Cassazione Penale, Sez. 3, 20 luglio 2011, n. 28897 - Istruzioni di lavoro e determinazione della pena in base alla normativa vigente


 

 


Responsabilità per omissione della predisposizione di misure appropriate affinchè soltanto i lavoratori che abbiano ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico: l'imputato aveva infatti destinando al cantiere il sig. El. Gu. El. Kb. senza averlo istruito della presenza di una soletta non calpestabile.

Condannato, ricorre in Cassazione - la Corte annulla con rinvio limitatamente alla pena inflitta per nuovo esame al tribunale di alba; rigetta nel resto il ricorso.

Ha correttamente osservato la difesa dell'imputato che la contravvenzione contestata a quest'ultimo era, all'epoca dei fatti, descritta, quanto alla condotta, dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera e), mentre la sanzione era contenuta nell'articolo 89, comma 2, del medesimo decreto legislativo. All'epoca dei fatti, tale violazione era punita dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 89, comma 2, lettera a), con la pena pecuniaria, alternativa all'arresto, dell'ammenda da lire tre milioni (euro 1549,37) a lire otto milioni (euro 4.131,66).

Il Decreto Legislativo n. 626 del 1994 è stato abrogato e sostituito dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008 (t.u. in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro). Successivamente la condotta contestata all'imputato è stata prevista dall'articolo 18, comma 1, lettera e), del citato testo unico (il quale ne descrive l'elemento materiale) e dall'articolo 55, comma 4, lettera a), nel testo originario, il quale fìssa l'entità dell'ammenda (alternativa alla pena dell'arresto) nella misura da euro 800 ad euro 3.000; pena successivamente aumentata dal Decreto Legislativo n. 106 del 2009 (la pena dell'ammenda va ora da 1.200 a 5.200 euro ed è sempre alternativa alla pena dell'arresto, che invece è rimasta invariata). Il citato articolo 55, comma 4, lettera a), nel testo originario, costituisce disposizione applicabile al caso di specie in quanto legge più favorevole nella misura in cui prevede un massimo edittale di euro 3.000 di ammenda.

Pertanto il tribunale di Alba, irrogando la pena dell'ammenda di euro 4.500 ha superato il massimo edittale ex lege, sia quello di euro 4.131,66 previsto dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 89, comma 2, lettera a), sia quello di euro 3.000 previsto dall'articolo 55, comma 4, lettera a), del testo originario del Decreto Legislativo n. 81 del 2008; la quale ultima disposizione, in quanto più favorevole, doveva essere nella specie applicata.


 




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRUA Giuliana - Presidente

Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere

Dott. SARNO Giulio - Consigliere

Dott. ROSI Elisabetta - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 



sul ricorso proposto da:

Bo. Gi. Ca. , nato a (Omissis);

avverso la sentenza del 22.2.2010 del tribunale di Alba;

Udita la relazione fatta in pubblica udienza dal Consigliere Giovanni Amoroso;

Udito il P.M., in persona del S. Procuratore Generale dott. MAZZOTTA Gabriele che ha concluso per l'annullamento della sentenza limitatamente alla pena; inammissibilità del ricorso nel resto;

Udito l'avv. Porzio Roberto che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

la Corte osserva:

Fatto



1. Bo. Gi. Ca. , nato a (Omissis), era imputato della contravvenzione di cui al Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4 e articolo 5, lettera e), articolo 89, comma 2, lettera a), per aver omesso di prendere misure appropriate affinchè soltanto i lavoratori che hanno ricevute adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico, destinando al cantiere il sig. El. Gu. El. Kb. senza averlo istruito della presenza di una soletta non calpestabile (in (Omissis)).

Con decreto emesso dal GIP presso il Tribunale di Alba in data 4/1/2008, a seguito di opposizione al decreto penale di condanna, veniva disposta la citazione a giudizio di Bo. Gi. Ca. per l'imputazione suddetta.

Il processo era istruito mediante l'escussione dei testi in lista e produzione documentale.

Con sentenza in data 22.02.2010 depositata il 19.05.2010 il tribunale dichiarava il Bo. responsabile del reato ascrittogli e lo condanna alla pena di euro 4.500,00 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali.

Riteneva il tribunale che dalla ricostruzione dell'infortunio e dall'escussione dei testi era emerso che non vi era stata una specifica informazione sul fatto che la soletta sulla quale l'operaio infortunato stava lavorando non fosse calpestabile.

Come affermato dallo stesso infortunato, era la prima volta che quest'ultimo andava in quel cantiere; ciò nonostante non gli venne fornito alcun avvertimento dei rischi connessi a quel cantiere.

2. Avverso questa pronuncia l'imputato propone ricorso per cassazione con due motivi.

In prossimità dell'udienza la difesa del ricorrente depositava memoria con un motivo aggiunto.

Diritto



1. Il primo motivo del ricorso, con cui il ricorrente denuncia l'erroneità e/o illogicità, e/o mancanza di motivazione in ordine all'affermazione della penale responsabilità, è inammissibile.

Deduce il ricorrente che il Tribunale di Alba lo ha ritenuto colpevole unicamente sulla base delle dichiarazioni rese dal teste Na. St. e dal lavoratore infortunatosi, persona offesa, pretermettendo di considerare e di valutare le altre prove assunte nel corso del procedimento ed omettendo di spiegare perchè la deposizione della persona offesa fosse particolarmente attendibile.

Si tratta di censura di fatto, oltre che generica, che esprime un mero dissenso valutativo delle risultanze probatorie e che, come tale, è inammissibile nel giudizio di legittimità.

2. Fondato è invece il secondo motivo di ricorso.

Ha correttamente osservato la difesa dell'imputato che la contravvenzione contestata a quest'ultimo era, all'epoca dei fatti, descritta, quanto alla condotta, dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 4, comma 5, lettera e), mentre la sanzione era contenuta nell'articolo 89, comma 2, del medesimo decreto legislativo. All'epoca dei fatti, tale violazione era punita dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 89, comma 2, lettera a), con la pena pecuniaria, alternativa all'arresto, dell'ammenda da lire tre milioni (euro 1549,37) a lire otto milioni (euro 4.131,66).

Il Decreto Legislativo n. 626 del 1994 è stato abrogato e sostituito dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008 (t.u. in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro). Successivamente la condotta contestata all'imputato è stata prevista dall'articolo 18, comma 1, lettera e), del citato testo unico (il quale ne descrive l'elemento materiale) e dall'articolo 55, comma 4, lettera a), nel testo originario, il quale fìssa l'entità dell'ammenda (alternativa alla pena dell'arresto) nella misura da euro 800 ad euro 3.000; pena successivamente aumentata dal Decreto Legislativo n. 106 del 2009 (la pena dell'ammenda va ora da 1.200 a 5.200 euro ed è sempre alternativa alla pena dell'arresto, che invece è rimasta invariata). Il citato articolo 55, comma 4, lettera a), nel testo originario, costituisce disposizione applicabile al caso di specie in quanto legge più favorevole nella misura in cui prevede un massimo edittale di euro 3.000 di ammenda.

Pertanto il tribunale di Alba, irrogando la pena dell'ammenda di euro 4.500 ha superato il massimo edittale ex lege, sia quello di euro 4.131,66 previsto dal Decreto Legislativo n. 626 del 1994, articolo 89, comma 2, lettera a), sia quello di euro 3.000 previsto dall'articolo 55, comma 4, lettera a), del testo originario del Decreto Legislativo n. 81 del 2008; la quale ultima disposizione, in quanto più favorevole, doveva essere nella specie applicata.

In questa parte, limitatamente alla determinazione della pena, va annullata la sentenza impugnata con rinvio allo stesso tribunale di Alba per nuovo esame.

3. Infondato è infine il terzo motivo di ricorso con cui il ricorrente censura l'irritualità del g.o.t. come giudice del processo.

Questa Corte (Cass., sez. 1, 4 febbraio 2009 -27 marzo 2009, n. 13573) ha affermato in proposito - e qui ribadisce - che la trattazione, da parte del giudice onorario, di un procedimento penale diverso da quelli indicati dall'articolo 43-bis, comma 3, lettera b), dell'ordinamento giudiziario (Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 12), e cioè riferito a reati non previsti nell'articolo 550 cod. proc. pen., non è causa di nullità, in quanto la disposizione ordinamentale introduce un mero criterio organizzativo di ripartizione dei procedimenti tra i giudici ordinari e quelli onorari.

P.Q.M.



la Corte annulla con rinvio limitatamente alla pena inflitta per nuovo esame al tribunale di alba; rigetta nel resto il ricorso.