Cassazione Penale, 21 dicembre 2011, n. 47497 - Rottura di una lastra in eternit e caduta dall'alto  


 

 
 
 Fatto

 

 

 

 
 
1. Il Tribunale di Firenze-giudice monocratico, con sentenza in data 28-1-2009, dichiarava G. D., nella qualità di titolare dell'impresa edile "N. e N. snc", colpevole per il reato di lesioni colpose gravi perpetrato a danno del lavoratore M. S. dipendente dell'impresa. Lo condannava alla pena di mesi tre di reclusione ed al risarcimento del danni in favore della parte civile liquidati in euro 65.000,00.
 

 

 

In fatto (16-5-2004), era avvenuto che il lavoratore, mentre stava camminando sul tetto di copertura di un capannone industriale costituito da lastre in eternit, era caduto dall'altezza di circa quattro metri a causa della rottura di una delle lastre. Nell'occorso, il dipendente aveva riportato trauma cranico con frattura occipitale e soffusione sub aracnoidea da caduta accidentale, contusioni escoriate sul dorso e l'avambraccio; da tali lesioni era conseguita una malattia della durata di oltre 60 giorni.
 
L'imputato era accusato di avere determinato l'evento per colpa consistita in negligenza, imprudenza, imperizia e violazione della normativa in materia di prevenzione infortuni; in particolare, egli non aveva predisposto adeguati ponteggi o impalcature atti ad eliminare il pericolo di caduta di persone dall'alto e cioè dalla copertura in eternit.
 

2. Proposta impugnazione, la Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 16-9-2010, confermava la decisione di primo grado. Riteneva corretta ed esaustiva la motivazione espressa dal Tribunale fondata sulla corretta ricostruzione del fatto, come delineata dalla parte offesa ed anche da altro teste.
 
 

3. L'imputato proponeva ricorso per cassazione impugnando la sentenza emessa dalla Corte di Firenze ed anche l'ordinanza dibattimentale pronunciata dalla Corte all'udienza del 16-9-2010 con la quale non era stato disposto l'accertamento del legittimo impedimento dell'imputato a comparire perché in stato di detenzione all'estero ed era stata dichiarata parimenti la sua contumacia.
 
 

Affermava che il Collegio di Appello era incorso nella violazione degli 420 ter cod.proc.pen. Invero, la Corte di Firenze aveva erroneamente dichiarato la contumacia di esso istante, escludendo che l'imputato potesse essere in stato detentivo al momento di notifica del decreto di citazione a giudizio In appello. Per contro, risultava da rituale certificazione che G. D. era detenuto per altra causa sin dal 10-9-2009 presso il carcere francese di Lyon dove era tuttora astretto.
 
 Chiedeva l'annullamento dell'ordinanza e della sentenza impugnate.
 
 


Diritto

 
 
 1. Il ricorso deve essere respinto perché infondato.
 
Si osserva che la Corte di Appello ha correttamente valutato le condizioni per dichiarare la contumacia dell'imputato, non comparso all'udienza. In particolare, risulta correttamente applicato l'art. 420 ter comma 2 cod.proc.pen., secondo cui il giudice rinvia la causa ad altra udienza quando appare probabile che l'assenza dell'imputato sia dovuta ad assoluta impossibilita di comparire per caso fortuito o forza maggiore. Inoltre, la 2° parte del comma citato stabilisce che il giudizio sulla probabilità dell'impossibilità di comparire è effettuato dal giudice con valutazione "libera" e non può formare oggetto di discussione successiva né motivo di impugnazione.
 
Nel caso di specie, il Collegio di Appello ha ritenuto proveniente da fonte incerta la notizia riferita dal difensore di avere ricevuto una telefonata dà persona qualificatasi come sorella dell'imputato che aveva affermato che questi era detenuto in Croazia; per cui, i Giudici hanno escluso la ricorrenza di prova dell'impedimento addotto, sottolineando l'improbabilità comunque della sua sussistenza. Del resto, si palesa in concreto ragionevole il giudizio formulato dalla Corte e non contrassegnato da inadeguatezza in relazione all'effettiva situazione di fatto, atteso che l'informazione su questa risultava ampiamente vaga e generica, come attestato successivamente per cui si è venuti a conoscenza che l'imputato in realtà all'epoca non si trovava in Croazia ma in Francia.
 

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
 
 
 

P.Q.M.


 
 
 Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.