Cassazione Penale, 31 gennaio 2012, n. 3983 - Infortunio presso una cava e responsabilità per la mancata adozione di misure di sicurezza


 

 

 

Responsabilità di un direttore tecnico, responsabile della sicurezza, e di un preposto per infortunio ad un lavoratore: quest'ultimo, in servizio presso una cava ed addetto all'impianto di frantumazione, svolgeva mansioni di pulizia e rimozione dei detriti nel locale sottostante il frantoio, in prossimità di un nastro trasportatore quando, scivolando a causa del terreno viscido, cadde incastrando il braccio sinistro tra gli apparati del nastro stesso e subì l'amputazione dell'arto.

Agli imputati fu mosso l'addebito di non aver informato correttamente il lavoratore sui rischi, di non avergli fornito indicazioni scritte e direttive in ordine alla corretta e sicura esecuzione dell'incarico, di aver consentito l'esecuzione dell'operazione in assenza di griglia di protezione e di fune per il blocco d'emergenza dell'impianto.

Condannati in primo e secondo grado, ricorrono in Cassazione - Rigetto.

Si considera che la mancata adozione delle misure di sicurezza ha certamente avuto rilievo eziologico giacché l'adozione degli accorgimenti tecnici richiesti avrebbe certamente evitato un incidente. D'altra parte il comportamento del lavoratore può essere tutt'al più considerato imprudente, ma certamente l'evento lesivo non si sarebbe verificato se fosse stato adottato il meccanismo di blocco.

Vi è un ampio apprezzamento della vicenda, basato su significative e definite acquisizoni probatorie, argomentato in modo immune da vizi logico-giuridici.

"Nel suo nucleo significativo essa pone in luce il dato decisivo che la procedura inerente alla pericolosa fase della lavorazione era altamente irregolare, come testimoniato dalla rimozione del carter e dalla mancanza di funzionalità dell'apparato di blocco. Una procedura non occasionale, vista la collocazione del carter descritta nella pronunzia, e comunque tale da dover essere subito rimediata con appropriata vigilanza e con l'adozione di procedure corrette in rapporto ai pericoli insiti nell'operazione cui in quel momento il lavoratore era addetto. Dì tutta evidenza che, come sottolineato nella pronunzia, l'adozione di corrette procedure lavorative avrebbe sottratto il lavoratore al contatto con gli apparati in movimento ed avrebbe quindi evitato l'evento; sicché non vi è dubbio sul nesso causale. Parimenti ben chiaro, infine, che la condotta del lavoratore era comunque inerente alla lavorazione in corso e non abnorme."

 


 

 


FattoDiritto




1. Il Tribunale di Caltanissetta ha affermato la responsabilità degli imputati in epigrafe in ordine al reato di lesioni colpose commesso con violazione della normativa sulla sicurezza del lavoro in danno del dipendente M. C., nonché in ordine ad alcune connesse violazioni contravvenzionali.

La pronunzia è stata confermata dalla Corte d'appello di Caltanissetta.

I giudici di merito hanno ritenuto che il lavoratore, in servizio presso una cava ed addetto all'impianto di frantumazione, svolgeva mansioni di pulizia e rimozione dei detriti nel locale sottostante il frantoio, in prossimità di un nastro trasportatore quando, scivolando a causa del terreno viscido, cadde incastrando il braccio sinistro tra gli apparati del nastro stesso e subendo l'amputazione dell'arto. Agli imputati, nelle vesti di direttore tecnico e responsabile della sicurezza per G. e di preposto per F., è stato mosso l'addebito di non aver informato correttamente il lavoratore sui rischi, di non avergli fornito indicazioni scritte e direttive in ordine alla corretta e sicura esecuzione dell'incarico, di aver consentito l'esecuzione dell'operazione in assenza di griglia di protezione e di fune per il blocco d'emergenza dell'impianto.



2. Ricorrono per cassazione gli imputati.

2.1 F. prospetta vizio della motivazione. Si espone che, secondo le prescrizioni del piano di sicurezza, la pulizia del nastro deve essere preceduta dal distacco dell'alimentazione e solo dopo si può accedere al rullo. Si rappresenta altresì che l'imputato si è sempre difeso, addebitando l'evento ad un' operazione categoricamente vietata di riallineamento del nastro compiuta in corso di rotazione e con l'ausilio di una pala; circostanza confermata dal ritrovamento del manico spezzato della palla stessa. Tale situazione dimostra che è congetturale e non dimostrata la tesi sostenuta in sentenza secondo cui l'operatore sarebbe scivolato nei pressi del rullo mentre esso era in movimento. Tale ipotesi è logicamente incongrua perché non dà spiegazione della presenza sul posto del lavoratore munito di un utensile. La postazione è occupata solo per la pulizia del nastro; e se si fosse trattato di un semplice scivolamento l'operaio sarebbe stato trovato sul rullo ma senza pala. La presenza dello strumento spezzato e l'assenza di cumuli di materiale da smaltire, segno inequivocabile dell'effettuata pulizia, consentono di concludere che l'episodio è avvenuto nel corso di una operazione di pulizia del nastro compiuta con il rullo in movimento e con l'ausilio di una pala e quindi con una operazione abnorme, vietata, posta in essere arbitrariamente e volontariamente dall'esperto lavoratore. Si è quindi verificata interruzione del nesso causale.

Il comportamento era del tutto imprevedibile poiché l'impianto era dotato di tutti gli apparati di sicurezza di emergenza, che tuttavia non potevano prevedere la condotta in esame.

A conclusione dell'argomentazione si espone che, contrariamente a quanto ritenuto, lo stato dei luoghi è stato mutato in occasione dell'intervento di personale del Corpo forestale delle miniere dopo il primo intervento dei Carabinieri.

Conclusivamente si lamenta che la delega in capo alla ricorrente riguardava la sorveglianza della cava e dei relativi impianti annessi e non riguardava i lavoratori, né in particolare il vano in cui è avvenuto l'incidente.

2.2 G. prospetta vizio della motivazione. La pronunzia impugnata dà atto che la persona offesa ha tenuto una condotta consapevolmente imprudente, ma ritiene che dotando il nastro di un dispositivo di protezione correttamente collocato e pienamente funzionante avrebbe evitato l'evento. La Corte, tuttavia non ha spiegato perché l'evento sarebbe stato evitato. Occorreva verificare in concreto se, una volta scivolato, l'operaio sarebbe stato nella condizione di tirare la fune ed ancora se, in presenza della griglia di protezione, la vittima sarebbe stata in condizione di operare la pulizia della macchina senza pericolo.

Si espone altresì che le operazioni di pulizia del nastro trasportatore andavano fatte a macchina ferma ossia con il nastro trasportatore disattivato, onde evitare i pericoli connessi alla conduzione elettrica ovvero al rischio di entrare in contatto con la macchina in movimento. Il lavoratore invece operò senza spegnere i motori sia per dar corso alla pulizia del nastro sia per procedere al suo riallineamento. Tali operazioni furono compiute tutte con motore acceso come dimostrato dal rinvenimento della pala spezzata all'interno degli ingranaggi della macchina. La Corte non coglie la abnormità di tale comportamento. La abnormità del resto è stata evidenziata da diversi testi nel corso del dibattimento. La pronunzia non si chiede neppure se, adottando elementari norme di prudenza come la disattivazione della corrente elettrica, l'evento si sarebbe comunque verificato o meno.

Si lamenta, infine, che la pronunzia è sostanzialmente priva di motivazione per ciò che attiene alle richieste difensive relative alla concessione delle attenuanti generiche e di quelle di cui all'art. 62 n. 5 e 6 cod. pen., nonché alla determinazione della pena nel minimo edittale con conseguente sostituzione delle pene detentive contravvenzionali.



3. Il ricorso è infondato.

I gravami tentano in larga misura di sollecitare questa Corte alla riconsiderazione del merito. Per ciò che attiene alle questioni rilevanti nella presente sede di legittimità, rileva che la pronunzia impugnata ritiene provato, alla luce delle dichiarazioni della persona offesa e dello stato dei luoghi, che il lavoratore, mentre si occupava della operazioni di pulizia del nastro trasportatore, riposizionando il materiale sullo stesso nastro scivolava sul terreno sdrucciolevole e cadeva sull'apparato in movimento che egli amputava l'arto superiore all'altezza dell'avambraccio.

Si considera altresì che il dispositivo di sicurezza consistente in una fune, utile per bloccare l'impianto, era disattivato; e che inoltre il carter di protezione del nastro era stato rimosso e riposto in un angolo con collocate sopra delle lattine di vernice.

Si aggiunge che il lavoratore ha categoricamente escluso che fossero presenti cartelli che ponevano il divieto di effettuare le operazioni di pulizia con gli ingranaggi dell'impianto in movimento e di non aver ricevuto alcuna specifica istruzione in tal senso.

La sentenza richiama la giurisprudenza che pone a carico del datore di lavoro l'obbligo di tutelare il lavoratore anche in relazione ai suoi eventuali comportamenti negligenti. Se ne inferisce che anche nel caso in cui il lavoratore sia esperto e ponga in essere un'azione avventata, forse fidandosi della sua esperienza, si configura la responsabilità del garante. Nel caso di specie, anche a voler accedere alla tesi difensiva secondo cui la vittima provvedeva alla pulizia del frantoio in movimento utilizzando una pala di legno, si ritiene che l'infortunio determinato da errore del lavoratore che abbia prestato il consenso ad operare in condizioni di pericolo non escluda la responsabilità del garante.

D'altra parte si pone in luce che il dispositivo di blocco il sicurezza era disattivato e si è dunque in presenza della mancata doverosa predisposizione di misure di sicurezza volte a prevenire l'evento.

La pronunzia confuta la tesi difensiva secondo cui lo stato dei luoghi sarebbe stato alterato, giacché la documentazione fotografica acquisita dal Corpo regionale delle miniere mostra la protezione del rullo rimossa e la parte elettrica del dispositivo di sicurezza appesa al soffitto del vano. La rilevazione dello stato dei luoghi viene ritenuta accurata ed essa ha anzi consentito di porre in luce i successivi tentativi di alterare la situazione di fatto.

Si considera altresì che la documentazione prodotta pone in luce, per ciò che riguarda F., non una delega ma una autonoma posizione di garanzia come capo del servizio di sorveglianza dei lavori nella cava e nello stabilimento annesso. Quindi è escluso che i suoi poteri fossero parziali o riguardassero una sola parte dell'impianto. Si configura pertanto nei suoi confronti la responsabilità in ordine all'illecito.

Per ciò che attiene alle deduzioni difensive del G., si osserva che il fatto che non sia stato possibile stabilire chi abbia rimosso i dispositivi di sicurezza non esonera da responsabilità l'imputato che aveva l'obbligo di assicurare l'esistenza ed il corretto funzionamento degli apparati in questione.

Si considera infine che la mancata adozione delle misure di sicurezza ha certamente avuto rilievo eziologico giacché l'adozione degli accorgimenti tecnici richiesti avrebbe certamente evitato un incidente. D'altra parte il comportamento del lavoratore può essere tutt'al più considerato imprudente, ma certamente l'evento lesivo non si sarebbe verificato se fosse stato adottato il meccanismo di blocco.

Tale ampio ed argomentato apprezzamento della vicenda è basato su significative e definite acquisizoni probatorie; ed è argomentato in modo immune da vizi logico-giuridici. Nel suo nucleo significativo essa pone in luce il dato decisivo che la procedura inerente alla pericolosa fase della lavorazione era altamente irregolare, come testimoniato dalla rimozione del carter e dalla mancanza di funzionalità dell'apparato di blocco. Una procedura non occasionale, vista la collocazione del carter descritta nella pronunzia, e comunque tale da dover essere subito rimediata con appropriata vigilanza e con l'adozione di procedure corrette in rapporto ai pericoli insiti nell'operazione cui in quel momento il lavoratore era addetto. Dì tutta evidenza che, come sottolineato nella pronunzia, l'adozione di corrette procedure lavorative avrebbe sottratto il lavoratore al contatto con gli apparati in movimento ed avrebbe quindi evitato l'evento; sicché non vi è dubbio sul nesso causale. Parimenti ben chiaro, infine, che la condotta del lavoratore era comunque inerente alla lavorazione in corso e non abnorme.



3.1 Quanto alla pena, si ritiene che essa sia congrua in riferimento ai criteri di legge e non essendo state addotte specifiche ragioni che potrebbero giustificarne la diminuzione. Si esclude, inoltre, che la pena possa essere sospesa nei confronti del F. avuto riguardo ai numerosi precedenti penali gravi ed anche specifici.

Per ciò che riguarda l'imputato G., si ritiene di non poter accogliere l'istanza volta a ritenere la prevalenza delle attenuanti generiche non essendo state neppure indicate ragioni che potessero giustificare tale apprezzamento; ed in presenza di comportamento processuale negativo consistente tra l'altro nel documentato spostamento del dispositivo di sicurezza al fine di alterare lo stato dei luoghi.

Si tratta di tipici apprezzamenti di merito adeguatamente e razionalmente argomentati, immuni da vizi logici e giuridici. Le questioni, dunque, non possono essere nuovamente poste in discussione nella presente sede di legittimità.

Ancora si esclude l'esistenza dell'attenuante di quell'art. 62 n. 5 cod. Cod. pen. non potendosi configurare un fatto doloso della persona offesa. Infine, l'attenuante di cui all'art. 62 n. 6 cod. pen. è applicabile quando il risarcimento sia stato compiuto dal civilmente responsabile di propria iniziativa, mentre nel caso di specie si è in presenza di risarcimento ad opera dell'INAIL nel rispetto della normativa che impone l'obbligo di tenere indenni i lavoratori assicurati dai danni da infortunio.

Si tratta di enunciazioni in diritto di evidente correttezza, conformi a consolidati principi.

I ricorsi, che riguardano il delitto e non gli illeciti contravvenzionali, vanno conseguentemente rigettati. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali.




P.Q.M.



Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.