11 Le misure che si dovevano adottare
11.1 l'obbligo di installare un impianto di rilevazione e spegnimento automatico sulla linea 5 (anche) nella sezione di entrata, (art. 437, 1° e 2° comma c.p.)

Appare necessario un breve inquadramento - essenziale, per quanto rileva nel caso di specie - del delitto di cui all'art. 437, in questo capitolo in cui si accerterà il solo elemento oggettivo (v. infra per il profilo soggettivo e le relative responsabilità).
Recita il citato articolo: "Rimozione od omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro. Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni".
L'omissione contestata nel caso di specie ha ad oggetto un impianto di rivelazione e spegnimento automatico: non vi sono dubbi che un simile "impianto" sia compreso nella letterale previsione normativa proprio tra "gli impianti, apparecchi o segnali" aventi, senza necessità qui di interpretazione alcuna, una precisa funzione antinfortunistica, ossia quella di evitare il verificarsi di disastri o di infortuni sul lavoro.
Insegna la Corte di Cassazione nella sentenza n. 20370/06: " ... il primo comma dell'art. 437 c.p. prevede un delitto doloso di pericolo (di infortunio e/o disastro) che si consuma nell'atto della 'omissione' o 'rimozione' dolosa, mentre il secondo comma della stessa norma introduce l'aggravante per il caso in cui l'infortunio e/o il disastro abbiano effettivamente a prodursi come conseguenza della condotta di cui al primo comma".
Possiamo quindi affermare che, nel caso di specie, la fattispecie contestata è comprensiva del secondo comma dell'art. 437 c.p.: l'omissione ha causato un disastro (nel nostro caso anche con le caratteristiche di estensione, complessità e gravità - v. il capitolo relativo all'incendio - richieste da parte della giurisprudenza) e un infortunio sul lavoro.
Si deve ancora ricordare che, secondo la più recente, ma ormai consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, non occorre che l'omissione ponga in pericolo un'indistinta e generalizzata incolumità pubblica; per tutte, v. la appena citata sentenza n. 6393/2005: "Secondo la prevalente e preferibile interpretazione giurisprudenziale, il pericolo non deve interessare necessariamente la collettività dei cittadini o, comunque, un numero rilevante di persone, in quanto la tutela si estende anche all'incolumità dei singoli lavoratori, come si evince dall'interpretazione letterale della rubrica della disposizione in esame e dalla lettura logico-sistematica del secondo comma dell'art. 437 c.p., che configura un'aggravante del reato sussistente anche nell'ipotesi in cui si verifichi un infortunio individuale sul lavoro (v. sez. 4°, 16/7/1984, Bucatini; sez. 1°, 14/3/1988, Ziri; sez. 1°, 7/4/1988, Barbagallo; sez. 1°, 13/2/1991, Michelagnoli; sez. 1°, 22/9/1995, Gencarelli; sez. 1°, 20/11/1996, Frusteri; sez. 1°, 11/3/1998, Luciani); anche una più recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 12464/07, riafferma tale interpretazione.
Richiamando qui tutto quanto esposto in tema di dovere generale di tutela e di valutazione del rischio, occorre ora esaminare in particolare, come già sopra indicato, se, in relazione al caso di specie, esistesse un quadro normativo che imponesse l'obbligo, a carico dell'azienda (vedremo infra le singole "posizioni di garanzia") di installare, anche nella zona di entrata della Linea 5 in cui si è sviluppato l'incendio del 6/12/2007, un impianto di rivelazione e di spegnimento automatico: così come contestato dalla Pubblica Accusa al capo sub A), configurante il reato di cui all'art. 437 commi 1 e 2 c.p.
Come abbiamo già sopra esposto (v.) non è certo necessario, per affermare l'esistenza di tale obbligo, l'individuazione di una norma giuridica specifica che imponga di installare un impianto di quel tipo nella zona di entrata di una linea di ricottura e decapaggio montata ed attrezzata esattamente come la linea 5 nello stabilimento di Torino; fermo il richiamo a quanto già esposto, si deve qui solo citare quanto afferma, proprio su tale punto, la sentenza della Corte di Cassazione n. 20370/06: "La difesa obietta, inoltre, che nessuna norma giuridica e nessuna ragione di carattere tecnico imponevano di collocare, proprio in quel punto (nel punto dove era collocata la valvola B), una valvola a saracinesca. Ma anche questa obiezione appare inconferente, posto che giustamente i giudici di merito hanno argomentato che nessuna norma prevede 'al metro o al centimetro' dove installare le valvole, ma il DPR 547 del 1955 detta criteri generali e funzionali al fine di evitare danni alle persone in caso di rotture o fughe".
La risposta deve quindi essere positiva: perché tale obbligo deriva, de plano, dal complesso normativo già esaminato, applicato alle condizioni di lavoro nello stabilimento, come accertate e descritte; a questo proposito, occorre ricordare che la nostra fattispecie assolve anche alla più restrittiva e rigorosa interpretazione dottrinale, che esige che la trasgressione di una regola precauzionale si radichi in un contesto che, in base ad una valutazione ex ante, renda attuale il rischio di un infortunio o di un disastro con potenzialità lesiva indeterminata.
Si deve ora sottolineare che il fenomeno del c.d. "flash fire", che ha comportato le drammatiche conseguenze di questo incendio, lungi dall'essere causato da una "anomalia" imprevedibile, non conoscibile sulla base dei dati di "esperienza" (così come affermato dai difensori degli imputati) era invece segnalato e descritto, in dettaglio, dalle norme tecniche in materia antincendio universalmente conosciute, seguite ed utilizzate da parte di tutti i "tecnici" della materia, in quanto emesse da organismi internazionali (v. subito infra); d'altronde, abbiamo già esaminato finora alcuni documenti - ed altri ne citeremo in prosieguo - dai quali si evince la conoscenza, da parte dell'azienda, dei suoi vertici e dei suoi tecnici, proprio di tale specifico rischio.
Quindi la sussistenza di tale obbligo deriva dalla normativa già esaminata (Carta Costituzionale, art. 2087 c.c., D.L.gs 626/94, D.P.R. 547/55, D.M. 10/3/1998, D.M. 9/5/2007) applicata alle condizioni di lavoro nello stabilimento (v.), tra l'altro sprovvisto del certificato antincendio (v.) ed a rischio di incidente rilevante (v); ricordando ancora una volta che l'unico "presidio" antincendio sulla Linea 5 erano i lavoratori che dovevano avvistare tempestivamente ed intervenire con gli estintori a CO2 e con le manichette ad acqua (e v. il funzionamento del "nuovo" anello antincendio); ricordando che l'art. 3 del D.L.gs 626/94 impone "la priorità delle misure di protezione collettiva rispetto alle misure di protezione individuale"; ricordando che lo stesso articolo, alla lettera b), prescrive la "eliminazione dei rischi in relazione alle conoscenze acquisite in base al progresso tecnico e, ove ciò non è possibile, (la) loro riduzione al minimo"; che già secondo il punto 5.3 dell'allegato V al D.M. 10/3/1998 occorre prevedere "impianti di spegnimento fissi, manuali o automatici" quando: "esistono particolari rischi di incendio che non possono essere rimossi e ridotti" e "nei luoghi di lavoro di grandi dimensioni o complessi od a protezione di aree ad elevato rischio di incendio"; obbligo così di installare un impianto di rilevazione e spegnimento automatico anche nella zona di entrata della Linea 5, considerato il "rischio" per l'incolumità dei lavoratori derivante dai frequenti incendi, dalla presenza di sorgenti di innesco e di materiale combustibile, e dalla presenza e prossimità, anche in tale zona, di impianti oleodinamici e di condutture contenenti olio idraulico in pressione a 140 bar.
Non si può quindi porre in dubbio che, nel caso di specie, l'obbligo omesso derivi dalla violazione di precise norme antinfortunistiche; ma la Corte non può non ricordare che, secondo la già citata sentenza n. 6393/2005: " ... il provvedimento impugnato è esente dai vizi denunciati, laddove ha evidenziato che - a prescindere dal fatto che l'art. 437 c.p. non subordina l'esistenza del reato alla violazione di norme contravvenzionali speciali - in ogni caso, nella fattispecie in esame, vi è stata violazione dell'art. 2087 c.c., perché già esistevano ed erano operative strumentazioni idonee a prevenire infortuni sul lavoro del genere accaduto (non manuali e rischiose come il sistema praticato del lancio della 'coda') e, inoltre, violazione di norme specifiche (DPR n. 547 del 1955, art. 41, 68 e 69)" (si trattava, nel caso, di una amputazione parziale del terzo dito di una mano di un dipendente, dovuta all'omessa collocazione "su tutta la linea della macchina continua di produzione della carta, l'impianto/apparecchiatura per l'imbocco non manuale della c.d. "coda" in fase di riavvio della produzione", n.d.e.)

Lo "scenario" di incendio che, nel nostro caso, poteva presentarsi stante la "prossimità" - tra le sorgenti di innesco, il combustibile presente e gli impianti e le condutture di olio idraulico con quella pressione - ed il conseguente obbligo di dotare quella zona di un impianto di rilevazione e spegnimento automatico - emerge proprio da quelle norme o regole "tecniche" che costituiscono il concreto "contenuto" dei riferimenti normativi al "progresso tecnico" (v. art. 3 D.Lgs 626/94) ed alla "tecnica" (v. art. 2087 c.c.), tanto che tali riferimenti - secondo quanto già esposto nei precedenti capitoli - perdono così anche la paventata "genericità"; perché tali regole tecniche, predisposte da organismi internazionali sulla base dello studio e dell'esperienza, sono conosciute ed utilizzate da tutti i "tecnici" che si occupano, per quanto qui rileva, della materia antincendio, come nel corso del presente processo più volte riferito dai testi "tecnici" - v. anche in materia di assicurazioni, infra - e confermato anche da molti documenti aziendali che ad esse si riferiscono. Costituiscono insomma quel "patrimonio tecnico" di base la cui conoscenza ed il cui utilizzo appare indispensabile sia per una concreta e "tecnica" valutazione del rischio incendio in qualsiasi unità produttiva - ed in particolare in uno "stabilimento" delle dimensioni e della complessità di quello di Torino -sia per la individuazione e la predisposizione "tecnica" dei presidi idonei ad eliminare - ovvero, se non possibile - a ridurre lo stesso rischio. Tanto che lo stesso imputato ES. (v. udienza 4/11/2009), durante il suo esame dibattimentale, ha riferito di conoscere e di utilizzare le regole tecniche predisposte dagli organismi internazionali.
Come si vedrà subito infra, da tali regole "tecniche" emerge, in particolare e per quanto qui rileva, proprio quel "rischio" particolare costituito dalla "condizione" in cui si trovava l'olio idraulico presente sulla Linea 5, con numerosissime condutture - flessibili o meno - collegate alla centrale sotterranea, contenenti olio ad altissima pressione (140 bar), oltre a "centrali" o "centraline" (v. infra) idrauliche con relativi serbatoi (a servizio di varie movimentazioni, tra cui proprio gli ASPI) e dallo "scenario" che si sarebbe presentato in caso di incendio sviluppato in prossimità.
Si deve, riguardo a tali "regole tecniche", precisare che non tutte sono dedicate e finalizzate specificamente alla "sicurezza" sul lavoro; anzi, molte hanno come obiettivo (ed infatti sono utilizzate dalle compagnie assicuratrici, v. infra) la sola difesa dei "beni materiali" (edifici, impianti); ne consegue che i vertici aziendali, conosciute e studiate tali norme (naturalmente, se necessario, con l'ausilio di professionisti specializzati: ma non pare certo questo un problema insuperabile per lo stabilimento appartenente ad una multinazionale, come abbiamo già ricordato in altri punti), le debbano necessariamente "combinare" (sempre sotto il profilo "tecnico") con il loro dovere generale di tutela dell'incolumità dei dipendenti; perché ben si può presentare un rischio incendio comportante un "danno" economico non "rilevante", in assoluto o rispetto alle capacità dell'impresa, che però costituisce nondimeno un altissimo "rischio" per la sicurezza e l'incolumità dei lavoratori.
In breve: le norme "tecniche" antincendio costituiscono un valido ausilio per la valutazione del rischio incendio e per conoscere come ovviare a tale rischio; ma la loro prospettiva, quando non dedicata espressamente all'incolumità dei lavoratori, non è sufficiente per il datore di lavoro, che è obbligato, inoltre, a valutare l'impatto dello stesso rischio, in concreto, considerando il processo produttivo della sua azienda, sulla sicurezza dei suoi dipendenti, oltre che ad apprestare le cautele necessarie per eliminarlo, ovvero ridurlo il più possibile (v. anche capitolo 8).

Si può cominciare con il citare la norma UNI ISO (organizzazione internazionale di normazione americana ed europea) 7745, al punto 4, intitolato Sistemi oleoidraulici; punto 4.1: " ... un qualsiasi cedimento nelle tubazioni o anche una piccola perdita possono comportare una proiezione di fluido a notevole distanza. Nel caso il fluido sia infiammabile, questo può, in molti casi, comportare un serio rischio di incendio"; punto 4.2: "la fuoriuscita di fluido in pressione in presenza di un possibile innesco di fiamma (per esempio, metallo fuso, bruciatori a gas, candele di accensione, apparecchiature elettriche o superfici metalliche calde) è stata spesso la causa di incendi di fluido oleoidraulico. Perfino il calore dovuto all'attrito può generare temperature sufficienti ad innescare la combustione spontanea (autoaccensione) di un fluido".
Un altro organismo, che si occupa più specificamente della sicurezza sul lavoro - la svizzera SUVA -; nel paragrafo dedicato agli impianti oleodinamici nei cantieri sotterranei, descrive:
"L'olio fuoriesce da una fessura stretta e a causa della forte pressione viene nebulizzato: l'olio prende fuoco in maniera repentina a contatto con una superficie calda o un'altra fonte di innesco (pioggia di fuoco). L'incendio si presenta sotto forma di un "dardo di fuoco" (come in un bruciatore) finché la pressione nel sistema idraulico (oleodinamico) non si annulla. La fiamma intensa, spesso estesa, brucia tutto il materiale infiammabile che incontra nei paraggi. Il dardo di fuoco si estingue non appena la pressione dell'olio precipita. L'incendio può tuttavia continuare ad ardere se nell'ambiente circostante ci sono delle sostanze che stanno già bruciando o se la perdita di olio non si arresta."
La stessa SUVA raccomanda poi di installare "un dispositivo integrato di rivelazione e spegnimento incendi" e la necessità di "scaricare la pressione del sistema idraulico tramite un interruttore di arresto in caso di emergenza".

Le norme della N.F.P.A. (National Fire Protection Association - statunitense) sono state oggetto di contestazione formale da parte dei difensori degli imputati (v. in particolare udienza del 23/2/2011), per la loro mancata traduzione in contraddittorio; la contestazione riguarda le norme N.F.P.A. tradotte dalla parte civile Medicina Democratica relative, così sembrerebbe, alla possibilità (di cui ha peraltro riferito in dibattimento il teste BELTRAME, v. citato) di sostituzione dell'olio idraulico con un altro fluido non infiammabile (possibilità, tra l'altro, indicata nel documento di valutazione del rischio incendio per lo stabilimento di Terni, successivo all'incendio del 6/12/2007, v. infra); altre norme N.F.P.A. descrivono il fenomeno del c.d. "flash fire"; ma la Corte, allo scopo di evitare qualsiasi eccezione sul punto, omette qui di riportare - e così di considerare ai fini della decisione - qualsiasi norma N.F.P.A., peraltro indicata in dibattimento - e commentata - dal teste LUC. (v. infra, citato).

Per la F.M. GLOBAL (che vedremo anche nel capitolo dedicato alle questioni assicurative: infatti il suo obiettivo è la tutela delle "cose materiali") ecco le caratteristiche dell'incendio: "quando l'olio idraulico viene rilasciato in pressione, il risultato solito è uno spray nebulizzato o una nebbia di gocce di olio che può estendersi fino a 40 ft (12 metri) dalla fuoriuscita. Lo spray di olio infiammabile prontamente si innesca tramite superfici calde, così come metallo riscaldato o fuso, riscaldatori elettrici, fiamme libere o saldature ad arco. L'incendio risultante usualmente è di tipo a torcia con una quantità di rilascio di calore veramente alto". Le raccomandazioni F.M. GLOBAL: "predisporre sprinkler automatici al disopra e ad almeno 20 ft (6 metri) oltre l'apparecchiatura idraulica. Una protezione sprinkler completa è necessaria se la costruzione o utenza combustibile si estende oltre ... Eccezione: potrebbero essere omessi gli sprinkler sopra ad un piccolo sistema idraulico singolo o sopra piccoli sistemi multipli adiacenti, cioè a meno di 20 ft (6 metri) l'uno dall'altro. Ciò è accettabile solo se i seguenti criteri sono verificati: la capacità complessiva dell'olio non supera i 100 galloni (380 litri); la costruzione e l'utenza adiacente sono non combustibili; le fonti di innesco sono normalmente non presenti".
La descrizione delle norme "tecniche" è la precisa fotografia, anzi il video in drammatica progressione, di quanto avvenuto nello stabilimento di Torino la notte del 6/12/2007, come accertata e ricostruita, tramite le testimonianze, i rilievi tecnici e le autopsie riportati nei precedenti capitoli.

I difensori degli imputati hanno affermato l'irrilevanza della "raccomandazione" SUVA perché relativa - come sopra indicato - ai "cantieri sotterranei"; vi è stato inoltre, nel corso del presente processo, un ampio dibattito fra le parti su ciò che esattamente "raccomandasse" la F.M. GLOBAL a proposito delle "centrali" ovvero delle "centraline" idrauliche; lo vedremo nei capitoli dedicati agli 8 "punti" contestati dalla Procura della Repubblica (v. infra).
La Corte ritiene che la questione - rilevante ai fini della decisione - non sia quella di avere o meno "violato" specifiche regole tecniche; agli imputati si contesta di avere "violato" precise norme giuridiche, come sopra ricordato; la questione è se lo scenario accaduto la notte del 6/12/2007 costituisse, con riguardo al "flash fire" (già abbiamo accertato che gli "incendi", sulla Linea 5 e soprattutto nell'ultimo periodo di gestione, non fossero "anomali", v. ampiamente sopra), una "anomalia", un tragico combinarsi di elementi imprevedibili; invece, apprendiamo dalle norme tecniche come tale "rischio" incendi specifico, che presentano gli impianti oleodinamici - senza dimenticare, nel caso di specie, le dimensioni e la complessità di quelli presenti sulla Linea 5, oltre che la pressione a cui lavoravano - in presenza di una qualsiasi fonte di innesco (ed abbiamo indicato quante "fonti di innesco" vi fossero sulla Linea 5, v.) fosse descritto dalle norme tecniche esattamente come si è purtroppo verificato nel caso di specie. Utilizzando tra l'altro espressioni quali: "il risultato solito", "l'incendio risultante usualmente" che dimostrano quanto la descrizione "tecnica" fosse assodata e consolidata e non certo frutto di rilevazioni ancora incerte o in fase di "studio" o frutto di tecnologia di "avanguardia"; proprio dalla precisa descrizione "tecnica" di tale rischio, anche indicato nella sua "repentinità" e nella sua estensione (12 metri) deriva, tramite le norme giuridiche in materia di sicurezza ed in applicazione del "dovere di tutela", già sopra descritto nelle sue articolazioni, l'obbligo di apprestare le idonee installazioni: in particolare, un impianto di rivelazione e spegnimento automatico; non è infatti sostenibile che, di fronte ad uno "scenario" come quello descritto dalle norme tecniche, un imprenditore trascuri di ricordare che sulla Linea 5 gli addetti lavoravano (e nelle condizioni già sopra esposte); anzi, imponga addirittura loro di costituire l'unico "presidio" a fronte di quel rischio specifico di incendio, sia per rilevarlo, sia per tentare di spegnerlo con mezzi evidentemente inadeguati.
La Corte ribadisce quindi, se ve ne fosse ancora necessità dopo quanto esposto, che l'obbligo - la necessità - di installare un impianto di rilevazione e spegnimento automatico anche in quell'area della Linea 5 non deriva da una valutazione ex post, "influenzata" da quanto accaduto, ma da una precisa, razionale e conseguente ricostruzione, basata su tutti gli elementi accertati nel corso del presente dibattimento, della situazione precedente, come si presentava a tutti coloro che avevano, per lo stabilimento di Torino, precise responsabilità di direzione, di gestione e di organizzazione.

I difensori degli imputati affermano inoltre che, a fronte della "eccezionalità" dell'evento, neppure l'installazione di un impianto di quel tipo sarebbe "servito", avrebbe cioè potuto evitare drammatiche conseguenze, che sarebbero forse state simili a quelle che si sono verificate; l'obiezione difensiva - oltre a ribadire l'eccezionalità dell'evento, negata in radice da quanto già sopra esposto e dal tenore delle norme tecniche - si riferisce ad una asserita insussistenza del nesso di causalità materiale tra le omissioni contestate - per quanto rileva in questa parte, la mancata installazione di un impianto di rilevazione e spegnimento automatico - e l'incendio del 6/12/2007.
La Corte non è in grado di indicare con assoluta certezza ciò che "sarebbe accaduto se ... "; è però sicura che:
-un impianto di rilevazione avrebbe avvisato gli operai sin dal "focolaio di incendio", cioè prima di quando abbiano potuto, quella notte, accorgersene "a vista";
-un impianto di rilevazione unito ad uno di spegnimento automatico avrebbe non solo avvisato subito gli addetti, ma impedito loro di avvicinarsi all'incendio con gli estintori, preservando così la loro incolumità, la loro vita; -un impianto di rilevazione e di spegnimento automatico con ogni probabilità avrebbe anche impedito il formarsi del "flash fire", intervenendo sull'incendio prima che determinasse il "collasso" dei flessibili: così ci indicano le norme tecniche, ma anche le norme giuridiche, entrambe basate sull'esperienza. Esperienza che non può essere quella "individuale", del singolo datore di lavoro (e su di un determinato impianto), cui sembrano riferirsi i difensori degli imputati, bensì l'esperienza "collettiva", frutto di "studio" e di "tecnica" consolidati. I difensori degli imputati hanno infatti più volte sottolineato che "in quel punto" preciso della Linea 5 in cui si è verificato l'incendio del 6/12/2007 "in precedenza" non si erano verificati altri incendi (quantomeno non altri incendi devastanti); ma la Corte deve osservare che questa esperienza, limitata e, in quanto tale, poco o per nulla significativa, viene contraddetta proprio dalle norme tecniche, rappresentative dello stato attuale della scienza e della tecnica, basato su plurime esperienze confrontate e studiate. È infatti - anche - in "quel punto" preciso della Linea 5 che si riscontrano tutte le condizioni di rischio - sorgenti di innesco, combustibile, prossimità con impianti e condutture di olio in pressione - di incendio e di conseguente "flash fire" descritte dalle norme tecniche, le quali ultime "raccomandano" (ma, come si è già visto, l'obbligo deriva già direttamente da una corretta "valutazione del rischio" e dal D.M. 10/3/1998) appunto di installare (quando non è possibile eliminare il "rischio" alla fonte, ma dovendo in ogni caso "ridurlo" per quanto "tecnicamente" possibile) un impianto di rilevazione e spegnimento automatico; come primo, indispensabile "presidio" tecnico, collettivo e non affidato unicamente alla "vista" ed alla "mano" dell'uomo.
La Corte ritiene quindi la sussistenza - che invero le appare evidente - del nesso di causalità tra la contestata omissione - consistente nel non avere installato un impianto di rilevazione e di spegnimento automatico anche nella zona di entrata della Linea 5 ("anche" perché, come si è diffusamente esposto, non era l'unica a rischio incendio ed a rischio "flash fire") e l'evento come sviluppatosi nella notte del 6/12/2007, in particolare all'esito del giudizio controfattuale appena esposto.