SENATO DELLA REPUBBLICA

XVI LEGISLATURA

Giunte e Commissioni


Resoconto stenografico


Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 83: mercoledì 20 luglio 2011

Audizione dei rappresentanti dell'Associazione vittime amianto nazionale italiana (Avani)
Audizione del professor Mario Patrucco, Politecnico di Torino
Audizione del professor Paolo Pascucci, Università degli studi di Urbino "Carlo Bo"


Presidenza del presidente TOFANI

Intervengono, in rappresentanza dell'Associazione vittime amianto nazionale italiana (AVANI), il signor Silvio Mingrino, Presidente, la dottoressa Rosanna Muselli, Vice Presidente, i consiglieri, dottor Giovanni Belloni, dottoressa Marina Merlini e signora Elisabetta Monni; i legali, avvocato Ezio Bonanni, avvocato Marcello Stracuzzi e avvocato Roberto Stracuzzi; i soci, signor Giuseppe Ghelfi, signor Tiziano Conedera e dottoressa Monica Giacomantonio; il professor Mario Patrucco, docente di sicurezza e igiene del lavoro presso il Politecnico di Torino, accompagnato dal professor Riccardo Tommasini, docente di ingegneria della sicurezza elettrica presso il medesimo Ateneo; il professor Paolo Pascucci, ordinario del diritto di lavoro presso l'Università degli studi di Urbino "Carlo Bo", accompagnato dal professor Gabriele Marra, docente associato di diritto penale, dal professor Luciano Angelini, docente aggregato di diritto del lavoro, e dal professor Alberto Andreani, docente a contratto di strategia e politica aziendale della sicurezza sul lavoro, presso il medesimo Ateneo.

Audizione dei rappresentanti dell'Associazione vittime amianto nazionale italiana (Avani)

PRESIDENTE
L'ordine del giorno reca alcune audizioni. Sarà svolta per prima l'audizione di rappresentanti dell'Associazione vittime amianto nazionale italiana (AVANI).
Avverto che sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico della seduta. Comunico inoltre che, ai sensi dell'articolo 13, comma 2, del Regolamento interno, è stata chiesta l'attivazione dell'impianto audiovisivo. Se non ci sono osservazioni, tale forma di pubblicità è dunque adottata per il prosieguo dei lavori.
Sono presenti il signor Silvio Mingrino, Presidente, la dottoressa Rosanna Muselli, Vice Presidente, i consiglieri, dottor Giovanni Belloni, dottoressa Marina Merlini e signora Elisabetta Monni; i legali, avvocato Ezio Bonanni, avvocato Marcello Stracuzzi e avvocato Roberto Stracuzzi; i soci, signor Giuseppe Ghelfi, signor Tiziano Conedera e dottoressa Monica Giacomantonio.
Desidero ringraziare i nostri ospiti per la loro presenza e la senatrice Bugnano non solo per questa audizione, ma anche per le altre che seguiranno nella giornata odierna e che riguarderanno in particolare l'attività della formazione. Si tratta infatti di un grande tema, che la Commissione sta affrontando, tanto che si è dotata di un apposito gruppo di lavoro, coordinato proprio dalla senatrice Bugnano.

MINGRINO
Intervengo in qualità di presidente dell'Associazione vittime amianto nazionale italiana (AVANI). Desidero innanzitutto rivolgere un saluto al Presidente e a tutti coloro che sono presenti a questo importante incontro. Non soltanto presiedo questa associazione, ma sono orfano e vittima dell'amianto: ho infatti perso sia mio padre sia mia madre per colpa di questo minerale così dannoso per la salute. Purtroppo, in questa sede mi trovo a dover denunciare la situazione del territorio oltrepadano, gravemente colpito da una strage di massa, che oso definire epocale. Tale strage è il risultato dell'incuria e delle inadempienze perpetrate dalle singole persone, dalle istituzioni e dallo Stato, che non ha rispettato le più basilari ed elementari normative di sicurezza e non ha fornito le giuste informazioni. Cito a tal proposito il caso dei territori oltrepadani maggiormente esposti a questo dramma, come i paesi di Broni, Stradella, Portalbera e Arena Po. Broni detiene purtroppo il primato delle morti di questo tipo: pensate infatti che dal 1978 ad oggi sono morte più di 1.000 persone. Qualcuno sapeva che tali morti sarebbero avvenute, ma non lo ha mai denunciato, né ha mai espresso in alcun modo un discorso legato alla prevenzione.
Nei tre anni dalla sua fondazione la nostra associazione ha dunque percorso alcune tappe, che desidero ricordare. Il 15 marzo siamo stati auditi dal dottor Marra, segretario generale del Quirinale, e nel corso di tale incontro abbiamo espressamente richiesto che fosse emanato il decreto attuativo del Fondo per le vittime dell'amianto, che ancora oggi non è operativo e che presenta molte incongruenze rispetto alle motivazioni in base alle quali era stata chiesta la sua istituzione. Il 5 marzo la stessa delegazione, in rappresentanza delle associazioni di tutta Italia, si è rivolta al Presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, che ha assunto l'incarico di sottoporre alla Camera le problematiche e le tematiche relative all'amianto, anche se fino ad oggi non abbiamo avuto alcuna risposta. Una giornata storica, che mi piace valutare alla stessa stregua di quella che stiamo vivendo oggi, è stata quella dello scorso 27 aprile, giorno in cui il Sommo Pontefice ha salutato per la prima volta nella storia d'Italia le vittima dell'amianto, in occasione della ricorrenza del 28 aprile, giornata mondiale delle vittime dell'amianto. Il Sommo Pontefice ha salutato l'Associazione vittime amianto nazionale italiana (AVANI) e l'Osservatorio nazionale amianto, incitandoci a proseguire in un percorso finalizzato al riconoscimento della verità, all'ottenimento della giustizia e, soprattutto, all'assistenza delle persone malate.
Oggi, mercoledì 20 luglio, in questa prestigiosa sede, mi vedo costretto anche a denunciare il parziale - se non totale - disinteresse dello Stato nei confronti delle patologie asbesto-correlate. Ciò continua a permettere che siano calpestati, in nome del profitto e per il profitto, due fondamentali diritti sanciti nella Carta costituzionale italiana: il diritto alla vita e il diritto al lavoro. All'odierna audizione è presente anche il nostro legale, l'avvocato Ezio Bonanni, che ringraziamo sentitamente, perché lo riteniamo il paladino di noi vittime dell'amianto: egli si sta infatti impegnando a fondo perché le vittime dell'amianto possano avere finalmente giustizia. Per quel che riguarda il territorio della provincia di Pavia farò riferimento al caso della Fibronit SpA. Nonostante per ben due volte siano state chiuse le indagini preliminari con l'applicazione dell'articolo 415-bis del codice di procedura penale (l'ultima nel mese di febbraio, in cui sono state indagate dieci persone) ad oggi non c'è stato alcun rinvio a giudizio. Questo è un ritardo che davvero mi sconforta.
La nostra missione non riguarda soltanto il riconoscimento dei danni materiali, ma è altresì finalizzata a far conoscere ciò che è stato taciuto sino ad oggi, anche e soprattutto per quel che riguarda l'aspetto medico. A tal proposito è oggi presente il Presidente dell'ordine dei medici della provincia di Pavia, dottor Giovanni Belloni, che collabora con noi, è un nostro consigliere ed è promotore di una campagna di informazione finalizzata alla diffusione di una diagnosi precoce del mesotelioma, che ci auguriamo possa avere presto inizio nel nostro territorio, affiancandoci alle istituzioni e in particolare alla ASL.
Devo portare poi una triste testimonianza: il 12 giugno è deceduta per mesotelioma pleurico una signora di soli 46 anni, lasciando due figli di 8 e di 15 anni. Questa signora non aveva mai lavorato alla Fibronit ed abitava a 50 metri da me: praticamente è stata uccisa dall'amianto per inquinamento ambientale. In Italia muoiono 4.000 persone all'anno per malattie asbesto-correlate e circa 1.300 per mesotelioma pleurico.
L'AVANI si pone anche un altro obiettivo: in questi anni in cui come presidente dell'associazione sto viaggiando per tutta l'Italia, mi sono accorto che le cure e le attenzioni mediche non sono uguali in tutto il territorio nazionale. Dunque l'associazione si pone l'obiettivo di fare in modo che si possano ricevere le stesse cure e le stesse attenzioni dovunque, da Milano a Roma, a Napoli, a Lampedusa.
Con questo mio breve intervento desidero infine ringraziare la Commissione per averci audito. Quella odierna è un'occasione unica e sicuramente molto importante per la nostra associazione, che persegue l'obiettivo di portare un briciolo di giustizia alle malcapitate vittime dell'amianto, considerando che purtroppo ce ne saranno ancora altre, perché il picco deve ancora arrivare. Ringrazio di cuore la Commissione, non solo a titolo personale, ma da parte di tutte le vittime dell' amianto.

PRESIDENTE
Ringraziamo il presidente Mingrino per aver portato, con la sua relazione, una testimonianza su questa grave malattia, un problema che ormai possiamo definire sociale, anche perché ha una portata imprevedibile, se non per i dati che sono a nostra conoscenza.
La nostra Commissione, come sapete, s'interessa essenzialmente degli infortuni e delle malattie professionali. L'amianto, fortunatamente, non è più oggetto diretto della nostra attività di inchiesta, essendo stato bandito ormai da quasi vent'anni dai luoghi di lavoro. Tuttavia abbiamo ritenuto opportuno ascoltare anche la vostra associazione (non è la prima audizione che facciamo su questo tema), perché in qualche modo questo problema si collega alle malattie professionali. Quindi da parte nostra cercheremo di attivare ogni meccanismo affinché si ponga maggiore attenzione - lo sottolineo - su questa che ormai da tempo penso di poter definire, spero ne converrete, una malattia sociale vera e propria. L'ultima testimonianza che ci ha voluto fornire, sicuramente di veridicità consolidata altrimenti non ce l'avrebbe riferita, di una giovane donna che è morta pur non avendo mai avuto contatto diretto con l'amianto, riconferma che le cose stanno così (anche dalle notizie che abbiamo purtroppo sembra che la situazione sia questa). Intendiamo, pertanto, come Commissione, poter svolgere anche su questo fronte delle iniziative per non tenere nell'ombra o quanto meno per tenere nella dovuta considerazione un tema così importante e così grave. Quindi siamo noi a ringraziarvi.

BELLONI
Ringrazio il Presidente e tutti i senatori qui presenti per l'attenzione. Farò una breve sintesi da un punto di vista non solo sanitario, ma anche socio-sanitario. Prima di tutto, per chi non conosce questa realtà, il distretto di Broni-Stradella è sito nell'Oltrepò pavese, a fianco della Provincia di Piacenza. È un distretto che rappresenta 29 Comuni per un totale di 42.000 abitanti, con più di 12.000 abitanti con età maggiore di 65 anni. Rispetto agli altri distretti della Lombardia e della Provincia di Pavia, dove l'incidenza di nuovi casi di mesotelioma, che è il tumore primitivo più frequente delle pleure in Italia, è di tre ogni 100.000 abitanti, questa incidenza è di quattro ogni 100.000 abitanti, quando la media nazionale è di due ogni 100.000 abitanti. L'età varia e l'incidenza è intorno ai 65-70 anni perché questa malattia ha una fase di latenza assai lunga, dai 15 ai 30-35 anni e quindi ci si aspetta un picco di incidenza tra 12-15 anni (stiamo parlando della Lombardia perché i nostri sono i dati ufficiali del Registro mesoteliomi della Lombardia, che è partito in modo definitivo dal 2004). Purtroppo la diagnosi è sempre tardiva ed è difficile fare una diagnosi precoce in quanto si tratta di un tumore silente. Purtroppo le terapie sono inefficaci e infatti il tempo di sopravvivenza di questi pazienti varia dai 12 ai 14-18 mesi, a seconda delle casistiche, sia che si faccia terapia, sia che non si faccia. Per motivi deontologici, tutti noi cerchiamo di praticare le terapie in nostro possesso, ma in quei casi in cui non è stata fatta alcuna terapia, dispiace dirlo, i risultati sono identici.
Come consiglieri dell'associazione AVANI stiamo promuovendo soprattutto degli ambulatori chiamati "amianto" che attiveremo sul territorio in modo tale, se possibile, da riuscire ad arrivare, per alcune coorti di pazienti a rischio, ad una diagnosi più precoce, facendo visite a tappeto ed esami più specifici in ospedale. Questo - tengo a precisarlo - è un dato che stiamo portando avanti con la Scuola di specializzazione di chirurgia toracica dell'Università degli studi di Pavia.
Da ultimo, tengo a sottolineare in modo marcato che nell'area dell'Oltrepò mancano soprattutto cure palliative, degli hospice che possano alleviare la sofferenza dei pazienti in fase più avanzata e dei loro parenti. Abbiamo stimolato le istituzioni affinché si creasse almeno un hospice per tutto l'Oltrepò, che potrebbe essere utile non solo per le vittime dell'amianto, ma per tutti quei soggetti con patologie croniche debilitanti che lì possano giungere all'esito finale.

BONANNI
Quale legale dell'associazione AVANI, come di altre associazioni, desidero innanzitutto ringraziare la Commissione, il Presidente, gli onorevoli senatori e l'AVANI stessa per questa importante possibilità di far valere e di esporre il punto di vista delle vittime. Ci sarebbe da fare una breve premessa, richiamando i primi studi effettuati nel 1898 da miss Dean, un'ispettrice inglese la quale, notando un gran numero di malati tra i lavoratori dell'amianto in Inghilterra, studiò al microscopio quelle fibre e si accorse che esse fibre non solo penetravano nell'organismo, e quindi in tutti gli organi, ma davano vita ad una patologia particolarmente insidiosa. È del 1906 la prima sentenza del tribunale di Torino, confermata poi dalla corte d'appello di Torino del 1907, sul rischio morbigeno legato all'esposizione all'amianto. Con queste importanti decisioni giurisprudenziali vennero rigettate le domande di una società inglese che gestiva le cave del Canavese. Quindi si affermò che correttamente i giornalisti avevano messo in evidenza il gran numero di malattie tra i lavoratori dell'amianto, d'altronde già emerse all'attenzione del professor Scarpa del Policlinico centrale di Torino, che in 30 cartelle cliniche descrive una particolare tubercolosi galoppante con decessi entro l'anno, dovuta, si scrive testualmente (i risultati furono poi portati al congresso di medicina del lavoro del 1908 a Napoli) alle polveri di amianto, particolarmente dannose per l'organismo umano. È del 1909 il regio decreto n. 442 che definisce insalubri le lavorazioni dell'amianto; è del 1927 la norma sul divieto di respiro delle polveri nell'ambiente lavorativo come norma igienica; sono del 1930 le prime comunicazioni dell'ispettorato del lavoro agli organi competenti sul rischio morbigeno legato all'amianto, quindi alla silicosi e all'asbestosi; è del gennaio 1943 la proposta di legge con la quale si chiede di tabellare questa patologia e quindi di farla rientrare tra le patologie professionali ed è del 12 aprile 1943 l'approvazione da parte del Senato della legge n. 455 e la sua sottoscrizione da parte dell'allora re Vittorio Emanuele III.
È quindi evidente che c'è stato un inadempimento da parte degli organi statali rispetto ai principi costituzionali sanciti dalla Costituzione all'articolo 32 - il diritto alla salute - e all'articolo 41, secondo comma, sul limite all'iniziativa economica pubblica e privata, che deve svolgersi nel rispetto della dignità umana e della sicurezza pubblica. Infatti la salute, da posizione individuale è diventata un fatto di importanza collettiva, un diritto generale di tutta la comunità. Sono altresì molto importanti gli atti parlamentari relativi all'approvazione della legge n. 255 del 1992, recante «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto», ad esempio nella parte in cui l'onorevole Muzio mette in evidenza il fatto che in Italia si è giunti ad interdire l'uso dell'amianto molto tardi, appunto nel 1992, quando già negli anni Sessanta Wagner, in Sudafrica, aveva posto all'attenzione del mondo scientifico, in modo incontrovertibile, il nesso di causalità tra esposizione all'amianto - anche nel caso di bassa esposizione - e mesotelioma. Ciò è divenuto acquisizione incontrovertibile e unanime del mondo scientifico già nella Conferenza di New York del 1964, nella quale le tesi del dottor Selikoff vennero accolte universalmente da tutto il mondo scientifico.
Dunque sorprende che la Repubblica italiana abbia fatto divieto dell'uso dell'amianto solo nel 1992. Ricordo tra l'altro la direttiva comunitaria 83/477/CEE, che l'Italia avrebbe dovuto recepire entro il primo gennaio del 1987 e che è stata recepita anche da altri Paesi europei. In quel caso la Commissione europea avviò d'ufficio nel 1989 una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia, conclusasi con la sentenza della Corte di giustizia europea n. 240 del 1990, proprio perché nessuno aveva posto attenzione a questa importante direttiva, che l'Italia avrebbe dovuto recepire in base agli accordi internazionali e non soltanto in base a norme costituzionali finalizzate alla tutela della salute e dell'incolumità dei lavoratori e dei cittadini.
Si pone dunque un quadro singolare, su cui vorrei richiamare l'attenzione dei membri della Commissione. Chiedo inoltre di depositare presso gli uffici della Commissione due importanti documenti che ho tratto da una sentenza del tribunale di Torino del 1998, relatore il giudice Ciocchetti. Si tratta di due importanti documenti relativi l'uno ad una riunione dei rappresentanti dell'Eternit in Germania, e l'altro alle pressioni che gli industriali dell'amianto erano in grado di esercitare addirittura sull'allora Ministro in carica (almeno così come appare nel documento conservato presso l'Archivio di Stato di Torino e citato nella sentenza). In questo documento si dice che i produttori di amianto facevano pressione sulle istituzioni affinché l'Ente nazionale prevenzione infortuni (ENPI) non indicasse dei limiti di soglia per i lavoratori esposti. Dunque desidero sottoporre questi documenti all'attenzione dei membri della Commissione.
Mi vorrei inoltre collegare nello specifico al processo che riguarda da vicino il presidente dell'associazione, il signor Mingrino, che ha perso entrambi i genitori - il papà è venuto a mancare nel 1999 e la mamma nel 2008 - e che figura come parte offesa nel procedimento n. 2036 del 2004.
Richiamo l'attenzione del Presidente e di tutti i membri della Commissione sul fatto che nel 2009 le vittime fecero un'istanza di avocazione alla procura generale. Ci sarebbe inoltre da chiedersi come mai, se il padre del signor Mingrino è morto nel 1999, l'indagine è iniziata solo nel 2004, ma si tratta di una risposta che non potrei comunque dare. Al di là di questo aspetto, l'indagine ha avuto inizio nel 2004 e io personalmente ignoro l'esistenza di norme del codice di procedura penale che contemplino termini di durata delle indagini preliminari di tal fatta: cinque anni, dal 2004 al 2009. Nel 2009 l'avvocato generale dello Stato ha rigettato l'istanza, premettendo che erano in corso gli avvisi emessi ai sensi dell'articolo 415-bis del codice di procedura penale. Se nel 2009 era in corso la notifica di questo importante avviso, che prelude al rinvio a giudizio, noto però che ancora nel 2011 non abbiamo cognizione di un rinvio a giudizio; da quel che sappiamo pare sia in corso l'interrogatorio di uno degli indagati, che ha chiesto di essere ascoltato. Vorrei illustrare questi dati oggettivi senza aggiungere commenti, per evidenziare - come ha detto anche l'allora procuratore della Repubblica di Voghera - che al di là del giudizio sovrano della magistratura, che tutti rispettano, se un soggetto ha subìto la morte di entrambi i genitori ed è in corso un'indagine (iniziata per la morte del padre nel 1999 e per la morte della madre nel 2008 e che riguarda un gran numero di deceduti) tale soggetto ha diritto di sapere entro termini ragionevoli se c'è o meno un colpevole. Inoltre, se c'è un colpevole, la collettività ha il diritto ad una punizione dei responsabili in tempi ragionevoli.
Dall'indagine e dai termini di durata delle stesse rilevo dunque la violazione dei diritti fondamentali della persona, così come contemplati nell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Voglio essere chiaro: non si mette in dubbio e non si contesta il diritto alla difesa degli indagati e degli imputati, che si presumono innocenti fino a condanna definitiva, ma si pone lo sguardo alla norma - che ritengo sia una norma di civiltà - che sancisce la difesa dei giusti diritti della parte offesa, ovvero di chi ha visto morire dei congiunti o si trova ad essere gravemente malato. Questo è un primo interrogativo che intendo porre.
Vorrei altresì evidenziare il fatto che esistono ulteriori profili da esaminare e che il caso dei genitori del signor Mingrino non è unico: anche i coniugi Padoan sono entrambi deceduti perché il marito lavorava all'interno dello stabilimento e la moglie lavava le sue tute. Occorre dunque sottolineare l'incivile regola di non informare gli ignari lavoratori che anche le mogli avrebbero potuto ammalarsi e di non dotare i lavoratori di tute monouso e di maschere di protezione. C'è stato un comportamento veramente grave e ci chiediamo per quale motivo, rispetto a fatti così gravi, al momento non ci siano accertamenti di responsabilità. Per quanto riguarda il caso Padoan il procuratore della Repubblica aveva chiesto l'archiviazione, il giudice ha rigettato la richiesta e ci siamo costituiti in giudizio: l'ho fatto per conto dei familiari, perché nel frattempo è morta anche la signora Padoan. Il procuratore della Repubblica di Voghera aveva chiesto l'archiviazione sulla base del presupposto che i responsabili risultavano ignoti. C'era quindi una richiesta di archiviazione, che il GIP ha rigettato, fissando l'udienza. Il procuratore durante l'udienza, tenutasi a maggio, ha revocato la sua stessa richiesta di archiviazione, rilevando che «a seguito del decesso del Padoan Gianfranco, lo stesso risultava già iscritto come persona offesa» e ritenendo quindi «che tale presente richiesta di archiviazione essendo rimasti ignoti gli autori del reato è frutto di un mero refuso». Noto purtroppo che la fatalità non sembra giocare a favore delle vittime dell'amianto. Pongo dunque anche questo documento all'attenzione della Commissione.
Tra l'altro, l'intera vicenda è stata posta a conoscenza del senatore Casson e di altri senatori e di conseguenza i senatori Casson, Fontana, Galperti, Antezza, Marco Filippi, Roilo, Garraffa, Granaiola e Chiurazzi hanno presentato un'interrogazione al Ministro della giustizia sul punto.
Consegno anche questo ulteriore documento, in attesa che il Guardasigilli voglia esaudire le richieste dei senatori. Consegno altresì il rigetto della richiesta di avocazione.
Questi sono i dati oggettivi, sui quali ovviamente non faccio alcun commento. Ho sommo rispetto nei confronti della magistratura, che è organo sovrano e rispetto alla quale certamente queste mie parole non vogliono esprimere alcuna riserva mentale né qualsiasi forma di contestazione. Quindi ribadisco la fiducia e il rispetto nei confronti della magistratura come organo dello Stato, perché questo è doveroso verso un organo costituzionale e anche perché le vittime dell'amianto mostrano grande dignità nel rispetto che hanno nei confronti delle istituzioni.
Su richiesta del signor Mingrino, ho rivolto anche un appello al Santo Padre. Infatti come avvocato (l'ho detto anche in un recente convegno a Siracusa, cui era presente anche il Ministro dell'ambiente, onorevole Prestigiacomo), di fronte a delle indagini che si protraggono per così tanti anni, devo dire al signor Mingrino che non abbiamo altra possibilità e ci potremo costituire parte civile solo nel momento in cui comincerà il processo: è evidente che se il processo non inizia non ci potremo costituire parte civile. Il Sommo Pontefice ha preso posizione su questo profilo, facendo appello sia all'AVANI che all'Osservatorio nazionale amianto (ONA), associazione alla quale appartengono tra l'altro gli eredi dei coniugi Padovan, perché proseguano in questa importante attività di tutela dell'ambiente e della pubblica salute. Certo, il fatto che il Papa sia intervenuto incoraggiandoci nella nostra attività è un fatto importante ma, come ho detto all'onorevole Prestigiacomo, vorremmo condividere con tutte le istituzioni il comune impegno.
Per quanto riguarda il distretto di Broni, c'è una questione legata anche all'inquinamento del sito, posto che non pare, almeno per quanto è a mia conoscenza, sia stato bonificato laddove su questo sarebbe importante intervenire per evitare che ci sia una dispersione di fibre tale da determinare un'ulteriore esposizione e quindi un ulteriore rischio morbigeno per la salute umana. Questo sarebbe importante. Come rilevava giustamente il primario ospedaliero che è intervenuto in precedenza, rispetto al mesotelioma non ci sono ad oggi possibilità di cura; tuttavia uno strumento ci sarebbe ed è quello della prevenzione primaria, eliminando alla base la fonte del rischio, anche per i luoghi di lavoro, mentre nel decreto legislativo n. 81 del 2008 si prevede ancora la soglia delle 100 fibre/litro, limite rispetto al quale la nostra associazione si è permessa di ricorrere alla Corte europea per i diritti dell'uomo.
È per questo che abbiamo rivolto l'appello al Sommo Pontefice: affinché levasse la propria voce su questi temi. Riteniamo che stabilire delle soglie di esposizione non abbia una fonte scientifica, ma si fondi sul presupposto che sotto quella soglia si registrano poche patologie. Riteniamo che ciò sia inammissibile, alla luce dei principi costituzionali di cui agli articoli 32 e 41, ma soprattutto del principio contenuto nell'articolo 2 della Costituzione sui diritti fondamentali e sulla dignità della persona umana, che è il nucleo essenziale, nonché sul fatto che la vita umana non può essere subordinata al rischio. La scienza ha dimostrato che anche poche fibre possono determinare il mesotelioma: le fibre iniziano ad agire attraverso una fase precancerosa già al momento dell'inalazione e nell'organismo umano inizia un tiro alla fune, fino al momento di rottura; le fibre si sommano con quelle di altri cancerogeni e, nella lotta tra gli enzimi riparatori dell'organismo umano e il sistema immunitario, nel momento di esaurimento delle nostre difese si determina il momento di rottura e quindi la patologia tumorale.
La nostra associazione chiede quindi di studiare la possibilità di ridurre a zero tutti i limiti di soglia relativi ai patogeni all'interno degli ambienti lavorativi: ciò porterebbe a notevole risparmio in termini di prestazioni previdenziali, di prestazioni mediche e anche per gli stessi imprenditori, che spesso si ritrovano ad essere processati e a dover rispondere di questi decessi. Sulla responsabilità dello Stato sul punto, mi permetto di depositare il decreto del tribunale di Paola che, in riferimento al processo Marlane, ha accolto la mia richiesta di ordinare la citazione dello Stato come responsabile civile e quindi come corresponsabile per i danni causati dagli imputati ai lavoratori: lo Stato e gli altri enti pubblici sarebbero corresponsabili civilmente là dove non hanno impedito ma hanno determinato, violando anche le norme costituzionali, l'insorgere di patologie e di decessi. Consegno il provvedimento del tribunale di Paola che autorizza la citazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, della Regione Calabria, della ASL. Certo questo riguarda quella particolare situazione, che tuttavia è relativa ad un punto di diritto fondamentale: lo Stato deve rispettare prima di tutto esso stesso le norme degli articoli 32 e 41 della Costituzione e quindi deve far sì che le leggi di tutela dei lavoratori, che esistono addirittura dall'inizio del secolo scorso, le norme costituzionali e l'articolo 2087 del codice civile, vengano rispettati. Laddove ciò non accadesse anche lo Stato può essere chiamato a rispondere con gli stessi imputati per aver permesso loro, violando le norme, la lesione dei beni fondamentali dell'ambiente e della salute umana.
Spero di non essere stato troppo prolisso e mi scuso se ho detto qualcosa che può non essere condivisibile in questa sede.

PRESIDENTE
A prescindere dal fatto che siano o meno condivisibili, ognuno ha il diritto di esprimere liberamente le proprie conoscenze e valutazioni, e questo è il luogo istituzionale idoneo per farlo. Non c'era quindi nessun elemento fuori linea.

MINGRINO
Mi permetto di riprendere la parola per ringraziare davvero di cuore la senatrice avvocato Patrizia Bugnano per l'interrogazione parlamentare scritta che ha depositato nel febbraio di quest'anno.

BUGNANO
Volevo solo intervenire, dopo la testimonianza dell'associazione, su due aspetti che hanno evidenziato i suoi rappresentanti nei loro interventi. Innanzitutto, ovviamente, sull'aspetto processuale, che è stato ben esposto dall'avvocato Bonanni. Conosco in qualche modo le carte di questo processo e mi auguro che si arrivi al più presto ad incardinarlo, anche perché a Torino (l'avvocato ha citato più volte la mia città) stiamo invece per ultimare un processo che riguarda sempre il problema dell'amianto, il famoso processo Eternit. Verosimilmente, avremo la sentenza per la fine di quest'anno e molti degli elementi che l'avvocato ha ricordato essere emersi nelle indagini sulla fabbrica di Broni, sono emersi anche nel nostro processo, già arrivato alla fase dibattimentale. Possiamo quindi parlare di prove che si sono formate in una fase più avanzata del processo. E quegli elementi che l'avvocato ricordava (la dispersione delle fibre nell'ambiente, i casi delle mamme o delle mogli che lavavano le tute dei mariti che rilasciavano le fibre dell'amianto e ancora l'utilizzo dei pezzi delle lastre di amianto per rifare i tetti o i cortili) sono tutti elementi che nel processo Eternit di Torino sono stati acclarati, almeno per quel che è emerso dall'istruttoria, come tali da aver in qualche modo indotto, anche in via indiretta, l'insorgenza delle malattie.
Desidero fare una seconda considerazione, visto che nella Commissione lavoro del Senato si stanno esaminando alcuni disegni di legge (tra cui uno a prima firma del senatore Casson, uno a prima firma di un collega della maggioranza e uno a mia prima firma) in cui viene trattato non solo il tema del Fondo per le vittime dell'amianto, che è stato ricordato, ma in cui è anche prevista, per la prima volta nella nostra legislazione, l'equiparazione tra coloro che possono considerarsi vittime in quanto toccate in modo indiretto dall'amianto e coloro che lavoravano presso le fabbriche e che si sono ammalati per l'amianto. Il Parlamento - e in particolare la Commissione lavoro del Senato - si sta dunque occupando di questo tema anche dal punto di vista legislativo. Purtroppo il processo legislativo spesso è lento e a volte lo è anche la giustizia, ma credo che la problematica dell'amianto sia di assoluta attualità ed è dunque opportuno che la nostra Commissione se ne occupi. A tal proposito ringrazio il presidente Tofani per aver consentito la presente audizione. Come egli ha ricordato, abbiamo svolto altre audizioni sul tema dell'amianto, anche se il problema non è di stretta competenza della nostra Commissione. Tutti riconosciamo l'attualità dell'argomento e quindi l'importanza che anche il legislatore se ne interessi in modo concreto.

PRESIDENTE
Ringrazio la senatrice Bugnano e i nostri auditi per la loro presenza e il loro contributo. Speriamo che l'incontro di oggi possa essere funzionale a quella accelerazione evocata nei vari interventi che si sono succeduti.


Audizione del professor Mario Patrucco, Politecnico di Torino

PRESIDENTE
Segue l'audizione del professor Mario Patrucco, del Politecnico di Torino. Sono presenti il professor Mario Patrucco, docente di sicurezza e igiene del lavoro presso il Politecnico di Torino, accompagnato dal professor Riccardo Tommasini, docente di ingegneria della sicurezza elettrica presso il medesimo Ateneo. Ringrazio i nostri ospiti per la disponibilità.

BUGNANO
Intervengo in qualità di coordinatrice del gruppo di lavoro sulla formazione e la prevenzione. La Commissione ha infatti deciso di strutturarsi in gruppi di lavoro per meglio approfondire le tematiche al suo esame. In particolare, il gruppo di lavoro che presiedo si occupa di tutti gli aspetti riguardanti la formazione e la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Desidero sottolineare questo dato per far comprendere meglio ai nostri auditi che tipo di lavoro stiamo svolgendo: stiamo programmando le audizioni dei soggetti che si occupano di questi temi; ne abbiamo già fatte diverse e altre ne faremo, fino alla fine della legislatura.
Abbiamo oggi il piacere di audire dei docenti del Politecnico di Torino e, nella successiva audizione, dell'Università di Urbino, ovvero di atenei che hanno istituito dei master e dei corsi che si occupano di tali tematiche. Devo dire che i corsi di questo tipo non sono numerosi nelle università italiane, anche se ora si stanno diffondendo maggiormente. Sicuramente però le università dovrebbero avere un'attenzione particolare verso tali tematiche, anche perché siamo tutti abbastanza d'accordo sul fatto che in materia di infortuni sul lavoro non è sufficiente l'apparato sanzionatorio, ma è forse molto più importante il tema della prevenzione.

PATRUCCO
Desidero ringraziare la Commissione per l'occasione offertaci di discutere gli aspetti della formazione in materia di valutazione e gestione dei rischi a livello alto, ovvero a livello universitario. Insieme al collega Tommasini, qui presente, insegno al Politecnico di Torino, ovvero in una scuola che ha una sua evidente rilevanza.
Venendo al sodo, ovvero ai dati tratti da alcune analisi approfondite effettuate sugli eventi infortunistici, abbiamo potuto costruire un diagramma - contenuto nei documenti che depositeremo presso gli uffici della Commissione - che non contiene numeri decimali, poiché si tratta di una stima. È comunque una stima importante, che delinea una situazione drammatica. In tale diagramma si evidenzia, in sostanza, che la formazione ha un'importanza enorme, sia dal punto di vista della formazione dei lavoratori, ma soprattutto dal punto di vista della formazione degli analisti di rischio. È quest'ultimo infatti che ha il dovere e, a nostro avviso, la responsabilità di inquadrare la situazione e di gestirla, per prevenire gli eventi e in questo caso, lo ribadisco, si tratta di eventi mortali.
Abbiamo notato inoltre che c'è una carente identificazione dei fattori di rischio. Ciò vuol dire in pratica che quando si va ad analizzare un evento occorso, si scopre che la causa dell'evento nemmeno rientrava tra quelle prese in considerazione. È evidente che se non ci si pone proprio il problema poi non è possibile gestirlo in alcuna maniera e ciò è molto negativo. Anche nel modesto numero di casi in cui il fattore di rischio è stato correttamente preso in considerazione (naturalmente non basta un'affermazione generica che indichi, ad esempio, di non mettere le dita nei macchinari in movimento; il problema è quello di entrare un po' più nel fino della questione, per poterla gestire) accade un'altra cosa tipica, ovvero si sceglie di gestire i rischi che si sanno gestire o che conviene gestire. Quindi, l'ordine gerarchico con cui si affrontano i problemi non deriva dall'effettiva importanza del rischio associato ad un determinato fattore.
L'ultimo step è composto da varie parti, per esempio un aspetto un po' in diminuzione negli ultimi tempi, secondo la nostra esperienza, è quello della revisione a seguito di modifiche di scenario. La mancata conservazione nel tempo degli interventi è un fatto drammatico: abbiamo identificato correttamente cosa fare, lo abbiamo attuato e poi lo lasciamo degradare! Siccome tutti gli interventi ingegneristici tendono nel tempo a perdere efficacia se non viene effettuata una corretta manutenzione, evidentemente va a finire che dopo un po' la sicurezza si perde; o peggio si perde la sicurezza ma non la sensazione di sicurezza, che significa, visto che prima abbiamo sentito parlare di aspetti igienico-ambientali, che ad esempio si sentono girare i ventilatori, si sente muovere l'aria e si ha l'impressione che l'aspirazione funzioni bene mentre la portata si è ridotta al 30 per cento. Naturalmente, il risultato finale dal punto di vista della tutela della salute delle persone è disastroso.
L'altro aspetto è la mancata verifica interna ed esterna delle modalità operative: anche qui, nel tempo si perde il concetto di sicurezza e si comincia a semplificare eccessivamente. La verifica interna ovviamente è l'autogestione e qui di nuovo sono in gioco le varie figure professionali, come gli RSPP (responsabili dei servizi di prevenzione e protezione), che in qualche modo devono essere, a nostro avviso, meglio formate. La verifica esterna è quella effettuata da parte dei vari organi di controllo, di cui parlerò fra poco per quanto riguarda la formazione. In un'analisi si identificano fra i fattori di rischio i dispositivi di protezione individuale (è vero che può far male ingoiare un paio di cuffie, così come possono fare male l'informazione e la formazione, perché saperne troppo non è mai una buona cosa, in quanto si tende a preoccuparsi!). Per quanto riguarda la sorveglianza sanitaria, poi, non faccio commenti perché non vorrei offendere i colleghi che si occupano di questi aspetti. Purtroppo questo tipo di documenti mi sono capitati per le mani analizzando degli infortuni mortali, il che vuol dire che la cosa era gestita in modo troppo semplificato (si fanno tante fotocopie ma si fanno poche analisi).
Per quanto riguarda la formazione in materia di cultura della sicurezza occupazionale, la cultura dell'ingegnere contiene già in sé la sicurezza, perché quando si progetta una casa bisogna fare in modo che stia in piedi, ma qui parliamo di un'altra cosa: dell'analisi e gestione dei rischi specifici occupazionali. Parlando con il preside della I facoltà, siamo arrivati alla conclusione che tre crediti formativi (dieci ore a credito, più le ore di apprendimento autonomo) per tutti gli ingegneri del triennio sono essenziali per alfabetizzarli, cioè per riuscire a stabilire un linguaggio delle conoscenze comuni; poi c'è il percorso di laurea magistrale, con un biennio in più, in cui sono previsti vari corsi per un totale di oltre 50 crediti solo in ingegneria. Questo dà luogo a conoscenze che sono distribuite fra i vari indirizzi formativi. La facoltà inoltre fornisce crediti ingegneristici al corso di laurea in tecniche della prevenzione dell'Università di Torino. È un'ottima forma di collaborazione, costruttiva per tutti, anche se naturalmente 28 crediti di ingegneria sono una quantità che dà un'alfabetizzazione, non si pretende diversamente. Poi c'è il "Master in ingegneria della sicurezza ed analisi dei rischi", che è riconosciuto meritevole di finanziamento del Fondo europeo, quindi ha già una valutazione positiva di per sé, è alla sedicesima edizione, ha un'impronta fortemente professionalizzante, lo abbiamo costruito con la totale collaborazione delle aziende sia dal punto di vista dell'organizzazione, sia dal punto di vista della didattica (abbiamo esperienze industriali portate direttamente da chi agisce in campo aziendale), sia dal punto di vista degli stage, perché al termine del master sono previsti tre mesi di tirocinio pratico che sono irrinunciabili per ottenere il titolo, nei quali si fanno esperienze dirette in loco; facciamo poi visite tecniche e verifiche sistematiche su ogni modulo. Il master è riservato agli allievi del quinquennio, perché siamo convinti che per dare un'alta formazione ci voglia una laurea magistrale. L'accesso è a numero chiuso ed abbiamo sette macromoduli. Il responsabile del modulo relativo a salute, principi di organizzazione e gestione della sicurezza e strumenti operativi è naturalmente un collega di medicina del lavoro. Tra l'altro ho qui con me la presentazione che avevo anche inviato alla Commissione. Sono previste 500 ore all'anno, tre mesi di stage, corrispondenti a 70 crediti formativi e abbiamo alti patrocini di cui siamo onorati, tra cui quelli di enti molto importanti. Tra l'altro l'INAIL quest'anno aumenterà il supporto e i premi di master, ovvero gli incentivi agli allievi. Abbiamo in corso delle collaborazioni con l'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPA) e con i vigili del fuoco e la sponsorizzazione di aziende che cambiano ogni anno. Possiamo inoltre vantare un esito occupazionale alto, perché dopo circa un anno dal conseguimento del titolo un po' più del 90 per cento dei diplomati ha trovato un'occupazione - il che di questi tempi non è poco - e, soprattutto, con nostra soddisfazione, il 97 per cento di costoro lavora nel campo della sicurezza. Ciò vuol dire che si tratta di un mestiere che, se fatto bene, può anche dare grandi soddisfazioni.
Organizziamo altresì un dottorato di ricerca sulla sicurezza industriale e l'analisi di rischio. È stato per qualche anno un dottorato autonomo, ma poiché aveva delle dimensioni ridotte, è stata fatta la scelta, a mio avviso molto felice, di accorparlo con un dottorato in metrologia. È infatti evidente che la metrologia e la sicurezza sono caratterizzate da modi di pensare comuni e hanno la possibilità di essere considerate materie trasversali, che non appartengono a un solo indirizzo. Inoltre, il rigore dell'approccio dei metrologi è noto a tutti.
Abbiamo cercato di costruire - e si è trattato di un risultato notevole -una figura di ingegnere che sia anche in grado, con il contributo dei colleghi che si occupano di medicina del lavoro, di comprendere il linguaggio dei medici. In pratica siamo riusciti in una certa misura a colmare quella zona grigia che è presente tra le due competenze e le due professionalità. Si tratta di un fatto più importante di quanto non possa sembrare, perché consente dei risultati costruttivi. Sono in atto, inoltre, diverse collaborazioni per l'attività di studio e di ricerca, come quella con l'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale (UNIDO), per il supporto delle nazioni in via di sviluppo e con problemi, che riguarda sempre il campo della sicurezza. Tale collaborazione è particolarmente interessante, perché si tratta di calibrare la sicurezza su realtà estremamente più difficili della nostra: quindi tale esperienza è stata davvero molto istruttiva.
Sono in atto collaborazioni con l'INAIL, con le Regioni, con il mondo dell'industria e della sanità e anche con la magistratura. Abbiamo poi tentato un esperimento virtuoso per quel che riguarda la sanità e a tal proposito mi riallaccio al tema dei vari livelli di formazione. Gli ispettori, ad esempio i tecnici dei servizi di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro (SPRESAL), hanno una formazione che fondamentalmente è quella del tecnico della prevenzione, ovvero una laurea triennale in cui sono presenti i nostri 28 crediti di ingegneria. Necessariamente queste figure devono avere una cultura molto vasta, perché il loro ruolo lo richiede.
Tuttavia se per il carico di lavoro che sopportano e per la loro formazione possono agire come ottimi operatori sul campo, non possono arrivare a focalizzare e ad approfondire tematiche particolari. Con finalità di collaborazione, abbiamo pertanto previsto un supporto più alto a livello centrale, che potesse avvalersi della competenza di ingegneri magistrali e di dottori di ricerca. Inoltre abbiamo previsto, naturalmente on demand, un supporto da parte di facoltà tecniche e naturalmente della facoltà di medicina. Ciò ha portato alla costruzione di linee guida meditate, poi trasformate in liste di controllo, che si sono rivelate uno strumento prezioso per i tecnici, che in tal modo possono agire sul campo, con una guida, un approccio univoco e una diffusione della cultura della sicurezza. Riteniamo che ciò abbia rappresentato un'esperienza positiva, posto che abbiamo trovato un riscontro anche da parte delle aziende. L'accesso alle linee guide era infatti libero: le aziende se le sono procurate, le hanno analizzate, le hanno commentate e quindi c'è stata una forma di effettivo miglioramento.
Ci occupiamo anche di altri tipi di ricerca: quella a fini di prevenzione e quella pre-normativa. Per quanto riguarda il mio caso personale, il contributo all'innovazione e alla diffusione in materia di sicurezza si rivolge verso le grandi applicazioni per la cantieristica, con lo sviluppo e l'approfondimento di idee originali, ad esempio nel caso di lavorazioni in sotterranei con gas esplodibile, che costituisce un problema di non poco conto. Per quel che concerne l'indagine approfondita di eventi infortunistici, tutti sappiamo che vari enti, come l'INAIL, curano la raccolta di dati statistici. Il problema è che queste raccolte di dati, proprio perché devono essere estremamente diffuse, non possono essere capillari e dunque mancano alcune voci. Ad esempio, una voce che si trova nel sito dell'OSH americana, ma non nel sito dell'INAIL, è relativa alle violazioni delle norme da cui derivano gli infortuni. Naturalmente, l'applicazione tout court dei dati dell'INAIL potrebbe essere utile per orientare la vigilanza, ma se li si utilizzasse per approfondire le analisi di rischio, in alcuni casi si rischierebbe di scoprire l'acqua calda. Se infatti esiste una norma che nella maggior parte dei casi è stata violata, evidentemente ci si limita a scoprire l'acqua calda.
Abbiamo quindi messo a punto vari protocolli di indagine post evento: si tratta di supporti che hanno anche una parte computer-assistita, che può guidare l'analista a ricavare le cause base degli eventi infortunistici. Abbiamo applicato questo protocollo, sulla scorta di un buon numero di analisi, anche per la magistratura. Ciò permette di identificare i difetti direttamente nell'analisi e nella gestione del rischio. Si può analizzare nuovamente il percorso al contrario, valutando anche le possibilità di guasto o di cattivo funzionamento delle soluzioni introdotte per fermare la catena che porta all'evento incidentale.
Il professor Tommasini potrà ora approfondire un aspetto che ha curato in modo particolare.

TOMMASINI
Mi collego a quanto detto dal professor Patrucco a proposito della ricerca che viene svolta al Politecnico di Torino sulla sicurezza e, in particolare, su quella pre-normativa, che è poi il fondamento dello sviluppo della normativa tecnica. Mi occupo in particolare di sicurezza elettrica e quindi il mio riferimento normativo sono le norme del Comitato elettrotecnico italiano, che è l'ente normativo che emette le norme in materia in Italia, naturalmente di concerto con gli organismi europei: ormai non esistono più norme solo nazionali, ma esistono norme di livello europeo o addirittura internazionale.
Come affermato dal professor Patrucco, per elaborare un certo tipo di statistica, i dati dell'ISTAT e dell'INAIL sono sufficienti e utilissimi, anche per avere contezza della situazione generale, ma quando si deve approfondire la ricerca e fare un'analisi di rischio che serve per individuare le cause e quindi per poter organizzare dei provvedimenti da inserire nei documenti normativi, bisogna avere dei data base molto più ricchi.
A questo proposito, vorrei citare un caso che abbiamo trattato alcuni anni fa, proprio sul problema della sicurezza elettrica, nell'ambito di una ricerca sugli infortuni elettrici, nella quale è stata raccolta una enorme quantità, circa un terzo, di tutti gli infortuni elettrici accaduti in Italia tra il 1960 e il 1987 (la ricerca è stata poi pubblicata nel 1988). Abbiamo raccolto i dati direttamente alla fonte, cioè dalle ASL, dalle procure e dai CTU che avevano condotto le perizie tecniche. In questo modo si è potuta ottenere una quantità di dati tecnici enormemente più ampia di quella che possiamo trovare nelle statistiche e nei data base INAIL o ISTAT. In particolare, abbiamo raccolto circa 5.500 infortuni con all'interno oltre 200.000 dati tecnici. Naturalmente, per fare questo ci vuole un grande sforzo organizzativo, che deve trovare anche l'aiuto dei Ministeri. All'epoca riuscimmo, in collaborazione con diversi Ministeri che avevano emanato delle circolari (il Ministero della pubblica istruzione aveva sensibilizzato, ad esempio, gli istituti tecnici, il Ministero della sanità le ASL, il Ministero dell'interno i vigili del fuoco e i carabinieri), ad acquisire dei dati, posto che non ci si può presentare in procura e dire che si vuole visionare un fascicolo per consultare i dati, ma ci vuole un supporto da parte dei Ministeri. Per avere un'idea, nella slide potete vedere rappresentate le schede di acquisizione dati che abbiamo utilizzato: in pratica si consultava il fascicolo e poi si compilavano delle schede di questo genere, che ovviamente sono molto più complete di quanto possono essere i dati che vengono attualmente registrati dall'ISTAT o dall'INAIL. Questo è un esempio di come si potrebbe fare anche oggi, dal momento che questa ricerca si è fermata nel 1988 e riguarda comunque il settore elettrico, ma potrebbe essere fatta per qualunque altro settore. Oggi, ad esempio, sarebbe interessante sapere qual è stato il trend negli ultimi 20 anni rispetto a quanto successo fino ad allora, ma per fare questo ci vuole l'organizzazione di cui dicevo. Questo per il pregresso.
In prospettiva, invece, si potrebbe pensare di creare un osservatorio sugli infortuni, dove anziché cercare i dati sugli infortuni passati, si registrino, attraverso un sistema di filtro, i dati sugli infortuni mano a mano che si verificano, magari per un certo periodo. Solamente attraverso uno strumento di questo genere si può poi fare della ricerca sulla sicurezza, in alternativa ad una semplice statistica sugli aspetti più generali.

BUGNANO
Vi ringraziamo dell'importante contributo che avete dato alle nostre conoscenze. Mi fa anche molto piacere il dato che avete indicato rispetto all'occupazione che il vostro master crea per i ragazzi che lo hanno frequentano. Un altro aspetto importante che avete sottolineato e che mi piace evidenziare è quello della collaborazione con le aziende, dato che molto spesso, in altre audizioni che abbiamo svolto e non necessariamente nel mio gruppo di lavoro, non abbiamo rilevato. Non tutte le esperienze ci dicono che le aziende sono sempre collaborative, invece credo che questo sia un dato importante anche perché le aziende sono il momento cardine dove è importante fare la prevenzione, la formazione e dove poi tutti auspichiamo non avvengano gli infortuni sul lavoro.


Audizione del professor Paolo Pascucci, Università degli studi di Urbino "Carlo Bo"

BUGNANO
È ora prevista l'audizione dei rappresentanti dell'Università degli studi di Urbino "Carlo Bo". È presente il professor Paolo Pascucci, ordinario del diritto di lavoro, accompagnato dal professor Gabriele Marra, docente associato di diritto penale, dal professor Luciano Angelini, docente aggregato di diritto del lavoro, e dal professor Alberto Andreani, docente a contratto di strategia e politica aziendale della sicurezza sul lavoro, presso il medesimo Ateneo. Do senz'altro la parola al professor Pascucci.

PASCUCCI
Vorrei innanzitutto ringraziare il presidente Tofani, la senatrice Bugnano e i componenti della Commissione per l'invito a questa audizione, anche a nome del nostro Magnifico Rettore e della nostra facoltà. Per noi è ovviamente un onore poter partecipare a quest'audizione, dato soprattutto l'autorevole e prezioso ruolo che la Commissione che qui è insediata svolge da anni su uno degli aspetti più delicati della nostra vita sociale ed economica. Un onore forse ancor più grande considerando che, se non erro, questa è la prima audizione, almeno negli ultimi anni, destinata ai rappresentanti di una facoltà di giurisprudenza.
Rispetto ai colleghi dell'Università di Torino, che hanno parlato poc'anzi e che ovviamente si muovono in una prospettiva per così dire più tecnica, è ovvio che la nostra esperienza e il nostro approccio sono sostanzialmente più peculiari. Vogliamo quindi sottolineare la particolarità dell'esperienza che stiamo conducendo da alcuni anni all'Università di Urbino. Nella nostra facoltà l'attenzione sul tema della salute e della sicurezza dei lavoratori è ormai pluriennale: 15 anni fa fu creato un diploma universitario triennale nella sede decentrata di Pesaro; più tardi, con la riforma universitaria del 1999, questo diploma universitario transitò nella sede principale di Urbino, nel corso di laurea in consulente del lavoro che aveva al proprio interno moduli sulla sicurezza dei lavoratori. In esito all'ultima riforma universitaria del 2004, l'anno scorso abbiamo trasformato quel corso di laurea attivando un nuovo corso di laurea triennale denominato "Scienze giuridiche per la consulenza del lavoro e la sicurezza dei lavoratori", dove il tema della sicurezza è ancor più esaltato, non soltanto nella denominazione dello stesso corso di laurea, ma anche nei contenuti formativi, nelle materie d'insegnamento, che sono dedicate in parte proprio al diritto della sicurezza e della salute sul lavoro.
Non c'è dubbio che il nostro corso di laurea, a differenza di molti altri corsi universitari che si occupano di prevenzione dei rischi lavorativi, privilegi l'approccio giuridico. Quest'ultimo è spesso presente nei vari corsi di formazione universitaria ma nel nostro caso è sicuramente l'approccio principale, il che comporta che ci confrontiamo con il diritto non solo da un punto di vista specialistico, bensì richiediamo ai nostri studenti la conoscenza dei fondamenti generali del diritto. Riteniamo, ad esempio, che parlare di salute e sicurezza di un lavoratore somministrato o a termine abbia ben poco senso se poi non si sa quale sia la disciplina della somministrazione di lavoro o del contratto di lavoro a termine o se non si conoscono i termini dell'organizzazione di lavoro in cui quel lavoratore è inserito. Ovviamente siamo consapevoli che accentuando spiccatamente il punto di vista giuridico si potrebbe rischiare in qualche modo di marginalizzare l'attenzione rispetto ai dati tecnici della prevenzione (medici o ingegneristici), che però sono introiettati in norme di legge. Non dobbiamo dimenticare che le norme tecniche di prevenzione, quelle che nel decreto legislativo n. 81 del 2008 sono contenute dal Titolo II all'XI e negli allegati tecnici, sono comunque norme di legge, il che presuppone naturalmente la necessità di possedere gli strumenti per interpretare giuridicamente questi dati. Ciò prevede una competenza tecnica, che tuttavia non può mai prescindere da una competenza giuridica di base, senza la quale quelle norme rischiano di restare interpretate solo in parte, senza dimenticare, oltretutto, che esse vanno sempre raccordate con i principi generali di cui al Titolo I e al Titolo XII, sulle norme penali e processuali, del decreto legislativo n. 81 del 2008 che rappresentano il vero e proprio fondamento normativo di tutta la nuova disciplina.
Siamo altrettanto consapevoli del fatto che la materia della salute e della sicurezza sul lavoro costituisce un vero e proprio prototipo di interdisciplinarità, che è sia «esterna» che «interna» al diritto. Essa è «esterna» al diritto perché arriva a coinvolgere scienze come la medicina, la psicologia del lavoro, l'ingegneria, l'ergonomia, le scienze fisiche e chimiche, ma anche quelle aziendalistiche ed economiche. L'interdisciplinarità è però anche «interna» al diritto, giacché evoca competenze relative sia al diritto del lavoro sia al diritto penale, processuale, costituzionale, comunitario e amministrativo. Si tratta quindi di una interdisciplinarità quanto mai ricca.
Proprio a fronte di tale caratteristica della materia, sorge a nostro avviso il bisogno di un codice linguistico comune, per interpretare e far «dialogare» le diverse scienze, giuridiche e non giuridiche. Riteniamo che il codice linguistico, il linguaggio comune, quella che potremmo definire come la «grammatica» della scienza della prevenzione dei rischi lavorativi, possa essere costituita dal linguaggio giuridico, non fosse altro perché è all'interno delle norme giuridiche che troviamo le regole della prevenzione dei rischi lavorativi. Da ciò nasce l'esigenza di rendere familiare ed accessibile a tutti il linguaggio giuridico, sia nei suoi fondamenti generali, sia nelle sue specificazioni, con la consapevolezza che lo stesso linguaggio giuridico al suo interno, ovvero tra le diverse scienze giuridiche, non sempre è molto omogeneo. Potrei dubitare abbastanza fortemente, ad esempio, che i concetti di «datore di lavoro» e di «lavoratore» che noi giuslavoristi abbiamo in qualche modo coniato nel corso tempo, nel momento in cui vengono presi in considerazione in un sistema giuridico extra-lavoristico, come quello penale, possiedano lo stesso significato.
Quindi, il problema di intendersi sulle nozioni e sui concetti riguarda anche i giuristi delle diverse discipline. Per tale motivo, dunque, l'apporto del decreto legislativo n. 81 del 2008 è da considerarsi strategico, giacché per la prima volta - o comunque in modo assai maggiore di quanto facesse il decreto legislativo n. 626 del 1994 - esso ci ha fornito un vero e proprio alfabeto della sicurezza sul lavoro, ovvero quel lunghissimo catalogo di definizioni contenute nell'articolo 2, che ci supportano e ci offrono codici linguistici comuni. In fondo, lo scopo del corso di laurea è proprio quello di insegnare a leggere e a scrivere anche nel linguaggio giuridico della prevenzione.
Il corso di laurea ha degli sbocchi professionali evidenti, essendo denominato "Scienze giuridiche per la consulenza del lavoro e la sicurezza dei lavoratori". Già nel nome dunque si può intravedere una sorta di diarchia tra due diverse forme di consulenza. Il tema della consulenza dal punto di vista della sicurezza sul lavoro, costituisce infatti un vero e proprio problema, probabilmente uno dei problemi non risolti dal decreto legislativo n. 81 del 2008. Mi riferisco infatti al problema, spesso drammatico, di chi svolge funzioni di consulenza e supporto alle imprese senza avere le dovute capacità e competenze. A tal proposito non possiamo accontentarci del fatto che gli articoli 32 e 34 del decreto legislativo n. 81 del 2008 abbiano fornito - come già la legislazione precedente - un contenuto minimale per la formazione delle figure professionali del responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) e dell'addetto al servizio di prevenzione e protezione (ASPP). Su questo non c'è dubbio, ma serve sicuramente qualcosa di più, ovvero una qualificazione delle funzioni di consulenza in materia di sicurezza: non bisogna dimenticare infatti che in questi casi non c'è - a differenza di quanto accade per altre professioni - una disciplina strutturata e organica.
Da questo punto di vista pensiamo che il corso di laurea che gestiamo possa offrire un contributo in tal senso, attraverso un metodo abbastanza originale, ovvero tramite l'integrazione delle conoscenze e delle competenze tra la consulenza del lavoro in senso generale e la consulenza sulla sicurezza del lavoro in senso più specifico. Sappiamo tutti che i consulenti del lavoro si occupano di gestione del personale, ma molto raramente si occupano anche della salute e della sicurezza dei lavoratori: ciò paradossalmente costituisce un limite, visto che il principale consigliere dell'imprenditore in materia di gestione del personale dovrebbe in realtà possedere le competenze e le conoscenze anche per riferirsi a problematiche come quelle relative alla salute dei lavoratori, ferma restando naturalmente l'esigenza di competenze più specifiche. Riteniamo dunque che, integrando le competenze relative alla consulenza del lavoro generale con quelle più specifiche del diritto della sicurezza del lavoro, sia possibile delineare un quadro formativo e un bagaglio di competenze più complesso e articolato, che possa essere in grado di fornire ai datori di lavoro la collaborazione di consulenti che conoscano l'azienda e l'organizzazione del lavoro e che quindi possano offrire il loro contributo avendo piena consapevolezza dei problemi dell'azienda.
Il nostro corso di laurea è inoltre aperto alla formazione di altre figure, quali - perché no? - i futuri datori di lavoro, i futuri dirigenti e i futuri preposti. Da sempre riteniamo infatti che la formazione dei datori di lavoro, che in realtà non figura quasi mai nella normativa, sia invece uno dei problemi strategici nella costruzione di quella che viene definita, con un'espressione che suona talvolta retorica, la cultura della sicurezza. La formazione dei datori di lavoro in materia di sicurezza dovrebbe essere in realtà un terreno su cui fare profondi investimenti, richiedendo che un datore di lavoro possieda delle conoscenze e delle competenze minimali, visto che deve gestire risorse umane, che naturalmente, nel momento in cui sono inserite nella sua organizzazione, vanno incontro a determinati rischi per la propria salute e per la propria sicurezza.
Per altro verso, la nostra offerta formativa può essere utile anche a quelle figure che oggi già operano o che opereranno in futuro nel campo della vigilanza in materia di disciplina sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori. Mi riferisco in particolare a quei tecnici che svolgono funzioni ispettive soprattutto nelle aziende sanitarie locali che - come si diceva nell'audizione precedente - molto spesso sono in possesso di competenze tecniche, ma non sempre, o quasi mai, sono in possesso anche di competenze giuridiche, sebbene essi operino come consulenti tecnici dei pubblici ministeri o come ufficiali di polizia giudiziaria. Mi riferisco ad esempio al tema delle prescrizioni relative al decreto legislativo n. 758 del 1994. Essi si muovono sostanzialmente su un terreno giuridico e processuale, talora non possedendo adeguati strumenti giuridici per esercitare queste funzioni, pur relazionandosi con operatori professionali del diritto come i pubblici ministeri e gli avvocati. Da questo punto di vista crediamo che un approfondimento del diritto della sicurezza del lavoro possa essere vantaggioso anche per queste figure professionali.
Inoltre non nascondiamo il fatto che le materie riguardanti il diritto della salute e della sicurezza dei lavoratori, presenti nel corso di laurea in esame, possano essere recepite anche dagli studenti del tradizionale corso quinquennale in giurisprudenza, concorrendo così ad offrire una formazione più specifica ai futuri avvocati e magistrati. Anche in questo caso esiste infatti l'esigenza di una forte specializzazione nell'ambito di queste due professioni forensi tradizionali.
Nel nostro corso di laurea abbiamo concepito gli insegnamenti specifici sulla sicurezza essenzialmente in un'ottica di prevenzione, consapevoli del fatto che per molto tempo i giuristi hanno affrontato il tema della sicurezza sul lavoro essenzialmente dal punto di vista delle conseguenze dell'infortunio e delle malattie professionali. Essi si sono occupati essenzialmente del risarcimento del danno e dei profili sanzionatori e previdenziali. Si tratta di temi attualissimi e importantissimi, che non esauriscono però tutto il panorama della materia della sicurezza sul lavoro. Non a caso da quando è stata emanata la direttiva quadro europea n. 391 del 1989 i giuristi hanno cominciato a vedere il diritto della sicurezza del lavoro soprattutto come diritto della prevenzione. Questo è il concetto e il metodo che vogliamo far capire ai nostri studenti: al di là dell'infortunio e delle sue conseguenze, la formazione che intendiamo offrire deve essere capace di incidere sulla cultura della prevenzione. Segnalo a tal proposito due passaggi strategici, presenti nei recenti testi normativi: l'accentuazione dell'obbligo strategico della valutazione dei rischi - un passaggio epocale che, dalla citata direttiva quadro del 1989 in poi, ha cambiato il volto del diritto prevenzionistico - e il forte investimento, sul piano sanzionatorio, nei confronti della violazione delle norme di prevenzione, a prescindere dal fatto che si sia verificato o meno un infortunio. Sono due elementi molto significativi nel senso del forte significato del diritto della sicurezza come diritto della prevenzione. Dicendo questo però siamo anche consapevoli che quando parliamo di prevenzione forse non tutti sono d'accordo sul suo significato. Il decreto legislativo n. 81 ce ne dà una definizione e non c'è dubbio, almeno a nostro avviso, che quel concetto di prevenzione vada declinato essenzialmente secondo il parametro della prevenzione primaria, cioè quella prevenzione che si fa nell'analisi del processo di lavoro e che coinvolge le stesse scelte strategiche del datore di lavoro, che è in grado, come postula la direttiva europea, di eliminare i rischi alla fonte, quindi incide sulle stesse scelte organizzative che fa il datore di lavoro in azienda. Altrimenti, si rischia di parlare di una prevenzione che è piuttosto secondaria o terziaria, cioè di una prevenzione che altro non è che affrontare i rischi che sono già insiti, già dati in un'organizzazione del lavoro già confezionata e strutturata che non viene messa in discussione.
Possiamo anche dire che in realtà la prevenzione cui ci riferiamo è la prevenzione organizzata (e qui c'è tutta l'innovazione del decreto n. 81, che forse non è stata ancora colta appieno dagli interpreti). Credo che la parola magica del decreto n. 81 sia la parola "organizzazione" intesa sia come organizzazione produttiva, come contesto produttivo nel quale non a caso è inserito il lavoratore e che può essere fonte di rischi, sia come organizzazione di prevenzione aziendale, perché la prevenzione aziendale, se negli anni '50 era la prevenzione tecnologica e negli anni '90 era la prevenzione partecipata che emerse con il decreto legislativo n. 626, oggi è una prevenzione partecipata ed organizzata, come risulta a chiare lettere dalla adozione dei modelli di organizzazione e di gestione della sicurezza previsti dall'articolo 30 del decreto n. 81, in collegamento con il decreto legislativo n. 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e come risulta complessivamente da altre norme che enfatizzano il ruolo dell'organizzazione aziendale. Mi riferisco in particolare all'articolo 28, quando obbliga il datore di lavoro ad inserire e a segnalare nel documento di valutazione dei rischi chi fa che cosa, i ruoli dell'organizzazione aziendale che sono preposti ad adottare le misure di sicurezza. Quei ruoli che l'articolo 37, peraltro, prevede che siano adeguatamente formati, quando ha introdotto la formazione dei dirigenti e dei preposti, che sono a loro volta definiti dall'articolo 2 come soggetti in possesso di determinate competenze che derivano dalla formazione e dall'incarico ricevuto.
C'è un circolo virtuoso che si chiude in questo senso e che ci fa capire sostanzialmente che oggi l'organizzazione del sistema di prevenzione è divenuta centrale. Tutto questo, naturalmente, fa sì che la formazione debba tenere conto di queste innovazioni e quindi è chiaro che accentuando la dimensione organizzativa del sistema di prevenzione si debba fornire una preparazione, a nostro avviso, giuridico-organizzativa tale da consentire a queste figure di muoversi sul nuovo terreno delineato dal legislatore.
Queste sono le basi del nostro corso di laurea, basi ambiziose, per certi versi, naturalmente nella consapevolezza che non potremo creare dei tuttologi; i nostri laureati ovviamente non saranno competenti su tutto, ma abbiamo anche pensato sostanzialmente che possiamo dare ai nostri studenti laureandi un'opportunità in più. Poiché la nostra è un'università e come tale, fin dal decreto legislativo n. 195 del 2003, accreditata a fare formazione per quanto riguarda le figure di RSPP e ASPP. In tal senso, abbiamo allo stadio piuttosto avanzato un progetto: inserire nel corso di laurea parallelamente e ovviamente facoltativamente per gli studenti che lo desiderino la possibilità di frequentare i moduli formativi che l'attuale legislazione prevede per lo svolgimento formale delle funzioni di RSPP e ASPP, in modo tale che questi soggetti (ovviamente è una libera scelta) con un costo simbolico, perché pensiamo che questo debba essere un benefit per i nostri studenti iscritti, possano presentarsi, nel momento in cui conseguono la laurea, sul mercato del lavoro in possesso dei requisiti abilitativi formali previsti dal decreto legislativo n. 81, ma anche in possesso di tutto il bagaglio di competenza giuridico-organizzativa che gli avrà dato il corso di laurea. Per altro verso, riteniamo che quella esigenza di formazione specifica per i funzionari delle ASL e degli organi ispettivi che svolgono vigilanza in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro possa transitare dentro la costituzione di un sorta di centro di formazione e di aggiornamento permanente proprio per valorizzare la formazione giuridica di questi soggetti, coinvolgendo nella docenza magistrati dotati di particolare sensibilità alla materia e docenti naturalmente dotati della stessa sensibilità. Questi sono i due progetti che abbiamo all'attenzione in questo momento, non dimenticandoci che, proprio perché si tratta di figure che molto spesso già lavorano e quindi farebbero fatica a frequentare l'università, potremmo avvalerci delle moderne modalità di formazione a distanza, di e-learning, di formazione on-line, che potrebbero facilitare il contatto e la frequenza della nostra offerta formativa.
Un'altra iniziativa che abbiamo messo in campo nella nostra facoltà dal 2006 è un osservatorio per il monitoraggio permanente della legislazione e giurisprudenza sulla sicurezza del lavoro del lavoro che si chiama "Olympus" (un nome ambizioso, ma poiché l'osservatorio dall'alto osserva e monitora e trovandosi Urbino a 500 metri su un colle molto ameno, pensavamo di poter usurpare questo nome di origine classica). È un'iniziativa dell'ateneo urbinate con la Regione Marche e la Direzione regionale delle Marche dell'INAIL, che tutti gli anni forniscono un contributo concreto alla nostra università per sostenere le attività dell'osservatorio "Olympus". Abbiamo creato un sito (http://olympus.uniurb.it/), nel quale sono inserite banche dati legislative, regolamentari, internazionali, comunitarie e italiane, sentenze giurisprudenziali delle varie corti internazionali, comunitarie e italiane, penali, civili e amministrative, di legittimità e di merito, compresa naturalmente la Corte costituzionale, la contrattazione collettiva a partire dagli anni '60 ad oggi, cioè norme estrapolate dai contratti collettivi nazionali e non solo, pubblici e privati, che si occupano di salute e sicurezza ed inoltre documentazione istituzionale come gli accordi Stato-Regioni. Vi è quindi tutta la documentazione normativa in senso lato che possa essere utile per chiunque - sia egli uno studente, uno studioso, un magistrato, un avvocato, un operatore - intenda avvalersi di un supporto nella consultazione delle fonti. Si tratta, lo dico chiaramente, di un servizio pubblico gratuito e liberamente accessibile; non c'è nessun abbonamento, nessuno sbarramento, nessun codice di ingresso: chiunque può accedere ad "Olympus" per consultare in qualsiasi momento le sue banche dati. Ci sono più di 5.100 documenti inseriti nelle banche dati di "Olympus" che fanno sì che il nostro sito abbia fino adesso raggiunto la ragguardevole cifra di 3,8 milioni di visitatori, con una media che si è attestata negli ultimi due mesi oltre i 10.000 accessi giornalieri. Qualcuno potrà dire che tutti lo consultano perché è un sito gratuito, ma lo è proprio perché intendiamo dare in questo modo un contributo molto chiaro alla cultura della sicurezza giuridica del lavoro attraverso questa libera accessibilità. I documenti sono ipertestuali: cliccando su una sentenza di Cassazione, questa si apre e i riferimenti interni ad altre leggi e ad altre sentenze consentono il rinvio immediato all'altra sentenza o all'altra norma.
Accanto a questo, c'è anche la parte relativa ai saggi di approfondimento: si può prendere ad esempio l'articolo del professor Gabriele Marra, contenente prime osservazioni sulla recente sentenza ThyssenKrupp. Dunque ci sono approfondimenti e saggi di dottrina sul tema del diritto della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro. Questo non è tutto, dal momento che stiamo raccogliendo anche gli atti dei convegni: a tal proposito, desidero consegnare agli uffici della Commissione gli atti di un convegno, arrivati proprio ieri, in cui si tenta di fare un bilancio del decreto legislativo n. 81 del 2008, a due anni dalla sua entrata in vigore.
Inoltre abbiamo in cantiere la creazione di una rivista elettronica, che inizierà le sue pubblicazioni on line nei prossimi mesi di agosto e settembre, intitolata "I Working papers di Olympus". Tale rivista è regolarmente registrata presso il tribunale e ha tutti i requisiti burocratici necessari per funzionare come vera e propria pubblicazione scientifica. Pubblicare un testo sui "Working papers", dunque, è esattamente come pubblicarlo su una rivista scientifica cartacea. Essa è infatti dotata di un comitato scientifico internazionale, composto da studiosi di diritto del lavoro e diritto penale e da magistrati che si occupano di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; ha un ampio comitato di direzione e di redazione e si pone lo scopo di pubblicare progressivamente contributi scientifici, che saranno ovviamente sottoposti al vaglio del comitato scientifico prima della pubblicazione. Dunque non pubblichiamo qualsiasi cosa, ma saranno dei cosiddetti "incappucciati", ovvero dei referee anonimi, a valutare se un saggio è degno di essere pubblicato o meno. Trattandosi di un sito universitario cerchiamo di rispondere a parametri di rigore scientifico.
Crediamo dunque che questa iniziativa, insieme alle altre di cui ho parlato, possa qualificare ancora di più l'offerta formativa e di sostegno alla cultura della sicurezza che la nostra piccola università sta portando avanti in questa materia.
Con l'occasione, se mi è consentito, desidero ancora una volta ringraziare la Commissione per l'opportunità offertaci di rappresentare le nostre specificità, sperando che possano essere utili al dibattito. Ovviamente restiamo a disposizione della Commissione, se ci sarà la necessità di ulteriori approfondimenti.

BUGNANO
Ringrazio i nostri auditi per la loro testimonianza. Di certo il loro lavoro costituisce un contributo per la relazione che la Commissione d'inchiesta prepara ogni anno, quantomeno nella parte concernente il gruppo di lavoro sui temi della formazione e prevenzione, di cui sono coordinatrice.
Vorrei infine sottolineare un aspetto fondamentale che è stato trattato: è infatti molto importante favorire la frequenza dei corsi e dei master da parte dei datori di lavoro. Come ha detto in precedenza il rappresentante del Politecnico di Torino, la capacità di individuare il rischio per prevenirlo è fondamentale per un datore di lavoro, ma per farlo deve possedere delle conoscenze adatte: si tratta di un aspetto emerso ed evidenziato anche in altre audizioni. È quindi molto importante che anche i datori di lavoro acquisiscano una maturità e una sensibilità verso la prevenzione degli infortuni. Tra l'altro - credo di dire una cosa ovvia, ma mi piace sempre ricordarlo - diffondere la cultura della prevenzione ha anche un ritorno dal punto di vista economico. Se vogliamo fare "i conti in tasca" allo Stato, ridurre gli infortuni significa anche diminuire il relativo costo sociale.
Ringrazio dunque i nostri auditi e li invito a lasciare agli uffici della Commissione la documentazione di cui sono in possesso o ad inviarla successivamente.


Note: Testi non rivisitati dagli oratori
Fonte: Senato della Repubblica