Cassazione Penale, Sez. 4, 01 febbraio 2012, n. 4412 - Infortunio e responsabilità di un preposto: non è questione di presenza continua, ma di corretto esercizio delle sue tipiche funzioni



 

 

 

Responsabilità di un capo squadra per infortunio occorso ad un lavoratore intento ad effettuare la pulizia di una grata: quest'ultimo, dipendente di una ditta che aveva preso in appalto i lavori di pulizia di uno stabilimento, era stato incaricato dall'imputato di svolgere le suddette operazioni eliminando le cicche di sigarette, i rifiuti e quant'altro esistenti su di una lamiera situata al di sotto di una griglia metallica, posta sul marciapiede, quasi a livello del piano stradale, al fine di evitare che gli stessi potessero cadere sui dei motori di condizionamento sottostanti. Per fare tale intervento il lavoratore ha appoggiato il piede sulla lamiera che, essendo però di spessore molto sottile, non ha sostenuto il peso del suo corpo per cui è precipitato rovinosamente all'interno della buca da un'altezza di circa 3 metri.

Ricorso in Cassazione - Rigetto.

Innanzitutto, con riferimento al primo motivo di ricorso, la Corte afferma che l'imputato ha precisato di non essere stato puntualmente ed appositamente informato su come dovesse essere svolto il lavoro, avendolo solo appreso per sentito dire. Inoltre, quanto al presunto comportamento abnorme della vittima esplicitato nel secondo motivo di ricorso, nella specie correttamente ciò è stato escluso atteso che egli ha semplicemente posto il piede sulla grata nel tentativo di svolgere l'opera di pulizia che gli era stata ordinata e che nessuno gli aveva spiegato come dovesse essere effettuata.
Neppure giova al ricorrente invocare una supposta inesigibilità dell'obbligo di formazione e sorveglianza, sotto il profilo che la funzione di garanzia del preposto non può significare che il medesimo debba essere costantemente presente. Nella specie infatti non è questione di presenza continua, ma di corretto esercizio delle tipiche funzioni del preposto che, in quanto delegato alla diretta sorveglianza dei lavoratori a lui affidati, è certamente tenuto, indipendentemente dalla presenza al momento del fatto, ad una attenta ed assidua vigilanza e specialmente a dare istruzioni anche per lavori che possono ritenersi di semplice esecuzione, tanto più quando, come nel presente caso, si sia trattato di un lavoro che egli stesso aveva ordinato e di lavoratore che vi era stato addetto per la prima volta.


 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARZANO Francesco - Presidente -
Dott. FOTI Giacomo - Consigliere -
Dott. BIANCHI Luisa - rel. Consigliere -
Dott. MASSAFRA Umberto - Consigliere -
Dott. MONTAGNI Andrea - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza


sul ricorso proposto da:
S.A. N. IL (Omissis);
avverso la sentenza n. 10460/2009 CORTE APPELLO di ROMA, del  04/01/2011;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/12/2011 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUISA BIANCHI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Cons. Dott. Pietro Gaeta che ha concluso per la inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. Airaldi Cristina in sostituzione dell'Avv. Lageard come da nomina, che chiede l'accoglimento del ricorso.


Fatto


1. La corte di appello di Roma ha confermato la condanna a due mesi di reclusione nei confronti di S.A. per il reato di cui all'art. 590 c.p., commesso in danno del dipendente D.C. P..

Ha invece dichiarato non doversi procedere in ordine alla contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, lett. e), in quanto estinta per intervenuta prescrizione.

Si è trattato di un infortunio sul lavoro avvenuto in (OMISSIS), allorchè il D.C., dipendente della ditta P. S.p.A. di (OMISSIS) che aveva in appalto la pulizia dello stabilimento Fiat di (OMISSIS), era intento ad effettuare la pulizia di una grata; D.C. era stato incaricato dal S.A., caposquadra del gruppo di operai a cui apparteneva anche D.C., di effettuare il lavoro di pulizia di una grata; si dovevano eliminare cicche di sigarette, rifiuti e quant'altro si era accumulato al di sotto di una griglia metallica posta sul marciapiede, quasi a livello del piano stradale, sotto della quale erano alloggiati i motori dell'impianto di condizionamento dello stabilimento; sotto la griglia era stata collocata una lamiera per raccogliere appunto i rifiuti che filtravano dalla grata ed evitarne la caduta più in basso, sui motori di condizionamento, il che avrebbe reso più difficoltosa la pulizia. Il D.C., per svolgere meglio il lavoro, appoggiava il piede sulla lamiera, che era di spessore molto sottile e non sosteneva il peso del suo corpo, e così precipitava rovinosamente all'interno della buca da un'altezza di circa 3 mt..


2. Ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell'imputato.
Con un primo motivo deduce mancanza di motivazione e difetto di logicità in ordine all'acritica adesione che i giudici di merito hanno riservato alle dichiarazioni della persona offesa, secondo il ricorrente ritenute attendibili senza alcuna valutazione delle testimonianze rese dagli altri testi; in particolare non si sarebbe tenuta tenuto conto delle dichiarazioni rese dai testi D.M. e V., non esaminate nella loro interezza. Il teste D. M. aveva affermato che vi erano stati corsi di formazione e che egli non aveva mai svolto il lavoro di pulizia di cui si tratta, ma che tuttavia sapeva come si doveva fare per averlo sentito spiegare dai caposquadra; il teste V. aveva dichiarato che, nella sua qualità di capo squadra, ogni volta che si doveva fare un lavoro egli dava istruzioni ai lavoratori ed anche per quanto riguarda la pulizia della grata aveva spiegato come si doveva fare; l'ispettore G. aveva confermato che le particolari cautele da usare per appoggiarsi su quella lama, abbastanza sottile (di circa 2,3 mm), dovevano essere valutate volta per volta; aveva ritenuto corretto il modo di procedere dell'azienda. Con il secondo motivo di ricorso ci si duole del fatto che la sentenza abbia sbagliato nell'applicare i principi che regolano la materia della sicurezza sul lavoro; non si è tenuto conto della abnormità del comportamento dello stesso lavoratore, da apprezzare secondo quanto ritenuto dalla sentenza della quarta sezione della corte di cassazione del 10 novembre 2009, secondo cui l'abnormità è configurabile anche riguardo ai comportamenti connessi con lo svolgimento delle mansioni lavorative, allorchè siano consistiti in qualcosa di radicalmente, ontologicamente lontano dalle pur ipotizzabili e, quindi, prevedibili imprudenti scelte del lavoratore. Nella specie la condotta del lavoratore era stata del tutto abnorme ed imprevedibile. La corte ha poi sbagliato l'applicazione della legge penale in materia di sicurezza sul lavoro in relazione ai limiti del dovere di sorveglianza del preposto che, per pacifica giurisprudenza di questa corte, non è tenuto a una costante presenza sul luogo di lavoro.

 

Diritto

 

1. Il ricorso non merita accoglimento.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, rileva il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata ha preso in specifici considerazione le dichiarazioni dei testi D.M. e V. riportandole nella stessa sentenza qui impugnata; le loro dichiarazioni non sono stato affatto, come sostiene il ricorrente, travisate. D.M. ha riferito, e di ciò ha dato atto la corte d'appello, che egli aveva partecipato a corsi di formazione, che era prassi vigente nella P. di affiancare operai giovani a quelli più esperti, ma ha precisato di non essere stato puntualmente ed appositamente informato su come doveva essere svolto il lavoro che il giorno dell'incidente stava svolgendo D.C., avendolo solo appreso per sentito dire. Si è trattato soltanto di informazioni apprese per sentito dire che non possono certamente, come invece vorrebbe il ricorrente, far venire meno il dovere di dare precise istruzioni al lavoratore che si incarica di svolgere un lavoro e controllare che egli lo svolga senza mettere in pericolo la propria e l'altrui incolumità, che è il tipico contenuto dell'attività del preposto. Il V. ha dichiarato che i corsi di formazione erano stati fatti ma non sullo specifico profilo in considerazione ed in particolare ha dichiarato che per quanto riguardava la pulizia delle griglie dopo l'installazione delle lamiere, era stato loro detto soltanto di stare attenti, "stare a occhio", a non farsi male, confermando dunque che nessuna specifica istruzione era stata data. E che vi fosse necessità di specifiche istruzioni, apatie allorchè il lavoro - come nella specie - veniva eseguito per la prima volta, era evidente specie dopo l'installazione della grata, atteso che non essendo la stessa in grado di reggere il peso di una persona bisognava che di ciò i lavoratori fossero debitamente informati e che si precisassero le modalità dell'azione di pulizia.
Per quanto riguarda il secondo motivo, è pacifico che solo il comportamento abnorme del lavoratore può interrompere il nesso di causalità, e nella specie correttamente si è escluso che il S. abbia posto in essere un comportamento abnorme, atteso che il S. ha semplicemente posto il piede sulla grata nel tentativo di svolgere l'opera di pulizia che gli era stata ordinata e che nessuno gli aveva spiegato come dovesse essere effettuata.
Neppure giova al ricorrente invocare una supposta inesigibilità dell'obbligo di formazione e sorveglianza, sotto il profilo che la funzione di garanzia del preposto non può significare che il medesimo debba essere costantemente presente. Nella specie infatti non è questione di presenza continua, ma di corretto esercizio delle tipiche funzioni del preposto che, in quanto delegato alla diretta sorveglianza dei lavoratori a lui affidati, è certamente tenuto, indipendentemente dalla presenza al momento del fatto, ad una attenta ed assidua vigilanza e specialmente a dare istruzioni anche per lavori che possono ritenersi di semplice esecuzione, tanto più quando, come nel presente caso, si sia trattato di un lavoro che egli stesso aveva ordinato e di lavoratore che vi era stato addetto per la prima volta.


3. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del procedimento.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2012

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE QUARTA PENALE                        
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. MARZANO  Francesco       -  Presidente   -                     
Dott. FOTI     Giacomo         -  Consigliere  -                     
Dott. BIANCHI  Luisa      -  rel. Consigliere  -                     
Dott. MASSAFRA Umberto         -  Consigliere  -                     
Dott. MONTAGNI Andrea          -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
           S.A. N. IL (OMISSIS); 
avverso  la  sentenza  n.  10460/2009  CORTE  APPELLO  di  ROMA,  del 
04/01/2011; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 22/12/2011 la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. LUISA BIANCHI; 
Udito il Procuratore Generale in persona del Cons. Dott. Pietro Gaeta 
che ha concluso per la inammissibilità del ricorso; 
Udito  il  difensore Avv. Ajraldi Cristina in sostituzione  dell'Avv. 
Lageard come da nomina, che chiede l'accoglimento del ricorso. 
                 
RITENUTO IN FATTO
1. La corte di appello di Roma ha confermato la condanna a due mesi di reclusione nei confronti di S.A. per il reato di cui all'art. 590 c.p., commesso in danno del dipendente D.C. P.. Ha invece dichiarato non doversi procedere in ordine alla contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 4, comma 5, lett. e), in quanto estinta per intervenuta prescrizione. Si è trattato di un infortunio sul lavoro avvenuto in (OMISSIS), allorchè il D.C., dipendente della ditta Palmar S.p.A. di (OMISSIS) che aveva in appalto la pulizia dello stabilimento Fiat di (OMISSIS), era intento ad effettuare la pulizia di una grata; D.C. era stato incaricato dal S.A., caposquadra del gruppo di operai a cui apparteneva anche D.C., di effettuare il lavoro di pulizia di una grata; si dovevano eliminare cicche di sigarette, rifiuti e quant'altro si era accumulato al di sotto di una griglia metallica posta sul marciapiede, quasi a livello del piano stradale, sotto della quale erano alloggiati i motori dell'impianto di condizionamento dello stabilimento; sotto la griglia era stata collocata una lamiera per raccogliere appunto i rifiuti che filtravano dalla grata ed evitarne la caduta più in basso, sui motori di condizionamento, il che avrebbe reso più difficoltosa la pulizia. Il D.C., per svolgere meglio il lavoro, appoggiava il piede sulla lamiera, che era di spessore molto sottile e non sosteneva il peso del suo corpo, e così precipitava rovinosamente all'interno della buca da un'altezza di circa 3 mt..
2. Ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell'imputato.
Con un primo motivo deduce mancanza di motivazione e difetto di logicità in ordine all'acritica adesione che i giudici di merito hanno riservato alle dichiarazioni della persona offesa, secondo il ricorrente ritenute attendibili senza alcuna valutazione delle testimonianze rese dagli altri testi; in particolare non si sarebbe tenuta tenuto conto delle dichiarazioni rese dai testi D.M. e V., non esaminate nella loro interezza. Il teste D. M. aveva affermato che vi erano stati corsi di formazione e che egli non aveva mai svolto il lavoro di pulizia di cui si tratta, ma che tuttavia sapeva come si doveva fare per averlo sentito spiegare dai caposquadra; il teste V. aveva dichiarato che, nella sua qualità di capo squadra, ogni volta che si doveva fare un lavoro egli dava istruzioni ai lavoratori ed anche per quanto riguarda la pulizia della grata aveva spiegato come si doveva fare; l'ispettore G. aveva confermato che le particolari cautele da usare per appoggiarsi su quella lama, abbastanza sottile (di circa 2,3 mm), dovevano essere valutate volta per volta; aveva ritenuto corretto il modo di procedere dell'azienda. Con il secondo motivo di ricorso ci si duole del fatto che la sentenza abbia sbagliato nell'applicare i principi che regolano la materia della sicurezza sul lavoro; non si è tenuto conto della abnormità del comportamento dello stesso lavoratore, da apprezzare secondo quanto ritenuto dalla sentenza della quarta sezione della corte di cassazione del 10 novembre 2009, secondo cui l'abnormità è configurabile anche riguardo ai comportamenti connessi con lo svolgimento delle mansioni lavorative, allorchè siano consistiti in qualcosa di radicalmente, ontologicamente lontano dalle pur ipotizzabili e, quindi, prevedibili imprudenti scelte del lavoratore. Nella specie la condotta del lavoratore era stata del tutto abnorme ed imprevedibile. La corte ha poi sbagliato l'applicazione della legge penale in materia di sicurezza sul lavoro in relazione ai limiti del dovere di sorveglianza del preposto che, per pacifica giurisprudenza di questa corte, non è tenuto a una costante presenza sul luogo di lavoro.
(Torna su ) Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non merita accoglimento.
Con riferimento al primo motivo di ricorso, rileva il Collegio che la motivazione della sentenza impugnata ha preso in specifici considerazione le dichiarazioni dei testi D.M. e V. riportandole nella stessa sentenza qui impugnata; le loro dichiarazioni non sono stato affatto, come sostiene il ricorrente, travisate. D.M. ha riferito, e di ciò ha dato atto la corte d'appello, che egli aveva partecipato a corsi di formazione, che era prassi vigente nella Palmar di affiancare operai giovani a quelli più esperti, ma ha precisato di non essere stato puntualmente ed appositamente informato su come doveva essere svolto il lavoro che il giorno dell'incidente stava svolgendo D.C., avendolo solo appreso per sentito dire. Si è trattato soltanto di informazioni apprese per sentito dire che non possono certamente, come invece vorrebbe il ricorrente, far venire meno il dovere di dare precise istruzioni al lavoratore che si incarica di svolgere un lavoro e controllare che egli lo svolga senza mettere in pericolo la propria e l'altrui incolumità, che è il tipico contenuto dell'attività del preposto. Il V. ha dichiarato che i corsi di formazione erano stati fatti ma non sullo specifico profilo in considerazione ed in particolare ha dichiarato che per quanto riguardava la pulizia delle griglie dopo l'installazione delle lamiere, era stato loro detto soltanto di stare attenti, "stare a occhio", a non farsi male, confermando dunque che nessuna specifica istruzione era stata data. E che vi fosse necessità di specifiche istruzioni, apatie allorchè il lavoro - come nella specie - veniva eseguito per la prima volta, era evidente specie dopo l'installazione della grata, atteso che non essendo la stessa in grado di reggere il peso di una persona bisognava che di ciò i lavoratori fossero debitamente informati e che si precisassero le modalità dell'azione di pulizia.
Per quanto riguarda il secondo motivo, è pacifico che solo il comportamento abnorme del lavoratore può interrompere il nesso di causalità, e nella specie correttamente si è escluso che il S. abbia posto in essere un comportamento abnorme, atteso che il S. ha semplicemente posto il piede sulla grata nel tentativo di svolgere l'opera di pulizia che gli era stata ordinata e che nessuno gli aveva spiegato come dovesse essere effettuata.
Neppure giova al ricorrente invocare una supposta inesigibilità dell'obbligo di formazione e sorveglianza, sotto il profilo che la funzione di garanzia del preposto non può significare che il medesimo debba essere costantemente presente. Nella specie infatti non è questione di,presenza continua, ma di corretto esercizio delle tipiche funzioni del preposto che, in quanto delegato alla diretta sorveglianza dei lavoratori a lui affidati, è certamente tenuto, indipendentemente dalla presenza al momento del fatto, ad una attenta ed assidua vigilanza e specialmente a dare istruzioni anche per lavori che possono ritenersi di semplice esecuzione, tanto più quando, come nel presente caso, si sia trattato di un lavoro che egli stesso aveva ordinato e di lavoratore che vi era stato addetto per la prima volta.
3. Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
- Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2011.
Depositato in Cancelleria il 1 febbraio 2012