REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FATTORI Paolo
Dott. IACOPINO Silvana
Dott. VISCONTI Sergio
Dott. BIANCHI Luisa
Dott. PICCIALLI Patrizia

- Presidente
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere
- Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA/ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
1) G.L. N. IL ***;
avverso SENTENZA del 19/11/2003 CORTE APPELLO di VENEZIA;
visti gli atti, la sentenza ed il procedimento;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. BIANCHI LUISA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Iacoviello Francesco Mauro che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo e motivi della decisione

Con sentenza del Tribunale di Vicenza L.G. veniva dichiarato responsabile di lesioni colpose gravi perché, nella qualità di direttore generale responsabile della produzione e della sicurezza presso lo stabilimento della ditta S.L., per colpa, consistita nella inosservanza degli artt. 41 dpr 547/55 e 38 d.lvo 626/94, non avendo predisposto disposizioni di sicurezza o protezione alla zona dei cilindri avvolgitori di una macchina per la sbobinatura di fogli di gomma, né avendo adeguatamente istruito l'addetto D.G. sull'adozione di una prassi operativa sicura, cagionava al predetto dipendente, che rimaneva con una mano impigliata fra le spire in fase di avvolgimento a cilindro in funzione, la lussazione del gomito e la frattura dell'apice coronide da cui derivava una malattia di più di 40 giorni; riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, il medesimo veniva condannato alla pena di lire 250.000 di multa.

Accertava il giudice di primo grado che il G., nel mentre effettuava manualmente l'operazione di avvolgimento di materiale plastico attorno al supporto fissato sulla macchina avvolgitrice, rimaneva impigliato con le mani nel materiale e, non riuscendo a fermare la macchina, si cagionava le anzidette lesioni; riteneva il giudice che, nonostante l'imprudenza del lavoratore, in quanto si trattava di operazione che andava effettuata a motore spento, era palese la responsabilità del datore di lavoro per non aver predisposto sistemi di sicurezza tali da impedire il contatto accidentale con l'organo motore in azione, come previsto dall'art. 41 dpr 547/55 e come tecnicamente possibile; dunque, poiché la pericolosità della macchina era riscontrabile, il sistema di sicurezza era attuabile ed il comportamento scorretto da parte del personale era prevedibile, sussistevano gli elementi per ritenere violata la normativa antinfortunistica.

Tali valutazioni erano condivise dal giudice di appello che confermava l'impugnata sentenza.
Con il ricorso per Cassazione l'imputato, per il tramite del difensore di fiducia, deduce:
1) violazione di legge, con particolare riferimento alla valutazione del nesso causale che nella specie sarebbe stato interrotto per il comportamento abnorme del lavoratore, atteso che era stato accertato che l'operazione in questione andava effettuata a rullo fermo;
2) illogicità di motivazione circa la ritenuta inadeguatezza tecnica del macchinario su cui si è verificato l'incidente, atteso che secondo gli accertamenti compiuti dal funzionario della S. la cautela aggiuntiva che era stata ritenuta necessaria dopo l'incidente non sarebbe stata in realtà sufficiente ad evitare lo stesso in quanto riguardava la fase di funzionamento della macchina e non quella di avviamento;
3) erronea valutazione della responsabilità del datore di lavoro sotto il profilo dell'attività allo stesso richiesta dal d.lgs. 626/94.

Il ricorso è infondato e deve pertanto essere rigettato.
Con riferimento al primo motivo, è sufficiente osservare che il principio espresso concordemente dai giudici di primo e secondo grado - secondo cui il datore di lavoro è responsabile anche degli infortuni ascrivibili a imperizia, negligenza ed imprudenza del lavoratore, salvo i casi della assoluta abnormità del comportamento di quest'ultimo - è assolutamente corretto e conforme alla costante e pacifica giurisprudenza di questa Corte. Occorre al riguardo ricordare l'esistenza in capo al datore di lavoro di una posizione di garanzia che gli impone di apprestare tutti gli accorgimenti, i comportamenti e le cautele necessari a garantire la massima protezione del bene protetto, la salute e l'incolumità del lavoratore appunto, posizione che esclude che il datore di lavoro possa fare affidamento sul diretto, autonomo, rispetto da parte del lavoratore delle norme precauzionali, essendo invece suo compito non solo apprestare tutti gli accorgimenti che la migliore tecnica consente per garantire la sicurezza degli impianti o macchinar utilizzati ma anche di adoperarsi perché la concreta esecuzione del lavoro avvenga nel rispetto di quelle modalità.
In particolare è stato già affermato (Cass. sez. 4ª 27.11.96 n. 952 m.u. 206990) "Il datore di lavoro, destinatario delle norme antinfortunistiche, è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente sia abnorme, dovendo definirsi tale il comportamento imprudente del lavoratore che o sia stato posto in essere da quest'ultimo del tutto autonomamente e in un ambito estraneo alle mansioni affidategli - e, pertanto, al di fuori di ogni prevedibilità per il datore di lavoro - o rientri nelle mansioni che gli sono proprie ma sia consistito in qualcosa di radicalmente, ontologicamente, lontano dalle ipotizzabili e, quindi, prevedibili, imprudenti scelte del lavoratore nella esecuzione del lavoro".
Tanto premesso in linea teorica, del tutto corretto è l'accertamento che hanno compiuto i giudici di merito circa la non abnormità del comportamento del G. in quanto la manovra dal medesimo posta in essere, se pure errata e pericolosa, rientra nel novero delle violazioni comportamentali che i lavoratori perpetrano quando ritengono di aver acquisito una padronanza del mezzo e della funzione tale da consentire, a loro giudizio, di omettere alcune manovre di sicurezza, o anche per mera distrazione e in quanto tali sono ben prevedibili e devono essere neutralizzate attraverso gli opportuni accorgimento, nella specie imposti dall'art. 41 dpr 547/1955.
Manifestamente infondati sono poi il secondo e il terzo motivo di ricorso;
il secondo in quanto si deducono circostanze di fatto che non possono trovare apprezzamento da parte della Corte;
il terzo atteso che la sentenza di primo grado già aveva posto in luce la inadeguatezza della valutazione dei rischi in quanto effettuata sul presupposto del corretto utilizzo degli impianti e dei macchinari, senza prendere in considerazione la possibilità di comportamenti errati e di imprevisti, possibilità che costituisce l'essenza stessa del concetto di prevenzione.

P.Q.M.

La Corte:
- Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 3 giugno 2004.
Depositato in Cancelleria il 13 ottobre 2004