Categoria: Giurisprudenza civile di merito
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Tribunale di Bologna, Sez. Lav., 15 dicembre 2011 - Mobbing e risarcimento danni


 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI BOLOGNA

SEZIONE LAVORO


Il giudice unico

Dott.ssa Maria Luisa Pugliese

della sezione per le controversie del lavoro

ha pronunciato la seguente

SENTENZA



nella controversia iscritta al n. 1264/2008 ruolo generale, sezione lavoro, promossa

Da

Pe.An.

Avv. Gi.Ma. come in atti

ricorrente

contro

Società (...) S.r.l.

Avv. R.Cr. come in atti

convenuta

In punto a: risarcimento danni.

 

 

Fatto

 

Con ricorso depositato in data 11.4.2008 An.Pe. adiva il Tribunale del Lavoro di Bologna, affinché, in contraddittorio con Società (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, venisse accertata e dichiarata l'illegittimità del comportamento tenuto nei suoi confronti dal datore di lavoro Società (...) S.r.l. e della conseguente condotta vessatoria posta in essere dalla convenuta a suo danno a partire dalla primavera del 2004 sino al licenziamento comunicato con missiva del 21.7.2005, con conseguente condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, biologico, morale ed esistenziale nella misura determinato nelle conclusioni del ricorso in complessivi Euro 90.378,72 comprensivi delle, spese documentate, ovvero in quell'altra, diversa somma ritenuta di giustizia alla luce delle risultanze istruttorie.

Esponeva, a riguardo, di aver svolto attività di lavoro subordinato alle dipendenze di Società (...) S.r.l. della CISL di Imola dal 1.3.1994 al 21.7.2005 come impiegata di I livello del CCNL di categoria con funzioni di responsabile del servizio fiscale, che il rapporto di lavoro si era svolto regolarmente sino al maggio - giugno 2004 quando si era deteriorato avendo avuto inizio, nei suoi confronti, da parte dei superiori e dei colleghi, comportamenti volti a isolarla ed estrometterla dall'ambiente di lavoro sino al suo licenziamento "per motivi disciplinari", comunicatole mentre si trovava in malattia; che dai suddetti comportamenti le era derivato un danno alla salute essendole comparse patologie tra cui ipertensione, crisi nervose e stati d'ansia; che si era sottoposta a terapie mediche avendo contratto debolezza fisica, psichica e gravi, ulteriori malattie a causa dei postumi della pressione psicologica subita sul lavoro.

Si costituiva Società (...) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, contestando l'an ed il quantum delle pretese risarcitorie e chiedendo il rigetto del ricorso.

All'udienza del 23.10.2008 veniva esperito con esito negativo il tentativo di conciliazione.

Con ordinanza emessa in data 17.12.2008 venivano ammesse le prove testimoniali dedotte da entrambe le parti.

La causa veniva istruita mediante lo svolgimento delle prove orali e l'esame dei documenti prodotti dalle parti; veniva altresì ammessa la consulenza tecnica d'ufficio a carattere medico legale sulla persona del ricorrente.

Il giudice adito fissava per la discussione l'udienza del 24.5.2011 che non si teneva, a causa dell'applicazione del giudicante alla Corte d'Appello di Bologna.

All'udienza dell'8.11.2011, la causa veniva discussa e decisa come da dispositivo di cui era data lettura in udienza.

 

Diritto

 

Il ricorso è fondato e viene accolto per le ragioni che seguono.

In diritto si osserva che la fattispecie di mobbing assume rilevanza giuridica solo qualora presenti i requisiti previsti dalla legge e meglio precisati dalla giurisprudenza, ben potendo il fenomeno sussistere dal punto di vista delle scienze sociali e umanistiche ma non sul piano giuridico. "La situazione concretamente verificatasi va dunque calata nel contesto della singola azienda o reparto e deve essere protratta per un apprezzabile periodo temporale in modo da distinguerla dalle normali situazioni di conflitto puro e semplice tra le parti del rapporto di lavoro" (Tribunale Vicenza sez. lav. sentenza n. 318/2007).

Secondo la giurisprudenza di legittimità, "per "mobbing" si intende comunemente una condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell'ambiente di lavoro, che si risolve in sistematici e reiterati comportamenti ostili, che finiscono per assumere forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica, da cui può conseguire la mortificazione morale e l'emarginazione del dipendente, con effetto lesivo del suo equilibrio fisiopsichico e del complesso della sua personalità.

Ai fini della configurabilità della condotta lesiva del datore di lavoro sono pertanto rilevanti i seguenti elementi: a) la molteplicità dei comportamenti a carattere persecutorio, illeciti o anche leciti se considerati singolarmente, che siano stati posti in essere in modo miratamente sistematico e prolungato contro il dipendente con intento vessatorio e che devono essere oggetto di una valutazione complessiva da parte del giudice, dovendo essere inseriti nel contesto dinamico evolutivo del mobbing; b) l'evento lesivo della salute o della personalità del dipendente; c) il nesso eziologico tra la condotta del datore di lavoro o del superiore gerarchico e il pregiudizio all'integrità psico - fisica del lavoratore; d) la prova dell'elemento soggettivo, cioè dell'intento persecutorio".

Gli elementi costitutivi del mobbing sono dunque uno di tipo oggettivo (ripetuti soprusi patiti dalla vittima) e uno di tipo soggettivo (dolo generico e specifico di nuocere psicologicamente al lavoratore al fine di emarginarlo ed allontanarlo dall'azienda (Cass. civ. lav. n. 4774/2006; Cass. civ. lav. 22893/2008; Cass. civ. lav. n. 22858/2008; Cass. civ. n. 3785/2009).

Lo specifico intento persecutorio che sorregge il mobbing e la sua protrazione nel tempo lo distinguono da singoli atti illegittimi quali la dequalificazione ex art. 2103 c.c.

Ciò premesso, posto che il fondamento dell'illegittimità del mobbing è costituito dall'obbligo datoriale ex art. 2087 c.c. di adottare le misure necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale del prestatore, sussiste la responsabilità del datore di lavoro - su cui incombono gli obblighi ex art. 2049 c.c. - anche ove la condotta di mobbing provenga da altro dipendente posto in posizione di supremazia gerarchica rispetto alla vittima, qualora lo stesso datore di lavoro sia rimasto colpevolmente inerte nella rimozione del fatto lesivo, dovendosi escludere la sufficienza di un mero (e tardivo) intervento pacificatore, non seguito da concrete misure e da vigilanza (Cass. civ. lav. n. 22858/2008).

Sul lavoratore incombe l'onere di provare i fatti costitutivi ovvero l'elemento oggettivo e soggettivo delle condotte vessatorie e "mobbizzanti", l'effettività del danno ed il nesso causale. Svolta tale premessa a livello di teoria generale, il giudicante ritiene che, all'esito dell'istruttoria orale e dell'esame dei documenti prodotti da entrambe le parti, la ricorrente abbia ampiamente assolto l'onere sulla stessa incombente di provare che i comportamenti indicati nel ricorso quali condotte di mobbing siano state poste in essere in modo sistematico e prolungato e con intento vessatorio nei suoi confronti e che sussista un nesso causale tra l'asserito inadempimento contrattuale e il lamentato danno all'integrità psico - fisica, alla personalità morale ed alla professionalità del lavoratore.

In particolare, le deposizioni dei testi Ma.Za., Ci.Sa., Ca.Br., Da.Fr. hanno dato conferma di tutti i comportamenti vessatori di cui la ricorrente si duole nel ricorso: è stato infatti confermato che Br. e Fr. presero la decisione di modificare la password di "supervisione dell'utilizzo del computer (della ricorrente) e di bloccarne l'utilizzo"; venne inoltre disattivato il cellulare della ricorrente e le venne cambiata la serratura del suo ufficio, nel giugno 2005; è stato riferito inoltre che Br. e Fr. invitavano gli impiegati a disattendere sistematicamente le direttive impartite dalla ricorrente e ciò avvenne dall'inizio del 2005 all'inizio del periodo di malattia della ricorrente (teste Sa.; teste Za.). Br. e Fr., rispettivamente amministratore delegato della società convenuta e segretario di CISL da giugno 2004 hanno giustificato i comportamenti vessatori posti in essere nei confronti della ricorrente dichiarando che il cambio della password venne effettuato su tutti i computer e che "il cambio doveva diventare una buona abitudine", che venne disattivata l'utenza telefonica della ricorrente in quanto l'azienda ricevette una bolletta molto alta e, non riuscendo a mettersi in contatto con la ricorrente, pensarono che il telefono fosse stato sottratto o perduto; che la revoca, nell'ottobre 2004, della ricorrente dalla carica di amministratore delegato avvenne su richiesta della stessa.

La ricorrente ha pertanto dato prova di essere stata vittima di una condotta aggressiva e vessatoria da parte di Br. e Fr., suoi preposti, che progressivamente l'hanno esautorata dai compiti di responsabilità del servizio fiscale e l'hanno estromessa dalla carica societaria di amministratore delegato.

Pertanto viene accertata la responsabilità della convenuta ex art. 2087 c.c. per aver posto in essere condotte "mobbizzanti" a carico di An.Pe. nel periodo di cui è causa.

Venendo alla liquidazione del pregiudizio, patrimoniale e non, patito dal ricorrente, appaiono condivisibili, in quanto ampiamente argomentate ed esenti da vizi o contraddittorietà logico - giuridiche, le conclusioni cui è pervenuto il consulente d'ufficio al termine di approfondite indagini medico - legali.

Per quel che concerne il danno c.d. biologico, quale menomazione dell'integrità psico - fisica della persona in sé considerata, medicalmente accertabile e riconducibile, di conseguenza, a tutte le funzioni naturali afferenti al soggetto danneggiato ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, relazionale ed esistenziale (v. ad es. Cass. Civ. n. 24451/05 e da ultimo Cass. S.U. n. 26972/2008), giova, in primo luogo, osservare che esso, secondo l' orientamento condivisibile della Corte di legittimità (v. Cass. Civ. n. 8827/03; Cass. Civ. 8828/03) e della stessa Consulta (v. Corte Cost. n. 233/03), e, quindi, alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 cod. civ., il danno biologico va ricondotto all'interno della generale categoria del danno non patrimoniale quale lesione di un valore costituzionalmente rilevante e protetto (art. 32 Cost.).

Nel caso di specie, il C.T.U. ha stimato l'incidenza negativa delle riscontrate condotte vessatorie sulla salute della ricorrente avendo rilevato che Pe.Ca. presenta "un Disturbo Somatoforme Indifferenziato di grado moderato, associato a un disturbo d'Ansia, in assenza di significative alterazioni del tono dell'umore. Tale disturbo associato all'astenia e alla cefalea altera significativamente la cenestesi della persona e ne limita la capacità lavorativa, la vita sociale e relazionale, comporta una menomazione dell'integrità psicofisica ovvero di un danno biologico di carattere permanete la cui stima viene qui proposta nella misura dell'8%..." (ctu, pag. 181).

Può dunque concludersi, in pieno accordo con le valutazioni del c.t.u., che la ricorrente abbia nel complesso riportato una menomazione permanente dell'integrità psicofisica pari all'8%.

La liquidazione del danno biologico è necessariamente equitativa (ex plurimis, Cass. 11 agosto 1997 n. 7459); è tuttavia necessario tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto (Cass. 20 aprile 2001 n. 5910), e, specificamente, della particolare lesione dell'organismo e del grado di menomazione dell'integrità fisica e psichica, della gravita delle lesioni, degli eventuali postumi permanenti, dell'età, delle condizioni sociali e familiari del danneggiato; è poi necessario analizzare il danno biologico nei distinti momenti, dell'inabilità temporanea e dell'invalidità permanente (Cass. 15 settembre 1995 n. 9725), differenziandolo dal danno patrimoniale e dal danno morale (Cass. 2 ottobre 1997 n. 9626).

In questa valutazione, questo giudice ritiene opportuno utilizzare i criteri predeterminati e standardizzati indicati nelle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano, effettuando un'adeguata valutazione del caso concreto che tenga conto della quantificazione dei danni determinata dal consulente tecnico d'ufficio nonché di tutte le circostanze del caso ed in particolare dell'età del soggetto, della durata della malattia e dell'entità dei postumi, differenziando il danno biologico da invalidità temporanea (con l'indicazione del valore unitario per giorno) da quello derivante da invalidità permanente).

Si può concludere che il danno biologico da invalidità permanente, calcolato mediante tali criteri generali e astratti, ammonta ad Euro 13.670,00.

Con riferimento al danno biologico da invalidità temporanea, si osserva che il ctu medico legale, con valutazione pienamente condivisibile, ha ritenuto di poter far coincidere l'inabilità temporanea totale con il periodo di ricovero trascorso presso l'Ospedale di Imola di sette giorni, dal 17.3.2005 al 23.3.2005 e quella parziale al 50% con le assenze per malattia per un totale di circa trenta giorni, coincidenti con i periodo di assenza dal lavoro elencati alla pagina 19 della CTU.

Considerato che la durata della malattia comporta la temporanea sospensione - in tutto o in parte - delle pregresse facoltà realizzatrici del soggetto leso nei vari aspetti esistenziali (cfr. Cass. n. 9725/95) e avuto riguardo ai criteri di determinazione del danno da invalidità temporanea stabiliti nelle tabelle sopra indicate, questo giudice ritiene che la somma di Euro 840,00 a titolo di indennità per l'inabilità temporanea assoluta, e di Euro 1800,00 a titolo di indennità per inabilità temporanea parziale al 50% sia idonea a risarcire equamente il danno biologico e patrimoniale (quale danno da diminuzione della capacità lavorativa) da inabilità temporanea subito dal ricorrente.

Infine, deve essere risarcito il danno patrimoniale emergente consistente nell'esborso di denaro effettuato per le necessarie cure mediche, che è stato dimostrato con la produzione dei documenti di spesa, non contestati dalla convenuta e che viene, quindi, liquidato nel complessivo ammontare di Euro 7.745,12, oltre alla rivalutazione monetaria dal dovuto alla pronuncia della presente sentenza.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della convenuta.

 

P.Q.M.

 

Il Giudice

1. accerta e dichiara che la ricorrente ha subito, a causa degli inadempimenti della convenuta, un danno all'integrità psicofisica; per l'effetto condanna la convenuta al risarcimento del danno in suo favore; per inabilità temporanea al 100% che liquida in Euro 840,00 al 50% che liquida in Euro 1.800,00 e permanente che liquida in Euro 13.670,00 oltre accessori di legge dalla mora al saldo; condanna la convenuta al rimborso delle spese mediche documentate pari a Euro 7.745,12;

2. condanna la convenuta alla rifusione delle spese del processo che liquida in Euro 90,00 per spese Euro 1549,00 per diritti ed Euro 3.250,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA;

3. pone definitivamente a carico della convenuta le spese della CTU già liquidate con separato decreto.