secondo quanto accertato dai giudici del merito, di salire su tali coperture.

In conclusione, del tutto infondate sono le censure proposte nel ricorso in esame che deve, in conseguenza, essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

 



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.