Categoria: Cassazione penale
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Infortunio di due operai impegnati  presso il muro esterno di un capannone, che, sollecitato dall'urto prodotto dal braccio di una gru che operava in condizioni precarie di sicurezza per la presenza di profonde buche, gli crollava addosso - Omessa collocazione, come era imposto dalla normativa antinfortunistica, di idonea protezione esterna che tutelasse dalla caduta di materiali - Responsabilità del responsabile dei lavori per omessa verifica dell'adempimento degli obblighi ex art. 4 e 5 del D.Lgs 626/94 da parte delle persone da lui designate - Sussiste


 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. Marzano Francesco - Presidente -
Dott. Brusco Carlo Giuseppe - Consigliere -
Dott. Licari Carlo - Consigliere -
Dott. Colombo Gherardo - Consigliere -
Dott. Bianchi Luisa - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:

S E N T E N Z A

sul ricorso proposto da:
D.P.D., N. IL (omissis);
avverso sentenza del 04/10/2005 Corte Appello di Venezia;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Licari Carlo;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. De Sandro A. Maria che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore Avv. Bisinella B., anche in sostituzione del codifensore Avv. Antonelli, il quale ha concluso per l'accoglimento dei motivi di ricorso.

F a t t o   e   D i r i t t o

Con sentenza del 4/10/2005, la Corte di Appello di Venezia ha confermato la sentenza di condanna emessa dal G.U.P. del Tribunale di Padova, nei confronti di D.P.D., in quanto ritenuto colpevole, nella qualità di responsabile dei lavori, del delitto di omicidio colposo in persona di Z.A. e di lesioni colpose in pregiudizio di D.L.R. avvenuti in data (omissis), mentre costoro, alle dipendenze della ditta omissis, lavoravano presso il muro esterno di un capannone, che, sollecitato dall'urto prodotto dal braccio di una gru che operava all'interno in condizioni precarie di sicurezza per la presenza di profonde buche, crollava addosso ai due operai, cagionandone le gravi conseguenze sopra indicate anche in dipendenza dell'omessa collocazione, come era imposto dalla normativa antinfortunistica, di idonea protezione esterna che tutelasse dalla caduta di materiali le persone che si trovavano a lavorare a ridosso del muro.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione, per mezzo del difensore, l'imputato, il quale ha dedotto violazione di legge, sul rilievo che non avrebbe dovuto esigersi, ai fini dell'affermazione della sua corresponsabilità nell'eziologia degli eventi lesivi, l'obbligo di vigilare su tutti i posti critici del cantiere, dal momento che la possibilità, quale responsabile dei lavori, di agire e di vigilare sull'operato dei lavoratori gli era precluso dal ruolo soverchiante svolto da altri soggetti più competenti nel ramo, come, ad esempio, il Geom. W.M., nominato dal D.P. a ricoprire la posizione di garanzia di responsabile del coordinamento per la progettazione e l'esecuzione dei lavori.
Poiché costui era stato assolto con la formula per non aver commesso il fatto dalla medesima imputazione, nel separato giudizio svoltosi avanti il giudice monocratico del Tribunale di Padova, sarebbe, a parere del ricorrente, legittima l'aspettativa di vedersi reciso ogni residuo legame tra esso imputato e l'infortunio sul lavoro. Tanto più che gli elementi accertati in quel giudizio e che condussero all'assoluzione del W., e cioè l'affidamento del piano di sicurezza alle maestranze affinché ad esso si conformassero nell'esecuzione dei lavori, nonché la iniziativa degli operai di dismettere lo stesso giorno del fatto l'impalcatura esterna al muro e le tavole che coprivano le buche presenti sul pavimento del capannone, deponevano per la riconducibilità degli infortuni alla sconsiderata condotta degli operai medesimi, magari su indicazione dei rispettivi datori di lavoro. Trattasi di ricorso non meritevole di accoglimento.
Invero, le doglianze proposte dal D.P. sono affidate a motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate persuasivamente dalla Corte di merito.
Quest'ultima si è convinta e di tale convincimento ne ha spiegato le ragioni, che il D.P. dovesse rispondere del reato ascrittogli, in quanto ha accertato che le indicazioni del piano di sicurezza del cantiere predisposto dal Geom. W. erano state il giorno dell'infortunio trasgredite, mentre solo quelle prescrizioni (e, specificamente, la copertura delle buche e l'impalcatura idonea a tutelare le persone dalla caduta di materiali dall'alto) avrebbero potuto svolgere un ruolo idoneo ad evitarlo, sicché tali trasgressioni, costituenti anche violazioni specifiche della normativa antinfortunistica, avevano svolto un ruolo sinergico nella causazione degli eventi in danno degli operai, conseguendone l'addebito di colpevolezza del D.P., in qualità di responsabile dei lavori, in quanto tale, titolare dell'obbligo di predisporre le misure di protezione nel cantiere e, comunque, di pretendere che quelle misure fossero costantemente osservate dai lavoratori.
I giudici di secondo grado non si sono sottratti nemmeno all'esame della deduzione difensiva, con la quale ancora in questa sede è stata prospettata la possibilità di configurare nel caso in esame l'esenzione da responsabilità del D.P. in forza della nomina del Geom. W., quale addetto al coordinamento della progettazione ed esecuzione dei lavori.
La Corte territoriale, infatti, nel definire il ruolo avuto dal D. P. nella vicenda, ritenendo costui non esentato da responsabilità penale, si è peritata di uniformarsi ai principi giuridici in materia, comprendendo il responsabile dei lavori tra le figure che assolvono una effettiva posizione di garanzia in riferimento alla osservanza delle disposizioni a salvaguardia della sicurezza nell'ambiente di lavoro, figura che non si libera da ogni obbligo sol perché procede alla nomina a sua volta di persone competenti, quali il coordinatore per la progettazione ed esecuzione dei lavori, restando il primo, pur sempre vincolato alle responsabilità connesse alla verifica dell'adempimento degli obblighi di cui al D.Lgs. n. 494 del 1996, art. 4, tra i quali l'esercizio del doveroso controllo, rientrante nei suoi specifici compiti, sulla assenza anche temporanea delle misure di salvaguardia o sulla eventuale presenza di comportamenti dei lavoratori che ponessero in pericolo le esigenze di sicurezza.
L'omessa vigilanza non può essere giustificata dalla asserita incompetenza nella materia di che trattasi, in quanto il responsabile dei lavori è ricompreso tra i destinatari delle norme antinfortunistiche ai sensi dell'art. 4 del D.Lgs. citato, sicchè il suo ruolo implica necessariamente a suo carico anche il dovere di vigilare a che i lavoratori osservino le misure di prevenzione infortuni, usino i dispositivi di sicurezza e gli altri mezzi di protezione e si comportino in modo da non creare pericoli per sé e per gli altri.
Ne consegue che, nella fattispecie, la corresponsabilità del D. P. è giuridicamente configurabile e logicamente concepibile, dal momento che gli eventi infortunistici sono eziologicamente dipesi, come è stato accertato dai giudici di merito, non solo dalla mancanza delle suindicate misure e cautele antinfortunistiche, la cui predisposizione ed attuazione spettava al responsabile dei lavori, ma anche dalla omessa e, comunque, insufficiente vigilanza nel senso suddetto.
In riferimento, poi alla censura, che si richiama alla condotta imprudente dei lavoratori, vittime dell'incidente, al fine di sostenere l'interruzione del nesso eziologico tra colpa del responsabile dei lavori ed eventi infortunistici, sembra al Collegio che, nel confutarla, sia stata fatta dai giudici di merito corretta applicazione del principio generale secondo cui la colpa altrui non elide la propria.
E' evidente, infatti, che la legittima aspettativa che si richiama alla competenza ed esperienza del lavoratore, non rileva allorché chi la invoca versa "in re illicita", per non avere negligentemente impedito l'evento lesivo, che è conseguito dall'avere le vittime operato nel cantiere in condizioni di pericolo, in quanto le buche erano state scoperte del tavolato che le ricopriva e l'impalcatura era stata dimessa proprio il giorno del fatto: tanto meno è invocabile, se la si pone, come nel caso di specie, alla base del proprio errore di valutazione, assumendo che il sinistro si è verificato non perchè si sia tenuto un comportamento antigiuridico, ma sol perché vi è stato, dalla parte delle vittime, un anomalo cambiamento di condotta.
Questo rilievo non scagiona, per il fatto che chi è responsabile della sicurezza del lavoro deve avere sensibilità tale da rendersi interprete, in via di prevedibilità, del comportamento altrui.
In altri termini, l'errore sulla legittima aspettativa non è invocabile, non solo per la illiceità della propria condotta omissiva, ma anche per la mancata attività diretta ad evitare l'evento, imputabile a colpa altrui, quando si è, come nel caso "de quo", nella possibilità in concreto di impedirlo.
E' il cosiddetto "doppio aspetto della colpa", secondo cui si risponde sia per colpa diretta sia per colpa indiretta, una volta che l'incidente dipende dal comportamento dell'agente, che invoca a sua discriminante la responsabilità altrui.
A tali principi la Corte territoriale si è attenuta nel definire il ruolo avuto dall'imputato nella vicenda, ritenendo costui non esente da colpa.
E' da osservare, infine, che la normativa antinfortunistica mira a salvaguardare l'incolumità del lavoratore non solo dai rischi derivanti da incidenti o fatalità, ma anche da quelli che possono scaturire dalla sue stesse disattenzioni, imprudenze o disubbidienze alle istruzioni ricevute, purché connesse allo svolgimento dell'attività lavorativa.
Sussistendo questa ipotesi, è affermato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte il principio giuridico che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall'assenza o inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale può essere attribuita al comportamento del lavoratore infortunato, che abbia dato occasione all'evento, quando questo sia da ricondursi alla mancanza o insufficienza di quelle cautele che, se adottate, sarebbero valse a neutralizzare il rischio di siffatto comportamento.
Alla stregua di tale principio, la doglianza difensiva non ha ragion d'essere, non potendosi l'imprudente condotta delle vittime considerarsi imprevedibile e tale da interrompere il rapporto di causalità, essendo questo nella specie riconducibile, comunque, all'omissione, da parte del D.P., della condotta doverosa di impedire che i lavoratori operassero a ridosso del muro, benché fosse stato sguarnito della impalcatura atta a compensare le sollecitazioni orizzontali impresse dall'urto della gru, che si muoveva all'interno del capannone su un pavimento pieno di profonde buche.
Il rigetto del ricorso comporta, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del processo.

P.  Q.  M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2006.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2006