Cassazione Penale, Sez. 6, 17 ottobre 2011, n. 37398 - Reato di favoreggiamento commesso da due lavoratori in beneficio del proprio datore di lavoro imputato, ed in seguito condannato, per lesioni colpose aggravate dalla normativa antinfortunistica




Responsabilità di due lavoratori di un'impresa edile per il delitto di favoreggiamento personale in beneficio del loro datore di lavoro: l'addebito per entrambi consiste nell'averlo aiutato ad eludere le investigazioni dell'autorità per il reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione di norme antinfortunistiche connesso all'incidente sul lavoro patito dall'operaio straniero I.N., reato per cui il datore di lavoro è stato dichiarato colpevole con sentenza del 9.5.2007 del Tribunale di Bergamo.

 

 

La condotta favoreggiatrice contestata al G. e allo Z. è stata integrata dalle mendaci informazioni da entrambi rese nel novembre 2004 agli ufficiali di p.g. della ASL provinciale di Bergamo ai quali dichiaravano di non aver mai visto il lavoratore infortunato presso il cantiere ed in ogni caso che nessun infortunio era mai avvenuto presso detto cantiere.

 

 

 

Il Tribunale ha prosciolto gli imputati ritenendo operante nelle loro rispettive condotte la causa di non punibilità prevista dall'art. 384 co. 1 c.p..

 

Di contrario avviso è la Corte d'Appello di Brescia che ha condannato i due imputati.

 

Ricorso in Cassazione - La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di G.G. perché il fatto non costituisce reato. Annulla la stessa sentenza nei confronti di R. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia


 

 

 

FattoDiritto




1.- Con sentenza emessa il 10.12.2007, all'esito di giudizio abbreviato, il Tribunale di Bergamo sezione di Treviglio ha assolto con la formula del fatto non costituente reato G.G. e R.Z., unitamente ai coimputati F.A e G.P tutti e quattro lavoratori dell'impresa edile di F.G. (società E.) dal delitto di favoreggiamento personale ad essi ascritto per avere aiutato il loro datore di lavoro F.G. ad eludere le investigazioni dell'autorità per il reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione di norme antinfortunistiche connesso all'incidente sul lavoro patito dall'operaio straniero I.N. presso il cantiere edificatorio della scuola (...) (Bergamo). Reato di cui comunque il G. è stato dichiarato colpevole con sentenza del 9.5.2007 del Tribunale di Bergamo, che lo ha giudicato responsabile dell'infortunio del N. per mancato allestimento in cantiere di idonee misure per la prevenzione dell'infortunio allo stesso occorso (l'operaio A. azionando repentinamente la gru di cui era alla guida nell'atto in cui il N. era intento a liberare una putrella dal muro, determinava lo schiacciamento di un braccio del N. sotto la putrella). La condotta favoreggiatrice in particolare contestata al G. e allo Z. è stata integrata dalle mendaci informazioni da entrambi rese nel novembre 2004 agli ufficiali di p.g. della ASL provinciale di Bergamo (attivati dalla denuncia presentata dal figlio dell'infortunato N. contro il datore di lavoro G. procedenti ad inchiesta infortunistica, ai quali dichiaravano di non aver mai visto il lavoratore infortunato I.N. presso il cantiere del G. a Martinengo ed in ogni caso che nessun infortunio era mai avvenuto presso detto cantiere.

Il Tribunale orobico ha prosciolto il G. che lo Z. e gli altri due coimputati, ritenendo operante nelle loro rispettive condotte la causa di non punibilità prevista dall'art. 384 co. 1 c.p., ravvisabile -aggiunge il giudice di primo grado- anche in caso di erronea putatività della sua sussistenza, avendo gli imputati commesso il fatto perché costretti dalla necessità di salvare se stessi da un grave e inevitabile nocumento nella libertà, e comunque ritenendo (in subordine) difettare nei loro contegni il dolo dell'ascritto favoreggiamento personale ("le dichiarazioni degli imputati hanno si aiutato di fatto F.G. ad eludere le indagini nei suoi confronti, ma gli imputati hanno reso le dichiarazioni false al fine di salvare se stessi da un probabile procedimento penale e in ogni caso in assenza dell'elemento psicologico del reato contestato"),

Sia G. che lo Z. hanno dichiarato il falso per salvare se stessi nel timore di poter essere coinvolti direttamente o indirettamente nell'infortunio. Il G. su indicazioni del G. (da lui avvertito telefonicamente dell'infortunio accaduto al N.) ha accompagnato il N. in prossimità dell'ospedale, lasciandolo ad alcune centinaia di metri dall'ingresso del pronto soccorso. In seguito ha mentito ai funzionari della ASL vuoi nel timore di essere licenziato, ove avesse contraddetto o rivelato le indicazioni del suo datore di lavoro, vuoi altresì per eludere il concreto rischio di essere a sua volta indagato per il reato di omissione di soccorso. Dal canto suo lo Z. cittadino albanese che ha trovato nel cantiere del G. un lavoro cui non può rinunciare, ha inteso -più che aiutare il G. salvare se stesso e il suo posto di lavoro, in più temendo anche lui di poter essere coinvolto nella vicenda infortunistica, che tutti gli altri operai del cantiere negano di aver rilevato.

2.- La decisione liberatoria del Tribunale è stata appellata dal pubblico ministero presso il Tribunale di Bergamo, che ne ha censurato la contraddittorietà argomentativa (per l'illogico surrogatorio richiamo alla mancanza del dolo del reato, non in linea con la premessa di fatto dei falsi contegni dichiarativi degli imputati) e l'erronea applicazione dell'art. 384 co. 1 c.p. Ha osservato l'appellante p.m. che, a fronte del non controverso carattere mendace delle informazioni rilasciate dagli imputati e della loro intenzionale finalizzazione ad aiutare G. ad eludere le indagini per il reato di lesione personale aggravata, il Tribunale ha applicato in modo abnorme l'esimente disciplinata dall'art. 384 c.p., atteso che il timore di perdere il posto di lavoro non può essere assimilato, per effetto di estensiva interpretazione analogica, al grave nocumento nella libertà o nell'onore personali (o di un prossimo congiunto) che costituisce il presupposto applicativo dell'esimente.

3.- La Corte di Appello di Brescia con la sentenza del 13.7.2010 indicata in epigrafe ha accolto l'impugnazione del p.m. limitatamente alla posizione degli imputati G.G. e R.Z. che -in parziale riforma della sentenza di primo grado- ha riconosciuto colpevoli del contestato reato di favoreggiamento personale in beneficio del G. condannandoli, in concorso di generiche circostanze attenuanti, alla pena sospesa di sei mesi di reclusione ciascuno.

I giudici di secondo grado, sgombrato il campo dalla alternativa o subordinata ipotesi assolutoria del difetto del dolo generico del reato di cui all'art. 378 c.p. prefigurata dal Tribunale, hanno escluso per il G. e lo Z. la ravvisabilità della ritenuta causa esimente prevista dall'art. 384 co. 1 c.p.

La sentenza di appello ha analizzato la regiudicanda, prendendo le mosse da alcuni dati probatori emersi in modo non confutabile dalle risultanze processuali.

Innanzitutto non vi è dubbio che le false dichiarazioni dei due imputati abbiano oggettivamente aiutato, secondo la specifica intenzione di entrambi, il loro datore di lavoro G. a sviare le indagini attivate nei suoi confronti per l'infortunio sofferto dal lavoratore N. Di poi G. che ha prestato soccorso al N. lo ha lasciato a buona distanza dall'ingresso dell'ospedale all'ovvio scopo di non essere identificato e di non consentire all'autorità di p.s. di risalire al luogo e alla dinamica dell'infortunio. Donde il suo assunto difensivo di aver riferito il falso per evitare, quanto meno, di essere accusato del reato di omissione di soccorso. Analogamente le false dichiarazioni sul luogo e sulle cause dell'incidente sofferto dal N. rese da Z. sono state indotte, per stare alla sua tesi difensiva, dal timore di perdere il lavoro nel cantiere del G.

Ma in tutti e due i casi non è configurabile la causa di non punibilità enunciata nell'art. 384 co. 1 c.p., la cui applicabilità richiede che l'agente non si sia posto volontariamente nella situazione di pericolo per la propria libertà personale, essendo la stessa incentrata su uno stato di necessità, che per definizione non può essere determinato dalla condotta del medesimo agente.

Nel caso di specie il G. non può invocare la scriminante del Cd. autofavoreggiamento non punibile, perché ha dato lui stesso causa con il suo contegno, nel soccorrere solo in parte il N. e nel non rendere palesi le circostanze locali e modali dell'infortunio, al temuto pericolo di essere sottoposto ad indagini penali ("...G. ha posto in essere scientemente la condotta -assecondando la decisione del suo datore di lavoro- di cui ha poi allegato di temere gli effetti penali...è lo stesso imputato ad aver costruito la situazione di pericolo sulla quale andavano ad incidere le false dichiarazioni per le quali pretende di non essere punito..."). Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi per la posizione del coimputato Z. che ha sostenuto di aver rilasciato dichiarazioni mendaci sull’infortunio del suo collega N. per la paura di perdere il posto di lavoro.

Tale causa del suo illecito contegno dichiarativo non è idonea ad integrare un effettivo stato di necessità apprezzabile per gli effetti di cui all'art. 384 c.p., come affermato da una decisione di legittimità in termini (Cass. Sez. 6, 25.9.1987 n. 3441, Pellegrini, rv. 177881: "In tema di favoreggiamento personale il lavoratore che renda una deposizione compiacente per favorire il proprio datore di lavoro, imputato, non può invocare l'esimente dello stato di necessità adducendo che se in quel modo non avesse deposto, sarebbe stato licenziato")

In altre parole non è possibile estendere il perimetro di applicabilità dell'esimente oltre i casi specificamente previsti dal disposto dell'art. 384 c.p. (necessità di salvare se stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore).

4.- Avverso l'illustrata sentenza di appello hanno proposto ricorso, con il ministero del comune difensore di fiducia, i due imputati G. e Z. prospettando i seguenti due vizi di legittimità per violazione di legge rilevanti per le posizioni di ambedue i ricorrenti.

1. Violazione ed erronea applicazione della legge penale per denegata applicazione dell'esimente di cui all'art. 384 c.p. in favore dei due imputati.

1.1. In merito alla posizione di G.G. la Corte di Appello di Brescia ha fatto proprio un orientamento della giurisprudenza di legittimità non univoco e contraddetto da una delle più recenti pronunce della S.C. sull'argomento. Per i giudici di appello deve considerasi ostativa all'applicazione dell'art. 384 c.p. la produzione da parte dell'imputato della situazione di pericolo per la propria libertà, in quanto non compatibile con i requisiti dello stato di necessità ex art. 54 c.p., di cui l'art. 384 c.p. costituirebbe una ipotesi speciale. La sentenza di appello, pur riconoscendo che G. possa aver attuato la sua condotta favoreggiatrice per sottrarsi ad un'accusa penale di omissione di soccorso, ha escluso l'operatività dell'esimente, perché detta situazione di pericolo sarebbe stata volontariamente causata dallo stesso G.

Senonché la Corte di Cassazione con la citata recente sentenza (Cass. Sez. 6, 4.3.2009 n. 20454, Marianelli, rv. 244389), aderendo ad un contrario indirizzo interpretativo, già in passato espresso dallo stesso giudice di legittimità, ha ritenuto applicabile la scriminante (in una fattispecie pressoché omologa a quella riferita al ) siccome specificamente diretta a tutelarne il diritto di difesa. Ora, quale che sia la natura giuridica riconoscibile all'esimente ex art. 384 c.p., il considerarla come una ipotesi speciale dello stato di necessità si traduce in una non consentita analogia in malam partem, perché introduce dall'esterno della fattispecie (art. 384 c.p.) un elemento o presupposto non menzionato espressamente nella norma, restringendone l'ambito di operatività con palesi effetti deteriori per che ne invochi l'applicazione (ricorso: "...se il legislatore ha ritenuto di non menzionare esplicitamente il requisito della non volontarietà del pericolo cui il soggetto intende sottrarsi, tale soluzione non può ritenersi priva di conseguenze sul piano interpretativo, né è corretto integrare la fattispecie con un requisito preso in prestito da una disposizione esterna come l'art. 54 c.p.").

1.2. Quanto alla posizione di R. la sentenza di appello ha motivato la affermazione della sua responsabilità penale in base alla ritenuta non estensibilità applicativa sia dello stato di necessità ex art. 54 c.p., sia della esimente ex art. 384 c.p., il pericolo della perdita del posto di lavoro non costituendo concreta declinazione di un grave e inevitabile nocumento alla libertà e all'onore. La lettura ancora una volta restrittiva dell'art. 384 c.p. privilegiata dai giudici di secondo grado non sembra, tuttavia, trovare avallo nella giurisprudenza di legittimità. Le Sezioni Unite penali della S.C., infatti, hanno incidentalmente richiamato proprio la rilevante alterazione della attività di lavoro del potenziale favoreggiatore come concreta espressione della gravità del paventato pregiudizio suscettibile di rendere operativa l'esimente di cui all'art. 384 c.p. (Cass. S.U., 22.2.2007 n. 21832, Morea, rv. 236371). La Corte di Appello ha tralasciato di valutare la peculiare situazione personale dello Z. e la significatività per lo stesso, sul piano esistenziale e morale, del timore di essere licenziato e di perdere l'unica sua fonte di reddito. Timore reso quanto mai concreto e pressante, come ha trascurato di rilevare la Corte territoriale, dall'atteggiamento dello stesso datore di lavoro G. che -come emerso da una intercettazione ambientale- "non manifestava intenzione alcuna in quel momento di assumersi le proprie responsabilità" in merito all'infortunio sul lavoro patito dall'operaio N.

2. Violazione dell'art. 442 co. 2 c.p.p. per omessa applicazione della diminuente prevista per il giudizio abbreviato.

Nel determinare la misura della pena inflitta ai due ricorrenti la sentenza impugnata non ha applicato la diminuente per il rito abbreviato con cui essi sono stati giudicati in primo grado.



5.-I due ricorsi meritano accoglimento nei termini di seguito esposti.

5.1. E' agevole osservare subito che il secondo subordinato motivo di censura è fondato, perché effettivamente l'impugnata sentenza di appello ha tralasciato di applicare la diminuente della pena prevista per il giudizio abbreviato svoltosi in primo grado nei confronti dei due imputati. La sentenza, infatti, ha individuato la pena base del reato ad essi ascritto in nove mesi di reclusione, che ha ridotto a sei mesi di reclusione solo per la concessione delle attenuanti generiche, senza la doverosa applicazione di una ulteriore diminuzione di un terzo della pena ex art. 442 c.p.

In linea teorica l'omissione dei giudici di merito di secondo grado potrebbe essere sanata direttamente da questo giudice di legittimità ex art. 620, lett. I), c.p.p. (annullamento senza rinvio in parte qua), poiché si tratta di una omessa statuizione obbligatoria e a contenuto predeterminato (riduzione di un terzo della pena risultante dall'applicazione di eventuali circostanze del reato), tenuto conto del fatto che la Corte di Appello ha ridotto nella misura massima consentita dall'art. 62 bis c.p. l'individuata pena base (il reato di cui all'art. 378 c.p. è punito con pena edittale minima non predefinita e, quindi, non inferiore a quindici giorni di reclusione). Nondimeno la fondata censura dei due ricorrenti è assorbita dall'accoglimento dei motivi principali dei rispettivi ricorsi, ancorché con esiti differenziati per i due imputati (annullamento senza rinvio per G. annullamento con rinvio per Z. ). Di tal che sarà cura del giudice di rinvio, per la sola posizione dell'imputato Z. applicare correttamente, in caso di condanna, la diminuente di cui all'art. 442 c.p.p.

5.2. I motivi di ricorso enunciati per le due differenti situazioni processuali degli imputati, correttamente distinte -per la diversità delle trame modali sottese alle loro condotte di favoreggiamento- dalla sentenza impugnata, sono assistiti da fondamento.

Il ricorso nell'interesse del G. e, in buona sostanza, anche dello Z. coglie nel segno allorché mette in luce una risalente divergenza negli indirizzi della giurisprudenza di questa Corte regolatrice sulla latitudine applicativa della causa di non punibilità disciplinata dall'art. 384 co. 1 c.p. Divergenza o divaricazione di orientamenti, di uno dei quali si è resa espressione, secondo il ricorso, la decisione di condanna degli imputati deliberata dalla Corte di Appello di Brescia.

Il contesto giurisprudenziale di non univocità ermeneutica richiamato dal ricorso, con specifici riferimenti a decisioni di questa S.C. considerate utile sostegno alla tesi difensiva dell'applicabilità dell'art. 384 c.p. per tutti e due i ricorrenti, in uno ai precedenti di segno contrario alle tesi difensive citati dalla sentenza della Corte di Appello, impone una pregiudiziale rapida ricognizione sinottica dello stato degli orientamenti di questa S.C. su referenti e limiti della operatività della causa esimente di cui all'art. 384 co. 1 c.p. Ricognizione la cui necessaria premessa è costituita da un altrettanto sintetico inquadramento della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 378 c.p.

5.3. Il delitto di favoreggiamento personale, integrato dalla condotta di chi -non essendo partecipe (coautore) di un reato già commesso (il favoreggiamento di sé stessi o autofavoreggiamento non è, di per sé solo, punibile per il principio nemo tenetur se detegere)- "aiuta" l'autore di quel reato (rectius la persona cui esso è attribuito o che si sospetti averlo commesso) ad "eludere le investigazioni" ovvero a "sottrarsi alle ricerche" dell'autorità inquirente, è un reato contro l'amministrazione della giustizia. In particolare contro l'attività giudiziaria. Come molti dei reati compresi in tale categoria criminosa, il favoreggiamento personale è un reato di pericolo a forma cd. libera. Nel senso che può essere realizzato -nella sua prima modalità esecutiva, per quanto rileva in questa sede (aiuto elusivo delle indagini)- con qualsiasi contegno volontario (dolo generico) che si riveli in concreto idoneo a deviare, compromettere o intralciare l'attività di indagine (della polizia giudiziaria e/o dell'autorità giudiziaria) diretta ad acquisire le fonti di prova sulla commissione di un fatto reato e sul suo autore. In ragione della sua struttura di reato di pericolo il favoreggiamento personale (privo di un evento in senso naturalistico) si consuma nel momento in cui viene posta in essere la condotta di ausilio depistante o di intralcio alle indagini, senza che la stessa realizzi il risultato di vanificare o deviare realmente e in modo irreversibile le indagini.

5.4 Fatta questa premessa, colui che realizzi un contegno di favoreggiamento personale nei descritti termini è immune da responsabilità penale per effetto della generale causa di "non punibilità" prevista per la maggior parte dei reati contro l'attività giudiziaria dall'art. 384 co. 1 c.p., allorché a tale contegno illecito in concreto attuato (la norma prevede la "commissione del fatto" di favoreggiamento) l'agente sia stato indotto ("costretto") dalla "necessità" di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da "un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore". La fattispecie che in tal modo scrimina la condotta criminosa del favoreggiatore presuppone, quindi, che all'oggettivo aiuto elusivo delle indagini prestato all'autore di un commesso reato si coniughi un omologo aiuto del favoreggiatore a sé medesimo rispetto ad indagini penali, reali o potenziali, che possano investire la sua stessa persona o quella di un suo familiare, purché ricorrano le ridette esigenze di autotutela, personali o di un prossimo congiunto, rispetto ad un prevedibile e inevitabile pregiudizio nella libertà o nell'onore.

Il contrasto di orientamenti nella giurisprudenza di legittimità sulla latitudine dell'indicata causa di non punibilità, puntualmente segnalato dagli odierni ricorsi, è alimentato in tutta evidenza dalla diversa natura giuridica assegnata alla fattispecie in esame. Natura giuridica individuata, in sintesi, da due diversi indirizzi ermeneutici, secondo cui, per una prima impostazione, l'art. 384 co. 1 c.p. non integrerebbe una vera e propria causa di non punibilità in senso tecnico, cioè una causa che incida -elidendola-sulla sola punibilità dell'agente, ma piuttosto una causa escludente la stessa antigiuridicità del fatto (di favoreggiamento personale) sussumibile nel novero delle cause di giustificazione. Di tal che, in tale prospettiva, l'art. 384 c.p. è costruito come una ipotesi speciale della causa esimente oggettiva dello stato di necessità prevista dall'art. 54 c.p., di cui mutuerebbe limiti e requisiti applicativi.

Secondo una diversa impostazione l'art. 384 c.p. integrerebbe, invece, una peculiare causa di esclusione della colpevolezza incentrata sulla specifica e particolare situazione soggettiva in cui si trova ad agire l'autore del fatto di favoreggiamento, qualificata -pur non vanificando il disvalore sociale della condotta- dal carattere di inesigibilità di un comportamento che non violi il precetto dell'art. 378 c.p., ma che si riveli idoneo a vulnerare, in modo diretto o indiretto, la libertà o l'onore dell'agente (o di un suo stretto familiare).

La descritta duale divaricazione dell'apprezzamento giurisprudenziale della scriminante di cui all'art. 384 co. 1 c.p., correlata alla diversa natura giuridica conferitale, non sembra tuttavia tale da dar luogo ad un contrasto meritevole di essere risolto con lo strumento di cui all'art. 618 c.p.p. (rimessione alle Sezioni Unite), sol che si tenga conto della evoluzione diacronica dei due indicati orientamenti interpretativi e della loro superabilità in ambiti esegetici che rendano ricomponibile il dissidio applicativo dell'art. 384 c.p. Lo privino, cioè, di effettivi caratteri di decisività nella soluzione giuridica di regiudicande evocatrici dell'istituto della non punibilità di quello che può definirsi un favoreggiamento autoreferenziale. Vale a dire di una condotta favoreggiatrice di un terzo cui si cumuli e sovrapponga un autofavoreggiamento dell'agente idoneo a rendere non punibile la condotta favoreggiatrice del terzo.

5.5. Alla luce del primo più risalente e maggioritario orientamento di legittimità la causa esimente dettata dall'art. 384 co. 1 c.p. è definita con i caratteri propri dello stato di necessità, di cui è ritenuta -come detto- una semplice ipotesi speciale. Coerentemente si individuano, allora, quali requisiti impliciti della fattispecie scriminante, nel silenzio della norma, l'evenienza che la situazione di pericolo di danno ("nocumento") personale o familiare dell'autore del favoreggiamento non sia stata dallo stesso "volontariamente causata" e che la stessa sia, altresì, "proporzionata" al suddetto pericolo; requisiti entrambi previsti, per l'appunto, dall'art. 54 c.p. (cfr. tra le decisioni più consapevolmente aderenti a tale indirizzo: Cass. Sez. 1,10.7.1976 n. 2001, Milone, rv. 135245; Cass. Sez. 1, 4.5.1981 n. 8845, Albanese, rv. 150477; Cass. Sez. 6, 17.5.1993 n. 6874, Pezone, rv. 195495; Cass. Sez. 6,15.12.1998 n. 7823/99, Mocerino, rv. 214756; Cass. Sez. 6,20.2.2009 n. 10654, Ranieri, rv. 243076).

Per il diverso orientamento, secondo cui l'art. 384 co. 1 c.p. integra una semplice causa di esclusione della colpevolezza basata sul principio di inesigibilità di contegni giuridici autolesivi, la scriminante diviene applicabile al favoreggiatore anche quando la situazione di pericolo per la liberta e l'onore, suoi o di un suo congiunto, sia stata da lui volontariamente prodotta. Tale orientamento, pur non negando le affinità esistenti tra l'ipotesi di cui all'art. 384 co. 1 c.p. e lo stato di necessità ex art. 54 c.p., contesta la possibilità di trasporre i requisiti del secondo nella prima, facendo leva sul solido dato testuale per cui l'art. 384 c.p. non reca menzione alcuna dei requisiti della involontaria causazione dello stato di pericolo per l'agente e della proporzionalità del suo contegno di favoreggiamento rispetto a tale stato. Diversamente ragionando, si osserva, si restringerebbe oltre misura l'ambito applicativo della causa di non punibilità ex art. 384 c.p. e soprattutto si introdurrebbe una palese violazione del divieto di interpretazione analogica in malam partem, come rimarca lo stesso ricorrente G. (cfr. tra le decisioni che privilegiano questa interpretazione: Cass. Sez. 6,15.12.1982 n. 2537/83, Tomba, rv. 158030; Cass. Sez. 3, 9.7.1996 n. 8699, Perotti, rv. 206679; Cass. Sez. 6, 3.10.2002 n. 37014, Leonardi, rv. 223077; Cass. Sez. 6, 8.1.2003 n. 3397, Accardo, rv. 223421; Cass. Sez. 6, 21.3.2003 n. 21431, Sgroi, rv. 225931; Cass. Sez. 6, 4.3.2009 n. 20454, Marianelli, rv. 244389: "In caso di favoreggiamento, l'esimente di cui all'art. 384 c.p. è applicabile anche quando lo stato di pericolo, per la libertà o per l'onore, sia stato cagionato volontariamente dall'agente"). Rimane impregiudicata, ed è un elemento comune o unificante dei due illustrati indirizzi interpretativi, l'esigenza che, ai fini della operatività dell'esimente di cui all'art. 384 co. 1 c.p., la condotta favoreggiatrice scriminabile si ponga pur sempre in rapporto di diretta causalità rispetto alla situazione di pericolo di un "nocumento" per la libertà o l'onore del soggetto agente o di suoi congiunti e che tale situazione non sia altrimenti evitabile, giusta quanto recita ("...grave e inevitabile nocumento...") l'art. 384 co. 1 c.p. (cfr., ex plurimis: Cass. Sez. 6, 23.5.1995 n. 8632, Nizzola, rv. 202566; Cass. Sez. 2, 19.12.2007 n. 47481, Lo Iacono, rv. 239263).

6.- Riannodando la tratteggiata sinossi giurisprudenziale alla trama dei ricorsi dei due imputati, è evidente che la posizione dell'imputato G.G. è stata valutata dalla Corte di Appello di Brescia nel quadro dell'orientamento interpretativo che considera l'esimente di cui all'art. 384 co. 1 c.p. una ipotesi speciale di stato di necessità ex art. 54 c.p. con l'apprezzamento delle corrispondenti condizioni applicative, integrate in primis dalla pregiudiziale non riconducibilità del pericolo di nocumento per la libertà o l'onore dell'imputato alla sua volontaria produzione di siffatto pericolo. Con la coerente inferenza della non scriminabilità della condotta di favoreggiamento a beneficio del datore di lavoro attuata dal G. sebbene per congiunte ragioni di personale autotutela (rischio di essere accusato di omissione di soccorso), e -quindi- della connessa affermata responsabilità del prevenuto per il reato di cui all'art. 378 c.p.

La conclusione della Corte territoriale non può essere condivisa dal collegio decidente. Non tanto o non soltanto perché il collegio reputi di privilegiare la diversa e più estesa applicazione dell'esimente ex art. 384 c.p. derivante dall'orientamento che ravvisa nella stessa una causa soggettiva di esclusione della colpevolezza. Quanto piuttosto perché, quale che sia la natura giuridica riconoscibile -alla luce dei due descritti divergenti indirizzi- alla esimente in esame, il vero nodo o nucleo centrale delle problematiche che la stessa pone all'interprete giudiziario, nodo non sempre tenuto presente dai due indirizzi, appare essere quello della valutazione degli interessi tutelabili che vengono posti in risalto dall'applicazione o meno della esimente.

In vero costituisce un dato costante dell'applicazione delle cause scriminanti (l'antigiuridicità del fatto, la punibilità, la colpevolezza od altro), l'operare di un principio di prevalenza o di bilanciamento comparativo tra una pluralità o, quanto meno, duplicità di interessi contrapposti e meritevoli di tutela, il cui reciproco rapporto di inferenza e prevalenza è specificamente disciplinato dal legislatore penale, anche con riferimento alla rappresentazione di tale rapporto nella coscienza sociale ed individuale. Così non v'è dubbio che, quando il legislatore con l'art. 384 co. 1 c.p. scrimina o comunque manda esente da responsabilità penale colui che commetta un fatto di favoreggiamento personale, perché ha agito anche per tutelare un proprio (o di un familiare) individuale interesse di libertà o di onore, ritiene di privilegiare tale secondo interesse rispetto a quello di prevenire il pericolo di sviamento dell'ordinato e corretto svolgersi dell'amministrazione della giustizia. In altri termini tra i due interessi tutelati che vengono in gioco lo Stato dismette nella situazione data, disciplinata dalla fattispecie scriminante, l'interesse alla punizione del fatto costituente favoreggiamento personale. In simile caso i due interessi confliggenti possiedono caratteri eterogenei, l'uno essendo rappresentato dall'interesse dello Stato a punire fatti di favoreggiamento penalmente rilevanti (interesse pubblico), l'altro dall'interesse individuale (interesse privato) ad evitare l'applicazione della legge penale in proprio danno.

Ora, se la nozione di libertà tutelabile assunta dall'art. 384 co. 1 c.p. quale elemento discriminante la responsabilità penale del favoreggiatore deve essere recepita nella sua più lata interpretazione, includente ogni forma di manifestazione della libertà individuale, come sembra potersi desumere dalla lettera della legge (art. 384 c.p.) che non introduce alcuna particolare specificazione o selettività della categoria concettuale (libertà nella pienezza della sua accezione), non sembra del pari dubitabile che -quando tale libertà personale che il soggetto agente tutela, compiendo un favoreggiamento personale a beneficio di un terzo, sia rappresentata dall'esigenza di evitare una accusa penale, cioè un procedimento penale o soltanto delle indagini penali nei propri confronti- l'interesse di libertà che egli persegue si immedesima, senza soluzione di continuità temporale e ideativa, nell'esercizio dell'inviolabile diritto di difesa. Diritto e valore di rango costituzionale (art. 24 co. 2 Cost.), al pari di quello incarnato dalla non fuorviata e "giusta" amministrazione della giustizia (artt. 111, 112 Cost.).

Se il diritto di difesa costituisce, dunque, il paradigma di apprezzamento del bene della libertà individuale che il favoreggiatore salvaguarda con la propria condotta antigiuridica (art. 378 c.p.), appare chiaro come divenga indifferente o non rilevante l'evenienza per cui la situazione di pericolo in liberiate o -se si preferisce- lo stato di necessità, dotati di efficacia scriminante ex art. 384 c.p., possano trovare causa in un fatto accidentale, in un fatto altrui o anche nel fatto proprio e volontario del soggetto agente che realizzi una condotta di favoreggiamento personale. In casi di questo genere, in altri termini, la situazione di pericolo o lo stato di necessità sono plasticamente delineati dal legittimo esercizio di un diritto del favoreggiatore, cioè dell'inviolabile esercizio del diritto di difesa, nella sua massima latitudine efficiente, esoprocedimentale (autodifesa atecnica) ed endoprocedimentale

La proiezione valutativa della posizione del ricorrente G. non può che essere svolta, quindi, nell'ottica processuale appena illustrata. Con conseguente declaratoria di non punibilità dell'imputato ex art. 384 co. 1 c.p. e con coevo annullamento senza rinvio della impugnata sentenza di appello.

E' appena il caso di aggiungere che la descritta ottica ricompositiva della concreta fattispecie oggetto del ricorso dell'imputato G. è in linea, come non manca di osservare il difensore del ricorrente, con la prospettiva già affrontata da una recente decisione di questa stessa Sezione della S.C. (Cass. Sez. 6, n. 20454/2009, Marianelli) dianzi citata. La decisione, in un caso pressoché uguale a quello integrante la regiudicanda che interessa il ricorrente G. ha rimarcato -infatti- la preminente rilevanza, ai fini dell'applicabilità della scriminante di cui all'art. 384 c.p., della preminente garanzia da accordarsi all'esercizio del diritto di difesa, pur in presenza della produzione del pericolo di danno alla libertà riconducibile alla deliberata volontà dell'imputato. Per altro, ai fini della valorizzazione -per gli effetti applicativi dell'art. 384 c.p.- dell'esercizio del diritto di (auto)difesa quale causa escludente la punibilità, già una precedente sentenza di questa stessa Sezione ha avuto modo di puntualizzare l'incidenza e l'ampia latitudine funzionale che deve essere attribuita, nell'esame della dinamica della condotta astrattamente realizzante un fatto reato (nel caso di specie una falsa testimonianza), al diritto di difesa del potenziale indagato di un reato inscindibilmente connesso a quello oggetto presupposto e compiuto da un terzo (Cass. Sez. 6,5.11.2008 n. 3427/09), P.G. in proc. Devito, rv. 242420).

7.- Le considerazioni che precedono facilitano l'inquadramento della posizione processuale del ricorrente coimputato R.Z. Costui ha dichiarato il falso sull'infortunio di cui è rimasto vittima l'operaio I.N., adducendo di aver mentito per il fondato timore di poter perdere il posto di lavoro tanto faticosamente conquistato. La Corte di Appello di Brescia, muovendo da una non chiara assimilazione della posizione dello Z. a quella del coimputato G. ha escluso la rilevanza dell'addotta situazione di pericolo o di timore, perché l'applicabilità dell'esimente di cui all'art. 384 c.p. non è estensibile oltre i previsti casi di necessità di salvare la propria libertà o il proprio onore (o quelli di un prossimo congiunto). Al riguardo la sentenza di appello richiama una remota sentenza di legittimità (Cass. Sez. 6, 25.9.1987 n. 3441, Pellegrini, rv. 177881), con cui si è affermato che il lavoratore che renda una deposizione compiacente per favorire il proprio datore di lavoro, imputato, non può invocare l'esimente dello stato di necessità, assumendo che -se non avesse testimoniato il falso-avrebbe corso il rischio del licenziamento. Si tratta, in vero, dell'unica sentenza di questa S.C. in termini registrata dal sistema informatico del CED della Cassazione.

Anche in questo caso, ad avviso del collegio decidente, occorre -però- prendere le mosse dalla comparazione degli interessi emergenti dal conflitto di volontà in cui, in base ai dati emergenti dal processo e ripercorsi dai giudici di merito, è venuto a trovarsi l'imputato o indagato di un reato di favoreggiamento personale. Essendosi per la posizione dello Z. al di fuori della casistica dell'esercizio in senso proprio (preprocessuale o processuale) del diritto di difesa, occorre verificare se ed in quale misura la giustificazione addotta dall'imputato (timore di perdere il lavoro) sia suscettibile di ricadere nelle nozioni di libertà o di onore messi in pericolo da una condotta eventualmente non favoreggiatrice e veridica del soggetto accusato di favoreggiamento personale.

Sembra al collegio arduo ipotizzare, pur senza incorrere in pleonastiche interpolazioni concettuali, che il lavoro, inteso come diritto ad una occupazione e come strumento di crescita della personalità individuale anche nei suoi aspetti di integrazione e interrelazione sociali, non possa reputarsi astrattamente sussumibile nell'ambito di esplicazione della "libertà" personale di ciascun individuo. Né in tale prospettiva è casuale il valore fondante riconosciuto al lavoro dalla Carta Costituzionale italiana (artt. 3, 35, 37 e ss. Cost.) e dagli stessi trattati fondamentali dell'Unione e della Comunità Europea (cfr.: Trattato istitutivo della Comunità Europea, Roma 1957, art. 125: "Gli Stati membri e la Comunità si adoperano per sviluppare una strategia coordinata a favore dell'occupazione..."; art. 136: "La Comunità e gli Stati membri, tenuti presenti i diritti sociali fondamentali...hanno come obbiettivi la promozione dell'occupazione...lo sviluppo delle risorse umane atto a consentire un livello occupazione elevato e duraturo e la lotta contro l'emarginazione"; Carta dei diritti fondamentali della U.E., Nizza 2000: art. 15: "Ogni individuo ha il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata..."). Un ausilio nella prefigurata impostazione interpretativa è offerto indirettamente dalla sentenza delle Sezioni Unite di questa S.C., richiamata anche nel ricorso dello Z. con cui -ponendo fine a contrasti verificatisi nella giurisprudenza delle sezioni semplici della Corte- le Sezioni Unite hanno stabilito che è ravvisabile il reato di favoreggiamento nei confronti dell'acquirente di sostanze stupefacenti per uso personale che, escusso come persona informata dei fatti, si rifiuti di fornire alla P.G. informazioni sulle persone da cui ha ricevuto la droga, ferma restando, in tale ipotesi, l'applicabilità dell'esimente prevista dall'art. 384 co. 1 c.p. "se, in concreto, le informazioni richieste possano determinare un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore". Nocumento che consiste anche, quanto al pregiudizio de liberiate, nella prevedibile eventualità di "una grave compromissione della normale situazione esistenziale e lavorativa" dell'imputato di favoreggiamento, purché di siffatta compromissione siano acquisiti nel giudizio di merito adeguati elementi di prova ("in concreto", affermano le Sezioni Unite) sulla situazione personale, lavorativa, familiare e ambientale dell'imputato (Cass. S.U., 22.2.2007 n. 21832, Morea, rv. 236371).

Ne discende, allora, da un lato, che non sembrano sussistere ragioni ostative alla inclusione del diritto al lavoro e al mantenimento del posto di lavoro nell'ampio perimetro del diritto di libertà individuale dell'imputato ex art. 378 c.p., la scriminante prevista dall'art. 384 co. 1 c.p. non apparendo limitata al solo rigoroso ambito della libertà giuridica o della libertà da un procedimento penale, in cui considerare confinato l'autofavoreggiamento non punibile dell'imputato coevo e sovrapposto al favoreggiamento di un terzo (che, quand'anche si ritenga di attuare così una interpretazione analogica estensiva, in tal caso si sarebbe in presenza di una analogia in bonam partem). Emerge, da un altro lato, che la definizione della posizione processuale del ricorrente Z. richiede nel caso di specie una verifica o integrazione probatoria correlati ad una indagine e ad un giudizio di fatto, per certo non esperibili nella presente sede di legittimità.

Si rende necessario, in altre parole, un controllo o accertamento della effettiva situazione del ricorrente rispetto all'addotto temuto pericolo di perdere il posto di lavoro nel cantiere edile del soggetto beneficiato dalle sue false dichiarazioni favoreggiatrici. Occorre acquisire, per valutare la concretezza e attualità del detto pericolo al momento dei fatti che integrano la regiudicanda (con un tipico criterio di postuma prognosi), idonei elementi di conoscenza sulla reale natura del rapporto di lavoro intrattenuto dallo Z. sulla sua natura (formale o "in nero"; a tempo determinato o non), sulle reali mansioni svolte dall'imputato, sulla regolarità o meno della sua presenza sul territorio dello Stato connessa al rapporto di lavoro, sulla sua complessiva situazione economica e familiare (persone a carico o non) nonché su ogni ulteriore dato concretamente utile per l'indicato giudizio valutativo.

La sentenza di appello impugnata deve, per tanto, essere annullata con rinvio per nuovo esame alla Corte distrettuale di Brescia perché, proceda nelle forme ritenute più efficaci, ivi incluso -se necessario- lo strumento della parziale riapertura dell'istruttoria ex art. 603 co. 3 c.p.p. (non incompatibile con il giudizio abbreviato celebrato in primo grado), alla rinnovata analisi della posizione del ricorrente R.

Analisi rivalutativa nel condurre la quale il giudice di rinvio, per gli effetti di cui all'art. 627 c.p.p., si uniformerà agli ambiti della verifica e ai principi di diritto come sopra, rispettivamente, delineati e precisati.


P.Q.M.




Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di G.G. perché il fatto non costituisce reato.

Annulla la stessa sentenza nei confronti di R. e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia