Tribunale di Monza, 12 ottobre 2011 - Autotrasportatore investito da un carrello elevatore


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI MONZA

SEZIONE PENALE


Il Tribunale di Monza - in composizione monocratica - in persona del Giudice dott.ssa Silvia Pansini, all'udienza del 20 luglio 2011, ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente

SENTENZA



nei confronti di:

Ar.Pa. nata (...) residente ad Arco (TN) via (...)

Difesa di fiducia dall'avv. Pi.Va. del foro di Milano con studio in Milano Via (...)

Go.Gi. n. (...) res. a Milano in Piazza (...)

Difeso di fiducia dall'avv. Gi.Lu. del foro di Milano con studio in Milano Via (...)

Liberi contumaci

Imputati

del reato p. e p. dagli artt. 113 c.p. e 590, 2 e 3 co., 583 co. 1 n. 1 c.p. in relazione agli artt. 8 D.P.R. 547/55, 35 co. 4 bis D.l. 626/94 perché, agendo con il concorso di azioni colpose indipendenti, Ar.Pa. in qualità di presidente del consiglio di amministrazione della Ve. S.p.A. Go.Gi. quale presidente della Cr. Soc. Coop. a r.l., società appaltatrice della attività di movimentazione merci, carico scarico e imballaggio all'interno del deposito della Ve. di Cavenago Brianza, cagionavano a Sc.Gi., autotrasportatore in proprio, lesioni personali consistite in un trauma cranioencefalico con focolai lacero contusivi emorragici multipli, giudicate guaribili in un tempo superiore a 150 gg. per colpa consistita in negligenza, imprudenza e, segnatamente, nell'inosservanza delle seguenti norme prevenzionali:

- Art. dell'art. 8 D.P.R. 547/55 per non aver adottato tutte le misure necessarie ad assicurare che i lavoratori operanti nelle vicinanze delle vie di circolazione non corressero alcun rischio, non avendo, in particolare, previsto lungo la via di circolazione sotto il tunnel di carico - scarico, un'adeguata distanza di sicurezza per i pedoni e una segnaletica che evidenziasse i percorsi e le varie zone di sosta, di carico scarico e quelle destinate agli autisti

- Go. dell'art. 35 co. 4 bis D.Lgs. 626/94 per non avere adottato misure organizzative atte ad evitare che lavoratori a piedi potessero trovarsi nella zona di lavoro delle attrezzature di lavoro mobili e comunque per non avere adottato misure idonee ad evitare che, qualora la presenza di lavoratori a piedi sia necessaria per la buona esecuzione dei lavori, essi subiscano danno da queste attrezzature determinando così le predette lesioni alla parte lesa, che, mentre si trovava a piedi nel tunnel di transito e carico - scarico, veniva investito da un carrello elevatore guidato da De.Fl., carrellista socio della Cr. quale conduceva il mezzo avendo una visuale ridotta a causa del numero di colli trasportati.

Con l'intervento del P.M. dr.ssa Raffaella Marti V.P.O. e dei difensori avv. Do. in sost. dell'avv. Va. di fiducia per Ar. e avv. Ri. in sost. ex art. 102 c.p.p. dell'avv. Lu. di fiducia per Go.


FattoDiritto


In data (...) poco prima delle ore 13.00 Sc.Gi., autotrasportatore titolare di una ditta individuale, presso il tunnel di carico - scarico delle merci del magazzino sito nell'insediamento di proprietà di Ve. S.p.A. veniva investito da un carrello elevatore condotto da De.Fl., socio della cooperativa Cr. S.r.l., riportando dalla conseguente caduta un trauma cranio - encefalico con conseguenze lesive gravi ed addirittura permanenti.

Il magazzino in questione era gestito da Ve. S.p.A. società che effettua attività di trasporto ed immagazzinaggio per conto terzi di merci, la quale aveva appaltato alla società cooperativa Cr. l'attività di carico e scarico delle merci.

L'autotrasportatore Sc.G. veniva urtato nei pressi del proprio camion, a circa cinque metri e mezzo dal muro, da un carrello elevatore che trasportava due cassoni vuoti destinati ad essere caricati sullo stesso e, per effetto, della collisione, perdeva l'equilibrio.

L'autista del carrello elevatore stava procedendo a marcia avanti, modalità obbligata in quanto in quel tratto vi era una salita con una pendenza del 12% e se avesse proceduto a marcia indietro i cassoni sarebbero potuti cadere.

In tal modo però la visione del carrellista non era regolare nel senso che egli non poteva vedere praticamente nulla di ciò che aveva davanti a sé in quanto la visione era ostruita da due cassoni impilati uno sopra l'altro (per un'altezza totale dal terreno di circa 1,90 mt.): per sua stessa ammissione egli guardava nella propria direzione di marcia soltanto sporgendosi lateralmente dal mezzo.

Sc.Gi. stava dirigendosi verso l'ufficio dopo aver scaricato il camion (oppure, più probabilmente, stava tornando verso il camion dopo essere stato in ufficio, dopo lo scarico del mezzo, come ha detto De.) quando veniva investito dal carrello elevatore.

I tecnici della ASL che hanno effettuato un sopralluogo lo stesso giorno hanno osservato come non vi fosse alcuna segnaletica orizzontale né cartelli segnalatori sicché non vi era assolutamente nessuna suddivisione delle zone di transito, delle zone di stoccaggio rapido per la verifica del materiale e per l'immagazzinaggio, non c'era una zona delimitata per il passaggio o per la sosta dei pedoni.

"L'utilizzo del tunnel per il carico e scarico non era stato concepito in modo che i lavoratori addetti al trasporto, carico e scarico potessero utilizzarlo facilmente in piena sicurezza e che i lavoratori a piedi operanti nelle vicinanze non corressero alcun rischio e poi sul fatto che lungo la via di circolazione sotto il tunnel non era stata prevista un'adeguata distanza di sicurezza per i pedoni e non erano evidenziati con segnaletica orizzontale e verticale i percorsi di sosta, le zone di sosta e le aree destinate allo scarico rapido, l'etichettatura e la zona destinati agli autisti del mezzo" (Pe., tecnico ASL, pag. 18 e 19 trascr. ud. 22.12.2010).

Questa è l'attività che Ve. S.p.A. avrebbe dovuto certamente fare e non aveva fatto.

L'ha fatto soltanto successivamente alle contestazioni della ASL.

Quanto al coordinamento tra Ve. S.p.A. e la società coop. Cr. r.l. vi era un piano di coordinamento (all. 19), le due società si erano incontrate il (...), vi è un verbale in cui si dice che è stato fatto un sopralluogo a seguito del quale sono stati valutati i rischi.

Ma, come ha detto il tecnico ASL, erano soltanto parole vuote nel senso che nel documento per esempio si dice che sono stati individuati chiaramente i percorsi dei mezzi per garantire la percorrenza ordinata e sicura nello stabilimento, mentre invece questo non è stato assolutamente mai fatto (prima dell'infortunio), ed è stato inoltre indicato come pericolo quello di investimento delle persone durante la manovra dei mezzi di trasporto, ma poi non è stata prevista nessuna procedura per evitarlo.

Anche la Cr. dal canto suo nulla aveva previsto per evitare l'investimento di lavoratori a piedi da parte delle attrezzature di lavoro mobili che essa stessa utilizzava.

Diversamente da quanto ha opinato la difesa vi è nesso di causa tra l'evento verificatosi e le inosservanze contestate agli imputati atteso che, se è vero che il carrellista procedeva senza una corretta visuale a causa dell'eccessivo carico, è altrettanto vero che proprio l'assenza di previsione di percorsi di marcia per l'uno e per l'altro (pedone e carrello elevatore), bene delimitati e segnalati, ha consentito che si verificasse l'incontro dei due e dunque l'investimento.

Se, dunque, la condotta imprudente del carrellista ha infine determinato l'investimento sono proprio le mancanze contestate agli imputati ad averlo consentito, giacché l'investimento si sarebbe potuto evitare proprio con la delimitazione di percorsi di marcia e procedure lavorative ben definite.

Né d'altra parte può sostenersi che l'autista del mezzo doveva stare fermo a fianco al suo camion essendo emerso pacificamente dalle testimonianze che egli doveva comunque recarsi negli uffici per le bolle ed addirittura a volte attivarsi perché il suo camion venisse scaricato e caricato, ed in ogni caso per l'attività di carico e scarico era necessaria la sua presenza giù dal mezzo.

Egli non poteva pertanto certamente attendere sul mezzo.

Dunque che egli dovesse scendere dal mezzo e muoversi nell'area è assolutamente pacifico così come che egli, pur camminando istintivamente a ridosso della parete interna del tunnel, dovesse però prima arrivarvi in qualche modo dal punto di sosta del mezzo (e viceversa).

Ecco quindi che appare decisivo quanto contestato agli imputati ed in particolare la mancanza di un percorso preciso di marcia da parte dei camion, dei carrelli elevatori, di eventuali pedoni (in particolare degli autisti dei mezzi), la delimitazione precisa delle zone di sosta, carico e scarico dei camion, dei percorsi di marcia dei muletti e degli eventuali pedoni in modo da evitare investimenti.

Non è vero che Ve.Ca. non avesse obblighi di sicurezza per il solo fatto che nessun lavoratore proprio fosse impiegato nell'attività di carico e scarico, interamente appaltata alla cooperativa Cr.

Si tratta infatti di un magazzino gestito proprio dalla Ve. in un immobile di sua proprietà.

Le procedure lavorative ed il coordinamento tra le diverse attività dovevano essere previsti dalla Ve., che non poteva certo disinteressarsi dell'attività ivi esercitata anche perché l'organizzazione del tunnel di carico e scarico con aree delimitate, percorsi delimitati di marcia ecc. non poteva che essere fatta dalla Ve., come in effetti fu successivamente alle contestazioni della ASL.

Inoltre per l'attività ivi esercitata, come riferito dai testi, vi erano molti camion della stessa Ve. che arrivavano e scaricavano ed inoltre suoi dipendenti negli uffici che per qualsivoglia ragione potevano trovarsi ad entrare nel magazzino.

Non appare puntuale il riferimento a Cass. Pen. n. 28197 del 9 luglio 2009 per escludere la responsabilità della committente Ve. in quanto incombe sul committente l'obbligo di curare il coordinamento degli interventi delle varie imprese esecutrici, al fine di garantire la sicurezza del luogo di lavoro e l'incolumità di tutti i lavoratori (Cassazione penale, sez. IV, 4 gennaio 2011, n. 99) ed inoltre nel caso di specie chi doveva essere tutelato e protetto era l'autotrasportatore che entrava nel magazzino con il proprio camion, che poteva essere dipendenti della Ve. oppure un c.d. padroncino come nel caso di specie.

Il rischio derivante dalla generica necessità di evitare che un mezzo investa un pedone all'interno di un magazzino dove si svolge attività di carico e scarico non costituisce rischio specifico dell'attività dell'appaltatore, ma rientra anche nell'ambito della posizione di garanzia dell'appaltante, in virtù dell'obbligo di cooperazione previsto dalla legge.

La Cr., poi, avrebbe dovuto anch'essa fare la sua parte, cosa che non ha fatto nemmeno a distanza di tempo dal primo sopralluogo della ASL.

Il tecnico della ASL ha riferito che la verifica del comportamento corretto delle persone che fanno la movimentazione era lasciata dalla Cr. totalmente al caso, tanto è vero che non veniva effettuata una verifica del rispetto delle procedure nemmeno nel periodo in cui fu effettuato, in data (...), il sopralluogo per la verifica del rispetto delle prescrizioni imposte dalla ASL a seguito del primo sopralluogo il giorno dell'infortunio.

Il teste Pe. ha riferito che "ancora lavoravano male, cioè erano stati delimitati gli spazi con segnaletica orizzontale, però non era rispettata la delimitazione per poter mettere i materiali" e "il carico e scarico non avveniva nel rispetto della segnaletica orizzontale che era stata tracciata".

Seri dubbi sono stati espressi anche sulla formazione dei dipendenti della Cr. che doveva essere stata, ammesso che fosse stata effettuata, come documentalmente appariva, alquanto approssimativa.

Il De. per esempio guidava un carrello elevatore, un muletto insomma, senza averne l'apposita patente di guida, come da lui stesso ammesso (pag. 5 trascr. ud. 29.4.11).

Aveva ricevuto un libretto di istruzioni che non aveva visionato se non superficialmente.

Sempre il De. ha detto che non erano state date istruzioni di nessun tipo circa le modalità di carico - scarico né circa le direzioni di marcia ed i luoghi ove parcheggiare i camion, "ognuno faceva come era più comodo fare" (pag. 7 trascr. ud. 29.4.11).

Le condotte colpose contestate al presidente del consiglio di amministrazione della Ve. nonché della società cooperativa Cr. non solo dunque sono state provate, ma si sono rivelate assolutamente legate con preciso nesso di causa con l'evento - investimento dell'autotrasportatore Sc.

Quanto alla determinazione della pena si ritiene di infliggere la pena di mesi tre di reclusione ad entrambi gli imputati, concessi ad entrambi le circostanze attenuanti generiche e del risarcimento del danno equivalenti all'aggravante.

Sussistono i presupposti per concedere ad Ar. la sospensione condizionale della pena e per dichiarare interamente condonata la pena inflitta a Go. che invece non può godere della sospensione condizionale della pena.



P.Q.M.




Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.

dichiara

Ar.Pa. e Go.Gi. colpevoli del reato a loro ascritto e, concesse ad entrambi le circostanze attenuanti generiche e del risarcimento del danno equivalenti all'aggravante, li

condanna

alla pena di mesi tre di reclusione ciascuno, oltre al pagamento delle spese processuali.

Visto l'art. 163 c.p.

concede

ad Ar.Pa. il beneficio della sospensione condizionale della pena.

Visto l'art. 1 Legge 31 luglio 2006 n. 241

dichiara

la pena inflitta a Go.Gi. interamente condonata.

Riserva la motivazione entro i novanta giorni.