Cassazione Penale, Sez. 4, 09 settembre 2011, n. 33453 - Manutenzione di una macchina e mancanza di protezione


 

 

 

Responsabilità di un datore di lavoro per lesioni colpose con violazione della normativa antinfortunistica ai danni di un lavoratore che, nel procedere alla manutenzione di una macchina, perdeva la falange di un dito che restava intrappolato in un ingranaggio.

I giudici di merito hanno ritenuto che l'incidente è stato causato dall'assenza di un involucro di protezione che fungesse da rivestimento degli ingranaggi idoneo ad impedire che questi venissero in contatto con le mani dell'operatore, oltre che della mancanza di un dispositivo di blocco totale della macchina.

Condannato in primo e secondo grado, ricorre in Cassazione - Rigetto.

La Corte afferma che "ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza, purchè sia ravvisabile il nesso causale, non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato o un soggetto a questi equiparato, ovvero, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale."

"In questa prospettiva, correttamente l'addebito è stato ritenuto a carico dell'imputato, il quale, nella propria attività imprenditoriale, aveva consentito all'infortunato di utilizzare un macchinario pur in condizione di irregolarità."





REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALBIATI Ruggero - Presidente

Dott. FOTI Giacomo - Consigliere

Dott. D'ISA Claudio - rel. Consigliere

Dott. IZZO Fausto - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 



sul ricorso proposto da:

1) PI. MA. FR. N. IL (Omissis);

avverso la sentenza n. 654/2007 CORTE APPELLO di GENOVA, del 18/06/2010;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/06/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. CLAUDIO D'ISA;

udito il P.G. in persona del Dott. DELEHAYE Enrico che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

 

Fatto



PI. MA. FR. ricorre in cassazione avverso la sentenza, in data 18.06.2010, della Corte d'Appello di Genova di conferma della sentenza di condanna emessa il 20.12.2005 dal Tribunale di Massa in ordine al delitto di lesioni colpose con violazione della normativa antinfortunistica ai danni di Gi. Pa. che, nel procedere alla manutenzione di una macchina, perdeva la falange di un dito che restava intrappolato in un ingranaggio.

Al ricorrente era stata mossa l'accusa di avere, in qualità di datore di lavoro del Gi. , presso lo stabilimento della EA. Au. s.r.l., consentito che il detto dipendente provvedesse alla riparazione della macchina automatica Leak Down, priva di dispositivi che assicurassero il fermo impedendo il contatto delle mani del lavoratore con gli organi in movimento della stessa. In particolare, i giudici di merito hanno ritenuto che l'incidente, di cui è rimasto vittima il Gi., è stato causato dall'assenza di un involucro di protezione che fungesse da rivestimento degli ingranaggi idoneo ad impedire che questi venissero in contatto con le mani dell'operatore, oltre che della mancanza di un dispositivo di blocco totale della macchina.

Il PI. con un unico motivo denuncia sostanzialmente violazione di legge evidenziando che la macchina di cui trattasi, anche se di fabbricazione diversa dalle altre di marca italiana in dotazione dello stabilimento, era comunque munita di dispositivo di bloccaggio e che l'incidente è stato causato per il comportamento imprudente dell'operaio che ha cercato di recuperare con le dita un cacciavite che era caduto nella parte sottostante della macchina senza provvedere al bloccaggio di essa, pur essendo dotata di un apposito pulsante di blocco generale. Il ricorrente, contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, afferma di non aver omesso alcuna misura protettiva possibile e aveva consentito l'uso della macchina consapevole del fatto che il pulsante di blocco generale fosse altrettanto sicuro come i dispositivi applicati alle macchine italiane.

 

Diritto



Il motivo esposto è infondato, sicchè il ricorso va rigettato.

Al di là delle censure concernenti la ricostruzione fattuale dell'episodio, dedotte dal ricorrente asserendo di essere inconsapevole della mancanza di un sistema di protezione alla macchina cui era addetta la persona offesa, qui improponibili, vi è da rilevare che, in materia di normativa antinfortunistica, il Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547, articolo 1, espressamente richiamato dal Decreto del Presidente della Repubblica 7 gennaio 1956, n. 164, capo 1 allorquando parla di "lavoratori subordinati e ad essi equiparati" non intende individuare in costoro i beneficiari (tanto meno i soli beneficiari) della normativa de qua, ma ha la finalità di definirne l'ambito di applicazione, ossia di stabilire in via generale quali siano le attività assoggettate all'osservanza di essa, salvo, poi, nel successivo articolo 2, escluderne talune in ragione del loro oggetto, perchè disciplinate da appositi provvedimenti. Pertanto, qualora sia accertato che ad una determinata attività siano addetti lavoratori subordinati o soggetti a questi equiparati, stesso Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955, ex articolo 3, comma 2, non occorre altro per ritenere obbligato chi esercita, dirige o sovrintende l'attività medesima ad attuare le misure di sicurezza previste dal citato Decreto del Presidente della Repubblica n. 547 del 1955 e Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956. Ne consegue che, ove un infortunio si verifichi per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza, purchè sia ravvisabile il nesso causale, non potrà non far carico, a titolo di colpa specifica, su chi detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, poco importando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore subordinato o un soggetto a questi equiparato, ovvero, addirittura, una persona estranea all'ambito imprenditoriale (tra le tante, Cass., Sez. 4A, 27 novembre 2002, Bosia). In questa prospettiva, correttamente l'addebito è stato ritenuto a carico dell'imputato, il quale, nella propria attività imprenditoriale, aveva consentito all'infortunato di utilizzare un macchinario pur in condizione di irregolarità. La Corte territoriale con argomentazione logica ha disatteso la deduzione difensiva rilevando che le altre tre macchine analoghe, presenti nello stesso stabilimento, erano tutte dotate del carter di protezione dell'albero rotante, la circostanza contrasta con la tesi giustificatrice della non consapevolezza da parte dell'imputato della mancanza del dispositivo di sicurezza. Neppure può legittimamente invocarsi l'abnormità della condotta del lavoratore.

E' noto, in proposito, che poichè le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza ed imperizia, la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione può essere esclusa, per causa sopravvenuta, solo in presenza di un comportamento del lavoratore che presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile o inopinabile. Peraltro, in ogni caso, nell'ipotesi di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale, per escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondurre, comunque, alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare proprio il rischio di siffatto comportamento (cfr., ex pluribus, Cass., Sez. 4A, 3 novembre 2004, Volpi; Sez. 4A, 14 gennaio 2005, Schifilliti ed altro; Sez. 4A, 7 giugno 2005, Pistoiesi). E' l'ipotesi che qui interessa, ove si ponga attenzione che correttamente il giudicante, con apprezzamento del resto incensurabile in fatto, neppure ha evidenziato una specifica condotta imprudente del lavoratore, che, in ogni caso, anche a volerla ipotizzare, non potrebbe assurgere al rango di causa eccezionale ed imprevedibile, trattandosi di un utilizzo della macchina comunque connesso a quello proprio. Con la conseguenza che non può qui sostenersi trattarsi di attività abnorme, eccezionale ed imprevedibile ai fini della pretesa interruzione del nesso causale.

Per escludere la responsabilità del titolare di una posizione di garanzia a fronte di un evento ritenuto prevedibile ed evitabile, come l'utilizzo improprio da parte del lavoratore della macchina sfornita di un sistema automatico di protezione in caso di blocco della stessa, potrebbe valere il principio dell'affidamento, alla cui base, come si sa, vi è la considerazione che ogni consociato può confidare che ciascuno si comporti adottando le regole precauzionali normalmente riferibili al modello di agente proprio dell'attività che, di volta in volta, viene in questione. Cosicchè, proprio invocando il principio dell'affidamento, il soggetto titolare di una posizione di garanzia, come tale tenuto giuridicamente ad impedire la verificazione di un evento dannoso, può andare esente da responsabilità quando questo possa ricondursi alla condotta esclusiva di altri, (con)titolare di una posizione di garanzia, sulla correttezza del cui operato il primo abbia fatto legittimo affidamento.

Il principio di affidamento non è certamente invocabile sempre e comunque, dovendo contemperarsi con il concorrente principio della salvaguardia degli interessi del soggetto nei cui confronti opera la posizione di garanzia (qui, per esempio, del lavoratore, "garantito" dal rispetto della normativa antinfortunistica).

Tale principio, infatti, per assunto pacifico, non è invocabile allorchè l'altrui condotta imprudente, ossia il non rispetto da parte di altri delle regole precauzionali imposte, si innesti sull'inosservanza di una regola precauzionale proprio da parte di chi invoca il principio: ossia allorchè l'altrui condotta imprudente abbia la sua causa proprio nel non rispetto delle norme di prudenza, o specifiche o comuni, da parte di chi vorrebbe che quel principio operasse.

E' in questa prospettiva ermeneutica che vanno apprezzate la correttezza e la logicità della decisione impugnata, il consapevole malfunzionamento del macchinario e l'aver consentito che si intervenisse sulla stessa anche in assenza di sistemi di protezione, consente di ritenere legittimo il giudizio di sussistenza dell'addebito, argomentato dai giudici di merito proprio su di una superficialità comportamentale del titolare della posizione di garanzia che avrebbe dovuto mettere fuori servizio la macchina o procedere alla sua definitiva riparazione, munendola di tutti i dispositivi di sicurezza richiesti dalla normativa antinfortunistica.

Data questa premessa, logicamente sostenibile, e quindi qui non sindacabile, è il conseguente giudizio di sussistenza della colpa e del nesso causale posto alla base della decisione di condanna, avendo il giudicante fornito una motivazione immune da censure, siccome del resto basata su una considerazione fattuale incontrovertibile. Trattasi di un giudizio positivo sulla sussistenza della condotta colposa del prevenuto che non si appalesa affatto illogico.

Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.