Cassazione penale, Sez. 1, 25 novembre 2011, n. 43753 - Violazione della disciplina dello smaltimento di rifiuti pericolosi e della sicurezza sul lavoro


 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIOTTO Maria Cristina - Presidente -
Dott. ZAMPETTI Umberto - rel. Consigliere -
Dott. VECCHIO Massimo - Consigliere -
Dott. CAIAZZO Luigi - Consigliere -
Dott. TARDIO Angela - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
1) G.G. N. IL (Omissis);
avverso l'ordinanza n. 533/2010 TRIB. SORVEGLIANZA di BOLZANO, del 01/03/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO ZAMPETTI;
lette le conclusioni del PG Dott. G. Mazzotta che ha chiesto annullamento con rinvio.

 

FattDiritto



1. Con ordinanza in data 01.03.2011 il Tribunale di Sorveglianza di Bolzano rigettava la domanda di riabilitazione proposta da G. G., rilevando come lo stesso -condannato per smaltimento non autorizzato di rifiuti e scarico di materiali in acque pubbliche - fosse stato poi denunciato per la violazione della disciplina dello smaltimento di rifiuti pericolosi ed in materia di sicurezza sul lavoro (nel 2002 e 2008), fatti per i quali aveva effettuato oblazione, nonchè fosse stato di recente segnalato anche per violazione degli artt. 650 e 659 c.p..
In definitiva - osservava il Tribunale - non poteva ritenersi che il G. avesse fornito prove effettive e costanti di buona condotta.

2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l'anzidetto G. che motivava l'impugnazione deducendo: - il Tribunale aveva fondato la sua decisione sulla informativa della p.g., senza acquisire per più completo esame gli atti ivi richiamati; - non erano stati considerati gli aspetti di buona condotta sociale, lavorativa e familiare; - i fatti oggetto di oblazione non potevano fondare giudizio negativo; - le segnalazioni ex artt. 650 e 659 c.p., erano ancora subjudice.


3. Il Procuratore generale presso questa Corte depositava quindi requisitoria con la quale richiedeva annullamento dell'impugnata ordinanza.

4. Il ricorso, infondato, non può trovare accoglimento.

Del tutto correttamente, invero, l'impugnata ordinanza ha informato il suo giudizio al dettato normativo (v. art. 179 c.p., comma 1) secondo cui la chiesta riabilitazione può essere concessa, in presenza di ogni altra condizione, solo allorchè risulti provato che il condannato "abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta". Tale fondamentale presupposto può essere riconosciuto, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimità, solo nella accertata insussistenza di elementi di contraria valutazione che abbiano incidenza sul piano socio-giuridico. Ed invero il concetto di "buona condotta", a questi fini, intende indicare (proprio perchè non viene usata la perifrasi "mancanza di ulteriori condanne") il complesso della gestione della vita civile dell'istante (lavoro, famiglia, atteggiamenti sociali di tipo collaborativo, ecc.) che, esclusa ogni valutazione di tipo meramente moralistico, non sia però ridotta al solo piano giuspenalistico. In tal senso deve ritenersi dunque pacifico che anche l'eventuale formale incensuratezza, nel periodo successivo alla condanna, di per sè possa non essere sufficiente alla chiesta riabilitazione, ove emergano elementi riferibili al condannato che, singolarmente (se particolarmente gravi) o complessivamente, non consentano di pervenire alla conclusione della sussistenza del requisito della buona condotta come sopra intesa. Ciò posto, è evidente che il Tribunale di competenza sia ben legittimato a fondare il suo giudizio anche in relazione a condotte, riferibili all'istante, che abbiano dato luogo a procedimenti penali (salvo sempre il rispetto del giudicato che abbia consacrato l'insussistenza del fatto o l'estraneità dell'interessato), volgendo il suo esame - in via incidentale, a questi fini - alla sostanza storica dell'addebito, onde ricavarne elementi utili al giudizio di effettività, aut difetto, della richiesta costante buona condotta. Tanto ritenuto, occorre allora rilevare come, nella fattispecie, l'esito estintivo del reato, a seguito di oblazione, non possa essere addotto in favore del richiedente, come fosse ex se determinante, posto che l'estinzione del reato -esito che rimane sul piano giuspenalistico - non può annichilire la sostanza storica della condotta sottostante (violazione delle norme di prevenzione degli infortuni nei cantieri e violazione della disciplina dello smaltimento di rifiuti pericolosi).
Altrettanto è a dire per le denunce in ordine a fatti rilevanti ex artt. 650 e 659 c.p., per le quali risulta legittimo l'esame incidentale senza attendere l'esito giudiziario, ove dalle relative informative emergano con particolare evidenza elementi di condotta che -proprio in quanto esaminabili in funzione dell'imprescindibile valutazione del ravvedimento del condannato- smentiscano la predicata buona condotta, al di là del profilo più strettamente penalistico.


In tal senso risulta, nella presente vicenda, del tutto sintomatico, in senso non positivo, che si tratti di violazioni a normativa posta a tutela di beni di alto valore sociale, quali la sicurezza dei lavoratori o la salvaguardia dell'ambiente (con maggiore pertinenza in una zona ad alta vocazione turistica, tutelata in modo speciale per la sua bellezza naturalistica), per di più ricollegabili in modo funzionale all'attività lavorativa del G. (titolare di impresa edile). Nè può sfuggire, allora, che si tratti di condotte antisociali del tutto conformi al precedente di condanna (in tema di rifiuti e di smaltimento delle acque) rispetto alla quale si chiede la riabilitazione. Dunque una sorta di "recidiva" socio-ambientale.

Consegue quindi che gli elementi pur indiscutibilmente positivi ricavabili da altri profili della personalità del richiedente non possano avere la forza di superare - ai fini in questione - le suddette controindicazioni, posti i severi limiti normativi che impongono che la buona condotta non sia solo settoriale (famiglia e lavoro), ma globale (su ogni aspetto), e "costante", dunque senza ricadute, ancorchè sporadiche, in comportamenti antisociali, e che pretendono anche il necessario profilo del risarcimento dei danni (logicamente non toccato dall'ordinanza che ha esaurito il suo giudizio negativo sui prioritari termini della condotta). In un esame sistematico, del resto, che tenga conto dell'evidente coerenza dell'ordinamento in tema di valutazione delle condotte post condanna, non può non rilevarsi che anche in ordine al giudizio da compiere (sempre dal Tribunale di Sorveglianza) in funzione di ogni beneficio penitenziario (da applicare o revocare), sia ben legittimo l'esame incidentale delle condotte sopravvenute (senza attendere il giudicato), così come sia necessaria la valutazione dei fatti stessi in senso sostanziale (proprio in relazione al necessario raggiungimento di un reale ravvedimento) al di là dei formali profili processualpenalistici.


Ritenuto pertanto che, ciò posto, il Tribunale di Sorveglianza ha condotto il suo esame alla stregua dei parametri giurisprudenziali come sopra riaffermati, esaminando, sia pur in modo sintetico, ma effettivo, le violazioni ascritte al G. al di là del formale esito giudiziario (peraltro nel ricorso si sostiene - erroneamente - l'efficacia taumaturgica dell'oblazione, ma non si negano i fatti sottostanti in sè), consegue che l'impugnata ordinanza risulti immune dai denunciati vizi.

In definitiva il ricorso, infondato, deve essere rigettato. Alla completa reiezione dell'impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.


P.Q.M.



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente G.G. al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 novembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 25 novembre 2011