Categoria: Cassazione penale
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Cassazione penale, Sez. 4, 20 dicembre 2011, n. 46950 - Ponteggio precario privo di parapetti e tavole fermapiede: crollo dell'impalcatura e lesioni personali a due lavoratori


 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Presidente -
Dott. ROMIS Vincenzo - Consigliere -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - rel. Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
1) G.C.D. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 1392/2009 CORTE APPELLO di LECCE, del 18/10/2010;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 27/10/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Cons. Luigi Riello, che ha concluso per la inammissibilità del ricorso.

 

Fatto

 


1. G.C.D. è stato chiamato a rispondere del reato di cui all'art. 590 c.p., per aver cagionato a B.G. e N.F. lesioni personali con violazione della normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro in quanto "adibiva gli stessi alla realizzazione di un muro ponendo a loro disposizione un ponteggio precario (cavalletti in ferro e ponti di legno) ad altezza di circa metri 2,50, privo di parapetti e tavole fermapiede, con tavole di impalcato non fissate; sicchè a seguito del crollo del ponteggio, le vittime rovinavano al suolo riportando lesioni guaribili in giorni 62 per B. e giorni 239 per N..

Il fatto era avvenuto (Omissis), in un cantiere edile impiantato dalla Edil G. S.r.l., il cui amministratore era appunto G.C.D., che aveva preso in appalto i lavori di costruzione del muro.

B. era in piedi su un ponteggio più alto, a 6 - 7 m dal suolo, e N. gli passava i mattoni, trasportandoli su una passerella posta più in basso a 3 m. da terra. Si accertava che ponteggio e passerella erano privi di parapetti e tavola fermapiede, le assi di legno che costituivano la pavimentazione di ponteggio e passerella non erano fissate in alcun modo, ma solo poggiate per il ponteggio su cavalletti metallici e per la passerella su sporgenze dei muri preesistenti; gli operai non erano dotati di presidi antinfortunistici, quali scarpe antiscivolo, cinture o da altro; essi avevano rappresentato al G. l'evidente pericolosità della situazione e per risposta si erano sentiti dire che se non avevano voglia di lavorare, potevano anche andare a casa.


Entrambi i giudici hanno ritenuto la responsabilità del G., che è stato condannato ad un anno di reclusione con sospensione condizionale subordinata all'integrale risarcimento del danno.

In particolare la corte d'appello, con la sentenza qui impugnata, metteva in evidenza che dal complesso delle testimonianze assunte si evinceva in maniera limpida che le lesioni riportate da B. e N. erano riconducigli al crollo dell'impalcatura e della passerella su cui essi si trovavano, conseguiti al cedimento delle pedane; di conseguenza risultava praticamente irrilevante stabilire se vi fossero il passamano e le ringhiere a norma perchè l'esistenza di tali cautele sarebbe stata comunque di fatto irrilevante rispetto alle modalità del sinistro. La corte riteneva altresì che non si potesse diversamente ritenere in relazione al contratto di appalto stipulato con la ditta D.R. Emanuele, in quanto tale contratto era privo di data certa; non poteva darsi credito alla tesi dell'imputato secondo cui egli aveva subappaltato a tale ditta la costruzione del muro e che, come espressamente previsto nel contratto, tutti gli obblighi di sicurezza erano stati trasferiti ad essa. La corte osservava che in ogni caso, anche volendo attribuire rilevanza al contratto di subappalto, l'accertamento della responsabilità del G. era comunque corretto, atteso che è orientamento costante della giurisprudenza della Corte di Cassazione quello secondo cui la responsabilità dell'impresa principale concorre con quella dell'impresa subappaltatrice laddove la prima ha il controllo dell'intero cantiere (sez. 4^ 15 dicembre 2005 n. 5977);
ebbene nella specie gli infortunati erano stati assunti del G., sia pure dopo l'incidente, e non poteva dunque discutersi sul fatto che la responsabilità del cantiere e l'obbligo di tutela dei lavoratori fosse in capo all'imputato; inoltre l'oggetto dell'appalto era comunque limitato alla realizzazione delle murature a rustico; il piano di sicurezza avrebbe dovuto pertanto essere predisposto dalla ditta del G., ma di esso non vi era traccia.

2. Avverso la sentenza resa in grado di appello ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell'imputato.

Con un primo motivo deduce errata applicazione di legge in relazione all'articolo 590 del codice penale, al D.P.R. n. 164 del 1956, art. 51, e all'art. 43 c.p., comma 1, terzo alinea. Sostiene che il capo di imputazione faceva esclusivo riferimento alla mancanza di parapetti e tavole fermapiede; di tale condotta e solo per questa doveva essere giudicato l'imputato; e poichè nel corso dell'istruttoria dibattimentale, ed anche secondo quanto affermato dalla corte d'appello, la presenza di parapetti e tavole fermapiede sull'impalcatura poi crollata era stata positivamente accertata, si doveva escludere la responsabilità dell'imputato. Ribadisce poi che avrebbe dovuto ritenersi la esclusiva responsabilità del D.R. poichè dalla semplice lettura del contratto di subappalto tra G. e la ditta D.R. Emanuele risultava che il primo era stato esonerato da qualsiasi responsabilità derivante da infortunio sofferto in dipendenza dell'appalto stesso; la mancanza di data su un contratto non è certamente causa di nullità dello stesso; il contratto era sicuramente precedente alla data dell'incidente dato che nel contratto era previsto l'obbligo di consegna del manufatto non oltre il maggio 2005. Sostiene inoltre che la regola cautelare asseritamente violata, cioè quella di non avere predisposto idonei parapetti e fermapiede, era irrilevante in riferimento all'infortunio avvenuto dal momento che l'impalcatura era collassata su sè stessa.
Con un secondo motivo deduce mancanza, manifesta illogicità della motivazione per quanto riguarda il fatto che la condanna dell'imputato poggia sostanzialmente sulle dichiarazioni testimoniali rese dal D.R., interessato in quanto effettivo datore di lavoro dei due infortunati e sulle dichiarazioni rese dalle stesse persone offese; non si è però tenuto conto dell'interesse che tale persone avevano nel processo e quindi della scarsa attendibilità di quanto dagli stessi dichiarato.

Diritto


1. Il ricorso è inammissibile stante la genericità e la manifesta infondatezza di quanto dedotto.
I giudici di merito hanno puntualmente ricostruito le modalità dell'incidente nel senso sopra ampiamente riferito; già dalla sentenza di primo grado risulta che le assi di legno che costituivano la pavimentazione del ponteggio su cui lavorava il B. e della passerella su cui si trovava N. non erano fissate in alcun modo, ma erano semplicemente appoggiate ai cavalletti e alle sporgenze sottostanti e che questa è stata la causa per la quale il ponteggio ha collassato e i due operai sono caduti. L'imputato pretende di ignorare tale ricostruzione fattuale, e la sua pretesa non può che essere sanzionata dalla inammissibilità. Analogamente per il preteso subappalto da cui si vuole far derivare l'esenzione di responsabilità in capo al G.; correttamente i giudici di merito hanno infatti osservato che non può attribuirsi a un tale contratto rilevanza alcuna, non essendo certa la data alla quale lo stesso risale e che in ogni caso la responsabilità dell'imputato derivava dal fatto che a lui spettava l'obbligo di coordinare l'intero cantiere.
Del tutto generico è poi il richiamo alla necessità che le dichiarazioni testimoniali, specie quando rese da chi riveste la qualità di persona offesa dal reato o da soggetti ad altro titolo controinteressati, siano soggette a un congruo vaglio di attendibilità da parte del giudice, atteso che un tale richiamo non fa altro che evocare un evidente e pacifico canone di giudizio, di cui nella specie non vi è ragione di dubitare; esso viene posto in dubbio solo in astratto, senza minimamente indicare quali sarebbero state le testimonianze disattese e quelle inattendibili e risulta dunque privo di consistenza.


2. Conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e da ciò deriva l'onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma in favore delle cassa delle ammende che, in considerazione dei motivi dedotti, stimasi equo fissare, anche dopo la sentenza della Corte Cost. n.186 del 2000, in Euro 1.000,00 (mille/00).


P.Q.M.

- Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonchè al versamento di 1.000,00 Euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 27 ottobre 2011.
Depositato in Cancelleria il 20 dicembre 2011