SENATO DELLA REPUBBLICA
XVI LEGISLATURA
Giunte e Commissioni

Resoconto stenografico

Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro con particolare riguardo alle cosiddette «morti bianche»

Seduta 95: mercoledì 15 febbraio 2012

Audizione del dottor Giancarlo Caselli, procuratore della Repubblica di Torino, e del dottor Raffaele Guariniello, sostituto procuratore presso il medesimo ufficio

Presidenza del presidente TOFANI

Sulla pubblicità dei lavori

Presidente.
Avverto che della seduta odierna sarà redatto e pubblicato il Resoconto stenografico.
Propongo altresì di attivare, ai sensi dell'articolo 13, comma 2, del Regolamento interno della Commissione, il circuito audiovisivo. Non facendosi osservazioni, tale forma di pubblicità è adottata per il prosieguo dei lavori.

Audizione del dottor Giancarlo Caselli, procuratore della Repubblica di Torino, e del dottor Raffaele Guariniello, sostituto procuratore presso il medesimo Ufficio

Presidente
L'ordine del giorno reca l'audizione del dottor Giancarlo Caselli, procuratore capo della procura di Torino, e del dottor Raffaele Guariniello, sostituto procuratore presso il medesimo ufficio. Anche a nome dei colleghi della Commissione vorrei esprimervi il nostro particolare interesse per quest'audizione e non solo, ovviamente, per gli ultimi avvenimenti che si sono determinati in riferimento a un'importante e storica sentenza sulla vicenda Eternit e sul grande problema dell'amianto, che purtroppo non si circoscrive a quella realtà territoriale ma è ampiamente diffuso su tutto il territorio nazionale.
L'esigenza di questo incontro nasce dal bisogno di ricevere da voi informazioni su una proposta che attualmente sta prendendo piede (per quanto mi riguarda non da oggi, grazie all'opportunità che ho avuto di conoscere il dottor Guariniello fin dai tragici eventi della ThyssenKrupp), ovvero la creazione di una procura nazionale in materia di infortuni sul lavoro. È un argomento su cui questa Commissione si è interrogata e varie sono state le richieste da parte di colleghi di poter avere un'audizione su questo tema specifico. Ricordo, ad esempio, che tale possibilità è stata posta all'attenzione del Governo su iniziativa del collega De Angelis e della senatrice Bugnano nell'ultima relazione che abbiamo presentato in Aula e votato all'unanimità. Siamo quindi ben disposti ad ascoltare le opinioni, gli argomenti, le motivazioni e le riflessioni provenienti da personalità che vivono queste tematiche in prima persona e con grandi risultati; siamo quindi disponibili a fare una valutazione di carattere politico sulle stesse e, di conseguenza, ad assumere le determinazioni del caso.
Do quindi la parola la procuratore Caselli, per una sua introduzione.

Caselli
Signor Presidente, saluto tutti i senatori presenti. Sarò molto breve perché, anche se chi mi conosce sa che ho un altissimo concetto di me stesso, oggi sono ben felice di fare il portaborse del dottor Guariniello, rendendomi ben conto che il mio è soltanto un ruolo di comprimario rispetto agli aspetti che devono essere esaminati e alle vicende che lo hanno visto protagonista in queste ultime ore.
Sicuramente, l'organizzazione in un ufficio giudiziario non è tutto - servono molte altre cose - ma può essere determinante per raggiungere certi livelli di efficienza e anche per mantenerli nonostante la scarsità di uomini, mezzi e risorse che affligge (senza voler aprire capitoli troppo dolorosi) tutti gli uffici giudiziari. Una delle modalità ormai collaudate e sperimentate di organizzazione efficiente del lavoro è la distribuzione dei magistrati nelle procure medio-grandi (e grandi in particolare) in gruppi di lavoro specialistici, i pool. La specializzazione è uno dei risultati positivi del pool, altri sono: l'affiatamento tra i vari componenti del gruppo, la circolazione di notizie, lo sforzo, la tendenza a realizzare interventi uniformi e, quando si tratta di attività di accertamento investigativo-giudiziarie particolarmente complesse, anche la possibilità di destinare più uomini dello stesso gruppo (magistrati e polizia giudiziaria) alla ricerca della verità. Lo scopo è fare i processi nel migliore dei modi.
A tal riguardo vorrei aprire una parentesi molto personale. A quanto mi risulta, il primo pool nasce nell'ufficio istruzione del tribunale di Torino (i giudici istruttori ormai non esistono neanche più) quando le Brigate Rosse uccidono a Genova il procuratore generale Coco e gli uomini della sua scorta Saponara e Deiana. La Cassazione assegna il processo a Torino.
Il capo dell'ufficio istruzione mi chiama, perché avevo già fatto alcuni processi alle Brigate Rosse, e mi dice che questo processo lo avrei seguito io ma non da solo, perché se anziché essere soltanto io fossimo stati in tre (gli altri due saranno Luciano Violante, conosciuto al di là dell'ambito giudiziario, e Mario Griffey), anche là dove le Brigate Rosse avessero ammazzato uno o due di noi, il processo sarebbe andato avanti lo stesso.
L'argomentazione del mio consigliere istruttore fu certo meno rozza, ma che l'obiettivo fosse quello di fare i processi, e di farli mettendo in campo tutto quello che è necessario, risultava evidente.
La specializzazione è un valore fondamentale per quanto riguarda l'organizzazione e la speranza di ottenere risultati positivi. Gli studi legali professionali articolati su numerosissimi soggetti ne fanno addirittura una sorta di ossessione, perché ciascun avvocato componente di questi uffici professionali si specializza su un coriandolo del possibile sapere giuridico, in modo da non sprecare nessuna eventuale occasione che possa presentarsi e consentire di ottenere un certo qual risultato. In una procura della Repubblica una specializzazione così frammentata e coriandolizzata (mi scuso per questo neologismo) è impossibile da realizzare, ma faticosamente, nel corso di qualche decennio, una certa forma di specializzazione ce la siamo data con ottimi risultati, non soltanto per quanto riguarda il gruppo che fa capo al dottor Guariniello, ma anche per tutti gli altri gruppi specialistici. Tuttavia, siamo qui per parlare soprattutto delle competenze che riguardano il dottor Guariniello, i risultati portano i nomi di ThyssenKrupp, Eternit e anche quello di un processo che ha avuto meno gli onori delle cronache, ma che è stato celebrato sempre a Torino qualche mese fa: il cosiddetto processo Pirelli, di difficoltà analoga e di importanza non minore.
Avviandomi alla conclusione, vorrei ricordare innanzitutto a questa Commissione, al suo Presidente e ai componenti tutti, una legge dello Stato che se rimane tal quale noi applicheremo lealmente (questo è il nostro dovere, non ci piove), anche se l'augurio è che, essendoci ancora un lasso di tempo prima che vada a regime nel primo semestre di quest'anno, possa essere modificata. Questa legge impone al capo ufficio (per quanto riguarda Torino, il sottoscritto) di trasferire coattivamente - è un vincolo assoluto, non c'è alcuna possibilità di scelta diversa - tutti i componenti di un determinato gruppo specialistico che facciano parte di esso da dieci anni. Il gruppo che fa capo al dottor Guariniello si compone, allo stato degli atti, di nove pubblici ministeri; ebbene di questi nove, se la normativa rimane tal quale, dovranno esserne trasferiti sei. Tra loro, ci sono Sara Panelli e Gianfranco Colace, i pubblici ministeri che, insieme al dottor Guariniello, hanno condotto il processo Eternit appena conclusosi.
Il discorso vale non solo per il gruppo del dottor Guariniello, ma anche per tutti gli altri gruppi. Penso in particolare a quelli che si occupano delle fasce deboli, alla difficoltà nel formare una professionalità quando si tratta di maltrattamenti in famiglia, di minori abusati, di truffe ai danni degli anziani: tutto verrebbe buttato a mare. Scusate l'espressione forse troppo franca e ruvida, magari dovrei essere più cauto: si farebbe tabula rasa della specializzazione e della professionalità conseguente, delle prassi investigative e giudiziarie che faticosamente si sono costruite negli anni. Oserei dire che si tratta di un lusso che non possiamo permetterci, perché così diventa molto più difficile realizzare le tutele necessarie - e quelle che si riesce a realizzare sono esse stesse a rischio - di diritti fondamentali dei cittadini, a partire dalla sicurezza e dalla salute.
La procura della Repubblica di Torino, nel luglio scorso, ha elaborato un documento che è stato inviato un po' a tutti (e che con il suo permesso, Presidente, mi permetto di rassegnarle), nel quale ci sono le nostre argomentazioni, le nostre motivazioni a sostegno della richiesta forte - che rinnoviamo - di un ripensamento su questa normativa, se mai ci fossero gli spazi per una sua rivisitazione. Il documento reca in calce le firme di tutti i magistrati della procura della Repubblica di Torino.
La specializzazione viaggia di pari passo con un altro importante parametro, che può garantire efficienza, buoni risultati e che costituisce un altro momento nodale dell'organizzazione del lavoro: la centralizzazione.
Essa consiste nel creare un motore di raccolta e diffusione dei dati su un certo fenomeno, un certo problema, una certa area di intervento nel controllo di legalità, con la possibilità di diffondere le prassi investigativo-giudiziarie virtuose, efficienti, che siano state sperimentate e collaudate sul campo.
Questo discorso - a cui accenno brevemente prima di passare la parola al collega Guariniello - introduce la questione dell'istituzione di una procura nazionale antinfortuni. Personalmente, sono molto favorevole a questa soluzione, per venire incontro alla necessità di diffondere le pratiche, attraverso un coordinamento degno di questo nome, che una tale procura nazionale può realizzare. Il dottor Guariniello svolge questo ruolo da circa quarant'anni, mentre io faccio il procuratore della Repubblica di Torino da quattro anni, quindi non voglio accampare meriti della mia dirigenza che non esistono assolutamente. Se dico che a Torino su questo versante si sono realizzate ottime cose, che attraverso una procura nazionale potrebbero essere propagandate, nel senso nobile del termine, cioè diffuse affinché diventino patrimonio e cultura nazionale, in modo da migliorare appunto sul piano nazionale l'efficienza della risposta nella tutela della sicurezza sui posti di lavoro e della salute dei cittadini, faccio affermazioni che non rappresentano una indiretta lode di me medesimo, il che sarebbe ridicolo, ma riguardano la fatica che altri ha fatto da quarant'anni a questa parte, che è difficile non vedere e non constatare.
Pertanto, come osservatore esterno questa volta (dato che, ripeto, degli ultimi quarant'anni soltanto gli ultimi quattro mi riguardano), sono assolutamente favorevole all'istituzione di una procura nazionale antinfortunistica, proprio per i benefici che ne potrebbero derivare su scala nazionale. Sono sicuro che a tale riguardo il dottor Guariniello saprà proporre considerazioni assai più incisive, specifiche e significative di quante non abbia fatto io rimanendo su un versante soltanto generico.

Guariniello
Ringrazio anzitutto la Presidenza e la Commissione per l'opportunità che ci ha dato di esprimere un sogno, non mio personale ma di un qualcosa che credo possa fare veramente del bene al Paese.
Ho preparato un documento, che se desiderate posso lasciare agli atti, di cui vorrei illustrare qualche passaggio. Inizierò da una domanda che tutti ci stiamo ponendo ormai da tempo e che si pone spesso il nostro Presidente della Repubblica: perché ancora tanti infortuni sul lavoro? Perché tante malattie professionali? È un problema di leggi? La mia convinzione è che non sia un problema di leggi, che sono tantissime e sono sempre migliorate.
Ritengo che sarebbero bastate già le leggi degli anni Cinquanta del secolo scorso, però ne sono state approvate altre, nuove; ben vengano, ma il problema è quello della concreta applicazione di queste leggi, che non si applicano adeguatamente per varie ragioni. Una ragione che credo importante è quella della carenza dei controlli, sia quelli affidati agli organi di vigilanza, sia quelli affidati alla magistratura. Proprio a questo secondo riguardo, credo che dobbiamo prendere atto, senza falsi pudori, che l'intervento dell'autorità giudiziaria a tutela della sicurezza sul lavoro è ancora molto insoddisfacente.
A me capita di girare per il nostro Paese, per parlare con gli ispettori: al Nord, al Centro e al Sud. Ricordo che in una città di una Regione che tra l'altro amo moltissimo, la Calabria, venni presentato al procuratore capo, che era lì solo da un anno. Mi disse che aveva voluto contare quanti fascicoli per infortuni sul lavoro la loro procura aveva aperto negli ultimi dieci anni ed aveva riscontrato che erano stati solo 21. Osservai allora che in quella città non accadevano infortuni, ma egli replicò dicendo che i medici avevano paura a fare i referti. Chiesi chi gestisse quegli infortuni e lui rispose che lo faceva l'uomo d'onore. Pensate che ero andato in quella città per parlare di mobbing, ma mi sono vergognato. Questo è un Paese molto diversificato da zona a zona: ci lamentiamo di ciò che capita a Torino, ma ci sono aree del nostro Paese dove i problemi sono maggiori, dove i processi in materia di sicurezza sul lavoro proprio non vengono fatti, e altre aree in cui i processi si riescono a fare, però con una lentezza tale che si arriva troppo spesso alla prescrizione del reato. Ogni quindici giorni vado in Cassazione per leggere le sentenze penali e spesso mi capita di vedere sentenze su fatti anche tragici che riconoscono l'esistenza delle responsabilità, però nel frattempo il reato si è prescritto. Ad esempio, vari anni fa è capitato un incidente, non chissà dove ma a Biella, vicino a Torino: è scoppiato un incendio in cui tre lavoratori sono morti e cinque sono rimasti feriti. Ebbene, ho trovato la sentenza della Cassazione, nella quale si dice che è stato giusto condannare, ma che i reati di omicidio colposo e di disastro colposo sono ormai prescritti. Quando si legge questa storia si rimane colpiti, perché la conseguenza di tutto ciò è devastante. A mio parere, si è diffuso, anche nella sostanziale indifferenza di autorevoli istituzioni giudiziarie, un senso di impunità, che danneggia i lavoratori ma danneggia anche le imprese virtuose, alle quali altre imprese, che virtuose non sono, fanno una concorrenza sleale. Si è diffusa questa idea che le regole ci sono, ma che si possono violare senza incorrere in concrete e sostanziali responsabilità.
Ogni volta che capita una di queste tragedie c'è una litania di lamentele, però bisogna passare dalle parole ai fatti, vedere in concreto cosa si può fare. L'idea che è venuta - peraltro non subito ma nel tempo a seguito di questa esperienza di anni e anni di lavoro - è di una organizzazione giudiziaria nuova nel settore dei reati che riguardano la sicurezza sul lavoro, quella che abbiamo chiamato una procura nazionale della Repubblica. Ricordo che il precedente ministro del lavoro, onorevole Sacconi, era favorevole alla creazione di quella che definì con espressione molto efficace "procura esperta". Insomma, una procura altamente specializzata con competenza estesa a tutto territorio nazionale per le ipotesi di reato che appaiano di maggiore complessità. Le tante procure, credo che siano più di cento in Italia, spesso di piccole dimensioni (2-3 magistrati) non sono assolutamente in grado di fronteggiare ipotesi così complesse, non perché non vi siano bravi magistrati, bensì per difetto di specializzazione nella materia e per mancanza di esperienze pregresse sul campo. Quando la tragedia accade magari in un piccolo territorio di una piccola procura, che è la prima volta che affronta un evento del genere, è ovvio che non vi sia una memoria storica o un'esperienza pregressa, per cui già nel fare una cosa che sembra banale, come nominare i consulenti tecnici, si trovano difficoltà. Io non faccio che ricevere telefonate da colleghi di piccole procure che, a fronte di un caso di mesotelioma, mi chiedono chi nominare come consulente. E nominare un consulente vuol dire, in questa materia, decidere la sorte del processo. Se si nomina un consulente che non è altamente capace e altamente neutrale - ahimè, purtroppo, abbiamo esempi di vibrante attualità - si va incontro a problemi.
Ho pensato a quali siano le finalità che raggiungerebbe una procura nazionale. Non è per fare un decalogo, ma ne sono venute fuori proprio dieci. La prima è quella più immediata, cioè affrontare con indagini incisive e rapide le grandi tragedie che, purtroppo, continuano a verificarsi nostro Paese - l'ultima è quella della Concordia - e garantire nei relativi procedimenti penali una partecipazione di un pubblico ministero esperto.
Questo è lo scopo che viene subito in mente, ma c'è un secondo fondamentale scopo, cui si pensa poco, ma che addirittura è più importante: non limitarsi ad operare, peraltro con modalità spesso inadeguate in seguito a tragedie ormai consumate, ma svolgere finalmente azioni sistematiche e organiche di prevenzione in ordine ai problemi che maggiormente insidiano la sicurezza del lavoro in violazione delle norme vigenti penalmente sanzionate.
C'è poi una terza finalità, che noi non abbiamo scoperto subito, perché c'è voluto del tempo (i casi della ThyssenKrupp e dell'Eternit hanno insegnato molto anche a noi): bisogna cambiare metodologia di indagine.
Infatti, quando capita un infortunio che cosa fa, in genere, una procura della Repubblica? È un copione che seguivamo sempre anche noi: gli ispettori vanno sul posto (nei casi più gravi ci va anche il magistrato); si sentono dei testimoni; si fa un sopralluogo; si chiedono dei documenti all'azienda. Alla fine, si nomina un consulente tecnico e si aspetta l'esito di questa consulenza. Questa è una metodologia ormai superata. Dobbiamo utilizzare metodologie molto più penetranti, che non fermino la propria attenzione alle responsabilità dei livelli più bassi dell'organigramma aziendale e che, eventualmente, individuino tali responsabilità, là dove sia il caso, anche nelle stanze dei consigli di amministrazione, cioè in quelle stanze in cui si esercitano gli effettivi poteri decisionali di spesa, in cui si stabilisce la politica della sicurezza, in cui si fanno le scelte di fondo, rispetto alle quali, ce l'ha detto la Corte di cassazione in ultime sentenze, nessuna capacità di intervento può realisticamente attribuirsi a personaggi più deboli dell'organigramma aziendale.
Occorre una strategia investigativa molto più penetrante. Quando l'ispettore si muove, perché è capitato un certo infortunio, chiede all'azienda dei documenti. Ma questa, giustamente, darà i documenti che vuole. Occorre invece fare le perquisizioni, in particolare nei computer dell'azienda, per leggere i messaggi che si scambiano e per capire la politica aziendale della sicurezza. Bisogna cioè capire se quell'infortunio sia un episodio raro nella vita dell'azienda, un evento capitato per caso, o se rispecchi una politica aziendale della sicurezza. È proprio questa metodologia di indagine che ci ha consentito di individuare, in certi casi, il dolo eventuale, di cui si è parlato nel caso della ThyssenKrupp, ma anche nel caso dell'Eternit. Questa però non è stata una applicazione originale bensì il frutto di una metodologia di indagine nuova. Mi chiedo se le procure, le 100 e oltre procure del nostro Paese, sono in grado di sviluppare una metodologia d'indagine di questo tipo.
Un quarto obiettivo che considero molto importante è quello di andare su tutto il territorio nazionale alla ricerca dei tumori professionali perduti. Come il Presidente sa bene, perché da tutte le relazioni della Commissione emerge che ha molto esplorato questo terreno, nel nostro Paese l'eziologia occupazionale dei tumori è stata per lungo tempo largamente misconosciuta; per questo da 15 anni, presso la procura della Repubblica di Torino, e non presso un'autorità sanitaria come invece si potrebbe pensare, abbiamo organizzato un osservatorio sui tumori professionali, che naturalmente ha una competenza ristretta al circondario della procura di Torino, allo scopo di andare alla ricerca di tumori che abitualmente finiscono nel buco nero degli ospedali e dei Comuni senza venir segnalati a nessuno: non all'autorità giudiziaria, ma nemmeno l'INAIL e agli organi di vigilanza. Abbiamo preso in considerazione i tumori la cui eziologia occupazionale è più probabile: i mesoteliomi da amianto, i tumori della vescica (ammine aromatiche) e del naso, che riguardano i lavoratori del legno e della concia. Ogni caso viene refertato dai medici e per ciascuno di essi l'osservatorio verifica se il soggetto portatore di tumori sia stato o meno esposto a un agente cancerogeno. In questi 15 anni per la zona di Torino abbiamo esaminato 25.981 casi e non è che siamo una struttura stratosferica con centinaia di persone addette, non è così: queste cose si possono fare. I suddetti casi riguardano 1.629 aziende facenti capo a 264 comparti; di essi, la parte del leone è costituita dai tumori vescicali (20.201), poi abbiamo 1.936 mesoteliomi pleurici, 169 mesoteliomi peritoneali, 576 tumori delle cavità nasali. All'esito degli accertamenti, su 25.981 casi 15.673 sono risultati presentare esposizioni lavorative.
Attenzione, in varie Regioni del nostro Paese ci sono i Registri tumore, nonché i Registri nazionali dei mesoteliomi (ReNaM), la cui finalità è ottima, ma è quella di sviluppare degli studi. Gli scopi del nostro osservatorio non sono di studio, ma molto più terra terra; sono fondamentalmente tre e nascono dal fatto che si lavora non su casi anonimi, ma con nome e cognome: Tizio si è ammalato, lavorava nell'azienda "x".
Tra i suoi scopi vi è innanzitutto quello di fare il nostro mestiere, cioè individuare le eventuali responsabilità penali e fare i processi. Anche il processo Eternit nasce da questo osservatorio, senza il quale non avremmo trovato tutti i casi che abbiamo individuato. Il secondo scopo è quello di garantire, non il diritto alla vita (purtroppo queste persone sono morte), ma almeno un risarcimento alle famiglie delle vittime. Quando noi vediamo che per un caso di mesotelioma magari la famiglia della vittima riesce a prendere 500.000 euro, anche se può sembrare poco bisogna pensare che senza il processo penale non li avrebbe presi. L'obiettivo è altresì quello di agevolare la prevenzione, perché i casi che ci vengono segnalati ci fanno spesso individuare sedi insospettabili di esposizione ad un agente cancerogeno. Ricordo che a un certo punto arrivò il caso di un macellaio con il mesotelioma. Abbiamo studiato la sua storia e abbiamo scoperto che lavorava in un centro commerciale in un grande palazzo al centro di Torino. Ricordo che andai a fare un'ispezione in questo immobile e a un certo punto vidi dei batuffoli bianchi nelle fioriere; chiesi di cosa si trattasse, scoprii che era amianto e domandai per quali ragioni quella sostanza si trovava lì. A un certo punto guardammo verso l'alto e notammo delle assi con fessurazioni, che si vedono spesso, e vedemmo tanti pezzetti bianchi. Alla fine si scoprì che quel palazzo era tutto coibentato in amianto allo stato grezzo; quindi vi pioveva amianto, pensate con quale esposizione per la gente. Ricordo che quando costringemmo a liberare tutto lo stabile ricevemmo notevoli accidenti da parte dei vari commercianti, ma intanto adesso se andate a Torino in quel palazzo non trovate più amianto, quindi potete girare tra i banchi senza alcuna preoccupazione. Abbiamo scoperto questa situazione grazie all'osservatorio.
Sono importantissime anche le ripercussioni su un altro aspetto, cioè il diritto di regresso dell'INAIL. Come loro sanno, infatti, l'INAIL ha il diritto di chiedere alle aziende di essere rimborsata per le spese che ha pagato ai lavoratori o alle loro famiglie per un infortunio o per una malattia professionale. La ricaduta di questo osservatorio è stata enorme. Nella nostra Provincia i casi di tumori professionali denunciati all'INAIL hanno avuto un rialzo enorme; il calcolo può anche essere economico, perché se si fa l'azione di regresso l'INAIL recupera risorse. Ancora più importante, tuttavia, è la spinta alla prevenzione, perché se esercitiamo l'azione di regresso incentiviamo le imprese a tutelare la sicurezza e l'igiene nei luoghi di lavoro. Per un'azienda è meglio spendere oggi per fare prevenzione che spendere domani per rimborsare l'INAIL. Questa è dunque un'altra ricaduta importante.
Questo osservatorio è presente nella nostra zona, ma pensate - a me sembra di sognare ad occhi aperti - a una procura nazionale che abbia un osservatorio di questo tipo su tutto il territorio nazionale; pensate alla ricaduta che avrebbe, perché non si muore di tumore solo a Torino ma anche altrove. Tuttavia, se non si cercano i tumori non si trovano. Bisogna altresì sensibilizzare i medici a fare i referti. Da noi i medici stanno facendo un lavoro splendido, perché fanno i referti di tutti i casi di tumori vescicali e di mesoteliomi. È un lavoro eccezionale.
Un'altra finalità è porre fine all'attuale fuorviante frammentazione delle indagini su situazioni analoghe, se non addirittura identiche, che si verificano in luoghi diversi del nostro Paese. Mi riferisco, in particolare, ai casi più eclatanti di malattie professionali che si riscontrano tra i lavoratori di aziende che fanno capo alla medesima società o al medesimo gruppo, ma che non coinvolgono una circoscritta zona territoriale. Ogni qualvolta esplode un'emergenza del genere, si avverte la necessità di una gestione unitaria del caso e invece accade che una procura della Repubblica addirittura non valuti proprio il fenomeno, oppure che ne valuti autonomamente solo un certo aspetto, quindi non abbia il quadro d'insieme e non sia in grado di approfondire il fenomeno nella sua globalità. Il risultato è che abbiamo assistito ad una grande ingiustizia: a fronte di morti causate dalle stesse malattie (tumori vescicali e mesoteliomi) tra lavoratori impiegati in stabilimenti della medesima società, che si occupano della medesima lavorazione, ma situati uno a Torino ed uno a Milano, a Torino si è arrivati a due condanne (perché poi i tumori sopravvengono, quindi si fa un primo processo e si ottiene una condanna, poi si fa un secondo processo che si conclude con un'altra condanna), mentre altrove è stata chiesta l'archiviazione. Allora, o sbagliano gli uni o sbagliano gli altri, ma non è giustificabile una disparità di trattamento di questa natura. Ebbene, una procura nazionale servirebbe appunto ad evitare queste frammentazioni di indagine.
Un sesto obiettivo è favorire l'apertura di nuovi scenari giudiziari, che per ora sono largamente inesplorati. Nei processi ThyssenKrupp ed Eternit, l'accusa che è stata mossa dalla procura ed è stata ritenuta fondata in primo grado dagli organi giudiziari (corte d'assise in un caso e tribunale nell'altro) non è stata solo quella tradizionale, cioè l'omicidio, ma ha riguardato anche altri reati, previsti non dalle leggi odierne, ma dal codice penale del 1930. Si tratta di quindi di reati non nuovi, che però non sono mai stati applicati concretamente: l'omissione dolosa di cautele antinfortunistiche (articolo 437 del codice penale) e il disastro (articoli 434 e 449 del codice penale). Questi reati in materia di sicurezza sul lavoro non vengono mai presi in considerazione perché manca un'organizzazione, dal momento che per contestarli occorre eseguire determinati accertamenti. È già tanto se una piccola procura riesce a lavorare sull'omicidio; questi invece sono reati più sofisticati, per i quali bisogna effettuare accertamenti specifici. Pensate cosa ha voluto dire cercare di convincere il tribunale che a Casale Monferrato si era verificato un disastro non solo negli stabilimenti ma anche negli ambienti di vita e che tale disastro continua ancora oggi.
Non ci si può limitare ad affermarlo, bisogna dimostrarlo con i fatti, con i dati ed una piccola procura non ha le forze per farlo, è già tanto - lo ripeto - se accerta l'omicidio colposo. Siamo di fronte a norme, a categorie giuridiche che non sono nuove, ma addirittura risalenti ad un codice e ad una giurisprudenza di decenni e decenni fa, che tuttavia sono nuove sulla scena dei processi. Non è che siano stati geniali i pubblici ministeri ad inventare qualcosa, semplicemente hanno potuto usufruire di un'organizzazione che ha tirato fuori i dati di fatto che dimostravano la sussistenza di quei reati.
Un settimo punto, che considero importante, riguarda gli organi di vigilanza, di cui siamo pieni. Non intendo assolutamente parlare male delle ASL, perché hanno rappresentato un ottimo salto in avanti, però spesso ogni ASL sembra quasi una repubblica a se stante, che adotta comportamenti divergenti da quelli delle altre, per cui le imprese ricevono determinate prescrizioni a seconda della zona in cui operano. In questo periodo, sto affrontando la questione degli organi di vigilanza di recentissima creazione - sulla base dell'articolo 13, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 81 del 2008 - per le forze armate, le forze di polizia ed i vigili del fuoco. Per la verità, ho sempre avuto dubbi su queste giurisdizioni domestiche, tuttavia sto sperimentando l'applicazione di questa norma e ho potuto verificare che ci sono numerosi problemi con riferimento a questi organi appena creati. Se ci occupiamo, ad esempio, dei tumori tra gli addetti dell'esercito che sono morti di mesotelioma, affidiamo l'indagine ad un colonnello che fa parte dell'organismo di vigilanza istituito presso le forze armate. La stessa cosa riguarda l'aeronautica militare, la marina militare, i vigili del fuoco. Tuttavia, quando ho cominciato a chiedere dove sono questi organi di vigilanza, mi è stato risposto che forse non sono stati ancora istituiti. Questo mi è stato risposto proprio pochi giorni fa per i vigili del fuoco. Come sapete, abbiamo riscontrato 58 casi di mesotelioma tra i vigili del fuoco, perché costoro intervengono quando c'è un crollo a seguito di incendio, quindi con un'esposizione a tutto l'amianto che purtroppo abbiamo impiegato nelle costruzioni del nostro Paese.
Vi voglio raccontare il seguente episodio. Come servizio ispettivo per i vigili del fuoco sono venuti da me due ingegneri. Ho segnalato loro che c'era un problema e uno dei due mi ha detto: "Ma noi abbiamo fatto tutto il possibile". La mia replica è stata: "Lei non devo dire "noi", lei deve dire "loro"". Un organo di vigilanza non può dire "noi", mettendosi da una parte, in questo caso dalla parte dell'impresa. Questo è un problema serio ed è anche piuttosto imbarazzante per il magistrato. Io voglio fare le cose come è scritto nella legge, però vorrei anche essere tranquillo che quell'organo di vigilanza faccia le indagini in maniera neutrale e non mi ponga dei problemi di conflitto d'interesse. Magari le indagini le fa il colonnello "tal dei tali", che gerarchicamente dipende da colui che potrebbe essere imputabile. Come la mettiamo? Anche qui i problemi sono diversi.
C'è quindi la necessità di una procura nazionale che sappia governare questi organi di vigilanza, che sappia dargli un'impronta unitaria, che eviti che facciano di testa propria. Spesso sento imprese che mi dicono di aver ricevuto una certa prescrizione ed io mi chiedo come sia possibile che sia stata data una prescrizione che proprio non ha senso, che costringe le imprese a spendere su problemi che non sono reali, solo perché ad un ispettore è venuta in mente quella prescrizione. Noi dobbiamo pretendere dalle imprese, ma sui problemi seri, non su aspetti che non hanno un fondamento reale.
Vi racconto l'esperienza che stiamo facendo a Torino. Ogni mese facciamo una riunione con gli ispettori, durante la quale vengono fuori i vari problemi e dubbi. Sono riunioni veramente utili, dal momento che si crea anche una unitarietà d'indirizzo e quindi un'identità di comportamento rispetto a tutte le imprese. Abbiamo addirittura creato un sito, attraverso il quale gli organi di vigilanza possono porre delle domande. Pensate allora a cosa sarebbe una procura nazionale che svolgesse anche questa opera di discussione e di dialettica con i vari organi di vigilanza, che spesso sono abbandonati a se stessi.
L'ottavo punto si riferisce ad una modifica introdotta dal decreto legislativo n. 81 del 2008, ma già prima, dalla legge delega n. 123 del 2007, cui il legislatore ha giustamente puntato. Si tratta della responsabilità amministrativa degli enti. C'è la responsabilità penale delle persone fisiche, ad esempio se capita un infortunio, ma c'è anche la cosiddetta responsabilità amministrativa della società per cui quando si verifica un infortunio, e se ci sono delle responsabilità, nel registro degli indagati non si mette solo il nome della persona fisica, dell'amministratore, ma anche il nome della società. Questo può portare successivamente anche a condanne della società, con sanzioni pecuniarie e addirittura interdittive pesanti. Tale sistema, su cui molto ha puntato il legislatore, non sta ancora funzionando, perché bisogna fare degli accertamenti che non sono facili. La società ha fatto il modello di organizzazione, gestione e controllo? E nel caso, è idoneo? La società ha creato un organismo di vigilanza sul modello realmente previsto? Sono domande cui non si risponde con facilità.
Bisogna fare degli accertamenti approfonditi. Allora il magistrato, purtroppo non solo il pubblico ministero della piccola procura, ma anche quello della grande procura, cosa preferisce fare? Non contestare la responsabilità amministrativa. Non approfondire questo tema. Quindi tale sistema, su cui ha molto puntato il legislatore, in realtà non ha ancora avuto un reale decollo. Nel processo della ThyssenKrupp noi abbiamo contestato la responsabilità amministrativa e c'è stata la condanna. Ma i casi si contano sulle dita di una mano. Il primo caso è stato quello di Molfetta, con relativa condanna da parte del tribunale. Però, ripeto, sono veramente pochi. Questo sistema non funziona. Qui ci vuole un motore che lo faccia attivare realmente, perché attivandosi si creano i modelli di organizzazione e di gestione, ma modelli seri, modelli realmente idonei.
Un nono punto riguarda i rapporti con l'INAIL, che sono importantissimi. Noi, per esempio, li coltiviamo moltissimo, ma ci sono procure che non sanno neanche cosa sia l'INAIL. C'è una norma del Testo unico, contenuta nell'articolo 61, che dice che il pubblico ministero, ogni qualvolta esercita l'azione penale per un infortunio o una malattia professionale, ha un obbligo ben preciso, quello di darne notizia all'INAIL ai fini della costituzione di parte civile e dell'esercizio dell'azione di regresso, di cui ho parlato prima. Ma ci sono tante procure che questo obbligo non lo stanno osservando. Ogni procura tiene il suo comportamento. Noi abbiamo indotto le procure a fare sempre il referto delle malattie. Ci sono procure che dicono all'INAIL di non fare il referto, oppure che quando i referti arrivano li archiviano, d'emblée. Ma non si può lavorare su questa materia in una piccola procura. Quei due o tre magistrati devono fare la criminalità comune, magari hanno anche problemi di criminalità organizzata. Questi sono processi che non hanno modo, tempo e capacità di fare, quindi o accettiamo questo oppure facciamo qualcosa di diverso.
Infine, vorrei segnalare un problema che sta emergendo, quello dei non facili rapporti con le autorità giudiziarie di altri Paesi. Ormai abbiamo casi di infortuni o di malattie professionali che si verificano in stabilimenti che fanno capo a società multinazionali. E in questi casi cosa ti viene voglia, non per arbitrio, ma per necessità, di fare? Di andare nella sede madre della società e di recuperare documenti per capire quale sia la sua politica della sicurezza. E qui purtroppo si patisce una grave limitazione, perché mentre il crimine non conosce confini, l'autorità giudiziaria ne ha, perché ci sono le rogatorie. Quando si fa la richiesta di rogatoria e si aspetta la risposta passano mesi, a volte anni: nel caso dell'Eternit, per avere la risposta, non dal Brasile ma dalla Svizzera, sono passati tre anni e otto gradi di giudizio. Peraltro, le risposte che arrivano sono di un certo tipo, perché il magistrato che fa gli accertamenti non sa assolutamente nulla del processo che si sta svolgendo, chiede informazioni e arrivano documenti che non servono assolutamente a niente. Questo problema non è solo italiano, ma sovranazionale. In questi giorni sto molto pensando - non so se lo avete mai letto - all'articolo 86 del Trattato sull'Unione Europea che prevede il parquet européen, il pubblico ministero europeo: altro che procura nazionale, qui i sogni si allargano, però è previsto. Pensate che nel processo Eternit la procura di Torino si è dovuta occupare dello stabilimento di Cavagnolo, che era di sua competenza, ma anche di Casale Monferrato, Bagnoli e Reggio Emilia. Sono contento di averlo fatto, ma quegli stabilimenti rientravano nella competenza di altre procure non piccole, dove però non hanno fatto procedimenti. L'Eternit non aveva stabilimenti solo in Italia, ma in tutta l'Europa, ad esempio in Francia. Non so se avete letto "Le Monde" di ieri e di oggi, dove i francesi una volta tanto si chiedono come mai in Italia si è arrivati a una condanna e in Francia questa istruzione non va avanti. Gli stabilimenti Eternit ci sono dappertutto e quindi vi è la necessità di fare una giustizia che non sia limitata solo a un Paese.
Si tratta di una prospettiva ancora ulteriore, ma è mia convinzione che anche il problema dei rapporti con le autorità giudiziarie di altri Paesi sarebbe gestito meglio da una procura centralizzata e dotata di un'organizzazione e di una forza di convincimento nei confronti delle autorità giudiziarie. Le piccole procure non ci pensano nemmeno a fare una richiesta di rogatoria; non tengono conto delle richieste che arrivano dalla procura di Roma, di Milano o di Torino, figuriamoci per quelle delle piccole procure. Per queste ragioni, quindi, il processo nasce e si sviluppa in termini ormai inadeguati.
Mi si chiede poi come immagino una procura nazionale. Non so se il Presidente e la Commissione sono d'accordo ma, senza voler dare un dispiacere al procuratore capo, credo che innanzitutto sia giusto chiarire che i processi in materia di mafia e camorra sono importanti, tuttavia quelli in materia di sicurezza sul lavoro non sono di serie B. Anche in sede giudiziaria bisogna capire che i processi su questa materia sono altrettanto importanti, anche allo scopo di indurre i magistrati ad attivarsi in questo settore. Sembra quasi che chi si occupa di un omicidio volontario in senso classico o di mafia o di camorra sia un magistrato molto più bravo; io voglio contestare ciò, non è così; anzi ricordo soventi discussioni con il collega ed amico Maddalena in cui sostenevo che sono più difficili i processi in materia di malattie professionali che non quelli di omicidio volontario. Pensate che per il processo Eternit abbiamo svolto 70 udienze e per la ThyssenKrupp ancora di più; non sono processi facili in quanto lo schieramento difensivo di questi imputati non è da poco: naturalmente hanno fior di avvocati e quindi sono battaglie impegnative. Per quanto concerne le modalità con cui costruire questa procura, penso molto al modello francese del Pôle de santé previsto dall'articolo 706.2 del code de procédure pénale français, che mi sono permesso di allegare al documento che intendo lasciare agli atti. Questo testo, con eccezionale lungimiranza, ha creato la competenza di due tribunali de grande instance: quello di Parigi e quello di Marsiglia, per un zona molto limitata attorno alla città, che però hanno una competenza estesa a tutto il territorio nazionale per le infrazioni e i reati in materia di salute e sicurezza che appaiono più complessi. Vi faccio un esempio molto concreto in un altro settore. Ci stiamo occupando di protesi mammarie. In Francia se ne occupa il procuratore di Marsiglia, perché l'azienda si trova a Tolone, nella sua zona, ma si occupa anche di tutti i casi che si verificano in Francia, quindi ha una competenza estesa a 2.500 querele. In Italia noi abbiamo cominciato l'indagine, poi i consumatori hanno sporto denuncia presso tutte le 100 e oltre procure, quindi si sono aperti più di 100 fascicoli e ogni procura si comporterà diversamente: chi archivierà subito, chi farà indagini, chi archivierà alla fine, chi invece andrà a giudizio. Tutto questo è imprevedibile; si tratta di una gestione caotica. Dobbiamo fare in modo che i metodi di una procura diventino comuni a tutte; è stato trattato anche questo argomento.
Oltre a questo modello ne ho trovato interessante un altro, sebbene applicato ad un diverso settore. Si tratta di una proposta di legge dell'onorevole Sebastiano Fogliato, un bell'articolato in cui si propone l'istituzione di questa procura nazionale e si danno delle indicazioni, sulle quali si potrebbe lavorare.
Una considerazione finale. Non dobbiamo fare qualcosa che ci faccia spendere di più, questo è chiaro. Credo che non sia necessario spendere di più, anzi questa iniziativa consentirebbe di razionalizzare la spesa. Oggi, infatti, è possibile che sulle stesse questioni procedano tutte le procure, con un dispendio di energie che porta a risultati contraddittori e spesso inutili, laddove la creazione di una procura nazionale specializzata e centralizzata consentirebbe appunto di razionalizzare la spesa.

Presidente
La ringraziamo per questa ampia esposizione, ma soprattutto per la carica che ha messo nelle sue parole, che esprimono - come diceva giustamente il procuratore Caselli - un impegno pluridecennale. Ne faremo sicuramente tesoro e sapremo trarne profitto nelle nostre valutazioni e riflessioni. Credo che dovremo dedicare una o più sedute della Commissione alla discussione di questo tema, anche per capire quale percorso affrontare, senza escludere - se lei, dottor Guariniello, è d'accordo - eventuali ulteriori interlocuzioni.

Guariniello
Siamo sicuramente a disposizione.

Presidente
Desidero fornirle qualche elemento, che si affianca a ciò che lei e il dottor Caselli avete detto, circa il problema dell'assenza di un motore. L'analisi che lei ha svolto è giustamente concentrata - non può essere diversamente - sulla questione delle competenze delle procure, ma devo dire che noi abbiamo riscontrato una problematica simile, molto più ampia, in relazione all'organizzazione della prevenzione sul territorio nazionale. Si tratta di un problema complesso, cui abbiamo accennato nell'ultima relazione intermedia sull'attività della nostra Commissione, e sul quale ormai si sta concentrando l'attenzione politica. Lei ci ha ben illustrato la situazione delle procure, che in parte conosciamo grazie alle missioni che svolgiamo sul territorio, nel corso delle quali ci confrontiamo con realtà veramente diverse l'una dall'altra, fino ad arrivare a un episodio eccezionale, che desidero ricordare perché faccia parte della riflessione su ciò che lei ha detto. Quando venimmo a Torino per l'incidente alla ThyssenKrupp, in quell'occasione avemmo la possibilità di ascoltarla, quindi ricevemmo da lei elementi informativi e lei acquisì spunti di riflessione da noi, grazie all'indagine parallela da noi svolta, realizzando perciò un prezioso scambio di informazioni), mentre in un altro caso ci trovammo di fronte ad un magistrato che, in una situazione come quella, dichiarò che si avvaleva della facoltà di non rispondere. Rimanemmo turbati per la risposta, tanto che gli chiesi di rappresentarci le sue considerazioni, seppure fossimo all'inizio della grave vicenda che si era determinata, ma egli ribadì la stessa risposta. Per cui lo ringraziai e la questione finì lì.
Con ciò intendo dire che quanto lei ci ha rappresentato non solo è veritiero, perché fonte delle sue conoscenze personali, ma è confermato anche dalle nostre esperienze dirette. Pertanto è necessario che su questi problemi ci sia un'attenzione particolare. Quel magistrato si sarà comportato sicuramente in perfetta buona fede, quindi non abbiamo ritenuto opportuno dare più di tanta attenzione al caso (credo che poi avrà avuto modo di rendersi conto da solo di aver quanto meno usato un linguaggio inappropriato, non essendo un imputato). Esiste però anche il grande problema del modo in cui organizzare tutte le strutture - davvero molte - che concorrono alla prevenzione e al controllo, ma si occupano anche delle sanzioni. A tale scopo, già da qualche anno ci siamo confrontati con i nostri colleghi francesi, tedeschi e inglesi e abbiamo constatato che non solo in Francia c'è un'organizzazione verticistica, accentratrice (c'è una tradizione in questo senso), ma anche in Germania, che è una Repubblica federale, è applicato questo modello. Ci stiamo chiedendo allora se non sia il caso che anche noi rivediamo l'organizzazione non solo degli organi giudiziari, come lei ci ha brillantemente esposto, ma di tutti gli organismi impegnati nella prevenzione e nella sicurezza, cioè nella gestione di questo grande tema.
Per questo motivo, speravamo di sentire tutti insieme i rappresentanti delle Regioni che hanno la delega in materia (presidenti del consiglio regionale o assessori alla salute). Dopo una serie di sollecitazioni, tuttavia, siamo riusciti ad avere un incontro solo con sette o otto di questi rappresentanti delle Regioni, per cui la nostra Commissione ha deciso di svolgere un'indagine in tutte le Regioni d'Italia, per capire come sia stato recepito il decreto legislativo n. 81 del 2008, soprattutto per quanto riguarda le competenze di coordinamento delle Regioni. Il problema è serio, perché solo in alcune zone il coordinamento è stato costituito, mentre in altre aree ciò non è avvenuto. Basti pensare alla norma che prevede che si riferisca annualmente ai Ministeri della salute e del lavoro su quanto accade e su come è organizzato il coordinamento, anche a livello territoriale e provinciale: recandoci in loco con la Commissione, abbiamo sentito i rappresentanti di almeno metà delle Regioni italiane, eppure nessuno ha ritenuto opportuno preparare la relazione annuale, che dovrebbe creare un collegamento tra i Ministeri, quindi lo Stato, e le Regioni, che gestiscono questa materia.
In sostanza (mi avvio alla conclusione, non aggiungo altro ma le sue parole, sebbene riguardassero un tema specifico, hanno attinenza con il discorso generale che desidero fare), ci siamo trovati di fronte non solo a Regioni che si comportano in modo diverso le une dalle altre - e questo è quasi inevitabile - ma anche ad aziende sanitarie della stessa Regione che operano in modo diverso l'una dall'altra e a poli (da tre a sei) delle stesse aziende sanitarie che seguono criteri differenti gli uni dagli altri. Credo quindi che questo discorso possa essere a sostegno della sua tesi e del suo impegno nell'affrontare le problematiche più generali che abbiamo nel settore.
La nostra Commissione ha deciso di organizzare in Senato una sorta di riunione degli "Stati generali" in tema di sicurezza, a cui ci permettiamo di invitare anche voi, se vorrete venire, nella speranza che sia presente anche il Presidente della Repubblica, al quale riconosciamo la grande attenzione che continuamente profonde nei confronti di queste tematiche.
Vorremmo alzare il livello di quanto abbiamo acquisito finora e porlo in modo ufficiale, in maniera che non possa sfuggire l'attenzione delle istituzioni su un problema serio, quello del mancato coordinamento in questo settore, che non riguarda solo quanto lei ci ha detto, ma il complesso, la totalità. Forse una relazione può essere di sostegno all'altra per cercare di arrivare ad una sintesi, senza nulla togliere alle competenze delle Regioni. Però nell'affrontare questa problematica della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro si deve avere la stessa linea politica da Bolzano a Palermo, altrimenti è molto difficile poter immaginare tutto il resto, come lei, dottor Guariniello, ci ha rappresentato.
Dottor Caselli, le cito una difficoltà, ad adiuvandum del ragionamento del dottor Guariniello, in cui ci trovammo e che lei magari non ricorda. Quando venimmo come delegazione alla ThyssenKrupp desideravamo entrare per vedere i luoghi. Un giovane magistrato ci disse che non sarebbe stato possibile. Al che io feci una telefonata, che immediatamente risolse il caso, al procuratore capo.

Caselli
Il giovane magistrato fu troppo zelante.

Presidente
Io gli risposi che non poteva non farci entrare, che non poteva lasciarci fuori. Questo per dirle che anche le persone che più vogliono essere zelanti - prendo in prestito questo aggettivo - possono metterci in difficoltà. Questo magistrato voleva essere puntuale rispetto a quelle che erano le consegne: è una zona perimetrata, quindi non si può accedere. Io cercai di dirgli che non eravamo in vacanza a Torino, ma solo grazie alla competenza di un magistrato che abbiamo incrociato, il dottor Caselli, il problema si è risolto in un attimo. Comunque, abbiamo edulcorato l'episodio, perché bisogna dare il beneficio, non si può condannare sempre e comunque o essere prevenuti. Ma sono problematiche che ci sono capitate. Noi cercheremo di svolgere al meglio questa attività per poi presentare, come è anche nostro dovere quale Commissione d'inchiesta, la situazione, indicare le strade per risolvere i problemi e sostenere un intervento in tal senso.
Lascio ora la parola ai colleghi.

De Angelis
Anzitutto ringrazio il dottor Caselli e il dottor Guariniello per la loro presenza e per la loro relazione.
Sarò breve, limitandomi a due sole domande. Dottor Guariniello, lei ha più volte proposto l'istituzione di questa super procura, che oggi ci ha illustrato in maniera chiara. Tramite il presidente Tofani abbiamo inoltrato una nota al Ministero, con la quale ho proposto il verbale unico ispettivo.
Lei più volte ha notato che nelle ispezioni c'è disparità di trattamento tra zona e zona, che non c'è un verbale unico, con relative difficoltà anche per le aziende. Lei è stato chiaro su questo. Come potrebbe rapportarsi questa procura con tutto quel che si sta disponendo nel Testo unico? Mi riferisco al coordinamento sinergico Stato-Regioni, in particolare al Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ai comitati regionali di coordinamento, di cui all'articolo 5, e al coordinamento tecnico delle Regioni. Tra l'altro, come diceva il presidente Tofani, a seguito dei contatti avuti con gli altri Stati europei (Francia, Germania e Inghilterra), e come lei ha fatto notare, dottor Guariniello, abbiamo scoperto che l'Italia è il Paese con più attori sul punto specifico.
Infatti, essendo questa una materia concorrente, ci sono circa 10.000 persone che se ne occupano, il doppio rispetto a Germania e Francia e il triplo rispetto all'Inghilterra. Eppure, nonostante questo, siamo il Paese che registra più vittime. La procura nazionale porterebbe dei vantaggi sul punto, quindi siamo assolutamente favorevoli.
Vengo alla seconda domanda. Quella della ThyssenKrupp è stata una sentenza epocale, una rivoluzione copernicana nel settore, che magari in materia giurisprudenziale sarà motivo di grandi e accesi dibattiti. Lei pensa che la sentenza Eternit sia stata in qualche modo influenzata da quella ThyssenKrupp? L'osservatorio a Torino funziona, ma se pensiamo al consumo di eternit che c'è stato in edilizia, sia abitativa sia industriale, fino al 1992, e a tutti coloro che sono venuti a contatto con tale sostanza, sia chi ha costruito sia chi ha demolito e ricostruito, occorrerebbe interrogarsi sulle possibili conseguenze dell'azione di un osservatorio per i tumori operante sull'intero territorio nazionale. Faccio un esempio. Vivo vicino alla centrale a turbogas sita in provincia di Latina. Ero contrario alla sua costruzione. Da sindaco di Anzio feci delle dichiarazioni e dissi che il nostro territorio, vista l'altissima percentuale di tumori alla tiroide, aveva già dato. Il procuratore di Latina mi chiamò perché stava indagando sulle alte percentuali di tumore rispetto proprio a quella centrale. Un osservatorio che operasse sull'intero territorio nazionale, determinerebbe delle conseguenze rilevanti. Una procura che cominciasse a lavorare in questi settori in tutta Italia diventerebbe secondo me una bomba atomica.

Guariniello
Per quel che riguarda l'osservatorio, uno dei pericoli maggiori in materia di tumori è quello di non avere esperienza e quindi, per un magistrato, di innamorarsi magari di una tesi e inseguire tumori la cui eziologia non è sicuramente rapportabile all'esposizione professionale. La necessità dell'osservatorio gioca in un duplice senso, quello di far fare le indagini là dove veramente è il caso di farle e quello di non spendere energie inutilmente. Questo per sfoltire, per razionalizzare. Io sono sempre stato molto contrario ad inseguire fantasmi che non abbiano una base scientifica attendibile. Ha molto senso lavorare sui mesoteliomi, ma se ad un certo punto mi si dice che per l'amianto dobbiamo andare a vedere anche i tumori del pancreas, io dico di no. Lo stesso se si tirano in ballo le tubazioni dell'acqua potabile, non nel senso di una esposizione dei lavoratori che le hanno installate, ma nel senso che l'acqua sarebbe poi cancerogena. Però ho visto dei tentativi d'indagine sviluppati in tal senso, privi di qualsiasi consistenza scientifica.
L'osservatorio servirebbe da una parte a procedere là dove veramente vale la pena farlo, ma anche ad impedire errori di prospettiva, all'inseguimento di tumori che non sono invece legati a cause di servizio.
Quando, negli anni Settanta, ho cominciato a lavorare in questo settore molti pensavano che il tumore non potesse essere un reato: un infortunio poteva esserlo ma non una malattia. Abbiamo dovuto fare percorsi complicatissimi per far riconoscere una cosa che oggi invece è assolutamente pacifica. A mio avviso, lo stesso vale per il dolo.
L'imprenditore non vuole mica uccidere, ma esiste la categoria del dolo eventuale, che non è mai stata applicata perché non sono mai state fatte indagini mirate a verificare se ve ne siano gli estremi. Un aspetto fondamentale è ricostruire quella che la giurisprudenza della Cassazione nelle sue ultime sentenze ha chiamato la politica aziendale della sicurezza, le scelte strategiche di fondo. È quindi evidente che la prima affermazione del dolo nel caso ThyssenKrupp ha portato anche al riconoscimento del dolo nel caso Eternit.
Il senatore De Angelis ricordava che in effetti nel decreto legislativo n. 81 del 2008 non si fa che parlare dell'esigenza di coordinamento, ma purtroppo ogni volta che chiedo se la ASL si coordina con la direzione territoriale del lavoro per evitare di andare a visitare gli stessi cantieri, la reazione che ottengo è imbarazzata: ognuno difende il proprio territorio e si offende se gli altri ci vanno a finire. Questo coordinamento in realtà non funziona. Mi è stato altresì chiesto come si rapporterebbe una procura nazionale con gli altri enti. Al giorno d'oggi le procure non hanno un territorio regionale, quindi non hanno un rapporto con la Regione come potrebbe avere una procura nazionale, pertanto si potrebbe far leva su queste norme per chiedere a che punto siamo con il coordinamento e perché non si coordinano.
Il nostro è un Paese strano, in cui le cose si fanno se si muove il magistrato. Non ho mai capito perché ci debba essere sempre il magistrato per risolvere i problemi più minimi. Ultimamente è capitato il caso di un signore molto anziano che voleva avere un indennizzo per un territorio, ma da decenni non si trovava più la sua pratica. Siamo intervenuti mandando un ufficiale di polizia giudiziaria, hanno ritrovato la pratica e gli hanno dato i soldi. Ho fatto un esempio di grande banalità, per dire che purtroppo oggi molti ci sentono solo se interviene il magistrato e questa non è assolutamente una buona cosa. Mi chiedo dove sia e cosa faccia la pubblica amministrazione. Questo è un grande problema. Perché questo comitato non funziona?

Presidente
La risposta è in re.

Nerozzi
Il nodo della centralizzazione si sta ponendo non solo per quanto concerne la disorganizzazione e la diversità delle procedure da luogo a luogo, ma anche per il fatto che paradossalmente anche le situazioni più virtuose non incentivano processi di avanzamento e, in sostanza, in nome dell'autonomia favoriscono il mantenimento dello status quo.
Se si hanno dati disponibili interesserebbe capire, perché è d'aiuto, il ragionamento che si faceva sulla base delle piccole procure e della prescrizione dei reati. Il Presidente, infatti, ha citato un caso di zelo eccessivo; io quelli non li cito e neppure quelli in cui dopo sei mesi non è ancora stato aperto un processo o non si hanno coperture neanche dopo due anni da eventi luttuosi, perché purtroppo questo Paese non è tutto uguale.
Lei ha citato il caso di Molfetta, dove si è agito con rapidità pur in condizioni ambientali complicatissime perché tutti, dai cittadini al sindaco, all'industriale, al sindacato, erano d'accordo. L'ultimo evento accaduto a Barletta è sempre di competenza dello stesso magistrato di Molfetta. Ma ci sono anche altre situazioni e, ad esempio, la prescrizione è uno degli strumenti messi in atto.
Negli ultimi due anni stiamo notando che la maggioranza delle vittime ed anche degli incidenti si sta spostando dalla grande industria a reparti specifici di produzione industriale, per esempio i fuochi d'artificio: lo dico perché è il settore con la più alta densità di morti (2.040) per numero di lavoratori. Lo stesso sta avvenendo in settori molto parcellizzati, non tanto nella grande impresa edile, dove qualcosa si è mosso. In tale ambito, problematico è il regime del subappalto, su cui si innestano anche il lavoro nero e la criminalità: abbiamo notato subappalti fino al settimo livello, con trend di ribasso del 75 per cento e il fenomeno riguarda grandi imprese di valore internazionale, non piccole imprese. Criticità si registrano anche nel settore dell'agricoltura, che paradossalmente è quello con la più alta percentuale di incidenti in rapporto al livello occupazionale. In quel caso, pur non assolvendo, comprendo che ciò possa succedere, quindi bisogna evitare che accada. Mi riferisco al fatto che se sostanzialmente in alcune aree del Paese il livello occupazionale è concentrato prevalentemente in un settore da cui proviene la ricchezza, c'è un regime consociativo che coinvolge tutti, dalle istituzioni fino ai cittadini e in questo caso anche ai consumatori, quindi i reati rimangono impuniti e peggiorano. Non è solo una questione di giustizia, il problema è che continuano a morire le persone, soprattutto gli anziani. Si pensi che in questo Paese, dopo una certa età, bisogna sottoporsi a controlli annuali per continuare a guidare la macchina mentre si può guidare un trattore senza alcun controllo e senza patente: questo vale per un bambino di 12 anni come per un vecchio di 85 anni.
Capisco anche che il magistrato risenta della situazione ambientale magari complessa del luogo in cui opera, anche se ciò non dovrebbe accadere: non lo assolvo, però lo comprendo. Di fronte a tali situazioni, poter disporre di strutture centralizzate aiuta. Questo discorso vale anche per l'ispettore del lavoro. Infatti, la parcellizzazione del sistema crea maggiori rischi; basti considerare il settore agricolo, dove i morti non solo non stanno diminuendo, ma anzi stanno percentualmente aumentando in maniera consistente con la diminuzione dell'occupazione. Ciò accade anche nei piccoli settori industriali (ne ho citato uno, ma ce ne sono altri); le vicende legate a ThyssenKrupp ed Eternit sono altra cosa. Ad esempio, nelle fabbriche di fuochi artificiali, dove ultimamente ci sono state alcune esplosioni, si è scoperto che le coperture erano in eternit, che poi si è disperso nel raggio di due o tre chilometri.
Ci sarebbe di aiuto anche disporre dei dati sui casi di prescrizione (oltre a tutti gli altri che stiamo accumulando), per iniziare a ragionare sul tema della centralizzazione. Sono federalista per cultura, storia e origini, ma su questo terreno tale impostazione non regge più, anche perché le competenze - come diceva lei - sono specifiche. Ciò è importante anche sotto il profilo della consulenza: abbiamo incontrato consulenti che sapevano di chimica meno di quanto ne sappiamo noi. E questo non è accettabile perché dipendendo dal Ministero dell'interno dovrebbero essere un po' più informati.
In certi settori, inoltre, esistono situazioni di disparità. Abbiamo constatato, nella vicenda della presenza di amianto sulle navi militari, che l'intervento di una sola procura garantisce un'uniformità di intervento e di giudizio, anche perché su quelle navi non c'erano solo i militari, ma anche i civili.
Allora, questi dati sulle prescrizioni, a cui mi sembra abbia accennato, sarebbero per noi molto utili, assieme a quelli - che stiamo raccogliendo - forniti dalle ASL, dal Ministero del lavoro e dai vigili del fuoco (un altro settore che presenta una disparità). In tutte le ispezioni che abbiamo fatto, lo Stato è risultato sempre presente e in parte anche efficiente. C'è sempre un organismo statale efficiente, peccato che non sia sempre lo stesso: in qualche zona è efficiente la ASL, in un'altra lo sono i carabinieri e in un'altra ancora lo sono i vigili del fuoco. Non si registra mai la totale efficienza di tutti gli organismi che si occupano di sicurezza, per cui - non essendoci un'organizzazione centralizzata - anche quelli efficienti si vengono poi a trovare in una situazione difficile. Non è vero che lo Stato è inefficiente: un po' di efficienza c'è dappertutto, anche se non sempre in misura prevalente rispetto all'inefficienza.
La invito quindi a fornirci i dati sui casi di prescrizione, se non oggi, prossimamente.

Guariniello
Certo, si può lavorare per fornire questi dati.

Gramazio
Ritengo che l'istituzione del registro dei tumori nelle Regioni potrebbe sicuramente favorire le inchieste giudiziarie. Come ha detto anche lei all'inizio della sua esposizione, dottor Guariniello, quando avviene un decesso in ospedale non si risale al motivo per cui la persona ricoverata è morta. Pensa che un registro regionale dei casi di tumore potrebbe consentire di indagare sulle cause delle morti per tumore? La seconda domanda che vorrei porle (mi scusi se non potrò ascoltare la sua risposta, ma sono impegnato in un'altra Commissione, quindi la apprenderò leggendo il resoconto stenografico) riguarda il coordinamento. In una serie di incontri, abbiamo potuto verificare che attualmente ci sono diversi soggetti pubblici che hanno competenze in materia (le prefetture, l'Ispettorato del lavoro, l'INAIL e le ASL), ognuno dei quali esegue i controlli senza che vi sia un incrocio tra queste verifiche. In questa situazione di disorganizzazione, credo sia giusta l'impostazione che lei ha illustrato insieme al dottor Caselli, secondo la quale si dovrebbe istituire un'unica procura nazionale in materia di sicurezza sul lavoro, dotata di poteri precisi e di magistrati specializzati.
Non so quanti magistrati in Italia siano all'altezza di questo compito, però sicuramente devono essere istruiti per lavorare in tale settore e dare risposte concrete, altrimenti si rischia di mettere in piedi un baraccone senza che la situazione registri un cambiamento. Bisogna formare una classe di magistrati che, come lei, si siano interessati del problema fino a diventare veri e propri tecnici. L'altra sera, abbiamo tutti plaudito alla sentenza ThyssenKrupp, soprattutto guardando i volti dei parenti delle vittime che finalmente hanno trovato giustizia.

Paravia
Desidero innanzitutto ringraziare entrambi per la vostra attività professionale e per il vostro impegno, in particolare lei, dottor Guariniello, perché nella sua esperienza di lavoro (almeno quella dell'ultimo decennio, da me conosciuta) ha affrontato temi e situazioni estremamente scottanti, in materia non soltanto di sicurezza del lavoro, ma anche di doping sportivo, che peraltro è comunque una questione di sicurezza sul lavoro, posto che anche quella sportiva è un'attività lavorativa, benché forse troppo pagata.
Sono convinto che questa Commissione, nelle prossime sedute, non mancherà di porre la massima attenzione possibile sulle informazioni che ci avete comunicato oggi ed in particolare sull'ipotesi della procura nazionale in materia di sicurezza sul lavoro. Tuttavia, dobbiamo fare alcune precisazioni, per poterci confrontare meglio all'interno della Commissione su questo tema, anche alla luce di alcune delle osservazioni che sono state fatte. Talune, per la verità, non mi trovano d'accordo, ad esempio quando il Presidente ha definito "zelante" il magistrato che a Torino ha impedito l'accesso ai luoghi dell'incidente alla ThyssenKrupp, nei quali la Commissione è potuta entrare solo grazie all'intervento del procuratore Caselli. Più che zelante, francamente definirei incompetente quel magistrato.

Caselli
Era un eufemismo.

Presidente
Era appunto una battuta.

Paravia
Non l'avevo capito. Comunque voglio sottolineare il termine più esatto, cioè "incompetente", affinché resti agli atti del resoconto stenografico. Tra l'altro, non credo che ci sia stata qualche conseguenza per questa incompetenza. Come giustamente ha rilevato il dottor Guariniello, quando si verificano casi di inesperienza, approssimazione e incompetenza - che sembra riguardino molte procure in Italia, sia pure quelle più piccole - non ci sembra che vengano presi provvedimenti, non mi pare che vi siano mai state conseguenze.
Comunque non è questo l'oggetto della domanda, che è la seguente: procura nazionale o, perché no, in alternativa autorità garante per la sicurezza del lavoro, visto che già abbiamo altre autorità garanti? Il dottor Guariniello diceva che a tante incompetenze che si registrano sul territorio poi non si pone rimedio, ma il discorso di dover sempre centralizzare non mi convince. D'accordo il pool antimafia, ora la procura nazionale per la sicurezza sul lavoro. Potrei dirvi, da imprenditore, che nell'ambito delle sezioni fallimentari dei tribunali, casi non analoghi, ma identici, hanno risposte diverse. E questo succede anche all'interno dello stesso tribunale.
Del resto, senza voler abbassare di livello questo interessante confronto, se le sezioni unite della Cassazione, ad anni alterni, dichiarano che la donna che ha subito uno stupro e indossava dei jeans poteva difendersi o non poteva difendersi, entriamo in un campo in cui la garanzia totale di successo di una procura in materia di sicurezza sul lavoro non so chi ce la potrebbe dare. Invece un'autorità garante credo possa essere anzitutto un'autorità terza, sia rispetto alla magistratura sia rispetto a quel vigile del fuoco che, come lei ha prima rimarcato, parlava di "noi" e non di "loro". Lì sta il problema: anche nella magistratura si è sempre "noi" e francamente questi poteri divini di riuscire a risolvere tutti i problemi non li vedo. Personalmente non mi faccio condizionare troppo dall'apologia di questi giorni, pur essendo - mi creda - un suo estimatore personale.

Bugnano
Ringrazio anch'io il dottor Caselli ed il dottor Guariniello per la loro presenza. Il mio intervento sarà super partes, anche se ho un'attenzione particolare per la procura di Torino avendo seguito, come avvocato, sia il processo Eternit sia il processo ThyssenKrupp. Per la verità, ho assistito i familiari nella fase pre-processuale, quindi non ci siamo costituiti parte civile, ma ho seguito tutto il processo. Insomma, parlo conoscendo, e apprezzando, il lavoro della procura.
A me l'idea della procura nazionale convince moltissimo sotto due aspetti. Il primo, che lei ha citato nel suo decalogo, è quello della prevenzione. Nell'ambito della Commissione il Presidente mi ha consentito di occuparmi proprio delle tematiche della prevenzione degli infortuni sul lavoro. Credo quindi che il know how che una procura nazionale potrebbe acquisire - e che già la procura di Torino ha, seppur limitato territorialmente - potrebbe essere di aiuto nel trasmettere informazioni, perché è più importante prevenire che sanzionare il datore di lavoro, dato che anche una sola morte o malattia sono un costo per la collettività.
Ritengo dunque che questo sia uno degli obiettivi che una procura nazionale potrebbe porsi.
Il secondo è quello della celerità di queste particolari indagini e, soprattutto, della specializzazione nel loro svolgimento. Anche in questo caso una procura nazionale che possa trasferire sul territorio esperienze magari già fatte localmente per altre indagini sarebbe molto importante.
Inoltre intervenire tempestivamente e con metodi di indagine e di lavoro nuovi (il processo Eternit e il processo ThyssenKrupp, come ricordava anche lei, ci hanno insegnato l'importanza di analizzare i computer), che portino a galla elementi che possano sostenere una accusa, è fondamentale.
In conclusione, ritengo occorra creare, a partire da noi stessi ma anche dai magistrati, una cultura in materia di infortuni sul lavoro rispetto ai reati che possono essere contestati. Lei infatti ha ricordato reati in questa materia che esistono da sempre nel nostro codice penale, ma che molto spesso non sono stati contestati. E forse anche le pronunce della magistratura devono entrare in una cultura diversa.
Presidente, la ringrazio per aver consentito questa audizione, ma soprattutto per voler lavorare in modo significativo su questo argomento.
Noi, come già ricordato, abbiamo approvato un documento con il quale si sollecitava il Governo ad un percorso di questo tipo. Se siamo tutti d'accordo, potremmo imprimere un'accelerazione al nostro lavoro e arrivare a delle soluzioni concrete.

Presidente
Dottor Guariniello, dal momento che in Aula si stanno svolgendo le dichiarazioni di voto su un provvedimento su cui il Governo ha posto la fiducia, alcuni colleghi sono stati costretti ad allontanarsi.

Guariniello
Ci mancherebbe altro.
Considero davvero molto importante l'osservazione che è stata fatta da molti sulla prescrizione, perché avere dati precisi a questo proposito è importante. È un fenomeno che sto notando spesso nelle sentenze della Cassazione, che arriva ad annullare precedenti sentenze di merito, stabilendo che rimane la decisione per la parte civile, ma che il reato è prescritto. E su eventi di eccezionale gravità! Ricordo il caso di un hotel a Napoli in cui morirono sette persone. Si fa il processo; finisce in primo grado con la condanna del titolare dell'hotel e del comandante dei vigili del fuoco, che evidentemente non aveva fatto il suo dovere, con pene anche di sette anni e mezzo di reclusione, quindi non da poco. Ebbene, dopo tredici anni si arriva alla sentenza della Corte di cassazione: tutto prescritto.
Pensate alla fatica del primo e del secondo grado e al costo che ha avuto questo processo, finito poi in niente. Forse potrebbe essere utile ricostruire dei dati precisi a questo proposito.
Per quanto riguarda i registri tumori, ci sono anche i registri dei mesoteliomi. A livello centralizzato, presso l'INAIL, c'è il ReNaM, poi ci sono quelli periferici. Il ReNaM prende in considerazione i dati. In occasione delle sue pubblicazioni si vengono a conoscere degli studi che indicano che in una certa zona ci sono stati tot casi, però non ci sono i nomi e i cognomi che vengono dati all'autorità giudiziaria. Inoltre, queste pubblicazioni arrivano sempre tre, quattro o cinque anni dopo che i casi si sono verificati. In una visione di processo penale, di individuazione immediata delle responsabilità penali, di sedi in cui fare prevenzione e degli indennizzi o risarcimenti, il tempo che passa tra la segnalazione da parte del medico del caso e l'azione concreta dell'istituzione non può essere di tre, quattro o cinque anni. Bisogna che l'azione sia immediata, anzi bisogna arrivare alla possibilità di sentire la persona colpita dal tumore subito, per avere da lei una ricostruzione della sua attività lavorativa e così via.
In relazione alla domanda del senatore Gramazio, vorrei dire che il sistema attuale è ottimo per importantissimi scopi di studio, ma non ai fini che invece a mio parere bisogna perseguire, che sono anche quelli di fare le tre cose che ho detto prima. Figuriamoci poi quale sia l'esigenza di celerità delle indagini in rapporto ai casi di malattie professionali quando si verifica un grande evento come un infortunio. A volte assisto da spettatore ad uno di questi eventi e mi chiedo quando verrà fatta la perquisizione nella società dove esso si è verificato: passano i giorni mentre bisogna agire subito, altrimenti non si trova più niente. La prontezza di riflessi del pubblico ministero è fondamentale, diversamente non si riesce più a costruire un processo, se non prendendosela con l'ultima ruota del carro che fa da capro espiatorio.
Nel processo, la rapidità e la prontezza di riflessi sono fondamentali, ma il magistrato è pronto di riflessi se ha una specializzazione. Per questo, quando si dice che bisogna intervenire sui magistrati che non fanno il loro dovere, va anche detto - non per difendere la categoria - che bisogna che siano preparati ed esperti; non mi stupisco, infatti, che un magistrato inesperto su questa materia poi improvvisi, sia incerto e non sappia bene cosa fare. Se, invece, affronta quel caso avendo la memoria storica delle vicende che ha già seguito, avendo quindi una metodologia di comportamento, allora diventa molto più facile essere rapidi e tempestivi.
Quindi dobbiamo affrontare il problema non con un provvedimento disciplinare a carico del magistrato, ma specializzandolo. Se poi egli non fa il suo dovere anche dopo essere stato specializzato è un altro discorso, ma è opportuno dargli gli strumenti culturali e operativi per agire con prontezza.
L'idea dell'autorità garante mi sembra interessante, anche se per la verità non ci avevo mai pensato, quindi è un punto su cui dobbiamo riflettere. Certo, sarà anche per la mia deformazione di pubblico ministero, ma sono per un organo che abbia anche poteri concreti di intervento immediato, perché diventa molto più efficace. Queste autorità garanti hanno una certa lentezza e poi hanno altre finalità. Se il nostro obiettivo è far capire che le regole ci sono ma bisogna osservarle, è molto importante fare cultura della sicurezza e diffonderla, ma anche far capire che se si violano le regole si va incontro a delle responsabilità.
Mi è piaciuto il riferimento che è stato fatto all'edilizia, cioè agli infortuni che capitano nelle piccole imprese che sono insicure e dove c'è lavoro nero. Ma perché le piccole imprese lavorano così male?

Presidente
Una delle chiavi è quella dei subappalti.

Guariniello
Vi propongo un caso. Ad un certo punto arriva la notizia di un cadavere in un cantiere in cui si costruiva un grande emporio commerciale. Cerchiamo i documenti e non ne ha; chi era costui e cosa faceva in quel luogo non si sa. Solo dopo una settimana si riesce a capire che era un rumeno a cui suo cugino, il quale lavorava in nero per un'impresa all'interno del cantiere, aveva detto che c'era da lavorare. Il cantiere era gestito da una grandissima impresa edile, che però lì dentro aveva tre impiegati; tutte le altre imprese erano in appalto, con in vari subappalti. Queste piccole imprese lavorano sui prezzi che la grande impresa fa loro e la grande impresa preferisce risparmiare. A magistrati e ispettori cerchiamo di far capire che la vera responsabilità non è della piccola impresa, ma soprattutto della grande impresa che guadagna sulla insicurezza praticata, perché evidentemente è molto più comodo. La nostra legge prevede la responsabilità dell'impresa committente: è una legge perfetta, ma non viene adeguatamente applicata.
Un altro problema è quello di diffondere un metodo d'indagine che non si fermi alla piccola impresa, ma che vada a cercare le eventuali responsabilità della grande impresa committente. Solo se riusciamo a individuare queste responsabilità, potremo contenere davvero il fenomeno degli infortuni nell'edilizia. Finché andiamo avanti a colpire la piccola impresa non ci riusciremo.

Presidente
Anche perché spesso muore anche il titolare di queste piccole imprese.

Guariniello
Infatti.

Caselli
Vorrei interloquire soprattutto con il senatore Paravia, che ha posto il tema di un'eventuale autorità come possibile soluzione di questi problemi. Sono d'accordo che si debba porre l'interrogativo di fare attenzione a non centralizzare troppo, ad operare su questo versante con troppe centralizzazioni, perché potrebbero essere l'anticamera di un eccesso di burocratizzazione e di appesantimento senza risolvere i problemi. Qui però si tratta, come per la mafia, di una drammatica questione nazionale: non a caso il Capo dello Stato ce lo ricorda tutte le volte che ne ha l'opportunità. Allora, una centralizzazione mirata su una questione nazionale di questa drammatica portata mi sembra un sufficiente antidoto contro le sue - peraltro giustissime - osservazioni affinché non si ecceda con le centralizzazioni. Certo, lei ha ragione: miracoli non si possono fare neanche con una procura nazionale antinfortuni, bacchette magiche non ne possiede neanche l'eventuale procuratore nazionale antinfortuni; tuttavia, secondo me una tale procura potrebbe fare qualcosa di più rispetto ad un'autorità, che potrebbe avere un suo ruolo ma non fa inchieste. Qui serve una struttura come la procura nazionale antimafia, che coordina le inchieste, fatta da inquirenti che hanno una professionalità e una specializzazione sul campo. L'autorità potrebbe contribuire alla diffusione di una cultura, ma in questo caso serve qualcosa che incida anche sulla maniera di fare le inchieste, sulle tecniche d'indagine; quindi serve necessariamente qualcosa di interno alla magistratura, che faccia parte dell'ordine giudiziario (sia pure di nuova creazione come questo), non un'autorità esterna. Infatti, come il dottor Guariniello ha appena ripetuto, si tratta di diffondere tecniche investigative, prassi virtuose investigativo-giudiziarie e anche d'intervenire - lo ripropongo espungendolo dall'intervento del dottor Guariniello - sulle grandi inchieste che certe piccole procure non sono materialmente in grado di fare, con un supporto e un'applicazione che offra strumenti adeguati. Questo, l'authority non lo può fare, mentre una procura nazionale antinfortunistica potrebbe farlo.
Il problema delle sentenze della Cassazione che a volte dicono una cosa e poi si contraddicono, pur trattando la medesima materia...

Paravia
Con le Sezioni unite si pensava di risolvere il problema.

Caselli
Lei ha ragione. Potrei risponderle dicendole come noi traduciamo la locuzione «tot capita tot sententiae»: «tutto capita nelle sentenze». È una traduzione molto libera, ma corrisponde al suo pensiero e alla realtà.
Però qui si tratta di procure e certamente la procura non scrive le sentenze, poiché avrebbe un'altra funzione. Resta impregiudicata l'autonomia del giudicante, sulla quale non si può incidere più di tanto, perché sono principi fondamentali scritti nella Costituzione. Però stiamo parlando di una procura, quindi è un altro settore, in cui l'intervento di omogeneizzazione e di indirizzo con riferimento alle metodologie è certamente possibile, proprio perché è una questione di organizzazione del lavoro, sia delle singole procure, sia a livello nazionale, qualora esistesse una procura di questo tipo.

Paravia
Desidero aggiungere una breve domanda.
In base ai dati raccolti dalla nostra Commissione attraverso alcune missioni all'estero e altri approfondimenti eseguiti tramite contatti con i Parlamenti degli altri Paesi, sappiamo bene che l'Italia (fermo restando che non sarà mai un Paese civile fino a quando ci sarà anche un solo decesso per infortunio o malattia professionale), rispetto alle altre 26 nazioni europee, nelle statistiche sugli incidenti sul lavoro si colloca nella media, tra l'altro nella parte bassa della classifica. Vorrei sapere allora come viene affrontato il problema nelle altre nazioni europee, alcune delle quali presentano sistemi giudiziari profondamente diversi dal nostro.
Da imprenditore, infatti, pongo grande attenzione a questi fenomeni, ma nello stesso tempo anche ad altri. Per spiegarmi meglio, vi racconto un brevissimo aneddoto: all'apertura dell'anno giudiziario, a Salerno, il procuratore generale presso la corte d'appello, Di Pietro, per la prima volta, ha dichiarato che l'Italia è al centotrentesimo posto nella graduatoria dei Paesi del mondo dal punto di vista dell'efficienza del sistema giudiziario e che questo è il primo limite agli investimenti stranieri in Italia. Quindi, a detta di un vostro autorevole collega, il procuratore generale di Salerno, il primo limite degli investimenti stranieri in Italia è costituito non dalla delinquenza, dalla lentezza burocratica o dai ritardi della pubblica amministrazione, bensì dall'inefficienza del sistema giudiziario.
Se il sistema giudiziario è inefficiente, è ovvio che una procura con poteri speciali probabilmente inizierebbe a risolvere i problemi, però mi chiedo se negli altri Paesi europei, che sembra abbiano sistemi giudiziari leggermente più efficienti del nostro (o perlomeno che sono classificati entro i primi 50 Paesi al mondo e non, come l'Italia, al centotrentesimo posto), esistano queste procure nazionali specializzate nella sicurezza sul lavoro. In caso affermativo, quali Paesi le hanno istituite? Francamente, credo che anche questo aspetto sia importante, perché l'Italia è un Paese europeo. Lo stesso Parlamento italiano ha la necessità di verificare completamente il suo bicameralismo, perché adoriamo la Costituzione, ma questa è da rivedere in buona parte, compresa quella che riguarda le competenze del Parlamento. Sappiamo bene peraltro che molta parte dell'attività del nostro Parlamento è concentrata nel recepimento (spesso in ritardo) di direttive europee, anche in virtù dei maggiori poteri del Parlamento europeo. Siamo allora i primi a prevedere una procura nazionale in tema di sicurezza sul lavoro, oppure siamo al quindicesimo posto perché altri 14 Paesi già l'hanno adottata prima di noi? Credo che questo argomento sarà oggetto di riflessione da parte della Commissione, perché sarà sicuramente necessario un approfondimento.
Ribadisco comunque tutto ciò che ho detto circa la mia personale ammirazione nei suoi confronti, dottor Guariniello.

Caselli
Rispondo da un punto di vista generale, lasciando l'approfondimento tecnico al dottor Guariniello.
Sui dati citati dal procuratore generale di Salerno, ci sarebbe forse qualcosa da dire, perché credo che egli si riferisse principalmente al processo civile. Infatti, dal punto di vista del funzionamento complessivo della giustizia italiana, noi magistrati, molto corporativamente, di solito facciamo riferimento alla ricerca europea effettuata dalla CEPEJ (European Commission for the efficiency of justice), una Commissione europea per l'efficienza giudiziaria, secondo cui - incredibile a dirsi - il nostro Paese non solo non è l'ultimo, ma addirittura in molti casi sarebbe il primo. Il problema grave della nostra giustizia, infatti, è rappresentato dai tempi interminabili del processo, ma per quanto riguarda la produttività, per esempio, se questa è comparata con il carico di lavoro e con altre necessità specifiche del nostro Paese, l'Italia è al secondo posto dopo la Russia.
Questi sono dati ufficiali europei, non italiani.
Spiegherà il dottor Guariniello quali altre esperienze ci possano essere all'estero; mi sembra che alcune ce ne siano in altri Paesi europei, sul versante specifico della tutela dei diritti dei lavoratori sui posti di lavoro e della salute in generale, che è l'argomento che abbiamo trattato oggi. So che alcune nostre esperienze sono studiate all'estero e costituiscono un modello, proprio a livello di procura nazionale. La procura nazionale antimafia prevista in Italia ha originato Eurojust, che è una specie di procura europea anticrimine organizzato transnazionale, modulata proprio sulla nostra procura nazionale antimafia. In questo campo, quindi, abbiamo fatto scuola.
Ho fatto un'esperienza di un paio di anni in Eurojust e ho visto come venivano studiate le nostre esperienze. Il procuratore nazionale antimafia di allora, Vigna, mandò a Bruxelles, affinché riferisse in sede Eurojust, il suo procuratore aggiunto Borraccetti, l'esperto di informatica della procura nazionale antimafia. Egli spiegò il funzionamento della banca dati e vi prego di credere che in quell'occasione il nostro Paese ha acquistato tantissimi punti agli occhi di tutti gli europei che stavano ascoltando quanto avevamo realizzato.
Dobbiamo quindi orgogliosamente rivendicare ciò che abbiamo realizzato su questo campo; altrettanto orgogliosamente credo che potremmo rivendicare ciò che riuscissimo a realizzare sul campo antinfortunistico, magari questa volta prendendo spunto da realtà che in Europa già ci sono.

Guariniello
Condivido quello che diceva il senatore Paravia: in materia di sicurezza sul lavoro abbiamo una giustizia che non è efficiente. Questo è appunto il problema che cerchiamo di risolvere: la giustizia non è efficiente come sarebbe invece auspicabile. È proprio questa la ragione che ci induce a cercare una soluzione. La Francia ci ha indicato una strada, che è il Pôle santé travail, e a mio avviso è stata lungimirante nel prevedere questa soluzione.
Cerchiamo appunto il modo di eliminare la sacca di inefficienza che c'è nelle istituzioni giudiziarie in materia di sicurezza sul lavoro. Non faccio un discorso di ordine generale, però è sorta l'esigenza di istituire una procura nazionale proprio perché non siamo contenti di come lavora l'autorità giudiziaria in questo settore. Non possiamo continuare a parlarne, dobbiamo trovarne una soluzione concreta. Durante il processo ThyssenKrupp è emerso che i lavoratori di uno stabilimento tedesco della ThyssenKrupp, quando sono venuti a Torino, hanno chiesto ai loro compagni di lavoro italiani come potessero lavorare in quelle condizioni.
Evidentemente, in Germania ci sono livelli di sicurezza in concreto molto maggiori di quelli italiani. Spesso le imprese dicono che in Italia non vengono più perché noi facciamo tutti questi problemi. Eppure in Germania lavorano in maniera ben diversa rispetto a come si lavora in Italia. Quindi altrove ci sono margini di sicurezza maggiori. Perché in Germania si lavora in maniera più sicura? Per le norme siamo tutti sotto l'ombrello dell'Unione europea, quindi è un problema di applicazione concreta. Oggi come oggi se avessimo una pubblica amministrazione efficiente ed efficace anche su questo fronte avremmo la soluzione.
Non siamo soddisfatti di quel che fa la magistratura oggi. Siccome bisogna trovare una soluzione, noi auspichiamo la nascita di questa procura nazionale, che può avere poi delle diramazioni anche a livello periferico ...

Presidente
Come l'Antimafia.

Guariniello
Proprio sul modello dell'Antimafia.

Presidente
Possiamo ritenere chiusa questa interessante e importante audizione, con la relazione del dottor Guariniello e gli interventi estremamente apprezzati e puntuali del dottor Caselli. Ringraziamo i nostri ospiti per la loro presenza e soprattutto per la sicura collaborazione futura.
Noi cercheremo di svolgere il nostro ruolo, sia pure nell'ambito delle competenze che ci sono state attribuite.

Guariniello
Ci contiamo molto.

Caselli
Siamo noi che ringraziamo voi per l'attenzione che ci avete dedicato. Grazie davvero a tutti.

Presidente
Ringrazio ancora i nostri ospiti e tutti i senatori intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione in titolo.


Note: Testi non rivisitati dagli oratori
Fonte: Senato della Repubblica