Corte di Appello di Trento, Sez. Pen., 23 novembre 2011 - Caduta da una scala a pioli


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D'APPELLO DI TRENTO

SEZIONE PENALE


Composta dai signori magistrati:

Dott. MARIANO ALVIGGI - PRESIDENTE

D.ssa IOLANDA RICCHI - CONSIGLIERE

D.ssa ANNA MARIA CREAZZO - CONSIGLIERE

ha pronunciato alla pubblica udienza la seguente

SENTENZA

 

nei confronti di

LI.AN. nt. a Levico Terme il (...) residente a Levico Terme (TN) via (...) (dom. det.) Non sofferta carcerazione preventiva

LIBERO - PRESENTE

IMPUTATO

del reato p. e p. dall'art. 590, co. I - II e III c.p. perché - nella sua qualità di legale rappresentante e responsabile della sicurezza della ditta "LI." - per imprudenza, negligenza ed in violazione della normativa prevenzionale degli infortuni sul lavoro, cagionava al lavoratore dipendente Pe. una distorsione al rachide cervicale, contusione rachide in toto, contusione anca sinistra e la frattura del polso sinistro, da cui derivava una malattia di durata superiore a giorni 40 e postumi invalidanti permanenti; in particolare perché:

in violazione degli artt. 35, comma 2, D.Lgs. 626/1994 e 16 D.P.R. 164/1956, ometteva di attivarsi per adottare misure tecniche atte a ridurre i rischi connessi all'attività di demolizione di una tettoia in carpenteria metallica avente altezza media superiore ai tre metri, a cui aveva impegnato i lavoratori dipendenti, omettendo altresì di mettere a disposizione degli stessi, adeguate impalcature e ponteggi idonei, per altezza, allo svolgimento in sicurezza di detta attività, sicché, proprio a causa di tali omissioni valutative, e dispositive, poneva in essere il presupposto dell'infortunio del succitato lavoratore il quale, mentre era impegnato nella succitata attività, avendo a disposizione un ponteggio con il solo primo piano di calpestio, dovendo raggiungere una zona di demolizione posta a tre metri di altezza, si serviva di una semplice scala a pioli, sulla quale doveva salire portando con sé una mola a disco, salvo poi sbilanciarsi e cadere a terra riportando le lesioni sopra evidenziate.

Fatto commesso in Trento il (...)

APPELLANTE

L'imputato avverso la sentenza del Tribunale di Treno in composizione monocratica n. 63/11 del 19/01/2011 che dichiarava Li. responsabile del reato a lui ascritto e, concesse le attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, lo condannava alla pena di Euro 200 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.

Pena interamente condonata ex L. n. 241/2006.

Udita la relazione della causa fatta alla pubblica udienza dal Consigliere D.ssa Iolanda Ricchi.

Sentito il Sostituto Procuratore della Repubblica dr. Valerio Giorgio Davico, in applicazione come da decreto n. 34/2011 di data 4/11/201, che ha concluso chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

Sentiti i difensori di fiducia degli avv.ti An. e l'avv. Al., di Trento che chiedono l'accoglimento dei motivi d'appello.

 

FattoDiritto

 

Con sentenza 19.1.2011 il Giudice Monocratico del Tribunale di Trento, in esito a giudizio ordinario, ritenuta provata la responsabilità di Li. in ordine al reato di lesioni colpose aggravate in rubrica ascrittogli, l'ha condannato, con attenuanti generiche equivalenti all'aggravante, alla pena di Euro 200,00 di multa, oltre alle spese processuali. Con concessione del condono ex L. 241/06.

Il 5.11.2004 Pe., dipendente della Ditta Li. S.r.l., di cui l'imputato è legale rappresentante, nel corso dell'attività volta alla demolizione di una tettoia, precipitava da una scala a pioli dell'altezza di circa 4/5 metri. Il teste - parte offesa, al dibattimento, ha dichiarato che, mentre si trovava sulla scala per recuperare un attrezzo necessario alla demolizione delle capriate del capannone, per ragioni imprecisate, cadeva al suolo con la mola a disco da lui stesso trasportata, riportando le lesioni indicate in imputazione.

Il verbalizzante UPSAL, isp. Ma., ha dichiarato di aver compiuto le indagini relative all'infortunio a distanza di diversi anni dal fatto e di aver accertato che la Li., impegnata nella ristrutturazione di un edificio del centro storico di Trento, procedeva alla demolizione di una struttura esterna in carpenteria metallica (una tettoia) di circa 220 mq con altezza di m 4,24 sul colmo e di m. 3,40 nella parte più bassa avvalendosi di un ponteggio ad un piano, per raggiungere le parti più basse e di una scala a pioli dell'altezza di m. 4/5 per raggiungere le parti più alte della struttura. L'ispettore, pur dando atto di non aver acquisito alcun elemento di valutazione dall'ispezione nel cantiere, ma di aver operato una ricostruzione a posteriori sulla base delle dichiarazioni del lavoratore e della documentazione acquisita presso il Comune di Trento, ha evidenziato come per la demolizione di tale tipo di struttura sarebbe stato necessario l'utilizzo di impalcature e ponteggi (con due livelli e con parapetti), per evitare il pericolo di caduta conseguente all'utilizzo di scala a pioli, soprattutto nel caso in cui il lavoratore dovesse effettuare la salita o discesa con le mani occupate.

Conseguentemente, nell'imputazione risulta richiamata la violazione dell'art. 35 co. 2 L. 626/94, violazione non contestata, invece, al geom. Ri., responsabile del cantiere e delegato per la sicurezza, in quanto già prescritta al momento dell'accertamento.

Il Giudice ha disatteso le tesi difensive volte a sostenere l'efficacia esimente per il datore di lavoro della delega di sicurezza affidata al direttore di cantiere preposto, osservando che il geom. Ri., delegato, per sua stessa dichiarazione non aveva un'autonomia finanziaria tale da poter affrontare interventi impegnativi, ed inoltre che la scelta delle attrezzature di lavoro, per volontà normativa, (art. 4 co. 1 e 4 ter D.Lgs. 626/94) non può essere delegata a terzi.

Rilevata la sussistenza del nesso causale tra le lesioni e la condotta omissiva, ha affermato la responsabilità del prevenuto ed ha determinato la pena come indicato. Propone tempestivo appello la Difesa censurando il giudizio di responsabilità e rilevando che il Pe., anziano operaio con esperienza trentennale, contrariamente a quanto contestato nell'imputazione e sostenuto in sentenza, non era in procinto di demolire l'ultima capriata del capannone (alla quale peraltro era attaccata la scala a pioli) ma a recuperare gli attrezzi (la mola a disco). Non risponde, quindi, al vero che fosse in corso la rimozione della capriata e che la scala del ponteggio servisse allo scopo. In realtà Pe. stava recuperando la mola con la scala usualmente utilizzata per salire sul ponteggio e non per raggiungere l'altezza della capriata. Peraltro, nel cantiere erano presenti diversi ponteggi all'uopo utilizzabili, come del resto dichiarato dalla stessa parte offesa. Quindi, ritenuto accertato che il Pe. non stava demolendo la capriata e che erano nella disponibilità dei lavoratori le attrezzature necessarie non può ritenersi sussistente alcuna omissione valutativa da parte del datore di lavoro.

Anche relativamente alla delega rilasciata al geom. Ri., la sentenza è censurabile in quanto il delegato era dotato di sufficiente autonomia finanziaria ed inoltre è errato l'assunto del Tribunale circa il limite normativo alla delega, poiché ciò che non è delegabile è esclusivamente la valutazione del rischio e non la scelta delle attrezzature (che, peraltro, nel caso erano a disposizione dei lavoratori). In particolare, e soprattutto, è pacificamente delegabile la scelta delle attrezzature da utilizzare di volta in volta per le specifiche opere.

Peraltro, la Li. è notoriamente una ditta virtuosa per quanto riguarda la sicurezza, come del resto risulta dalla documentazione prodotta.

Infine, il Tribunale non ha considerato i rilievi difensivi circa le lesioni patite dal lavoratore, la cui durata è dipesa dalla tardiva diagnosi della frattura del bacino dallo stesso riportata. Con istanza rivolta al primo Giudice si era richiesta una perizia medico legale, sul superamento della durata di 40 giorni di malattia e sui postumi riportati, che non possono essere imputati al Li. se derivano da omissioni o fatti colposi di terzi.

Chiede pertanto l'assoluzione dell'imputato per non aver commesso il fatto.

All'odierna udienza, alla presenza dell'appellante, all'esito della discussione le parti hanno concluso come in atti.

Ritiene la Corte che l'appello sia fondato e debba trovare accoglimento. Va premesso che può condividersi l'assunto, sostenuto dal Procuratore Generale nella sua requisitoria, che costituisce circostanza irrilevante ai fini che ci occupano quella relativa all'attività espletata dall'operaio al momento della caduta (che si sostiene non di demolizione, ma di recupero degli attrezzi) trattandosi, comunque, di mansione inerente l'attività lavorativa demandata al dipendente. Peraltro, dalla lettura della documentazione prodotta dalla Difesa e dalla deposizione della parte offesa Pe. emerge che la demolizione della struttura, nei giorni precedenti all'infortunio, era stata realizzata con l'ausilio di un ponteggio dell'altezza di 2 metri, e che i punti di taglio delle capriate (che venivano successivamente sollevate con la gru) erano all'altezza di 3,30-3,40 metri e, quindi, all'altezza del busto del lavoratore collocato sul ponteggio. La diversa ricostruzione delle modalità di demolizione prospettata dall'isp. Ma., secondo la quale, oltre al ponteggio veniva utilizzata la scala pioli per raggiungere la quota più alta delle capriate (oltre m. 4), non solo risulta il frutto di una ricostruzione a posteriori (poiché il verbalizzante è intervenuto ad oltre 3 anni dai fatti, senza quindi poter direttamente verificare le attrezzature utilizzate) ma non pare conciliabile con la descrizione delle modalità operative resa al dibattimento dal lavoratore e dello stesso geom. Ri.

Deve ritenersi accertato, infine, che, al momento dell'infortunio, la demolizione della struttura era stata sospesa, non potendo procedersi, per ragioni tecniche, al distacco dell'ultima capriata con le modalità in precedenza adottate (teste Pe.). Dunque, pur in presenza di un ponteggio adiacente alla scala, nell'occasione, l'operaio aveva provveduto al recupero della mola utilizzata per il taglio delle capriate, servendosi della scala anziché del ponteggio stesso. Va quindi rilevato che nell'incertezza probatoria circa l'inidoneità della tipologia delle attrezzature utilizzate e circa l'idoneità delle stesse a prevenire gli infortuni e, per converso, nella certezza della presenza di più ponteggi a disposizione dei lavoratori, fra i quali certamente uno già installato, non possono ritenersi provate, oltre ogni ragionevole dubbio, le ipotesi di colpa specifica contestate al Li., non risultando accertate le omissioni valutative e dispositive descritte in imputazione, in ordine all'attività di demolizione della tettoia in carpenteria metallica, e, risolvendosi, di conseguenza, l'ulteriore contestazione di colpa generica nell'omesso controllo del lavoratore nello svolgimento dell'attività demandata. In tale prospettiva assume rilievo la questione attinente alla validità ed efficacia della delega (documentata in atti e regolarmente comunicata agli uffici competenti all'atto del rilascio) conferita al geom. Ri., direttore del cantiere. La delega in questione risulta prodotta in giudizio (doc. 1/A e 1/B) ed il Giudicante escludendone l'efficacia esimente della responsabilità del datore di lavoro, non ne contesta la validità formale, assumendone, invece l'inefficacia per un duplice profilo: in fatto, per il difetto di autonomia finanziaria del delegato ed in diritto, per l'impossibilità di delegare la scelta delle attrezzature di lavoro, normativamente stabilita dall'art. 4 co. 1 e 4 ter D.Lgs. 626/94.

L'assunto non può essere condiviso. Non solo l'atto di nomina a direttore di cantiere contenente la delega per la sicurezza prevede "piena autonomia finanziaria e gestionale" del geom. Ri. in ordine ai poteri delegati" (cfr. f. 3 doc 1/A), ma lo stesso Ri. nelle dichiarazioni rese in udienza, in realtà, non ha negato l'autonomia decisionale e finanziaria in materia di sicurezza e prevenzione antinfortunistica (aff. 20), limitandosi ad affermare che non avrebbe potuto affrontare spese esorbitanti senza l'autorizzazione del datore ("avevo autonomia, sì, però non è che potevo andare a comprare un camion" - aff. 23 verb. stenotipico). Il che non significa negare l'autonomia negli acquisti degli usuali presidi antinfortunistici. Peraltro, per dichiarazione dello stesso Ri., la società era dotata di notevoli attrezzature ed ogni richiesta in materia antinfortunistica non era stata mai disattesa.

Inoltre, in diritto, come la Suprema Corte ha avuto modo di precisare proprio nella sentenza n. 8620/2008 citata dal primo Giudice, deve osservarsi che il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 1, comma 4 ter, (nella parte in cui richiama il contenuto dell'art. 4, comma 1) prevede che sia indelegabile la valutazione dei rischi per la sicurezza, e la salute dei lavoratori nella scelta delle attrezzature di lavoro, mentre non contempla che sia indelegabile l'esecuzione di attività che abbiano formato oggetto di detta valutazione, ed in particolare gli obblighi che possono emergere successivamente alla scelta dell'attrezzatura di lavoro. In sostanza, l'art. 1, comma 4 ter del decreto citato sancisce l'ammissibilità della delega di tutte le attività non espressamente escluse, in particolare di tutti gli altri doveri imposti al datore di lavoro. Se, dunque devono ritenersi delegabili "gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro", in presenza di delega valida ed efficace il delegato subentra nella posizione di garanzia esonerando il datore di lavoro da responsabilità.

Nel caso, si è in presenza di una procura valida ed efficace nei confronti di persona qualificata e costantemente presente in cantiere (cfr. teste Pe. e Ri.), di autonomia di poteri decisionali e di spesa da parte del delegato, di un impresa che, per le sue dimensioni (cfr. teste Ma. che ha riferito delle notevoli dimensioni dell'impresa Li.) giustificava il decentramento di compiti e responsabilità. Tali circostanze non possono che condurre alla assoluzione del legale rappresentante della società Li. S.r.l. per non aver commesso il fatto. La conclusione raggiunta esime la Corte dall'esaminare le ulteriori questioni sollevate dall'appellante, che devono ritenersi assorbite.

P.Q.M.



Visto l'art. 605 c.p.p.,

in riforma della sentenza impugnata assolve Li. dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto.

Fissa il termine di giorni trenta per il deposito della sentenza.