Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 27 luglio 2006, n. 17160


 


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
SEZIONE LAVORO 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 
Dott. Senese Salvatore - Presidente - 
Dott. De Renzis Alessandro - Consigliere - 
Dott. Picone Pasquale - Consigliere - 
Dott. De Matteis Aldo - rel. Consigliere - 
Dott. Morcavallo Ulpiano - Consigliere - 
ha pronunciato la seguente: 

s e n t e n z a 

sul ricorso proposto da: 
V.D., elettivamente domiciliato in Roma via francesco De Sanctis 4, presso lo studio dell'avvocato [omissis], che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato [omissis], giusta delega in atti; 

- ricorrente -

contro 
I.N.A.I.L. - Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in Roma via IV novembre 144, rappresentato e difeso dagli avvocati [omissis], giusta procura speciale atto notar [omissis] in Roma del 12 febbraio 2004 rep. n. 64493; 

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 255/03 della Corte d'Appello di Cagliari, depositata il 12/05/03 - R.G.N. 680/2002; 

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/05/06 dal Consigliere Dott. Aldo De Matteis; 
udito l'Avvocato [omissis] per delega [omissis]; 
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Velardi Maurizio, che ha concluso per il rigetto del ricorso. 

Fatto

Il sig. V.D. si duole che l'Inail gli abbia calcolato la rendita su una retribuzione effettiva annua di L. 25.811.130, ai sensi del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 art. 116, comma 1.
Assume che, avendo egli lavorato nei dodici mesi antecedenti l'evento invalidante per 1544 ore, invece delle 2080 contrattuali, la sua prestazione andava qualificata come non continuativa, a norma del comma 2 del medesimo art. 116, e pertanto la retribuzione andava calcolata, alla stregua di tale ultima disposizione, in L. 29.362.815.
La domanda, accolta dal primo giudice (che aveva determinato una retribuzione di L. 28.760.351, ai sensi dell'art. 116, comma 2), è stata respinta dalla Corte d' Appello di Cagliari con sentenza 2 aprile/12 maggio 2003 n. 255.
Il giudice d'appello ha dato atto che il V. non ha lavorato per l'intero orario contrattuale, ed ha qualificato tale situazione come prestazione non continuativa ai sensi del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 116, comma 2. Ha però ritenuto che da sola detta condizione non sia sufficiente per l'applicazione del criterio di calcolo del comma 2, al quale dovrà ricorrersi solo ove sussista anche l'altro requisito della impossibilità di determinare la retribuzione annua effettiva per lo stesso periodo. Per il giudice d'appello è possibile determinare la retribuzione annua effettiva tutte le volte in cui il lavoratore venga retribuito o mensilmente o comunque con una retribuzione periodicizzata, perchè allora sarà ricostruibile la retribuzione annuale a prescindere dalle ore lavorative in concreto prestate. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione il V., con unico motivo.
L' intimato Istituto si è costituito con controricorso, illustrato da memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c., resistendo.

Diritto

Con unico motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 116 e 120 dell'art. 113 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3); motivazione omessa, insufficiente e contraddittoria in ordine a punti decisivi della controversia (art. 360, n. 5 c.p.c.).
Il motivo è fondato.
Sulla questione di diritto oggetto della presente causa si sono succedute negli ultimi anni, a quanto consta, cinque sentenze di questa Corte: 12 agosto 1996 n. 7486, 5 luglio 2002 n. 9762, 10 maggio 2004 n. 8873, 24 gennaio 2005 n. 1382, 9 febbraio 2005 n. 2572.
Tutte riguardano fattispecie analoghe, provenienti dal medesimo distretto della Corte d' Appello di Cagliari, di lavoratori che negli ultimi dodici mesi antecedenti l'infortunio hanno lavorato con il medesimo datore di lavoro, ma per un numero di ore inferiore a quelle contrattuali, o perchè hanno lavorato ad orario pieno ma a periodi alterni, o perchè hanno lavorato tutti i mesi ad orario ridotto, come nella fattispecie odierna. Tutte le sentenze citate concordano nel qualificare siffatta situazione come prestazione d'opera non continuativa, ai sensi del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 116, comma 2.
Anche la sentenza impugnata afferma che la prestazione del V. va qualificata come non continuativa ai sensi del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 116, comma 2, e quindi per questa parte è conforme alla giurisprudenza di legittimità, univoca sul punto. Tale affermazione ha una quadruplice valenza: a) costituisce un accertamento di fatto, basato sui documenti prodotti, dai quali risulta che il V. prestò la propria opera presso il medesimo datore di lavoro per 1544 ore negli ultimi dodici mesi antecedenti l'infortunio, in luogo delle 2080 contrattuali; b) costituisce una valutazione giuridica della situazione di fatto, come corrispondente alla previsione normativa dell'art. 116, comma 2 in esame; c) implica una interpretazione della norma stessa nel senso che la prestazione, nell'ultimo anno, presso lo stesso datore di lavoro, di un numero di ore di lavoro inferiore rispetto all'orario annuale stabilito contrattualmente integra la previsione della prestazione non continuativa prevista nella norma in questione; d) comporta, per converso, una interpretazione del comma 1 nel senso che per retribuzione effettiva deve intendersi quella corrispondente all'orario pieno contrattuale. La nozione di prestazione d'opera non continuativa, ai sensi dell'art. 116 citato, comma 2, implica pertanto, secondo la sentenza impugnata e la giurisprudenza di legittimità, sul punto conformi, non soltanto una continuità della prestazione in senso cronologico, ma anche una corrispondenza al rapporto di lavoro a tempo pieno. La sentenza impugnata è esplicita sul punto, laddove esprime la volontà di ricostruire la retribuzione effettiva, relativa "all'orario contrattuale completo" (così testualmente nella sentenza impugnata). Ed anche le sentt. citate 9762/2002 e 8873/2004 ritengono che scopo del meccanismo di calcolo del comma 2 è quello di realizzare la massima adeguatezza possibile della rendita all'ultima retribuzione annua, percepita o percipienda.
In effetti, il riproporzionamento delle ore effettivamente lavorate all'orario settimanale normale, disposto dal comma 2, non può avere altra spiegazione.
Ciò corrisponde non solo al modello tipologico giuslavoristico dominante al tempo del t.u., del lavoro a tempo indeterminato a tempo pieno, ma anche alla particolare. funzione della rendita nel sistema di tutela infortunistica.
La retribuzione rilevante ai fini infortunistici è in generale quella effettiva, come definita in senso onnicomprensivo dal D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 29, già sostituito dalla L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12, ora Costituito dal D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314, art. 6. Essa rileva per il calcolo sia dei contributi, sia, correlativamente, delle prestazioni (D.Lgs. 19 aprile 1946, n. 238, art. 1; D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 29, testo originario, comma 1; L. n. 153 del 1969, art. 12, comma ultimo, salvo alcune eccezioni).
L'arco di rilevazione temporale della retribuzione effettiva è però diverso, in relazione della diversità di funzione, per il calcolo della indennità per inabilità temporanea e della rendita.
La prima, avendo una funzione sostitutiva della retribuzione non percepita a causa della inabilità", va calcolata sulla retribuzione effettiva dei 15 giorni antecedenti la . data della sospensione del lavoro, intendendo per retribuzione effettiva quella contrattualmente dovuta (anche se non corrisposta) risultante dalle registrazioni obbligatorie di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 20, o quella superiore di fatto percepita (D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 120, comma 1), maggiorata dei ratei degli oneri differiti (mensilità aggiuntive e ferie).
La rendita, avendo una funzione indennitaria della perdita della capacità di lavoro generica, ed ora, nel regime del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, anche della integrità psicofisica, deve rispondere ad un criterio di adeguatezza (Cass. n. 9672/2002 e 8873/2004 cit.), alla retribuzione percepita nel corso della vita lavorativa e alle esigenze di vita, ai sensi dell'art. 38 Cost., comma 2.

P.Q.M.

della rendita permanente è rapportata ad un arco temporale molto più ampio che per la indennità per inabilità temporanea assoluta, e cioè al reddito da lavoro effettivo dell'anno precedente l'infortunio o la malattia professionale, sia che la prestazione lavorativa si sia svolta con unico datore di lavoro (D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 116, comma 1), sia con diversi datori di lavoro, semprechè i periodi di lavoro siano contigui e le retribuzioni, sommate, coprano tutto l'anno (comma 2); ma se il guadagno continuativo per un anno manca, o non rispecchia la capacità di guadagno presumibile della vita lavorativa, il sistema prevede criteri alternativi (contenuti sia nel t.u., sia in leggi successive), miranti ad assicurare l'adeguatezza, e cioè che la rendita sia rapportata non ad un evento retributivo puntuale, ma alla presumibile capacità di reddito lavorativo.
Ad. es., per gli apprendisti, che sono caratterizzati dal fatto di percepire una retribuzione d'ingresso che non rispecchia quella che sarà la futura storia retributiva piena quali lavoratori qualificati, e per i quali non sarebbe quindi giusto parametrare sulla ridotta retribuzione nell'anno precedente l'infortunio la rendita, che viceversa deve indennizzare la perdita della capacità lavorativa dell'intera vita, il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 119, adotta il criterio di ragguagliare la rendita di inabilità e la rendita ai superstiti alla retribuzione della qualifica iniziale prevista per le persone assicurate di età superiore agli anni diciotto non apprendiste occupate nella medesima lavorazione cui gli apprendisti stessi o i minori sono addetti e comunque una retribuzione non inferiore a quella più bassa stabilita dal contratto collettivo di lavoro per prestatori d'opera di età superiore ai diciotto anni della stessa categoria e lavorazione (mentre, per quanto detto sopra, l'indennità per inabilità temporanea assoluta rimane ragguagliata alla retribuzione effettiva dell'apprendista secondo le norme dell'art. 117).
Analogamente per gli operai in cassa integrazione guadagni il D.L. 29 marzo 1966, n. 129, art. 1, comma ultimo, aggiunto in sede di conversione dalla L. 26 maggio 1966, n. 310, dispone che, in caso d'infortunio sul lavoro o di malattia professionale, ai fini della determinazione delle prestazioni economiche si deve fare riferimento non all'orario ridotto praticato a seguito della concessione dell'integrazione guadagni, ma alla durata oraria normale della settimana lavorativa in uso nell'azienda antecedentemente al periodo di contrazione dell'orario settimanale.
Per i lavoratori con contratto a tempo parziale la retribuzione da valere ai fini dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali è uguale alla retribuzione tabellare prevista dalla contrattazione collettiva per il corrispondente rapporto di lavoro a tempo pieno (D.L. 30 ottobre 1984, n. 726, art. 5, comma 9, convertito, con modificazioni, in L. 19 dicembre 1984, n. 863; D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, art. 9, comma 3).
Nel caso di lavoratore non apprendista, e non versante in ipotesi particolari per le quali valgano le retribuzioni legali o convenzionali (D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 118), il quale non abbia però prestato la sua opera durante i dodici mesi antecedenti l'evento in modo continuativo, il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 116, comma 2, dette regole per calcolare l'ultima retribuzione annua presunta con la massima adeguatezza possibile a quella che sarebbe stata la retribuzione effettiva, se avesse lavorato tutto l'anno. A tal fine la retribuzione annua si valuta eguale a trecento volte la retribuzione giornaliera; a questo effetto, si considera retribuzione giornaliera la sesta parte della somma che si ottiene rapportando alla durata oraria normale della settimana di lavoro nell'azienda per la categoria cui appartiene l'infortunato il guadagno medio orario percepito dall'infortunato stesso, anche presso successivi datori di lavoro fino al giorno dell'infortunio nel periodo, non superiore ai dodici mesi, per il quale sia possibile l'accertamento dei guadagni percepiti.
In tal modo il t.u. realizza, con la disposizione dell'art. 116, comma 2, il principio di adeguatezza di cui all'art. 38 Cost., comma 2, che ispira tutte le varie discipline cennate, quella del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 116, comma 2, dei lavoratori in trattamento di integrazione, salariale, dei lavoratori a tempo parziale, degli apprendisti.
La riconduzione della fattispecie odierna sotto la previsione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 116, comma 2, dovrebbe essere sufficiente per l'applicazione del criterio ricostruttivo della retribuzione presunta ivi previsto, ed in tal senso di sono espresse le sentenze citate 7486/1996, 1382 e 2572/2005.
Da questa conclusione si sono discostate le sentt. 9762/2002 e 8873/2004, le quali ritengono che per l'applicazione del criterio di calcolo del comma 2 occorra un ulteriore requisito, e cioè la impossibilità di determinare la retribuzione annua effettiva per lo stesso periodo; sussiste tale possibilità, con conseguente esclusione del criterio di calcolo del comma 2, tutte le volte in cui il lavoratore venga retribuito o mensilmente o comunque con una retribuzione periodicizzata perchè allora sarà ricostruibile la retribuzione annuale a prescindere dalle ore lavorative in concreto prestate.
Occorre verificare se tale tesi sia giustificata dal tenore testuale del comma 2, ed in particolare dall'inciso "e non sia possibile determinare il cumulo delle retribuzioni percepite nel periodo medesimo"; in effetti per l'applicazione del criterio di calcolo del comma 2 occorrono due condizioni: che l'infortunato non abbia prestato la sua opera nei dodici mesi antecedenti l'infortunio in modo continuativo, e che non sia possibile determinare il cumulo delle retribuzioni percepite nel periodo medesimo.
Ma questo secondo requisito, con il suo riferimento al cumulo delle retribuzioni, riguarda le ipotesi di un lavoratore che nei dodici mesi antecedenti l'infortunio abbia lavorato a tempo pieno per diversi datori di lavoro contigui, e sia perciò possibile effettuare il cumulo delle retribuzioni effettive ai sensi del comma 1;
diversamente interpretato renderebbe privi di scopo sia il criterio di onnicomprensività del comma 1, sia il criterio di computo adeguatore del comma 2.
Ora la retribuzione mensilizzata è una posta contabile, non una retribuzione effettiva, perchè la retribuzione effettiva è commisurata alle ore lavorate; potrebbe sembrare che riconoscere una retribuzione mensilizzata, in luogo di quella minore corrispondente alle ore lavorate, sia nell'interesse del lavoratore; ma in tal modo lo si priva delle corpose indennità inerenti alle mansioni svolte, facenti parte come tali della retribuzione normale, corrispondenti alle ore non lavorate, dalle quali deriva la differenza nei valori finali del computo rispettivamente dell'Inail e del lavoratore.
In definitiva il criterio proposto dall'Inail e dalle due sentenze di legittimità da ultimo citate, cui il giudice d'appello si è adeguato con la sentenza impugnata, mutando 'la propria precedente giurisprudenza, è un (criterio combinatorio di retribuzione putativa, quella mensilizzata, e di retribuzione indennitaria effettiva per le ore di fatto lavorate, che mira a ricostruire una retribuzione presunta corrispondente a quella effettiva di cui al comma 1; ma qualsiasi criterio matematico che si voglia adottare per inferire dal compenso per una prestazione non continuativa la retribuzione annua, non perverrebbe mai ad una retribuzione effettiva, ai sensi del comma 1, bensì ad una retribuzione presunta, che è quella che il comma 2 intende ricostruire, con criterio matematico legale, al quale l'interprete non può sostituirne altri arbitrari.
Sono possibili diverse sequenze di operazioni aritmetiche rispettose e realizzatrici del precetto normativo di cui al comma 2; una delle più semplici, suggerita dalla dottrina specialistica, è la seguente: ore lavorate nell'anno: orario settimanale contrattuale = numero delle settimane lavorate; compenso complessivo D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ex art. 29 di fatto percepito nell'anno: numero delle settimane lavorate; guadagno medio settimanale x 50 settimane (oppure diviso sei e moltiplicato per 300) = retribuzione annua presunta ai sensi dell'art. 116, comma 2.
Ciò posto, risulta evidente la contraddizione in cui è incorsa la sentenza impugnata, perchè da una parte qualifica la prestazione come non continuativa, e dall'altra vorrebbe applicare il criterio previsto dal comma 1 per la prestazione continuativa.
Sussiste pertanto anche il vizio denunciato di violazione di legge, per l'adozione di un criterio normativo diverso da quello legale.
Il ricorso va pertanto accolto, la sentenza impugnata cassata, e gli atti trasmessi alla, Corte d'appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, la quale deciderà la causa attenendosi al seguente principio di diritto: "in tema di determinazione della retribuzione da assumere a base della rendita Inail, ai sensi del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 116, ove il giudice di merito abbia accertato, con accertamento di fatto a lui riservato, che nei dodici mesi antecedenti l'evento invalidante l'infortunato ha lavorato presso lo stesso datore di lavoro con orario ridotto rispetto a quello contrattuale, tale situazione integra la previsione della opera non continuativa di cui all'art. 116, comma 2, che impone l'impiego esclusivo del criterio normativo di calcolo presuntivo ivi previsto".
Essa provvederà altresì alle spese del presente giudizio.

P.Q.M. Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 23 maggio 2006.
Depositato in Cancelleria il 27 luglio 2006