“IL TESTO UNICO PER LA RIFORMA ED IL RIASSETTO NORMATIVO DELLA SALUTE E SICUREZZA SUL LAVORO: GLI ORIENTAMENTI DEI SOGGETTI ISTITUZIONALI E SOCIALI”

Quartiere Fieristico - Bologna, 6 giugno 2007

La Valutazione del Rischio

(di Alberto Andreani)


Dovrebbe teoricamente essere inutile, addirittura imbarazzante, parlare a distanza di tanti anni dalla entrata in vigore del d. lgs. 626, di quali dovrebbero essere in futuro:

struttura e

contenuti del Documento di Valutazione dei Rischi.

Eppure al contrario credo che non solo sia necessario farlo, ma che occorra anche farlo seguendo un percorso logico, chiaro e lineare che forse a tutt’ oggi è mancato.

Senza questa chiarezza, data l’importanza fondamentale della valutazione dei rischi nell’applicazione della normativa antinfortunistica di derivazione comunitaria, vi sarebbe il fallimento annunciato anche dell’emanando Testo Unico.

Va detto che nessuno pensa che sia facile, per il datore di lavoro, valutare tutti i rischi presenti nella propria azienda: cito per tutti il rischio ATEX, anche se ne potremmo citare molti altri.

Ma è proprio per queste difficoltà che la direttiva madre europea, la n° 89/391CEE impone al Datore di Lavoro, con l’art. 7 comma 1, di designare ”….uno o più lavoratori per occuparsi delle attività di protezione e ………di prevenzione ……….. e con il comma 3, “……di fare ricorso a competenze esterne ….. se quelle interne sono insufficienti…………”.

Il principio è ripreso a  sua volta dal d. lgs. 626/94 nel recepimento, imponendo al Datore di Lavoro di utilizzare persone interne o esterne all’organizzazione, ma comunque adeguate ed “….in numero sufficiente….con capacità necessarie….e disponendo di mezzi e di tempo adeguati….” e ribadito con ancora più vigore, mediante la modifica all’art. 8 comma 6 apportata dalla Legge n. 39/2002 che …impone ….al Datore di Lavoro, qualora “……..le capacità interne siano insufficienti”, di fare ricorso a persone o servizi esterni all’azienda.

Certo è previsto dall’art. 10 della 626 che il datore di lavoro, la cui azienda rientri nei parametri dell’allegato I, possa svolgere direttamente i compiti di prevenzione e protezione dai rischi.

Non è materia della relazione affidatami l’analisi delle problematiche relative al Servizio di Prevenzione e Protezione e non entrerò quindi nell’argomento, ma credo che la stretta correlazione che esiste tra il Servizio di Prevenzione e la Valutazione dei Rischi, imponga una riflessione che condenserò in una brevissima serie di domande, confesso un po’ provocatorie, che mi pongo e che vi pongo:

1. È corretto discriminare, come accade oggi, le attività di prevenzione da organizzare e da implementare in azienda in base al numero dei dipendenti piuttosto che  in base alla pericolosità delle attività svolte?

2. Siamo sicuri che per un datore di lavoro ad esempio:

di una metalmeccanica con 27 dipendenti;

che opera prevalentemente come conto-terzista;

ove si utilizzano grandi presse semiautomatiche;

e si faccia uso di  sostante chimiche come  vernici e solventi;

sia possibile valutare, correttamente e da solo, i rischi della proprio azienda dopo il percorso  formativo previsto dal DM 16 gennaio 1997 che  immagino, forse proprio e solo in omaggio alla sua data di emanazione, prevede una durata di  appena 16 ore?

3. Che dire poi, se tale datore di lavoro ha ricevuto una specie di  “laurea honoris causa” perché ha fatta questa scelta prima del 1° gennaio 2007 e quindi è stato esentato anche  dalla frequenza al Corso di 16 ore?

E soprattutto, ma questa più che una domanda è una considerazione, in un Paese come l’Italia, dove le imprese che hanno meno di 30 addetti sono la stragrande maggioranza del totale!

Bene, ma accantoniamo tutti i casi in cui le capacità del servizio di prevenzione siano inadeguate, la soluzione è  drastica ma semplice: bisogna trovare qualcuno che abbia tali capacità.

La risposta non sembri banale e semplicistica perché essa è, non solo moralmente e socialmente, ma anche giuridicamente obbligata!

Altrimenti il datore di lavoro sarebbe in balia di soggetti incapaci (anche qualora fosse egli stesso il soggetto inadeguato) e sarebbe chiamato a rispondere delle conseguenze negative che da tale scelta potessero derivare ai propri lavoratori.

D’altra parte, pagare per gli errori commessi dai propri collaboratori e/o consulenti capita con la linea produttiva, capita con il commercialista, con l’avvocato e francamente non si vede perché non dovrebbe capitare anche con il Servizio di Prevenzione.

Che tra l’altro è deputato a garantire la salute delle persone che, è inutile ricordarlo,  gode per l’art. 41 della tutela costituzionale più elevata.

Resta da analizzare come comportarsi negli altri casi, cioè quelli in cui la ricognizione dei pericoli e la successiva valutazione dei rischi sia fatta da personale competente ed adeguato.

Una delle domande più gettonate in questo momento in cui  ci si interroga con rinnovata intensità su che cosa non ha funzionato nella 626 ha una risposta non univoca ma certa: sicuramente non ha funzionato la valutazione dei rischi!

Ma perché non ha funzionato anchedove le risorse e le competenze erano sufficienti ed adeguate?

Purtroppo il tempo a disposizione non mi consente di essere diciamo così più diplomatico e quindi andrò subito al cuore del problema.

Una buona parte dei DVR sono stati redatti con la paura di incorrere in quella che viene normalmente definita auto-denuncia.

Termine improprio, ma significativo!

C’è da pensare che in molti casi ci sia stata una generale reticenza a mettere nero su bianco le criticità di sicurezza rilevate.

E quindi si è provveduto, troppo spesso, ad eliminare dal documento tutte le situazioni antigiuridiche o quantomeno (ricorrendo a frasi generiche ed astratte) ad edulcorarle talmente  tanto da scollegarle dalla realtà rendendole di fatto inutilizzabili per il fine ultimo della valutazione dei rischi che non dimentichiamolo è proprio: la redazione del programma delle misure necessarie!

Normalmente, citando gli obblighi indelegabili del Datore di Lavoro, si dice che essi siano:

la nomina dell’RSPP e

la valutazione dei rischi.

In realtà non è esattamente così.

L’art. 1 comma 4-ter, fin dalla prima modifica del 626 apportata nel 1996, sottolinea che non lo sono quelli previsti dall’art. 4:

comma 4 lett. a), cioè la designazione dell’RSPP;

comma 1, vale a dire la valutazione di tutti i rischi;

ma anche quelli previsti dal comma 2: l’elaborazione di  un documento contenente la relazione sulla valutazione in cui sono specificati:

§ i criteri adottati;

§ l’individuazione delle misure adottate e dei DPI consegnati;

§ il programma delle misure…ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza, vale a dire: la programmazione della sicurezza aziendale.

Logica conseguenza di questa distanza tra i contenuti del documento e la realtà dei rischi è stata ovviamente  il fallimento dell’intero sistema gestionale della 626 che poggia proprio sulla valutazione dei rischi posta a carico del Datore di Lavoro!

Datore di Lavoro che poi, a seguito di tale valutazione, deve prendere le decisioni conseguenti  per programmare l’eliminazione o l’abbattimento al minimo dei rischi che ne derivano.

Ma che cosa significa programmare?

Significa:

individuare che cosa si vuole fare;

individuare chi la deve fare;

stabilire i tempi entro cui farla;

ed infine mettere a disposizione le risorse anche economiche per poterla attuare.

Questo percorso logico ed organizzativo che non è minimamente in discussione per quanto riguarda le attività produttive, quasi mai, viene invece utilizzato nella programmazione delle misure di sicurezza.

Ma  è lecito, anzi doveroso, porci un’ulteriore domanda, il sistema non ha funzionato:

perché è sbagliato o perché è stato  applicato male?

La domanda è fondamentale e la risposta è indifferibile in questi giorni in cui si pone mano alla redazione del Testo Unico.

Da più parti si chiede la semplificazione degli obblighi documentali e meramente formali, soprattutto per le piccole e medie imprese.

Premesso che la semplificazione va sempre incentivata, dobbiamo però stare attenti a non confondere la semplificazione con lo  svuotamento:

dei contenuti e

delle finalità del Documento di Valutazione dei Rischi.

D’altra parte non devono essere semplici e di facile lettura solo i documenti delle piccole imprese, lo devono essere tutti, anche quelli delle grandi, ma senza rinunciare per questo alla giusta pretesa che siano esaustivi anche  i documenti delle piccole!

Tutti sanno che l’effetto provocato dalla possibilità di non redigere un documento scritto per le imprese fino ai 10 addetti (sancita dall’art. 4 c. 11 del d.lgs. 626) è stata la mancata valutazione dei rischi in molte di tali aziende.

È stato un errore mortale che non solo non deve essere ripetuto per il futuro ma  soprattutto non deve  essere peggiorato mediante un ampliamento dei casi previsti.

Lo si deve evitare perché il basamento su cui poggia l’architettura della normativa di derivazione comunitaria è proprio il Documento di Valutazione dei Rischi.

Eliminato o anche solo reso debole questo basamento crolla l’intera struttura!

Questo giudizio non può più essere ignorato o contestato da nessuno che abbia davvero a cuore la sicurezza dei lavoratori, soprattutto dopo le recenti e concordi pronunce giurisprudenziali.

Citerò per tutte quelle, che hanno fatto storia e che sono legate alla vicenda del Galeazzi: a seguito della tragedia della camera iperbarica, il Tribunale di Milano prima e la Cassazione poi hanno chiarito in maniera esemplare questo concetto.

 

Quindi utilizzerò direttamente le parole delle sentenze citate, riportando alcuni loro brevi ma fondamentali passaggi.

Nella sentenza della 9° Sezione del Tribunale di Milano si legge:

“…………L’art. 4.1 e 2 d.lvo 626/94 prevede innanzi tutto l’obbligo non delegabile di valutare i rischi che consiste nell’attribuzione di un valore, un peso, una misura attraverso un’analisi tecnica, scientifica, organizzativa; pertanto non può considerarsi tale una mera osservazione dei luoghi di lavoro o una generica descrizione delle attività che vi si compiono………….”;

“……….Tali profili attengono ad obblighi di risultato che devono avere una sostanziale esecuzione da parte del datore di lavoro.

Pertanto costituisce violazione dell’art. 4.2 d.lvo 626/94 non soltanto l’omissione ma anche l’adempimento in senso puramente formale di tali obblighi.

Sia l’omessa sia la formale valutazione del rischio (con mera trascrizione di un rischio determinato astrattamente e genericamente sul relativo documento) creano una fondamentale e grave lacuna.

Per tali motivi l’adempimento astratto, formale, o generico dell’obbligo de quo può risultare addirittura ingannevole per i dirigenti, preposti, lavoratori, operatori esterni, rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza etc. che ripongono un irrealistico affidamento sull’inesistenza o genericità di un rischio che invece è ben presente…………...”;

“……….La redazione del documento di valutazione del rischio è un obbligo non delegabile del datore di lavoro il quale in stretto collegamento deve adempiere all’altro obbligo non delegabile di designare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione (art. 4.4 d.lvo).

”…………A fronte di tale obbligo di designazione v’è necessariamente - da parte di una persona che intenda assumere l’incarico - la facoltà di accettare purché e soltanto se è in possesso di quelle attitudini e capacità adeguate.

Per il responsabile del servizio di prevenzione e protezione costituisce titolo di responsabilità l’accettazione di un incarico che egli non è in grado di adempiere con la dovuta professionalità…….”.

Concetti che   non hanno bisogno di alcun ulteriore commento e che    Cassazione riprende e fa propri con la sentenza n° 29229 del 16 aprile 2005 che testualmente recita:

“La sentenza impugnata della Corte di Appello di Milano, pronunciata in sede di rinvio in data 24.09.2004, appare immune da vizi di legittimità e corretta nella motivazione”.

Con il primo motivo ………… si censura la sentenza impugnata per avere addebitato la colpa al L. nella omessa valutazione del rischio”.

“La censura è infondata. Non bisogna confondere la valutazione del rischio dallo specifico documento che lo formalizza”.
“In verità si ricava ……… che il "documento" di valutazione del rischio fu formalmente redatto dall'Ing. B. ………….. persona del tutto inadeguata professionalmente e che esso era macroscopicamente inconsistente proprio per la mancata previsione dello specifico e più grave rischio delle camere iperbariche (cioè l'incendio).

La responsabilità per la mancata previsione del rischio (concetto ben distinto dal documento) e l'omessa adozione delle misure tecniche preventive è stata ritenuta gravare su entrambi gli imputati (L. e U. quali datori di lavoro) dalla sentenza di condanna di primo grado, avallata sul punto della Corte di Cassazione: in questo contesto la intestazione e sottoscrizione del documento del rischio è da ritenere assorbita dalla ritenuta responsabilità di entrambi gli imputati perché - a prescindere dal documento del tutto inconsistente - il rischio come tale non fu valutato e preso in considerazione.

Che dire di più rispetto a queste parole semplici ed inequivocabili?

Nulla se non una  chiara, esplicita e doverosa dichiarazione d’intenti:

il nuovo Testo Unico non  solo non dovrà più tollerare i Documenti di Valutazione dei Rischi fatti a fotocopia ma dato che la sicurezza nasce dalla corretta e sistemica organizzazione dei compiti, dovrà prevedere che il documento valuti anche i rischi derivanti dalla cattiva organizzazione del lavoro.

E ciò soprattutto quando parte di tale lavoro venga affidato a ditte esterne.

La modifica apportata all’art. 7 della 626 dalla Legge Finanziaria 2006 che amplia il campo di applicazione del coordinamento e soprattutto  l’emendamento (approvato il 31 maggio 2007 in Commissione Lavoro del Senato) alla Legge Delega per il Testo Unico che prevede a carico del datore di lavoro-committente l’onere di elaborare un unico documento di valutazione dei rischi ”….che indichi le misure adottate per eliminare le interferenze…” sembrano andare nella giusta direzione.

Spetterà a tutte le parti interessate:

istituzioni;

parti sociali;

organismi scientifici;

associazioni professionali;

spingere verso  tale direzione e vigilare affinché il Documento di Valutazione dei Rischi divenga quello  strumento operativo semplice ma fondamentale che deve essere.

Anche per poter finalmente divenire la fonte da cui prende vita l’attività formativa dei lavoratori che invece fino ad ora ha pesantemente pagato lo scollamento dai rischi reali rimanendo così troppo spesso una mera attività burocratica incapace di influire sui comportamenti.

Grazie per l’attenzione e buon lavoro a tutti.