REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE



Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPO Ernesto
Dott. CORDOVA Agostino
Dott. FRANCO Amedeo
Dott. MARMO Margherita
Dott. MULLIRI Guicla I.

- Presidente
- Consigliere
- est. Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:
D.A., nato a ***;
avverso la sentenza emessa il 12 giugno 2008 dal giudice del tribunale di Pavia;
udita nella pubblica udienza del 9 gennaio 2009 la relazione fatta dal Consigliere Dr. Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MELONI Vittorio, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.

Svolgimento del processo



Con la sentenza in epigrafe il giudice del tribunale di Pavia dichiarò D.A. colpevole del reato di cui al D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 5, lett. c), e art. 89, comma 2, lett. b), per non aver sottoposto due lavoratori dipendenti a preventiva visita medica e lo condannò alla pena dell'ammenda ritenuta di giustizia. Il giudice accertò che la contestazione era stata fatta ad un collaboratore, tale L., e che non era mai stato notificato all'imputato il verbale di accertamento con le prescrizioni, ma ritenne inverosimile che il L. non avesse messo aborrente il datore di lavoro dell'accertamento e che comunque la difesa non aveva provato la circostanza chiamando a testimoniare il L..
L'imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) violazione di legge con inammissibile inversione dell'onere della prova e violazione dell'art. 27 Cost.; manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione. Lamenta che il giudice, pur avendo accertato che il verbale non era stato notificato all'imputato, ha ritenuto che spettasse a questi dimostrare di non avere avuto conoscenza delle prescrizioni, mentre era invece onere del PM dimostrare che ne avesse avuto conoscenza. In ogni caso il giudice avrebbe dovuto semmai chiamare a deporre come teste il L. ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen. e non ritenere che fosse verosimile che questi avesse riferito al datore di lavoro dello accertamento.

2) omesso esame con omessa motivazione della documentazione prodotta dalla difesa. Lamenta che aveva provato l'avvenuta cessione dell'azienda dalla I* a T*C* ma il giudice non ha preso in considerazione questa documentazione, la quale invece dimostra sia come fosse verosimile che il L. non gli avesse riferito dell'accertamento, essendo ormai alle dipendenze altrui, sia il fatto che egli non poteva più adempiere alle prescrizioni, non essendo più il titolare del cantiere e non potendo quindi obbligare i due operai a sottoporsi a visita medica.

3) mancata concessione dei benefici di legge.

Motivi della decisione



Il primo motivo è fondato. In materia di prevenzione infortuni ed igiene del lavoro, infatti, il preventivo esperimento della procedura di definizione amministrativa, ai sensi del D.Lgs. 19 dicembre 1994, n. 758, art. 24 costituisce una condizione di procedibilità dell'azione penale. Il giudice quindi non può pervenire ad una pronuncia nel merito se preventivamente non abbia accertato che vi è la prova della effettiva notificazione dell'invito ad adempiere rivolto al contravventore dall'organo di vigilanza.
Nella specie il giudice, ha invece accertato che tale prova non sussisteva, perché il verbale con le prescrizioni non era mai stato notificato al contravventore, ma era stato irregolarmente consegnato dagli accertatoli al direttore tecnico del cantiere, il quale però era abilitato o autorizzato a ricevere la corrispondenza per conto del datore di lavoro. Di fronte non solo alla mancanza di prova dell'avvenuta regolare notifica dell'invito ad adempiere alle prescrizioni, ma addirittura alla prova contraria che l'invito non era mai stato notificato, il giudice avrebbe dovuto quindi dichiarare che mancava una condizione di procedibilità dell'azione penale. Il giudice invece, operando una inammissibile inversione dell'onere della prova, ha erroneamente ritenuto che fosse l'imputato a dover dare la prova di non aver avuto conoscenza delle prescrizioni, mentre al contrario incombe evidentemente al p.m. l'onere di provare che il verbale con le prescrizioni è stato regolarmente notificato al datore di lavoro o che comunque sia stato altrimenti regolarmente portato a sua conoscenza.
Il giudice, inoltre, si è limitato a ritenere, del tutto apoditticamente, non verosimile che il direttore tecnico del cantiere non avesse comunicato all'imputato il verbale con le prescrizioni, senza peraltro nemmeno tener conto della documentazione prodotta dall'imputato e delle deduzioni da lui svolte in ordine all'avvenuta cessione dell'azienda (il che invece, secondo la difesa, avrebbe reso verosimile che il L. non fosse più in rapporti col D. e quindi non gli avesse riferito delle prescrizioni) ed in ordine alla mancanza di un qualsiasi suo interesse a non pagare la sanzione amministrativa.
Il giudice ha infine errato anche nel ritenere che fosse onere della difesa chiamare il L. a testimoniare sul punto, mentre è di tutta evidenza che sarebbe stato al contrario onere del pubblico ministero chiamare il L. a rendere testimonianza dell'avvenuta consegna all'imputato del verbale con le prescrizioni, o comunque che sarebbe spettato al giudice chiamarlo a deporre come teste ai sensi dell'art. 507 cod. proc. pen..

La sentenza impugnata deve dunque essere annullata con rinvio al tribunale di Pavia per nuovo giudizio.
Gli altri motivi restano assorbiti.

P.Q.M.



LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE annulla la sentenza impugnata con rinvio al tribunale di Pavia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 9 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 11 marzo 2009