Cassazione Penale, Sez. 3, 13 gennaio 2012, n. 892 - Omissione del versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali e reiterate violazioni al T.U. sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro




REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE MAIO Guido - Presidente

Dott. FRANCO Amedeo - Consigliere

Dott. GRILLO Renato - Consigliere

Dott. MULLIRI Guicla - rel. Consigliere

Dott. RAMACCI Luca - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza



sul ricorso proposto da:

D.B.G., nato a (Omissis);

imputato L. n. 638 del 1983, art. 2, comma 1 bis;

avverso la Sentenza della Corte d'appello di Lecce in data 4.12.09;

Sentita la relazione del Cons. Dr. MULLIRI Guicla;

Sentito il P.M., nella persona del P.G. Dr. Baglione Tindari, che ha chiesto una declaratoria di inammissibilità del ricorso.

Fatto

 



1. Provvedimento impugnato e motivi del ricorso

Con la sentenza qui impugnata, la Corte d'appello ha confermato la condanna inflitta all'odierno ricorrente accusato di avere omesso di versare le ritenute previdenziali ed assistenziali operate a carico dei lavoratori dipendenti sulle retribuzioni del periodo marzo/luglio 2003.

Avverso tale decisione, l'imputato ha proposto ricorso, tramite il difensore, deducendo:

1) violazione di legge in quanto la dichiarazione di responsabilità si fonda esclusivamente sul verbale di accertamento, redatto dagli ispettori del lavoro, che però è da considerare inutilizzabile in quanto - sebbene acquisito con l'assenso del difensore di ufficio - era viziato in radice dalla mancata osservanza delle garanzie difensive. Ed infatti, gli stessi ispettori avevano evidenziato che, a seguito del loro intervento, avevano accertato una ipotesi di reato e sarebbe bastata anche solo la mera possibilità di attribuire un reato per far scattare "il rispetto dei precetti e delle garanzie codicistiche";

2) violazione di legge difettando la prova che le retribuzioni siano state effettivamente corrisposte. In realtà non vi è in atti prova dell'invio dei modelli DM/10 e sul punto la stessa motivazione della Corte è carente;

3) violazione di legge per eccessività della pena non essendosi tenuto conto della brevità del periodo in cui si sarebbe verificato l'omesso versamento e, quindi, della tenuità della condotta.

Il ricorrente conclude invocando l'annullamento della sentenza impugnata.

Diritto



2. - Il ricorso è manifestamente infondato.

In particolare, si rileva la assoluta genericità della doglianza di cui al primo motivo che, oltretutto, ripropone un argomento del tutto superato essendo pacifico da tempo che gli accertamenti compiuti dall'ispettore del lavoro o da un addetto al suo ufficio - afferendo alla esplicazione di funzione di vigilanza generica - hanno natura amministrativa e non richiedono l'osservanza delle norme in tema di garanzie difensive (sez. 1, 16.1.80, Paneati, Rv. 145698; Sez. 3, 2.7.73, Nencini, Rv. 088428).

E' del tutto ingiustificata anche la seconda doglianza trattandosi di questione già posta alla Corte di appello che vi ha risposto puntualmente ed in modo argomentato osservando che "la prova della corresponsione delle retribuzioni si può fondare sul libro-paga compilato dallo stesso imputato, trattandosi di documento avente contenuto contessono che ovviamente è noto al prevenuto che lo ha formato". L'assunto è corretto ed in linea anche con le pronunzie di legittimità (sez. 3, 27.10.95, Màrangio, Rv. 203925) che hanno espressamente asserito che il giudice può legittimamente trarre la prova dai dati estratti dai libri paga, che sono scritture contabili obbligatorie (senza necessità di prendere in considerazione le singole buste paga a meno che non sia dedotta e provata la avvenuta falsificazione dei dati riportati nei libri).

La Corte ha, poi, anche giustamente osservato che i due ispettori INPS non sono Stati escussi (sebbene il P.M. li avesse tempestivamente indicati nella relativa lista) perchè il verbale da loro sottoscritto era stato acquisito con il consenso del difensore.

E', infine, generico ed in fatto anche il terzo motivo visto che la censura viene rivolta ad un aspetto - la quantificazione della pena - che è esplicazione di un potere discrezionale che, quindi, può essere rivisto in sede di legittimità solo ove il giudice non abbia dato contezza del suo esercizio attraverso una motivazione congrua.

Tale non è il caso in esame visto che la Corte ricorda come, a fronte della brevità del periodo, vi fossero "un precedente specifico nonchè altre condanne definitive per reiterate violazioni al T.U. sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, del T.U. attività urbanistico-edilizia e T.U. rifiuti" (f.4).

Alla presente declaratoria segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro 1000.


P.Q.M.



Visti l'art. 615 c.p.p. e ss. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle Ammende della somma di Euro mille.