Cassazione Civile, Sez. Lav., 22 febbraio 2012, n. 2643 - Operaio a continuo contatto giornaliero con animali da macellare e infezione "brucellare"



REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico - Presidente

Dott. DE RENZIS Alessandro - Consigliere

Dott. AMOROSO Giovanni - Consigliere

Dott. BRONZINI Giuseppe - Consigliere

Dott. BALESTRIERI Federico - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

 



sul ricorso 18245/2010 proposto da:

(Omissis), elettivamente domiciliato in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato (Omissis), rappresentato e difeso dall'avvocato (Omissis), giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

(Omissis) S.R.L.;

- intimata -

nonchè da:

(Omissis) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (Omissis), presso lo studio dell'avvocato (Omissis), rappresentata e difesa dagli avvocati (Omissis), (Omissis), giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

(Omissis);

- intimato -

avverso la sentenza n. 1360/2010 della CORTE D'APPELLO di BARI, depositata il 17/05/2010 r.g.n. 5197/08;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/02/2012 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto



Con ricorso al Tribunale di Bari, (Omissis), premesso che era stato alle dipendenze della s.r.l. I.L.C.A., esercente macellazione di carni alimentari in (Omissis), dal 1/6/77 al 10/3/92 quale operaio a continuo contatto giornaliero con animali da macellare o con carni già oggetto di macellazione; che in detto periodo, per fatto e colpa dei medici veterinari addetti al controllo dei capi di bestiame da macellare, stando in continuo contatto con le carni derivanti da macellazione, nel (Omissis) aveva contratto una infezione "brucellare", che lo aveva costretto ad assentarsi dal lavoro fino all'ottobre 1988; che detta infezione aveva causato effetti gravi ed irreversibili sul suo organismo, tali da comportare il riconoscimento di rendita I.N.A.I.L. per malattia professionale; che la s.r.l. I.L.C.A. era di conseguenza tenuta a risarcirgli i relativi danni pari alla differenza fra le tabelle I.N.A.I.L. e quelle civilistiche, oltre quello biologico; che detti danni, tenuto conto del suo reddito, così come emergente dal Mod. 101/90, ben potevano quantificarsi nelle somme indicate in ricorso.

Ciò premesso conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari la s.r.l. I.L.C.A., per ivi sentirla condannare al pagamento delle predette somme.

Si costituiva la I.L.C.A., che contestava la domanda e ne chiedeva il rigetto per i seguenti motivi: 1) poichè sussisteva carenza di prova sul nesso eziologico, essendo responsabili di tutto quanto dedotto in ricorso i medici veterinari; 2) che le somme chieste, in ogni caso, non risultavano corrette.

Con sentenza del 27 novembre 2008 il Tribunale, dopo espletamento di due c.t.u., rigettava la domanda.

Proponeva appello il (Omissis); resisteva la società (Omissis). La Corte d'appello di Bari, con sentenza depositata il 17 maggio 2010, respingeva il gravame.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il (Omissis), affidato ad unico motivo.

Resiste la s.r.l. (Omissis) con controricorso, contente ricorso incidentale affidato ad unico motivo.

Diritto



I ricorsi avverso la medesima sentenza debbono pregiudizialmente riunirsi ex articolo 335 c.p.c..

1. Il ricorrente denuncia violazione degli articoli 113 e 116 c.p.c., nonchè dell'articolo 2087 c.c., nonchè insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Lamenta che l'obbligo di sicurezza gravante sul datore di lavoro lo esime da responsabilità per danni alla salute cagionati al dipendente durante lo svolgimento dell'attività lavorativa solo in caso di comportamenti abnormi ed imprevedibili di quest'ultimo, risultando irrilevante anche la colpa del lavoratore nella produzione dell'evento dannoso. Che nella specie quest'ultimo età derivato "pacificamente" (pag. 8 ricorso) da colpa dei medici veterinari addetti al controllo dei capi di bestiame da macellare, scelti tuttavia dalla società (Omissis), che pertanto doveva risponderne, anche per non aver chiamato in causa gli stessi (pag. 9), risultando così erronea la sentenza impugnata laddove afferma l'esclusiva responsabilità dei riferiti veterinari, soggetti terzi rispetto al datore di lavoro. Lamenta che sussiste invece la responsabilità della datrice di lavoro per aver nominato veterinari esperti, e per non avere comunque predisposto, nello svolgimento dell'ordinaria attività lavorativa di esso ricorrente, tutte le misure che, secondo l'esperienza e la tecnica sarebbero idonee ad evitare il danno, di cui infine chiede il riconoscimento.

Il ricorso è in parte inammissibile e per il resto infondato.

Ed invero il (Omissis) richiede alla Corte un inammissibile riesame delle risultanze istruttorie, senza neppure chiarire, in contrasto col principio dell'autosufficienza del ricorso, in qual modo la corte territoriale avrebbe violato le norme di diritto invocate.

Per il resto giova considerare che la stessa sentenza n. 3650 del 2006, invocata dal ricorrente principale a pag. 12 del ricorso, ha stabilito che "il carattere contrattuale dell'illecito e l'operatività della presunzione di colpa stabilita dall'articolo 1218 cod. civ., non escludono che la responsabilità dell'imprenditore ex articolo 2087 cod. civ., in tanto possa essere affermata in quanto sussista una lesione del bene tutelato che derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento, imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche. Ne consegue che la verificazione del sinistro non è di per sè sufficiente per far scattare a carico dell'imprenditore l'onere probatorio di aver adottato ogni sorta di misura idonea ad evitare l'evento, atteso che la prova liberatoria a suo carico presuppone sempre la previa dimostrazione, da parte dell'attore, che vi è stata omissione nel predisporre le misure di sicurezza (suggerite dalla particolarità del lavoro, dall'esperienza e dalla tecnica) necessarie ad evitare il danno, e non può essere estesa ad ogni ipotetica misura di prevenzione, venendo altrimenti a configurarsi un'ipotesi di responsabilità oggettiva, che la norma invero non prevede. Ne consegue che il lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell'attività lavorativa svolta, un danno alla salute, ha l'onere di provare l'esistenza di tale danno, come pure la nocività dell'ambiente di lavoro, e il nesso di causalità tra l'uno e l'altro. E solo quando tali circostanze egli abbia provato incombe al datore di lavoro l'onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno, rimanendo altrimenti quest'ultimo esonerato dall'onere di fornire la prova liberatoria a suo carico. Nello stesso senso, in base al principio per cui la responsabilità del datore di lavoro ex articolo 2087 cod. civ., non configura un'ipotesi di responsabilità oggettiva, la successiva giurisprudenza (Cass. 17 febbraio 2009 nn. 3786 e 3788). Nessun elemento in tal senso è contenuto nell'odierno ricorso, il quale va pertanto rigettato.

2. La società (Omissis) propone ricorso incidentale in ordine alla compensazione delle spese disposta dalla corte territoriale, lamentandone l'insufficiente motivazione ("attesa la qualità delle parti").

Il ricorso è infondato.

Giova premettere che al caso di specie non si applica nè la Legge 28 dicembre 2005, n. 263 (che impone l'esplicitazione dei motivi che hanno indotto la compensazione (applicabile ai giudizi instaurati successivamente al 1 marzo 2006), nè, tanto meno, la Legge 18 giugno 2009, n. 69, articolo 45, comma 11, che impone a supporto della compensazione gravi ed eccezionali ragioni (per i giudizi instaurati successivamente al 4 luglio 2009). Ne consegue che il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese per giusti motivi, pur nel regime anteriore a quello introdotto dalla Legge 28 dicembre 2005, n. 263, articolo 2, comma 1, lettera a), deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l'adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente desumibili dal complesso della motivazione adottata, e fermo restando che la valutazione operata dal giudice di merito può essere censurata in cassazione se le spese sono poste a carico della parte totalmente vittoriosa ovvero quando la motivazione sia illogica e contraddittoria e tale da inficiare, per inconsistenza o erroneità, il processo decisionale (Cass. ord. 2 dicembre 2010 n. 24531).

Nella specie non ricorre tale ultima circostanza, desumendosi dal complesso della motivazione che la corte di merito è pervenuta alla compensazione valutando le specifiche circostanze del caso di specie, tra cui la grave e singolare malattia contratta dal (Omissis) nell'esecuzione della sua prestazione lavorativa di operaio a contatto con animali da macello e la dubbia etiopatogenesi dell'infermità.

3. Entrambi i ricorsi vanno pertanto respinti. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.



P.Q.M.


La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa le spese del presente giudizio di legittimità.