Cassazione Penale, Sez. 4, 26 maggio 2004, n. 24010 - Omessa modifica del piano di sicurezza, infortunio mortale e responsabilità di un coordinatore per l'esecuzione


 

 

 

 



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg:
Dott. Giovanni Silvio Coco - Presidente -
1. Dott. Mariano Battisti - Consigliere -
2. Dott. Enzo Costanzo "
3. Dott. Antonio Spagnuolo "
4. Dott. Ettore Palmieri "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA


sul ricorso proposto da C. G., n. il ...omissis... e delle parti civili A. M. G., F. B. e A. B.
avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia del 14-6-2002
Visti gli atti, la sentenza denunziata ed il ricorso,
Udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere dott. A. Spagnuolo;
Udito il Pubblico Ministero in persona del sostituto dott. Mario Favalli, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Udito per la parte civile, l'Avv. Mara Zanotto
Uditi i difensori Luigi M. Mariani e Antonio Manca Graziadei

 

FattoDiritto

 

La Corte rileva.
1. Il 15 novembre 1999 in Cavaso del Tomba B. B. decedeva per le lesioni riportate nel crollo parziale di un muro perimetrale di un edificio rustico sul quale, essendo contitolare della ditta B. G. & C. s.n.c. appaltatrice dei lavori di ristrutturazione dell'immobile di proprietà di E. P., era intento ad eseguire lavori di scanalatura.
A seguito delle indagini investigative risultava che i lavori erano stati svolti senza il rispetto del piano di sicurezza del cantiere e in particolare con la rimozione, pochi giorni prima dell'incidente mortale, dei puntelli precedentemente collocati sulla parete crollata.

Sulla base di tali acquisizioni era tratto a giudizio, dinanzi al Tribunale di Treviso, il responsabile della sicurezza del cantiere (nonché direttore dei lavori e progettista) G. C., il quale, con decisione del 4 giugno 2001, era dichiarato colpevole dei reati di omicidio colposo e di violazione dell'art. 5 co. 1 del d.lgs. 494/1996.

La responsabilità dell'imputato, il quale veniva condannato alla pena ritenuta di giustizia e alla rifusione dei danni da liquidarsi in separata sede in favore delle parti civili (cui era anche riconosciuta una provvisionale), che era ravvisata nell'essere venuto meno l'interessato all'obbligo di modificare il piano di sicurezza in conseguenza della modifica dell'iter dei lavori e di sospendere, stante la gravità e l'imminenza del pericolo di crollo, l'operazione di scanalatura che il B. stava effettuando sul muro privo di qualsiasi puntellatura o ancoraggio.


La Corte di appello di Venezia, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la pronuncia di colpevolezza individuando peraltro un concorso di colpa della vittima determinato nella misura del 65%.


2. Propongono ricorso per cassazione l'imputato personalmente e le parti civili tramite il difensore. Il C. ha poi presentato anche memoria difensiva.
L'imputato deduce, con motivi variamente articolati, l'insussistenza della ritenuta posizione di garanzia e quindi di ogni nesso causale tra la propria condotta e l'evento, lamentando comunque il mancato giudizio di prevalenza delle concesse attenuanti generiche e l'omessa concessione dell'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 c.p..

Il ricorso non è fondato.

Per quanto riguarda la ritenuta responsabilità, la Corte distrettuale ha confermato la pronuncia di colpevolezza, considerando correttamente che l'imputato aveva dato causa all'evento letale non rispettando gli obblighi impostigli (per la sua qualità di coordinatore per l'esecuzione dei lavori dall'art. 5 del d.lgs. 494/1996).

Invero quest'ultimo provvedimento ha introdotto appunto la figura del coordinatore per l'esecuzione dei lavori al fine di assicurare, nel corso della effettuazione dei lavori stessi, un collegamento fra impresa appaltatrice e committente al fine di consentire al meglio l'organizzazione della sicurezza in cantiere. E il riferito art. 5 affida espressamente al coordinatore il compito di adeguare il piano di sicurezza in relazione all'evoluzione dei lavori e alle eventuali modifiche intervenute, vigilare sul rispetto del piano stesso e sospendere, in caso di pericolo grave e imminente, le singole lavorazioni. E il giudice dell'appello ha sottolineato che l'ordine di esecuzione delle opere, previsto dal piano di sicurezza, era stato modificato mediante la decisione (e le successive attività operative) di demolire il tetto e il vecchio solaio prima di completare i lavori interessanti i muri perimetrali.

Orbene tale demolizione aveva fatto venir meno i sostegni materiali dei riferiti muri, privati fra l'altro degli originari puntelli. In tale situazione l'imputato, presente quotidianamente in cantiere, avrebbe dovuto introdurre, prima della demolizione, le necessarie modifiche al piano di sicurezza e comunque, in caso di assenza di tali necessarie modifiche, disporre la sospensione dei lavori. Tale giudizio complessivo, fondato sulle emergenze processuali e sorretto da logico argomentare, non merita censure in questa sede.

Né il riconosciuto comportamento colposo della vittima costituisce evento idoneo ad escludere il rapporto di causalità in capo all'imputato, ponendosi come concausa valutabile in sede di quantificazione del danno.

E ancora non possono essere invocate le nuove disposizioni introdotte successivamente al fatto dal d.lgs. 528/1999 e che, secondo il deducente, avendo modificato la distribuzione delle competenze in tema di sicurezza dei cantieri di lavoro, imporrebbero l'applicazione dell'art. 2 c.p Infatti quest'ultima disposizione, che regola la successione nel tempo della legge penale, riguarda le norme che definiscono la natura sostanziale e circostanziale del reato e quelle extrapenali richiamate espressamente dal precetto, ma non anche, in materia di cautela, le altre che modifichino le posizioni di garanzia trasferendo (totalmente o parzialmente) ad altri il dovere di porre in essere comportamenti diretti a salvaguardare l'incolumità delle persone. Infatti non può non rispondere delle riscontrate omissioni e delle conseguenze da queste determinate chi aveva l'obbligo, in base alla normativa vigente al momento del fatto, di porre in essere le prescritte cautele.

Le censure riguardanti il trattamento sanzionatorio sono dal canto loro inammissibili, giacché per un verso la Corte del merito, con giudizio corretto e comunque non censurabile in sede dl legittimità, ha ritenuto che la gravità del fatto non consigliava un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche e, per l'altro, non risulta che vi sia stato l'integrale risarcimento del danno (tantè che le parti civili sono ancora in campo).

Le parti civili deducono invece carenza e manifesta illogicità della motivazione nonché erronea applicazione di norme penali ed extrapenali circa il riconoscimento del concorso di colpa della vittima nella misura del 65%. Il giudice dell'appello avrebbe affermato il concorso (in misura prevalente) della vittima alla determinazione dell'evento senza che fossero state provate la consapevolezza e l'accettazione del rischio da parte del B..

Le censure non sono fondate. Infatti la Corte lagunare ha evidenziato che lo stesso B., quale imprenditore impegnato nei lavori di restauro di vecchi immobili, aveva l'esperienza necessaria per rendersi conto del pericolo cui andava incontro e avrebbe dovuto evitare di iniziare a lavorare su di un muro pericolante e privo di ancoraggio senza predisporre misure precauzionali. Tale giudizio, sia pure nella sua sinteticità, appare congruo, collegato com'è a valutazioni corrette e comunque insindacabili in sede di legittimità in ordine all'asserita esperienza, che avrebbe dovuto indurre l'interessato a non affrontare una situazione caratterizzata da obiettiva pericolosità; tanto più che il B., quale contitolare della ditta appaltatrice, non poteva aver ricevuto da alcuno l'ordine di effettuare il fatale lavoro. La misura del 65%, determinata in via equitativa in modo non irragionevole, non può essere qui sindacata.


Da quanto precede discende il rigetto dei due ricorsi con la condanna dei ricorrenti al pagamento, in solido fra loro, delle spese processuali.

P.Q.M.


La Corte visti gli artt. 615 e 616 c.p.p. rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento, in solido fra loro, delle spese processuali.
DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 26 MAG. 2004