REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTISTI Mariano
Dott. CAMPANATO Graziana
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe
Dott. ROMIS Vincenzo
Dott. FOTI Giacomo

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
1) M.R., N. IL ***;
avverso SENTENZA del 28/06/2004 CORTE APPELLO di TORINO;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. BRUSCO CARLO GIUSEPPE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. MELONI Vittorio che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FattoeDiritto

La Corte:

OSSERVA

1) M.R. ha proposto ricorso avverso la sentenza 28 giugno 2004 della Corte d'Appello di Torino che, in parziale riforma della sentenza 10 gennaio 2002 del Tribunale di Alba - che l'aveva condannato alla pena ritenuta di giustizia per il reato di cui all'art. 590 cod. pen. e per varie contravvenzioni concernenti la prevenzione degli infortuni sul lavoro - ha dichiarato estinte per prescrizione le contravvenzioni e ha confermato la condanna per il delitto di lesioni colpose riducendo la pena inflitta dal primo Giudice a mesi due e giorni venti di reclusione.
La Corte di merito ha ritenuto accertato che il ricorrente, nella sua qualità di legale rappresentante della s.r.l. F.lli M. con sede in Alba, avesse per colpa cagionato lesioni gravi a A.M., dipendente della predetta società, che, mentre prestava la sua attività lavorativa utilizzando una macchina per il lavaggio e lo sgrassaggio di pezzi meccanici, veniva investito da una fiammata provocata dall'incendio di una lampada; incendio a sua volta provocato dallo schizzo di solvente sollevato da un pezzo caduto dalle mani della persona offesa.
Dopo aver escluso che lo sviluppo dell'incendio potesse essere stato provocato da altre cause la sentenza impugnata ha rilevato che, anche indipendentemente dall'accertamento di queste cause, la macchina cui l'operaio era addetto, era caratterizzata da estrema pericolosità proprio per la posizione del liquido infiammabile nei pressi di una lampadina incandescente.

2) Con il proposto ricorso vengono dedotti i seguenti motivi di impugnazione:
la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione perché la sentenza impugnata, tra le varie ipotesi di ricostruzione dell'infortunio, ne avrebbe privilegiato una (caduta del pezzo nel solvente) ritenuta non probabile dal perito nominato dal Tribunale escludendo invece quella ritenuta maggiormente probabile (immersione nel liquido della pompa in movimento) incorrendo quindi nel travisamento del fatto; inoltre la Corte di merito avrebbe erroneamente tratto conferma dell'ipotesi formulata dalle dichiarazioni di due persone (una delle quali moglie dell'infortunato) che non avevano assistito all'incidente ma ne avevano appreso le modalità dalla persona offesa;
- la violazione dell'art. 192 c.p.p. perché, nel disattendere il parere espresso dal perito sulle modalità dell'infortunio, la sentenza impugnata avrebbe omesso di motivare in modo rigoroso e argomentato le ragioni del rifiuto di ritenere attendibile tale ricostruzione;
la mancanza e manifesta illogicità della motivazione sull'esistenza dell'elemento soggettivo; il diretto e principale responsabile dell'infortunio provocato da una macchina non rispondente alle regole di prevenzione è infatti il costruttore della macchina e, nella specie, il datore di lavoro non poteva non fare affidamento sulla circostanza che nella costruzione della macchina, che recava il marchio di conformità CE, fossero state rispettate le regole indicate; in particolare l'imputato non poteva immaginare che la lampadina non fosse adeguatamente protetta dagli schizzi del solvente;
l'erronea applicazione della legge penale con riferimento alla mancata sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria negata senza alcuna motivazione sul punto.

3) Il primo e il secondo motivo di ricorso che, riguardando temi comuni, possono essere esaminati congiuntamente e con i quali si deduce il travisamento del fatto, sono inammissibili e comunque infondati.
La giurisprudenza di legittimità è rigorosa sul rispetto del divieto di dedurre come motivo di ricorso in Cassazione il travisamento del fatto e ha sempre ribadito l'inammissibilità dei ricorsi che si riferiscono ad ipotesi nelle quali si chiedeva alla Corte di Cassazione una rilettura degli elementi fattuali. Si veda, in proposito, la decisione delle sezioni unite 31 maggio 2000 n. 12, Jakani (per esteso in Cass. pen., 2000, 3255) che ha sottolineato come alla Corte "è normativamente preclusa, invero, la possibilità non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione, operando un raffronto tra l'apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall'esterno".
In questo, come in altri casi esaminati dalla giurisprudenza di legittimità, il nucleo delle doglianze proposte riguardava infatti la richiesta che la Corte di legittimità interpretasse, diversamente da quanto compiuto dal Giudice di merito, gli elementi di prova acquisiti ovvero si sollecitava un annullamento della sentenza impugnata in modo da poter riproporre al Giudice del rinvio la diversa ricostruzione.
E anche la più recente sentenza delle sezioni unite che abbia affrontato il problema del travisamento del fatto (24 settembre 2003 n. 47289, Petrella, per est. in Arch. nuova proc. pen., 2004, 35), dopo aver ribadito che il sindacato della Corte di Cassazione deve essere limitato "a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza la possibilità di verificarne la rispondenza alle acquisizioni processuali" e che "l'illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi" afferma tali principi in relazione ad un caso nel quale i ricorrenti prospettavano una diversa lettura degli atti di causa e una diversa ricostruzione dei fatti ritenuta inammissibile nel giudizio di legittimità.
Analogamente altre sentenze comunemente citate come espressione dell'orientamento indicato si riferiscono a casi nei quali non diverso era l'intento del ricorrente. Si vedano a titolo esemplificativo: Cass., sez. 3ª, 11 giugno 1993, Cesco (per est. in Cass. pen., 1996, 547); Cass., sez. 6ª, 16 ottobre 1995, Pulvirenti (per est. in Cass. pen., 1997, 1397). In questi e in numerosi altri casi la Corte di legittimità si è limitata a contrastare il tentativo dei ricorrenti diretto ad ottenere che il Giudice di legittimità rivalutasse il compendio probatorio preso in considerazione dal Giudice di merito.
Diverso è il caso, che peraltro non ricorre nella specie, del cd. travisamento della prova che ricorre nei casi in cui il Giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non si tratta quindi, in questi casi, di reinterpretare gli elementi di prova valutati dal Giudice di merito ai fini della decisione ma di verificare se questi elementi esistano.
Nel caso in esame il ricorrente pretende invece che la Corte di Cassazione rivaluti il materiale probatorio preso in considerazione dal giudice di merito al fine di pervenire ad una diversa ricostruzione dei fatti. Ma ciò non è consentito al Giudice di legittimità neppure deducendo la mancanza di motivazione avendo la sentenza impugnata indicato gli elementi di prova acquisiti al processo che consentivano di ritenere accertata la ricostruzione del fatto accolta dai Giudici di merito i quali l'hanno fondata sulle dichiarazioni della persona offesa e dei testimoni, oltre che sugli accertamenti svolti dal perito nominato. Elementi di prova dai quali è stato motivatamente e certo non illogicamente tratta la conclusione che l'incendio si era sviluppato a seguito della caduta di un oggetto che l'infortunato stava lavorando nel recipiente contenente il solvente i cui schizzi colpivano la lampada incandescente.

4) Anche il quarto motivo di ricorso, concernente l'esistenza dell'elemento soggettivo, è infondato.
Secondo il ricorrente non potrebbe egli essere ritenuto responsabile dell'infortunio perché la macchina fornitagli era conforme alle regole di prevenzione e non poteva immaginare che la lampada non fosse adeguatamente protetta dagli schizzi del solvente.
In merito a questa censura si osserva che corrisponde al I vero che il costruttore risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione e fornitura di una macchina priva dei necessari dispositivi o requisiti di t sicurezza (obbligo su di lui incombente per il disposto del D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, art. 7) a meno che l'utilizzatore abbia compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tale da poter essere considerate causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento (per es. nel caso di una totale trasformazione strutturale della macchina). Se ciò non si verifica si ha una permanenza della posizione di garanzia del costruttore che non esclude il nesso di condizionamento con l'evento; sempre che, naturalmente, quell'evento sia stato provocato dall'inosservanza delle cautele antinfortunistiche nella progettazione e fabbricazione della macchina.
Ma la permanenza della responsabilità del costruttore e del fornitore della macchina non vale ad escludere la responsabilità dell'utilizzatore a meno che l'accertamento di un elemento di pericolo o la violazione di regole di cautela nella progettazione o costruzione dello strumento non siano resi impossibili per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, che cioè si tratti di una violazione delle regole di prevenzione non verificabile con l'ordinaria diligenza (per es. perché riguardanti una parte non visibile e non raggiungibile della macchina).
Ma se la non corrispondenza della macchina alle regole di prevenzione e di protezione è agevolmente verificabile la colpa dell'utilizzatore non può essere esclusa: l'utilizzatore della macchina, ed in particolare il datore di lavoro, è obbligato ad eliminare le fonti di pericolo e quindi il comportamento alternativo lecito è esigibile nei suoi confronti.
Questa situazione, secondo l'accertamento incensurabile dei Giudici di merito, si è appunto verificata nel caso in esame in quanto la lampadina incandescente che ha dato luogo all'incendio era situata in prossimità del liquido solvente infiammabile. E ciò solo è sufficiente ad integrare la colpa del datore di lavoro per aver fatto utilizzare al dipendente un solvente infiammabile nei pressi di una potenziale fonte di innesco del fuoco.

5) È invece fondato l'ultimo motivo di ricorso relativo alla mancata sostituzione della pena detentiva inflitta.
Va rilevato che, al momento della pronunzia della sentenza di primo grado (10 gennaio 2002), era in vigore della L. 24 novembre 1981 n. 689, art. 60, che escludeva la possibilità di applicare le pene sostitutive, tra l'altro, al reato previsto dall'art. 590 cod. pen. limitatamente alle lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Il ricordato art. 60 è stato abrogato dalla L. 12 giugno 2003 n. 134, art. 4 e il difensore del ricorrente, con memoria diretta alla Corte d'Appello di Torino e depositata il 12 settembre 2003 ha chiesto, subordinatamente al mancato accoglimento dei motivi di appello principali, la sostituzione della pena inflitta con quella pecuniaria corrispondente.
La Corte di merito ha omesso di prendere in considerazione la richiesta nella sentenza impugnata che va dunque annullata limitatamente a questo punto con rinvio alla medesima Corte che prenderà inoltre in considerazione la richiesta di revoca della sospensione condizionale della pena.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Quarta Penale, annulla la sentenza impugnata limitatamente all'omessa motivazione sulla richiesta di sostituzione della pena con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Torino.
Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2005.
Depositato in Cancelleria il 13 gennaio 2006