Tribunale di Pisa, Sez. Pen, 07 dicembre 2011, n. 1756 - Responsabilità di un medico competente per omessa collaborazione nella valutazione dei rischi


 


Responsabilità di un medico competente per omessa collaborazione con il datore di lavoro di una società e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione della sorveglianza sanitaria, all'attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori per la parte di competenza e alla organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro - Sussiste.

L'incriminazione di che trattasi si muove chiaramente nel solco di una linea di tendenza già accennata dal D. Lvo 19.9.1994 n° 626 (che all'art. 17 lett. a prevedeva la collaborazione del medico competente "alla predisposizione dell'attuazione delle misure per la tutela della salute e dell'integrità psicofisica dei lavoratori"), linea di tendenza rafforzata dal D. Lvo 2008/81 (che ha ampliato l'ambito di intervento del medico competente, la cui collaborazione in materia di valutazione dei rischi è ora richiesta non più soltanto in vista della "predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e dell'integrità psicofisica dei lavoratori", ma anche della "programmazione della sorveglianza sanitaria" della "attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori" e della "organizzazione del servizio di primo soccorso"), e infine culminata nell'art. 35 del D.Lvo 2009/106 che ha presidiato con la sanzione penale l'inosservanza dell'obbligo di collaborazione di cui sopra.
In estrema sintesi si può dunque affermare che i più recenti interventi del legislatore hanno sensibilmente modificato la figura professionale del medico competente, aggiungendo alle sue tradizionali attribuzioni in materia di sorveglianza sanitaria (quali tipicamente esplicate con le visite di idoneità, la tenuta delle cartelle sanitarie, la compilazione delle statistiche epidemiologiche ecc.) il nuovo ruolo di consulente del datore di lavoro in materia di valutazione dei rischi.


Tirando le fila dell’esposizione che precede ritiene questo tribunale che l'imputata abbia inosservato l’obbligo di collaborare con la società alla valutazione dei rischi sia per aver omesso di individuare e considerare il rischio biologico e chimico, sia per non aver contribuito ad istituire, previa formazione di un lavoratore a ciò addetto, il servizio di primo soccorso.


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI PISA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale di Pisa, sezione penale, in composizione monocratica nella persona
del Dr. Luca Salutini ha pronunciato alla pubblica udienza del 1 dicembre 2011 la seguente:
SENTENZA

 

nei confronti di:
F.F. nata a Campiglia Marittima il 4.8.1963, residente a Calci (Pisa), piazza Santoni 57, difesa di fiducia dall'Avv. Stefano Ercoli del Foro di Pisa
IMPUTATA:
della contravvenzione di cui all'art. 25 comma 1 lett. A) in relazione all'art. 58 comma 1 lett. e) del D. Lgs 81/2008 come modificato dall'art. 41 del D. Lvo 106/09 perché in qualità di medico competente presso l'azienda T. s.r.l. con sede in Pisa, località Ospedaletto. via Bellatalla s.n.c.. non collaborava con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione alla valutazione dei rischi, anche ai fini della programmazione della sorveglianza sanitaria, all'attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori per la parte di competenza e alla organizzazione del servizio di primo soccorso considerando i particolari tipi di lavorazione ed esposizione e le peculiari modalità organizzative del lavoro.

In Pisa, il 16 marzo 2010.

Le parti hanno concluso come segue: vedi verbale di udienza.

 

 

Diritto

 

A seguito di opposizione avverso il decreto penale n. 1312/10 emesso dal GIP del Tribunale di Pisa, F. F. veniva tratta a giudizio all'udienza del 19 maggio 2011 per rispondere, nella sua qualità di medico competente della società T. di Ospedaletto (Pisa), del reato di mancata collaborazione con il datore di lavoro nella valutazione dei rischi.
All'esito dell'istruttoria dibattimentale la penale responsabilità dell'imputata può ritenersi pienamente provata.
L'ispettore USL M. Romano riferiva in dibattimento che il 16 marzo 2010 era stato effettuato un sopralluogo nella sede operativa della società "T." di Ospedaletto esercente l'attività di conservazione, immagazzinamento e commercio di pellami.
Il controllo valeva ad evidenziare la presenza di fattori di rischio rappresentati:
1)    dal rischio biologico derivante dalla presenza sul pavimento di diffusi residui organici (sangue, brandelli di carne, liquidi biologici) prodotti dalle cataste di pelli sottoposte a salatura (si veda a questo proposito l'esauriente documentazione fotografica approntata nell'occasione):
2)    dal rischio di scivolamento derivante dalla stessa circostanza di cui sopra:
3)    dal rischio di inalazione dei gas di scarico prodotti dai carrelli elevatori utilizzati all'interno del capannone aziendale:
4)    dal rischio di cadute dall'alto derivanti dall'utilizzo di un soppalco non protetto.
Veniva altresì accertata la mancata istituzione del servizio di primo soccorso dato che non era stato sostituito il lavoratore che vi era addetto, nel frattempo collocato a riposo.
Richiesto di esibire il documento di valutazione dei rischi il datore di lavoro P.A. produceva invece una semplice autocertificazione, ma non era in grado di documentare - mediante referti di analisi, predisposizione di misure sanitarie ecc. - che quei rischi fossero stati effettivamente individuati e controbilanciati con idonee misure di tutela sanitaria.
A quel punto l'autorità di controllo impartiva al datore di lavoro e al medico competente - quest'ultimo individuato nell'odierna imputata F.F. - una serie di prescrizioni con le quali chiedeva di ovviare alle carenze evidenziate dal sopralluogo (si veda a questo proposito - per ciò che concerne l'attuale imputata - il foglio di prescrizioni n. 109/2010, inviato il 2 aprile 2010 per posta ordinaria, e poi di nuovo spedito per raccomandata il 16 giugno 2010).
Nel frattempo, il 16 aprile 2010, la T. provvedeva a redigere, con la collaborazione del responsabile del servizio di prevenzione e proiezione e del medico competente, il documento di valutazione dei rischi (lo si veda in atti).
Vale la pena di osservare subito che detto documento non ovviava agli specifici rilievi formulati dagli organi di vigilanza dal momento che - per rimanere agli addebiti concernenti la figura del medico competente - non individuava né prevedeva misure di contenimento del rischio biologico e del rischio di inalazione dei gas di scarico (si veda la copia del D.V.R. prodotta in atti e si esaminino in particolare, per l'assoluta mancata considerazione del rischio biologico e chimico, i capitoli dedicati alla "Fase di lavoro: magazzini e depositi" - pag. 19-21 - e "Attrezzatura: carrello mobile elevatore" - pag. 26-27).
In luogo degli adempimenti prescrittile, la F. inviava invece all'USL e alla Procura della Repubblica una memoria difensiva in data 13 luglio 2010 con la quale - oltre a svolgere una serie di considerazioni giuridiche delle quali ci occuperemo più avanti - osservava che l'obbligo principale del datore di lavoro (la predisposizione del D.V.R.) era stato nel frattempo adempiuto, onde non si vedeva che cos'altro essa dovesse ancora fare, e in subordine chiedeva che venissero specificati quali ulteriori adempimenti incombessero ancora su di lei.
Intanto, procedendo nella sua attività di controllo, nel settembre 2010 l'USL effettuava un secondo sopralluogo alla T. onde accertare se le prescrizioni impartite fossero state o meno adempiute.
Stabilito che, per quanto riguardava il medico competente, esse non lo erano state, segnalava il fatto alla Procura della Repubblica.

A ciò seguivano:
1)    una seconda memoria difensiva della F. in data 25 novembre 2010 incentrata sulla considerazione che la T., avendo meno di 10 dipendenti, era esonerata dall’obbligo di predisporre il D.V.R. che era sostituibile da una semplice autocertifìcazione:
2)    infine, un documento intitolato "integrazione al documento di valutazione dei rischi datato 20 gennaio 2011 col quale essa prendeva finalmente in considerazione il rischio biologico, per il quale prescriveva come contromisura una terapia vaccinale, il rischio di inalazione dei gas di scarico, per il quale prescriveva analisi più approfondite da parte del datore di lavoro sulle conseguenze dell’impiego dei carrelli elevatori, e infine dava atto di aver provveduto a formare con un corso di 12 ore un nuovo addetto al servizio di primo soccorso.

 

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Così brevemente illustrate le risultanze dibattimentali, evidente appare, a giudizio di questo tribunale, la penale responsabilità della F. in ordine al reato ascrittole avendo essa solo tardivamente adempiuto, col documento sanitario da ultimo citato, all’obbligo di collaborare alla valutazione dei rischi che le incombeva invece fino ab origine.
L’art. 58 primo comma lett. e) del D. Lvo 9.4.2008 n° 81, come modificato dall’art. 35 primo comma del D. Lvo 3.8.2009 n. 106, ha sanzionato con la pena alternativa dell’arresto o dell’ammenda la violazione da parte del medico competente dell’obbligo di collaborare col datore di lavoro nella valutazione dei rischi, quale disciplinato dall'art. 25 primo comma lett. a) del già citato D. Lvo 2008/81.


L'incriminazione di che trattasi si muove chiaramente nel solco di una linea di tendenza già accennata dal D. Lvo 19.9.1994 n° 626 (che all'art. 17 lett. a prevedeva la collaborazione del medico competente "alla predisposizione dell'attuazione delle misure per la tutela della salute e dell'integrità psicofisica dei lavoratori"), linea di tendenza rafforzata dal D. Lvo 2008/81 (che ha ampliato l'ambito di intervento del medico competente, la cui collaborazione in materia di valutazione dei rischi è ora richiesta non più soltanto in vista della "predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e dell'integrità psicofisica dei lavoratori", ma anche della "programmazione della sorveglianza sanitaria" della "attività di formazione e informazione nei confronti dei lavoratori" e della "organizzazione del servizio di primo soccorso"), e infine culminata nell'art. 35 del D.Lvo 2009/106 che ha presidiato con la sanzione penale l'inosservanza dell'obbligo di collaborazione di cui sopra.
In estrema sintesi si può dunque affermare che i più recenti interventi del legislatore hanno sensibilmente modificato la figura professionale del medico competente, aggiungendo alle sue tradizionali attribuzioni in materia di sorveglianza sanitaria (quali tipicamente esplicate con le visite di idoneità, la tenuta delle cartelle sanitarie, la compilazione delle statistiche epidemiologiche ecc.) il nuovo ruolo di consulente del datore di lavoro in materia di valutazione dei rischi.
Come evidenziato dai commentatori più avvertiti, è indubbio che si sia creata per questo verso una evidente disarmonia all'interno del sistema di prevenzione e protezione dal momento che tra le due figure professionali ugualmente gravate del ruolo di ausiliario del datore di lavoro in materia di valutazione dei rischi (il responsabile del servizio di prevenzione e protezione previsto dall'art. 33 e il medico competente) è stato assegnato rilievo penale solo alla mancata collaborazione di quest'ultimo, e non invece a quella del primo.
Questo essendo comunque il sistema normativo oggi vigente, si deve rilevare che se da un lato appare chiara la ratio della norma incriminatrice (che è quella di stimolare, con la comminatoria della sanzione penale, l'adeguamento della figura del medico competente alle nuove attribuzioni - e in definitiva alla nuova mentalità professionale - che gli sono state assegnate), assai più problematica appare invece l'individuazione dell'esatto contenuto precettivo della norma, stante l'evidente genericità del modello di condotta sanzionato come doveroso.
Concentrando ovviamente la nostra attenzione sui profili interpretativi che più direttamente interessano la fattispecie oggetto del presente giudizio si deve innanzitutto osservare che secondo un primo argomento difensivo, essendo la T. esonerata dall'obbligo di redigere il D.V.R. ai sensi dell'art. 29 comma 5 del D. Lvo 2008/81, stante il numero dei lavoratori dipendenti inferiore a 10, difetterebbe per ciò stesso il presupposto dell'obbligo del medico competente di collaborare alla sua formazione (si veda in questo senso la già citata memoria difensiva in data 25.11.2010).


L'argomento è manifestamente infondato dal momento che le modalità semplificate di valutazione dei rischi previste dall'art. 29 5° comma, se da un lato legittimano il datore di lavoro a non redigere un formale D.V.R. emettendo in sua vece una semplice autocertificazione, dall'altro lato non lo esonerano dall'obbligo di procedere comunque alla valutazione dei rischi, alla quale il medico competente deve dunque prestare la sua doverosa collaborazione.
Insegna infatti Cass. 3.3.2011 n° 23968 che "integra il reato previsto dall'art. 4 comma secondo del D. Lgs. 19.9.1994 n° 626 l'omessa elaborazione del documento di valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro di un'azienda che occupi fino a dieci addetti, in quanto le modalità semplificale di adempimento degli obblighi in materia di valutazione dei rischi, previste per tali aziende dal comma undicesimo della citata disposizione, non esonerano il datore di lavoro dall'obbligo di predisporre e tenere il predetto documento.


Si è ancora difensivamente affermato che, posto che l'obbligo di redigere il D.V.R. ricade esclusivamente sul datore di lavoro, che non può delegarlo ad altri per l'esplicito divieto contenuto nell’art. 17 e posto che il medico competente non potrebbe surrogarsi nell'adempimento di un obbligo di facere proprio dell’imprenditore, la responsabilità della mancata predisposizione del D.V.R. da parte della T. non potrebbe in nessun caso essere fatta ricadere sull'odierna imputata.

La questione sollevata dalla difesa - che ove accolta verrebbe chiaramente a costituire una interpretatio abrogans dell'art. 58 lett. c) del D. Lvo 2008/81 - è chiaramente infondata.
Ciò che si chiede al medico competente non è intatti l'adempimento di un obbligo altrui (la redazione del D.V.R.). ma lo svolgimento del proprio obbligo di collaborazione, vale a dire l'esauriente sottoposizione al datore di lavoro dei rilievi e delle proposte in materia di valutazione dei rischi che coinvolgono le sue competenze professionali in materia sanitaria.
Una volta che il medico competente abbia assicurato quanto sopra, egli ha esaurito il perimetro della sua condotta doverosa, con l'ovvia conseguenza che l'eventuale ulteriore inerzia del datore di lavoro diverrebbe costitutiva di esclusiva responsabilità penale di quest'ultimo ai sensi dell art. 55 1° comma lett. a) del D. Lvo 2008/81 che sanziona la mancata effettuazione della valutazione dei rischi da parte dell'imprenditore.
Nel caso di specie non si contesta intatti alla F. la mancata elaborazione del D.V.R. da parte della T., ma la mancata evidenziazione dei rischi biologico e chimico che costei, quale medico competente, avrebbe dovuto segnalare al datore di lavoro in una con le contromisure santiarie r¡tenute necessarie.
Strettamente connessa alla tematica fin qui esaminata è l'ulteriore questione se il medico competente debba prestare la sua collaborazione professionale col datore di lavoro di sua iniziativa, oppure solo previa richiesta da parte di quest'ultimo.
Ci si chiede, in altre parole, se in caso di totale inerzia del datore di lavoro, il quale ometta perfino di promuovere l'avvio della specifica procedura di valutazione dei rischi disciplinata dall'art. 29 del D. Lvo 2008/81, la condotta omissiva del medico competente assuma o meno rilievo penale.
L'ipotesi de qua coincide esattamente col caso oggetto del presente giudizio, nel quale è pacifico che la T., al di là di una fallace autocertificazione, non promosse di fatto alcuna valutazione dei rischi presenti in azienda.
Uno dei più autorevoli commentatori del T.U. 2008/81, in una relazione tenuta a Firenze il 25.5.2001, ha sostenuto che l'area dell'illecito penale del medico competente sarebbe delimitata dalla richiesta di collaborazione del datore di lavoro, in assenza della quale l'inattività del sanitario non integrerebbe il reato ("potrà essere rimproverata la mancata collaborazione del medico competente alla valutazione dei rischi solo in quei casi in cui il datore di lavoro lo abbia esplicitamente invitato e sollecitato a partecipare").


Questa ricostruzione interpretativa non appare del tutto convincente.
Si deve infatti considerare che in materia di valutazione dei rischi l'operato professionale del medico competente è sorretto da due fondamentali canali di acquisizione di dati.
Il primo è rappresentato dalle informazioni che debbono (o dovrebbero) essergli fornite dal datore di lavoro, in assenza delle quali viene meno la stessa base conoscitiva sulla quale il medico competente dovrebbe valutare ed operare (si pensi a questo proposito alle informazioni circa l'organizzazione del lavoro, la descrizione degli impianti e dei processi produttivi, la natura delle sostanze impiegate ecc. che il datore di lavoro è tenuto ad indicare al medico competente ai sensi dell'art. 18 comma 2).
Il secondo canale è invece costituito dalle conoscenze che il medico competente può e deve acquisire di sua iniziativa, per esempio in occasione delle visite annuali agli ambienti di lavoro previste dall'art. 25 lett. 1) o in conseguenza delle informazioni ricevute direttamente dai lavoratori sottoposti a sorveglianza sanitaria, delle segnalazioni provenienti dal servizio di prevenzione e protezione, di quelle fornite dal rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ecc.
Ora, mentre è evidente che il medico competente non può essere chiamato a rispondere dell’omessa valutazione dei rischi la cui conoscenza gli era impedita dall'inerzia del datore di lavoro, lo stesso non può dirsi per quei profili di rischio che egli poteva e doveva conoscere di scienza propria in virtù dei canali officiosi di acquisizione dei dati da ultimo menzionati.
In questo secondo caso deve ritenersi che rientri nei compiti di collaborazione prescritti dall art. 25 l'obbligo di segnalare al datore di lavoro tutti i profili di rischio di cui il medico competente sia comunque venuto a conoscenza unitamente all'indicazione delle misure di tutela ritenute necessarie, senza bisogno di attendere di essere a ciò richiesto dall'imprenditore.

Nel caso di specie, tenuto conto che i profili di rischio presenti nella T. derivavano da condizioni operative quotidianamente praticate in quell'azienda (presenza di residui organici sul pavimento; impiego di carrelli elevatori per la movimentazione dei pellami), esse non potevano essere ignote alla F. che avrebbe dovuto segnalarle - e pacificamente non lo fece - al datore di lavoro, e che avrebbe dovuto suggerire quelle terapie vaccinali e quelle analisi sui gas di scarico che solo tardivamente furono indicati nella memoria del 20 gennaio 2011.


Un'ultima questione interpretativa deve essere sollevata.
Ci si deve infatti chiedere se l'art. 58 lett. c) del T.U. 2008/81 sanzioni solo la totale violazione dell'obbligo di collaborazione incombente sul medico competente, o non piuttosto anche le violazioni solo parziali.
La difesa della Favilli ha infatti ritenuto di dover documentalmente dimostrare che costei aveva esaurientemente svolto i suoi compiti di sorveglianza sanitaria, provvedendo ai sopralluoghi annuali sull'ambiente di lavoro, alle visite di idoneità, redigendo i risultati anonimi collettivi ricavati dagli accertamenti sanitari periodici ecc.
E' agevole obbiettare - a conferma della lenta e difficoltosa percezione da parte degli interessati del nuovo statuto professionale attribuito dalla legge al medico competente - che gli adempimenti sopra citati attengono esclusivamente alla materia della sorveglianza sanitaria e non riguardano l'obbligo di collaborazione in materia di valutazione dei rischi.
Per quanto riguarda quest'ultimo, deve ritenersi che la sanzione penale, nella intenzionale genericità del precetto introdotto dall'art. 58 lett. c) colpisca ogni inosservanza dell'obbligo di collaborare, anche se solo parziale, e anche se sorretta dal solo elemento soggettivo della colpa (soccorre infatti, a questo proposito, il generale principio posto dall'art. 42 ultimo comma cod. pen).
Un preciso elemento interpretativo nel primo senso è fornito dalla stessa lettera dell'art. 25 lett. a) che, delineando le varie finalità e i vari settori cui si riferisce l' obbligo di collaborare del medico competente, rende evidente che l'inadempimento di qualcuno di questi aspetti non è sanato dall'eventuale soddisfacimento di tutti gli altri.
Basti pensare, per rimanere al caso oggetto del presente giudizio, al richiamo che la norma incriminatrice fa alla "organizzazione del servizio di primo soccorso", così da rendere evidente che, quand'anche avesse adempiuto a tutti gli altri profili della valutazione dei rischi, la F. rimarrebbe ugualmente responsabile per la mancata organizzazione di quel servizio (il cui addetto, come si è visto, non era più in attività perché collocato in pensione).
Quanto all’elemento soggettivo del reato, assume indubbiamente rilievo non soltanto l'omissione intenzionale della collaborazione (che è eventualità invero difficilmente ipotizzabile per un professionista remunerato ad hoc) ma anche la collaborazione colposamente incompleta, imperita, inadeguata secondo un principio fissato dalla giurisprudenza di legittimità in materia, di omessa  valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro (per il quale assume rilievo penale “non soltanto l’omessa redazione del documento di valutazione, ma anche il suo mancato insufficiente o inadeguato aggiornamento o adeguamento” – Cass 28.1.2008 n° 4063), principio chiramente estensibile, per identità di presupposti anche alla figura del medico competente.

 


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Tirando le fila dell’esposizione che precede ritiene quindi questo tribunale che la F. abbia inosservato l’obbligo di collaborare con la T. alla valutazione dei rischi sia per aver omesso di individuare e considerare il rischio biologico e chimico, sia per non aver contribuito ad istituire, previa formazione di un lavoratore a ciò addetto, il servizio di primo soccorso.

Obblighi cui essa adempì solo tardavamente con la già citata “integrazione al  D.V.R.” del 20 gennaio 2001 che paradossalmente disegna ex post il modello di condotta doverosa che essa avrebbe dovuto assicurare ex  ante.

Sussiste quindi il reato contestato.

La novità della questione e il seppur tardivo adempimento dell’imputata inducono a riconoscerle le attenuanti generiche e consigliano di irrogarle una pena di natura pecuniaria.

Partendo dalla pena base di 450 euro di ammenda, le si irroga quindi, applicate le generiche, la pena finale di 300 euro di ammenda oltre il pagamento delle spese processuali.



P.Q.M.

Visti gli artt. 533 3 535 c.p.p. dichiara F.F. colpevole del reato ascrittole e concesse le attenuanti generiche la condanna alla pena di 300 euro di ammenda oltre il pagamento delle spese processuali..

30 giorni per i motivi.

Pisa 1.12.2011